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Autore: AliceInWonderbook    05/08/2018    0 recensioni
Piccolo racconto fantasy scritto per un contest indetto su Instagram da @dreamerwhaleshop.
Tutti sapevano che avere una donna a bordo serviva solo ad allontanare la fortuna, l’unico che sembrava non interessarsene era il capitano, che affermava di non credere a quelle stupide superstizioni. Eppure lo avevano convinto e quello era ciò che contava davvero.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima 

“Lo sanno tutti, Capitano”.

La ciurma era accalcata intorno al tavolo di legno consunto, ognuno voleva dire la sua e nessuno sembrava intenzionato a lasciarlo respirare.

“Ci penserò” disse il capitano, massaggiandosi le tempie e girandosi verso l’ufficiale di bordo, un uomo corpulento con un’ancora tatuata su una spalla.

“Io vado in cabina, ma voglio che mi sia comunicata immediatamente la presenza di un eventuale vascello da attaccare” comunicò, mentre spingeva indietro la sedia.

Senza aspettare una risposta, si alzò e scese sottocoperta. 

Invece di entrare nella sua cabina, si diresse verso una porta sul fondo. Si fermò per qualche istante, raddrizzò le spalle, poi la aprì ed entrò.

Incatenata contro la parete c’era una ragazza, che - non appena udì il rumore delle assi di legno che scricchiolavano - alzò lo sguardo per incontrare i suoi occhi. Il capitano si inginocchiò davanti a lei, osservandola come si osserva una mendicante che chiede l’elemosina davanti ad un’osteria.

Lei sputò, mancandolo di pochissimo.

Il capitano si alzò di scatto, passandosi la manica della camicia sul viso, nonostante lo sputo della ragazza non lo avesse raggiunto.

“Ingrata” sibilò, indietreggiando appena.

La osservò ancora per un po’, come se fosse indeciso se dirle qualcosa o meno, poi le voltò le spalle.

“Volevo risparmiarti, ma a quanto pare non te lo meriti” le disse, prima di uscire, chiudendosi la porta dietro.

*

“Ha preso la scelta giusta, Capitano” disse Whittaker, il nostromo, mentre osservava la ciurma affaccendarsi sul ponte, nonostante la pioggia battente e il vento.

Il capitano non rispose, le mani intrecciate dietro la schiena e lo sguardo fisso nel vuoto.

“Siamo pronti!” annunciò il ciurmiere di supporto, un ragazzetto biondo e pallido, di cui il capitano non aveva ancora imparato il nome.

Una tavola di legno era sospesa a strapiombo sul mare agitato, l’intera ciurma rivolta a guardarla, in attesa. Erano felici che il capitano avesse dato retta ai loro avvertimenti e finalmente la sfortuna avrebbe abbandonato la loro nave, non c’erano dubbi.

Tutti sapevano che avere una donna a bordo serviva solo ad allontanare la fortuna, l’unico che sembrava non interessarsene era il capitano, che affermava di non credere a quelle stupide superstizioni. Eppure lo avevano convinto e quello era ciò che contava davvero.

“Andatela a prendere” ordinò seccamente.

Continuò a scrutare l’orizzonte nero per qualche minuto, immerso nei suoi pensieri, poi la sua attenzione venne attirata dalle grida soffocate della ragazza.

Due mozzi la stavano trascinando, ma lei cercava in tutti i modi di divincolarsi.

Era bendata e aveva le mani legate dietro la schiena, un panno le tappava la bocca. Arrancava, rallentata dal peso che le avevano legato al piede destro.

Il capitano non disse niente, limitandosi a fare un cenno di assenso con il capo.

I due mozzi strinsero la presa sulle braccia della ragazza, trascinandola fino al bordo della tavola di legno. La spintonarono sopra, poi attesero ulteriori ordini dal capitano.

“Procedete”.

Whittaker si avvicinò, sguainando la spada. La spinse contro la schiena della ragazza, obbligandola a fare un passo in avanti.

Il vestito sgualcito svolazzava, così come i capelli della giovane, creando un turbinio di bianco e di nero intorno a lei.

Il nostromo continuava a pungolarla con la punta della spada, costringendola ad avanzare sempre di più verso il bordo. Un altro passo e sarebbe caduta in mare.

Un’altra spintarella e si ritrovò a precipitare verso la tempesta. Sapeva cosa la aspettava, ma avrebbe voluto vedere le onde sotto di lei, avrebbe voluto vedere la sua fine.

L’impatto fu talmente forte che quasi non se ne rese conto.

Una prigione d’acqua si strinse intorno a lei, trascinandola verso il fondo. Il peso legato alla caviglia le impediva di nuotare, di muoversi, di fare qualsiasi cosa.

Abbandonò ogni sforzo e cominciò a maledire quella nave, quella ciurma, quel capitano che l’aveva fatta prigioniera e l’aveva portata via dalla sua isola. Le aveva promesso che non sarebbe stata una schiava, aveva detto che una volta a terra l’avrebbe liberata e che avrebbe potuto scegliere cosa fare. Non che ci fosse chissà quale tipo di scelta per una ragazza come lei. Qualcuno l’avrebbe trovata e l’avrebbe ridotta a sguattera, perché era quello che la gente faceva. Non appena vedevano una persona con la pelle più scura della loro, si sentivano in diritto di farla schiava.

“Che voi siate maledetti” pensò un’ultima volta, prima di lasciarsi andare alla corrente.

Credeva che avrebbe perso conoscenza nel giro di qualche minuto, invece i suoi sensi sembravano acuiti. Provò a darsi una spinta verso la superficie, ma non riusciva a muovere le gambe come avrebbe voluto.

Sospirò.

Poi si rese conto che sott’acqua sospirare non sarebbe dovuto essere possibile. Un’espressione confusa le si dipinse sul volto, mentre abbassava lo sguardo.

Al posto dei piedi e delle gambe, una pinna bianca si agitava scompostamente, diffondendo bagliori lattei tutto intorno a lei. Sui seni, due conchiglie madreperlacee contrastavano con il color cioccolato della sua pelle. 

Si portò una mano tra i capelli, trovandoli stretti in una treccia elaborata, ornata di piccoli frammenti di gusci di conchiglia bianchi.

La ragazza urlò, scoprendo di poterlo fare senza alcun problema.

Urlò per tutta la notte.

I.

“Jessamine” una voce infantile si intrufolò tra i pensieri della ragazza.

Si girò di scatto, pronta ad incenerire chiunque fosse l’intruso che osava disturbarla.

Con un colpo di coda raggiunse l’ingresso della caverna e scostò le alghe che tenevano fuori il resto dell’oceano.

“Chi sei?” chiese, senza nascondere il fastidio nella sua voce.

Essere la strega dei sette mari aveva i suoi vantaggi e non dover cercare di piacere alla gente era uno di quelli.

“Mi chiamo Tracy” rispose allegramente l’intrusa, agitando la coda rosa.

Jessamine inarcò un sopracciglio, giocherellando con la punta della sua treccia con fare annoiato.

“E con questo?”

Un’ombra passò davanti agli occhi della piccola sirena che aveva davanti. Ci era rimasta male, ma avrebbe dovuto aspettarselo. Le streghe non erano certo note per la loro ospitalità e disponibilità e Jessamine era la strega.

Nei trecento anni che aveva passato sott’acqua, si era guadagnata il titolo di strega dei sette mari, che la rendeva la cosa più pericolosa dell’oceano, più pericolosa delle orche assassine. Le bambine non si sarebbero dovute avvicinare, soprattutto bambine come lei, che emanavano bontà da ogni branchia.

“Voglio diventare come te, da grande!” esclamò la bambina, tutta contenta.

“Non diventerai mai grande, se continui ad avvicinarti alla mia caverna, ragazzina”.

Tracy la guardò emozionata, come se volesse assistere ad una delle famose esplosioni di collera della strega, come se non si rendesse conto che rischiava la vita a trovarsi nel raggio d’azione di Jessamine.

“Sparisci” le intimò la strega, stringendo i pugni lungo i fianchi.

Un briciolo di preoccupazione attraversò lo sguardo della bambina, ma continuò a non muoversi, fissando Jessamine in attesa.

“Ho detto che devi sparire” ripetè, mentre l’acqua intorno a lei iniziava a ribollire.

La luce smise di filtrare, le creature marine che nuotavano lì intorno scapparono spaventate. La macchia di alghe che cresceva vicino alla caverna appassì.

“Vai via”.

Tracy rimase a fissarla, mentre intorno a loro un paesaggio spettrale prendeva vita.

“Conto fino a tre”.

Dalla sabbia iniziarono a sgusciare fuori serpentelli neri e viscidi che cercarono di avvilupparsi intorno alla coda rosa della bambina.

“Uno”.

Tracy non si muoveva, limitandosi a dimenare la codina per non farsi prendere dalle creature.

“Due”.

Il terreno esplose in diversi punti, rivelando mucchietti di ossa di varia provenienza che iniziarono a ricomporsi. Nel giro di qualche istante, un piccolo esercito scheletrico si parò davanti a Jessamine, tra lei e la bambina.

“Tre”.

Con uno schiocco delle dita, Jessamine controllò i movimenti di ogni scheletro e di ogni serpentello, indirizzandoli intorno alla bambina.

Finalmente, Tracy si mosse, tuffandosi verso il basso per evitare l’esercito della strega. Per essere così piccola era velocissima e con un paio di pinnate si allontanò, per poi fermarsi a debita distanza dal piccolo esercito, che aveva smesso di inseguirla.

In uno scoppio di luce, la piccola Tracy crebbe, prendendo le sembianze di una donna adulta.

La coda rosa e i capelli biondi erano gli stessi della bambina, ma il viso era quello di un’adulta. Sorrise dolcemente in direzione di Jessamine.

“Ti innamorerai della persona più inaspettata e non potrai sfuggire al potere dell’abisso” disse con voce melodiosa, prima di sparire in un altro scoppio di luce rosata.

La strega si lasciò andare ad una risata stridula. Nessun tritone era riuscito a farla innamorare in trecento anni e nessun tritone sarebbe riuscito a farla innamorare ora.

II.

Ogni mattina Jessamine si svegliava con le parole della sirena che le rimbombavano nelle orecchie. Non lo avrebbe mai ammesso, ma era terrorizzata che la sua profezia potesse avverarsi. Se si fosse innamorata del primo stupido tritone che fosse passato, la sua reputazione sarebbe stata rovinata per sempre.

Per tre settimane dopo l’incontro con Tracy non osò avvicinarsi all’abisso. Non era sicura che la profezia riguardasse quel posto, ma aveva deciso di evitare la sua zona abituale di caccia il più possibile, anche se era la migliore in cui avesse mai cacciato.

“Mia signora” sussurrò una voce melliflua.

Jessamine si girò verso il piccolo squalo nero a cui apparteneva, invitandolo a parlare.

“So che ha detto di non volersi avvicinare all’abisso per un po’, ma le mie fonti mi comunicano che una certa imbarcazione che potrebbe interessarle sta per gettare l’ancora lì vicino”.

La strega socchiuse gli occhi, riducendoli a due fessure.

Quell’imbarcazione?”

“Sì, mia signora” confermò lo squalo.

Jessamine fece un cenno con la mano e la creatura si ritirò in fretta, lasciandola sola a riflettere.

Aveva aspettato per secoli che uno dei bis-bis-bis-bisnipoti del capitano del vascello da cui l’avevano buttata in mare solcasse le acque dei suoi territori. Non poteva farsi sfuggire quell’occasione, anche se avrebbe significato avvicinarsi all’abisso. Nessuna profezia, nessuna stupida sirena dalla coda rosa le avrebbe impedito di avere la sua vendetta.

Si sciolse i capelli, lasciandoli fluttuare intorno a lei. Prese un pettine di madreperla e lo infilò tra le ciocche scure, poi si passò il rossetto sulle labbra e nuotò fuori dalla caverna.

Lo squalo nero la seguiva a debita distanza, ma lei lo allontanò con un gesto scocciato e quello fece dietrofront rapidamente, non volendosi trovare a dover affrontare le ire della sua padrona.

Jessamine voleva essere sola, quel giorno. Di solito lasciava che uno dei suoi servitori la seguisse fino all’abisso, ma in quel caso sentiva di dover essere solo lei.

Una volta arrivata sull’orlo del dirupo, si nascose dietro una roccia e attese in silenzio. Doveva evitare ogni tipo di rumore, se non voleva attirare l’attenzione di qualche altra sirena di passaggio, che avrebbe potuto rubarle la preda. Non che in molti osassero indispettirla, ma era meglio non rischiare, non quando si trattava della caccia più importante della sua vita.

Rimase immobile per quelli che le sembrarono anni, poi finalmente iniziò a sentire i rumori di un motore che si avvicinavano. Silenziosamente nuotò fino alla superficie e si accomodò su uno scoglio che sporgeva convenientemente.

Quando la nave, una piccola imbarcazione privata, fu abbastanza vicina perché la notassero, cominciò a muovere pigramente la coda bianca. Anche in superficie, le scaglie riflettevano i raggi del sole e sembravano brillare di luce propria.

Come aveva annunciato lo squalo, un ragazzo stava gettando l’ancora lì vicino. Quando alzò lo sguardo, incontrò gli occhi provocanti di Jessamine, che si limitò ad elargirgli un sorriso sensuale, continuando ad agitare lentamente la coda.

Il ragazzo sbatté più volte le palpebre, come se non riuscisse a credere a ciò che aveva davanti agli occhi, ma Jessamine non si spostò, il sorriso che ancora le increspava le labbra dipinte di rosso.

“Chi sei?” chiese incuriosito, sporgendosi dal parapetto.

La ragazza non rispose, ma gli fece segno di avvicinarsi con un dito. Sapeva che non avrebbe resistito. Avrebbe calato una scialuppa, un gommone o si sarebbe direttamente tuffato. Non aveva importanza, le bastava che le arrivasse abbastanza vicino da poterlo toccare.

Prevedibilmente, il ragazzo si tuffò in acqua, senza nemmeno preoccuparsi di levarsi le scarpe. Con un paio di bracciate la raggiunse e si ancorò allo scoglio, per non essere trascinato via dalla corrente impetuosa che tirava da tutte le parti.

“Puoi parlare?”

Jessamine rise e si inumidì le labbra con la punta della lingua.

Aprì la bocca, ma invece di rispondere, intonò una melodia struggente e il ragazzo la guardò in trance. Lei continuò a cantare, assicurandosi di avere la sua attenzione, poi si tuffò in acqua.

“Ehi, aspetta!” urlò lui, immergendosi per inseguirla.

Jessamine scendeva sempre più giù, diretta verso il fondo dell’abisso, e cantava, cantava, cantava.

Non si voltò mai per controllare se lui la stesse seguendo, sapeva che era così. Si fermò solo una volta che ebbe toccato il fondale sabbioso e - come previsto - il ragazzo era lì ad osservarla, incredulo.

“Io… Riesco a respirare” constatò lui, portandosi una mano alla gola.

“Oh, sì, tesoro. Ma non preoccuparti, tra poco non sarà più un tuo problema”.

“Che vuoi dire?”

Ancora una volta Jessamine non disse nulla, guardandolo con una luce crudele negli occhi.

Sollevò entrambe le braccia, chiamando a sé il potere degli abissi che le scorreva nelle vene, e delle alghe scure proruppero dal terreno, circondando il ragazzo come le sbarre di una prigione.

“Perché lo stai facendo?” domandò il ragazzo, cercando di liberarsi.

Il muro di alghe lo nascondeva parzialmente dalla visuale della ragazza, che rideva ormai quasi istericamente. Quando l’ultima alga andò a formare il tetto della sua prigione, smise di ridere e si ricompose.

“Per vendetta” sibilò semplicemente e schioccò le dita.

La faccia del ragazzo diventò paonazza, mentre lui si rendeva conto di essere spacciato. L’aria non gli arrivava più ai polmoni ed era intrappolato a trenta metri di profondità in una prigione di alghe.

Jessamine rimase ad osservarlo contorcersi fino a quando non si accasciò su sé stesso, galleggiando contro il tetto di alghe.

Quando fu sicura che fosse morto, sollevò nuovamente le braccia e le alghe crollarono sul fondale. Si voltò, lasciandolo lì, in balia del suo destino. Se l’oceano avesse voluto, si sarebbe trasformato in un tritone vendicativo, altrimenti sarebbe stato cibo per orche. In entrambi i casi, a Jessamine non importava, aveva avuto la sua vendetta.

Forse, se Jessamine avesse aspettato solo qualche istante in più si sarebbe accorta della sagoma femminile che la osservava da dietro un masso e che iniziò a seguirla silenziosamente.

Forse.

III.

“Permesso?”

Jessamine sbuffò. Doveva essere di nuovo quella sirena seccatrice che non la lasciava un attimo in pace da quando si era trasferita nella caverna di fronte alla sua.

Per secoli nessuno aveva avuto il coraggio di occupare l’antro di fronte a quello della strega più potente dei sette mari, ma Fumiko non sembrava curarsene, anzi, erano giorni che andava a disturbarla, senza mostrare un minimo di preoccupazione o di paura.

“Che vuoi?” Brontolò Jessamine, affacciandosi da dietro la cortina di alghe.

Non sapeva bene il perché, ma non aveva ancora incenerito la sua vicina, né le aveva scatenato contro un orda di anguille inferocite. Stava facendo passi avanti.

“Niente, volevo solo darti fastidio” disse allegramente Fumiko, sorridendo.

Quando sorrideva, gli occhi a mandorla le si assottigliavano ancora di più e i capelli scuri le si drizzavano tutto attorno.

“Nuota a quel paese, Fumiko” rispose Jessamine, sparendo dentro la sua caverna.

Un fruscio la fece girare di scatto. Nuotando a fatica, Fumiko l’aveva seguita.

Nessuno si era mai arrischiato a varcare la sua soglia.

L’acqua iniziò a ribollire intorno a lei, mentre una rabbia travolgente le montava dentro, facendole perdere il controllo.

“Come osi?” urlò, agitando una mano per colpirla con un fiotto d’acqua.

Sapeva che Fumiko aveva un problema alla coda e che sarebbe stato quasi impossibile per lei evitare il colpo. Non avrebbe risparmiato nessuno, nemmeno quella stupida sirena menomata. Se aveva il coraggio di entrare in casa sua, si meritava di morire come tutti gli altri che ci avevano anche solo pensato.

Il proiettile d’acqua colpì il petto della ragazza, facendola indietreggiare.

“Jessamine” disse, la voce poco più di un sussurro, ma il tono deciso e perentorio.

La strega si fermò, una mano a mezz’aria.

“Se credi che te la farò passare liscia solo perché non riesci a scappare, ti sbagli di grosso”.

Una delle prime cose che Fumiko aveva raccontato ad una disinteressata Jessamine era proprio il motivo per cui faceva così tanta fatica a nuotare.

Fumiko, prima di diventare una sirena, era stata una nuotatrice della nazionale juniores giapponese, ma dopo un incidente d’auto aveva perso l’uso delle gambe ed era stata costretta alla sedia a rotelle. Non aveva più potuto nuotare e alla fine, spinta dalla disperazione, aveva tentato il suicidio buttandosi in mare da un molo deserto. L’oceano, però, la aveva accolta nelle sue acque e ora poteva nuotare, anche se era obbligata a trascinarsi dietro il peso morto della coda, spingendosi solo con le braccia. 

Jessamine non capiva come potesse essere così allegra, dopo tutto quello che aveva passato, ma Fumiko era la personificazione della gioia di vivere e questo la mandava in bestia.

In quel momento, però, la ragazza la stava guardando con aria ferita.

“Volevo solo darti questo” disse mestamente, lanciando un oggetto verso di lei, prima di voltarsi e arrancare faticosamente verso l’uscio della caverna.

Jessamine prese ciò che le aveva lanciato, stringendolo tra le dita. Era il suo pettinino di madreperla, che doveva esserle sfuggito dai capelli quando si era affacciata.

Si morse il labbro, mentre la rabbia scemava, cedendo il posto ad uno strano senso di colpa a cui non era per niente abituata.

“Mi dispiace” mormorò a mezza voce, rimettendo il pettinino al suo posto sulla toletta.

IV.

“Ehi…” disse timidamente Jessamine il giorno dopo il suo attacco di ira.

Fumiko era seduta su un piccolo scoglio davanti alla sua caverna e stava infilando delle perle colorate su un filo sottile. Alzò gli occhi su Jessamine, ma non disse niente, lo stesso sguardo ferito che aveva negli occhi il giorno precedente.

“Io volevo… Uhm, volevo…” cominciò la strega, agitando nervosamente la coda.

Fumiko arricciò le labbra, in attesa.

“Sì, ecco… Io volevo chiederti scusa per ieri” sputò fuori tutto d’un fiato, facendo zigzagare lo sguardo tutto intorno.

La ragazza sbatté le palpebre, incredula.

Non era stupida, sapeva che Jessamine era una strega, la strega, e tutto si sarebbe aspettata da lei tranne delle scuse. Ci era rimasta male, certo, ma non credeva che l’altra ragazza se ne fosse accorta o che gliene importasse qualcosa.

Non sapeva cosa dire, ma inclinò la testa di lato e fece un piccolo sorriso, che sembrò essere sufficiente per Jessamine, che fece per tornare nella sua caverna, dove passava la maggior parte del suo tempo.

“Aspetta!” esclamò, alzandosi ed iniziando a nuotare verso di lei, arrancando come al solito.

Jessamine si fermò, girandosi come se non sapesse cosa aspettarsi.

“Voglio portarti un posto, penso che potrebbe piacerti. Ci metteremo un po’, soprattutto a causa di questa - disse, indicando la propria coda rossa e pesante - Ma, fidati, ne vale la pena”.

La ragazza la fissò dubbiosa, nessuno l’aveva mai invitata ad andare da qualche parte. Era una trappola? Fumiko voleva vendicarsi per come l’aveva trattata il giorno prima?

Milioni di domande affollavano la mente di Jessamine, ma alla fine scrollò le spalle e decise di rischiare. Era comunque più forte di lei e, se avesse cercato di incastrarla, le avrebbe rivoltato contro tutta la sua furia, stavolta senza pentirsi di nulla.

“Va bene, prendo una cosa e possiamo andare. Aspettami qui”.

Nuotò rapidamente all’interno della caverna e prese il pettinino che Fumiko le aveva restituito il giorno prima, sistemandolo tra i capelli.

Per qualche motivo, non voleva che la ragazza sapesse che quello era ciò che voleva prendere, quindi afferrò anche un coltellino e lo strinse in mano.

“Eccomi” annunciò, sbucando da dietro le spalle di Fumiko.

Lei sorrise e iniziò a fare forza con le braccia, nuotando lentamente verso la loro destinazione. Jessamine procedeva accanto a lei, rallentando di tanto in tanto per non superarla.

“Perché hai preso quello?” domandò la ragazza, indicando il coltellino.

Lei se lo rigirò tra le dita, temporeggiando.

“Non so dove tu mi stia portando, meglio partire preparati”.

Fumiko annuì.

“Hai anche messo il pettinino nei capelli. Mi piace, ti sta bene”.

Jessamine imprecò sotto voce. Aveva sperato che non se ne accorgesse, ma non solo Fumiko lo aveva notato, le aveva anche fatto un complimento. Chissà cosa avrebbe pensato di lei, la strega più potente al mondo, che si metteva uno stupido pettinino prima di uscire per andare chissà dove.

“Già, mi andavano i capelli in faccia, altrimenti” borbottò alla fine.

“Ad ogni modo, ti dona” confermò Fumiko con un ulteriore sorriso. Quella ragazza non si stancava mai di sorridere.

Fecero il resto del tragitto in silenzio e Jessamine era così presa dai suoi pensieri che quando Fumiko si fermò davanti a lei, le finì addosso.

“Scusami”.

“È la seconda volta che ti scusi nello stesso giorno, finirò per credere di starti simpatica” disse allegramente la ragazza.

“Non farti strane idee” la rimbrottò Jessamine, scuotendo la testa.

Fumiko alzò le mani in segno di resa.

“Siamo arrivate, comunque” comunicò, facendo scivolare le braccia lungo i fianchi.

Davanti a loro si stendeva un campo sterminato di coralli. Non era la prima volta che Jessamine ne vedeva uno, ma quello la lasciò ugualmente a bocca aperta. Quei coralli erano altissimi e tutto intorno crescevano delle piante acquatiche rampicanti dai fiori bianchi e neri: sembravano delle rose, come quelle che venivano coltivate sulla terra, ma erano molto più belle.

“Wow” si lasciò sfuggire, avvicinandosi alla pianta davanti a lei e accarezzando i petali di una rosa bianca.

“Sapevo che ti sarebbe piaciuto”.

“Come hai trovato questo posto?” chiese Jessamine, senza staccare le dita dal fiore.

Fumiko fece spallucce.

“Li ho piantati io” disse poi, dopo aver riflettuto qualche istante, soppesando le parole prima di pronunciarle.

“Li hai piantati tu?” ripeté l’altra, la sua attenzione completamente concentrata sui di lei.

“Sì” confermò semplicemente Fumiko.

“Come diavolo è possibile?”

“Sai il tuo potere? Quello di controllare l’acqua? Ecco, io posso controllare queste piante. Non posso usarle per fare del male alla gente, come la tua acqua e le tue alghe, ma posso far crescere fiori un po’ ovunque” spiegò la ragazza.

Se non fosse stata così sorpresa dalla rivelazione, forse Jessamine si sarebbe accorta che Fumiko aveva menzionato anche le sue capacità di controllare le alghe, nonostante non lo avesse mai fatto davanti a lei, ma era talmente presa dai fiori, che ci passò sopra.

“Potresti… Potresti farne crescere uno anche fuori dalla mia grotta?” domandò, cercando di ritrovare un contegno.

“Certamente, però…”

“Però?”

“Voglio qualcosa in cambio”.

Un sorriso birichino illuminò il viso di Fumiko e Jessamine le rivolse uno sguardo inquisitore.

“Che tipo di cosa?”

“Devi solo passare un po’ di tempo con me, ogni giorno”.

Jessamine stava per ribattere, ma l’altra la interruppe.

“Senza cercare di uccidermi” aggiunse.

Jessamine incrociò le braccia al petto, valutando l’offerta. Aveva sempre amato i fiori, dopo tre secoli erano l’unica cosa che ancora le mancava della terra ferma, ma passare del tempo con quella rompiscatole della sua vicina ogni giorno non rientrava certo nei suoi piani.

Però Fumiko non aveva specificato quanto tempo, se avesse accettato avrebbe potuto passare con lei anche solo un minuto al giorno e avrebbe comunque mantenuto la parola data.

“E va bene” acconsentì alla fine.

“Fantastico! Andiamo, allora” esclamò la ragazza.

V.

Quella mattina, Jessamine si svegliò con una strana sensazione, che la attanagliò durante tutta la colazione. Non avrebbe saputo definirla, ma era come una morsa allo stomaco che non la lasciò nemmeno mentre si pettinava i capelli.

Da qualche mese aveva preso l’abitudine di sistemarsi la treccia e mettersi il rossetto prima di uscire. Non voleva correre il rischio di incrociare la sua vicina con i capelli dritti o le occhiaie, nonostante non pensasse che a Fumiko importasse davvero qualcosa della sua faccia.

Ogni giorno, come da promessa, passavano del tempo insieme. Fumiko le aveva fatto crescere molto più di un rampicante davanti casa e Jessamine aveva scoperto che la sua compagnia non era male come pensava. Si era resa conto di essersi sentita sola per trecento anni e la sua sorridente vicina sembrava apprezzare le loro conversazioni.

Anche i suoi attacchi di rabbia erano diminuiti e negli ultimi cinque mesi aveva ucciso solamente venti marinai, contro gli omicidi giornalieri precedenti, provando sempre meno gusto nel farlo. Non era improvvisamente diventata una brava persona, si sentiva solo meno rancorosa e pronta a vendicarsi. Sedurre i marinai le piaceva ancora da matti, la faceva sentire potente e desiderata, ma intrappolarli e lasciarli morire non avevano più il loro fascino.

“Fumiko?” chiamò, guardandosi intorno, ma non trovando la ragazza al suo solito posto.

Strano.

Normalmente, quando Jessamine usciva dalla grotta, lei era sempre lì, quasi come se non vedesse l’ora di passare la mattinata con lei. Non che Jessamine ci facesse caso.

Magari era andata da qualche parte, si disse, tornando dentro. L’avrebbe di certo sentita tornare, oppure sarebbe stata proprio lei a chiamarla una volta che fosse tornata.

La mattinata passò lentamente, Jessamine sfogliò senza particolare attenzione un libro che aveva recuperato da una delle sue vittime qualche giorno prima. Lo aveva avvolto con la stessa magia che incantava i marinai permettendogli di respirare sott’acqua e lo aveva aggiunto alla sua collezione.

La trama non era un granché, una banale storia d’amore a prima vista, condita con qualche scena di litigate plateali e rappacificazioni a dir poco intense. Aveva letto meno della metà del libro, quando lo chiuse e lo lasciò in un angolo nascosto della libreria che si era costruita con dei resti di una nave che aveva fatto affondare anni prima.

Uscì di nuovo, ma Fumiko ancora non si vedeva da nessuna parte. Nuotò nei dintorni, pensando che forse poteva essere andata a fare un giro, anche se cercava di evitare i grossi spostamenti se era da sola, perché aveva paura di non farcela a tornare indietro.

Chi ti ha detto che è sola?

Una vocina nella testa di Jessamine iniziò a darle il tormento.

Non glielo aveva detto, né contava di farlo mai, ma Fumiko era l’unica amica che avesse avuto in trecento anni. Era l’unica persona con cui avesse avuto più di un rabbioso scambio di parole, a dirla tutta.

Molto lentamente, Jessamine si era abituata alla presenza costante della sua vicina e il pensiero che potesse avere altre amiche non l’aveva mai sfiorata. Effettivamente, passavano insieme solo qualche ora la mattina, poi Jessamine spariva, in genere alla ricerca di vittime da ammaliare. Qualche volta anche da uccidere, anche se a Fumiko non lo diceva.

Un pensiero improvviso attraversò la mente di Jessamine.

E se non avesse delle nuove amiche, ma avesse un nuovo ragazzo?

Non sapeva perché, ma quell’idea la faceva impazzire. Si mise a nuotare in cerchio, creando un mulinello violento, che scagliò verso una delle piante che Fumiko le aveva fatto crescere. Prima che potesse pentirsene, l’acqua travolse i petali dei fiori, distruggendoli.

Ansimando, guardò il danno che aveva fatto. Strinse i pugni e scagliò una raffica di proiettili contro un’altra pianta, facendola esplodere. Una pioggia di petali si riversò intorno a lei.

Con un urlo rabbioso, nuotò via, saettando verso l’abisso.

Raggiunse la superficie subito dopo essersi assicurata che ci fosse una nave nei paraggi.

Come ogni giorno, si sedette sullo scoglio, agitando la coda.

Non ci volle molto perché uno dei marinai la notasse e rimanesse incantato dai riflessi che rilucevano. Con un sorriso invitante, gli fece segno di avvicinarsi, ma quello esitò.

Jessamine nascose il trionfo che le brillava negli occhi e gli rivolse uno sguardo seducente. Con quelli esitanti c’era più gusto. Con una lentezza esasperante, si fece scivolare le mani sul collo e se le portò sulla chiusura del reggiseno. Il marinaio la guardava, ci mancava poco che si mettesse a sbavare sul ponte della nave.

La ragazza fece scattare la chiusura, senza staccare gli occhi dal marinaio. Lui si tuffò prima ancora che potesse sfilarsi le conchiglie e la raggiunse.

“Chi sei?” chiese il marinaio, come tutte le vittime prima di lui.

E come sempre, Jessamine non rispose, tuffandosi in acqua e lasciando che lui la seguisse.

Aveva dimenticato di allacciarsi il reggiseno, quindi si ritrovò a nuotare senza, cosa che sembrava non dispiacere affatto all’uomo che la seguiva, cercando di acchiapparla.

“Posso respirare!” esclamò sbalordito, senza guardarla negli occhi. Il suo sguardo era fisso sui suoi seni.

Jessamine non si prese nemmeno la briga di rispondere, lasciando che le alghe creassero una prigione intorno a lui.

“Muori” sibilò, schioccando le dita.

Quando lui smise di contorcersi, Jessamine non si sentiva per niente meglio, ma almeno la rabbia era scemata, lasciando il posto ad un’enorme senso di frustrazione.

Si diresse a grandi pinnate verso la sua grotta, incurante del fatto che se Fumiko fosse stata lì l’avrebbe vista senza reggiseno. Tanto meglio, si disse, magari avrebbe finalmente capito che in realtà Jessamine era un mostro e che avrebbe fatto bene a starle il più lontano possibile.

“Fumiko?” chiamò nuovamente, non appena raggiunse lo spiazzo fra le loro due abitazioni.

Ancora nessuna risposta.

Sgusciò all’interno della sua caverna e si mise un reggiseno nuovo, bianco come al solito, poi si decise ad entrare dentro la grotta di Fumiko.

VI.

In quei mesi che aveva passato con Fumiko, non era mai entrata nel suo antro, ma sapeva che la ragazza era ordinata e non avrebbe mai lasciato niente fuori posto.

Lo spettacolo che aveva davanti sembrava smentirla. Ogni cosa era rovesciata, rotta o nel posto chiaramente sbagliato. Per un attimo si chiese se non avesse colpito anche la grotta di Fumiko con uno dei suoi mulinelli furiosi, ma ben presto si accorse che quella era decisamente opera di una sirena.

Qualcuno era entrato in casa di Fumiko e lei era sparita.

Iniziando a capire cosa fosse successo, ispezionò ogni centimetro della casa, fino a quando non trovò un foglietto che diceva solo: ‘Se vuoi rivedere la tua vicina, vieni ai coralli”. Era firmato ‘Una vecchia amica’.

Chiunque avesse preso Fumiko, sperava che lei entrasse e trovasse quel biglietto, quindi probabilmente si trattava di un tranello. Aveva fatto arrabbiare così tante sirene e aveva ucciso così tanti marinai nel corso della sua vita, che probabilmente uno di loro era in cerca di vendetta, così come lo era lei.

Rientrò in fretta nella propria grotta, lasciando quella della sua vicina così come la aveva trovata. Ora che aveva letto quel biglietto, aveva quasi paura a toccare gli oggetti di Fumiko, temendo che potessero essere stati piazzati come trappole.

Se qualcuno voleva davvero incastrarla, probabilmente sapeva che c’era il rischio che lei non si presentasse per salvare Fumiko. Nonostante fossero diventate abbastanza unite, Jessamine rimaneva una strega e le streghe erano sempre state note per la loro imprevedibilità.

Avrebbe potuto lasciarla morire e distruggere la sua caverna. Almeno per un po’ sarebbe stata al sicuro e avrebbe avuto il tempo di preparare l’eventuale contrattacco. Era potente e nessuno sarebbe stato in grado di fermarla in uno scontro diretto, ma se si fosse precipitata a cercare di liberare l’altra ragazza, avrebbero potuto coglierla impreparata.

La sua mente correva, le sembrava quasi di sentire i neuroni lavorare, mentre nuotava nervosamente avanti e indietro.

A rigor di logica, non le sarebbe dovuto importare niente del destino di Fumiko. centinaia, migliaia di persone erano morte per causa sua, una in più non avrebbe fatto la differenza e di sicuro lei non si aspettava che Jessamine andasse a salvarla. Qualche ora al giorno per cinque mesi non la rendeva la sua guardia del corpo.

Eppure… Eppure, il solo pensiero di Fumiko tenuta prigioniera, torturata o uccisa la faceva fremere. Doveva fare qualcosa.

Si mise a frugare in giro, raccogliendo tutto ciò che riteneva potesse servirle in una sacca, che si gettò in spalla, uscendo rapidamente.

Era quasi sicura che i coralli menzionati dal rapitore fossero quelli che le aveva mostrato la ragazza il giorno in cui si era scusata con lei, quindi si diresse lì senza esitazioni.

Si fermò a una decina di metri di distanza, nascondendosi dietro un anemone gigante, valutando le possibilità. Non riusciva a vedere Fumiko, ma quel posto somigliava ad un labirinto e probabilmente la tenevano intrappolata al centro.

I coralli erano disposti in modo che fosse impossibile entrare dall’alto. Avrebbe dovuto addentrarsi nel dedalo e sperare di trovarla prima che fosse troppo tardi.

Strinse tra le dita il pettine di madreperla che le aveva restituito Fumiko e raddrizzò le spalle. Sarebbe stato un pessimo modo di morire, per la strega dei sette mari: intrappolata in un labirinto fiorito, mentre cercava di salvare una stupida sirena che la tartassava con i suoi racconti.

Per la prima volta nella sua vita desiderò di essere un po’ meno appariscente, la sua coda bianca  che baluginava prepotentemente rendendola un bersaglio facile.

Maledicendosi ancora una volta, mosse qualche bracciata decisa ed entrò nel labirinto.

VII.

L’interno del labirinto era molto più buio di quanto si aspettasse.

In teoria, attraverso le aperture tra i coralli, i raggi del sole sarebbero dovuti filtrare facilmente. Il campo non era situato a una grande profondità, ma qualcosa impediva alla luce di raggiungere i corridoi stretti.

Jessamine aprì la sacca ed estrasse un barattolo. Al suo interno nuotava un pesciolino che la guardava impaurito, i suoi occhi l’unica cosa visibile nell’oscurità. La ragazza agitò il vasetto con decisione e il pesce si illuminò, gettando una timida luce sul percorso davanti a lei.

Una volta aveva letto in un libro che per non perdersi all’interno di un labirinto bisognava tenere la mano sul muro sinistro e svoltare sempre dalla stessa parte. Per i protagonisti non aveva funzionato, il loro era un labirinto mutante, ma con un po’ di fortuna lei non avrebbe avuto quel problema.

Per un tempo indefinito nuotò silenziosamente, seguendo il muro. Si era talmente abituata al ritmo che quasi andò a sbattere contro il corallo che le bloccava il passaggio. Era finita in un vicolo cieco e tornare indietro avrebbe significato ricominciare da capo, cosa che non poteva permettersi.

Incastrò il barattolo nella sabbia, poi chiuse gli occhi e si concentrò, attingendo alla sua rabbia repressa. Ne aveva da vendere e non le fu difficile incanalarla in due tornadi sottomarini, che lanciò contro all’ostacolo davanti a lei. Non successe nulla.

Richiamò alla mente il giorno in cui l’avevano spinta giù dalla nave in cui era tenuta prigioniera, rendendola uno spirito acquatico rancoroso e vendicativo, ripensò ad ogni persona che aveva avuto paura di lei prima ancora che diventasse un’eremita, rievocò ogni stupido marinaio che aveva ucciso alla ricerca di un appagamento che non era mai arrivato.

L’acqua intorno a lei sembrava impazzita: stava generando una vera e propria tempesta sottomarina, alimentata solo dalla sua rabbia. Con un urlo la scagliò verso il muro, che crollò in mille pezzi.

Con i pugni ancora serrati, raccolse la sua lanterna e guardò davanti a sé.

Uno spiazzo, quello che doveva essere il centro del labirinto, deserto, tranne per un palo metallico arrugginito, finito lì chissà come.

Incatenata al palo c’era Fumiko, la coda ripiegata in una posizione innaturale. Jessamine sperò che non sentisse dolore. Aveva un bavaglio annodato a coprirle la bocca e le lacrime le rigavano il viso.

“Fumiko!” esclamò Jessamine, lanciandosi verso di lei.

Voleva disperatamente liberarla, asciugarle le lacrime e dirle che andava tutto bene.

Prima che potesse fare una di queste cose, una figura si stagliò tra lei e la sirena legata.

“Jessamine” disse una voce familiare.

Jessamine socchiuse gli occhi per mettere a fuoco la sirena che aveva davanti.

“Ti ricordi di me?” chiese con un sorriso crudele.

Era la bambina che aveva cacciato mesi prima, quella che le aveva istillato il dubbio che avrebbe potuto innamorarsi. Aveva assunto la sua forma adulta e la soppesava con lo sguardo, le braccia incrociate al petto.

Le avrebbe volentieri aizzato contro un esercito di serpenti marini, ma probabilmente non era la mossa più saggia, quando era evidente che fosse la carceriera di Fumiko. Persino lei si rendeva conto che sarebbe stato controproducente e cercò di controllare la rabbia che le stava nuovamente montando nel petto.

“Come potrei dimenticarmi di te?” il suo tono era più sarcastico di quanto avesse pensato.

“Hai ripensato a ciò che ti ho detto?”

Jessamine strinse i pugni.

“Oh, cara! Non rispondere, so che ci hai pensato” continuò la sirena, con una dolcezza forzata.

Si avvicinò a Fumiko e le accarezzò la guancia con un dito. Jessamine dovette fare ricorso a tutto il suo autocontrollo per impedirsi di saltarle addosso.

“Perché te la sei presa con lei? Hai paura di me?” sibilò Jessamine, gli occhi che mandavano scintille.

“Tesoro, non ci sarebbe stato gusto ad affrontare direttamente te. Volevo ferirti dove fa più male e tutti sanno che il cuore è dove è più facile colpire”.

Probabilmente la sua espressione mostrava tutta la sua confusione, perché la ragazza le scoccò un’occhiata ironica.

“Non mi dire che non hai ancora capito” ridacchiò, chinandosi sulla sirena incatenata e scostandole una ciocca di capelli dagli occhi. Fumiko rivolse uno sguardo supplichevole a Jessamine. L’unghia smaltata di rosa della sua carceriera stava tracciando il contorno del suo viso.

“Non la toccare!” sbottò Jessamine, schizzando in avanti.

“Come vedi, così è molto più divertente”.

Un’alga iniziò a strisciare sul fondale, ma la ragazza bionda la fermò con uno schiocco di dita.

“Non credo proprio. Se vuoi liberare questa bella sirenetta, una delle tue stupide alghe non basterà. Oh no, quello che voglio è molto più semplice di quanto tu possa pensare”.

Non sapendo cosa aspettarsi, Jessamine esitò.

“E cosa sarebbe, di grazia?” domandò alla fine, senza distogliere l’attenzione da Fumiko.

VIII.

“Voglio che tu mi ceda il titolo di strega dei sette mari” le comunicò, come fosse la cosa più ovvia del mondo.

“Cosa… Cosa intendi?” riuscì a chiedere Jessamine, combattendo con il nodo che le si era formato in gola. Quel titolo era tutto ciò che aveva, tutto ciò che era sempre stata. Senza, non aveva un’identità, uno scopo.

“Sai benissimo cosa intendo. Qualunque cosa io faccia, per quanta gente io torturi e uccida, nessuno mi prende mai sul serio per colpa del mio aspetto. Dicono che sembro una bambolina, una principessa. Ma se tu rinunciassi al tuo titolo, sarei io l’assassina più temuta dei sette mari e nessuno si curerebbe più della mia coda rosa o dei miei capelli biondi. Avrebbero paura di me”.

Jessamine la fissò, silenziosa.

Rinunciando al titolo, avrebbe dovuto rinunciare agli omicidi e la sua sete di vendetta non sarebbe mai stata appagata. Per secoli, aveva continuato ad uccidere nella speranza che ogni vita rubata fosse quella che le avrebbe permesso di trovare pace, ma non era mai riuscita a liberarsi da quella sensazione che le opprimeva il petto. Per il resto della sua vita quasi immortale avrebbe dovuto convivere con la sua rabbia incontrollabile, che solo gli omicidi placavano momentaneamente, senza però redimerla dal desiderio di vendicarsi.

Era condannata ad essere infelice, ma rinunciando al titolo avrebbe potuto salvare la vita dell’unica persona che avesse mai considerato amica. Ne valeva davvero la pena?

“E se mi rifiutassi?”

Un brivido le corse lungo la schiena. Qualcosa le diceva che non era il tipo di sirena da sfidare, ma non si sarebbe mostrata arrendevole, anche se sapeva che probabilmente avrebbe finito col cedere. La vita di Fumiko ne valeva la pena.

“Tesoro, non credo ti convenga rifiutarti. Per prima cosa, ucciderei questa bella sirenetta davanti ai tuoi occhi e tu non potresti fare nulla per fermarmi. Ti farei guardare ogni istante della sua sofferenza e ti sentirei implorare di finirla il più in fretta possibile. Dopodiché, ucciderei te. Davanti a tutti”.

Mentre parlava, aveva fatto apparire un coltello ricavato da una conchiglia e lo teneva pericolosamente vicino alla guancia arrossata di Fumiko. Jessamine fremeva di rabbia, l’acqua intorno a lei stava iniziando a ribollire, ma si stava concentrando sul battito del proprio cuore, in modo da non sbottare rovinando tutto.

“Liberala e farò tutto ciò che vorrai” cedette, abbassando i pugni.

“Prima la rinuncia, poi la prigioniera”.

Jessamine chiuse gli occhi, facendo ricorso a tutte le sue forze per non soccombere alla rabbia sempre più violenta. Li riaprì in fretta, puntandoli contro la sua nemesi.

Sapeva come funzionava una rinuncia, aveva assistito a quella della strega che aveva ceduto a lei il titolo di dominatrice oscura. Doveva solo trovare il coraggio di farlo.

Il titolo non era qualcosa di ufficiale come poteva essere quello del re e della regina delle acque. Il potere era conferito loro dopo un giuramento pubblico, a cui venivano ad assistere sirene da ogni regno. Essere la strega più potente dei sette mari era qualcosa di meno evidente, non c’erano corone o scettri ad attestarlo. Nulla cambiava nell’aspetto della sirena che lo riceveva.

Ricordava il giorno in cui aveva ricevuto il potere dalla strega prima di lei, appena una settimana dopo essere stata spinta giù dal vascello. Nel suo caso, era stata una cessione spontanea da parte della sirena. Era stata ferita gravemente in battaglia e sapeva che la sua vita stava per finire. Se fosse morta senza aver rinunciato al titolo, questo sarebbe passato nelle mani di chi la aveva ferita e non poteva permetterlo.

Aveva visto Jessamine, aveva avvertito la sua aura vendicativa e le aveva chiesto se volesse un potere quasi illimitato, che le permettesse di colmare il senso di vuoto che le opprimeva il petto. Aveva accettato subito, sperando in una qualche forma di libertà, di redenzione, che non era mai arrivata. Ora era il suo turno, avrebbe ceduto il potere che la rendeva ciò che era, avrebbe rinunciato ad ogni cosa, per salvare la vita dell’unica sirena di cui le fosse mai importato qualcosa.

“Va bene” disse Jessamine, la voce ridotta ad un sussurro.

L’altra sorrise, mentre Fumiko si agitava, cercando di dirle qualcosa.

Jessamine chiuse nuovamente gli occhi, stavolta senza riaprirli, nonostante non si fidasse della sirena che aveva davanti. Sperava solo che la sua sete di potere fosse talmente grande da impedirle di ucciderla prima che le avesse concesso il suo potere.

Si concentrò, richiamando a sé il ricordo di ognuna delle sue vittime. Non ne aveva mai dimenticata nessuna. Improvvisamente, sentì il potere pervaderla in modo così violento che rischiò di interrompersi e aprire gli occhi.

Senza quasi rendersene contò, iniziò a cantilenare una serie di nomi ed età. Intorno a lei, l’acqua si agitava e dal terreno emergevano delle alghe, che iniziarono ad avvolgerle la coda. Mentre la sua cantilena continuava, le piante le strisciarono lungo i fianchi, fino ad arrivare ad avvolgerla del tutto, come una crisalide scura.

Per una serie di interminabili minuti non successe nulla, i nomi si susseguivano senza che niente si muovesse. Quando pronunciò l’ultimo, sentì di aver raggiunto il punto di rottura. Una potenza incredibile si sprigionò dal petto della ragazza, facendo esplodere la prigione che si era eretta intorno a lei. 

Sfinita, crollò sulla sabbia con la risata crudele della sirena che l’aveva costretta ad arrivare a tanto che le risuonava nelle orecchie. La fissò inerme, aspettando una sua mossa.

“Finalmente. Da oggi in poi tutti tremeranno quando sentiranno il mio nome” disse la ragazza, chinandosi su di lei.

“Liberala” riuscì a sussurrare Jessamine, prima di perdere conoscenza e cadere in un sonno profondo.

XIX.

Sognò il giorno in cui sarebbe dovuta morire. Le immagini erano talmente vivide, che iniziò a tremare nel sonno.

Le onde si infrangevano contro lo scafo della nave, il vento le sferzava il viso e la pioggia nascondeva le lacrime che le rigavano le guance. Guardò verso il basso, avanzando di un altro passo e cominciò a precipitare. Prima che potesse infrangersi contro la superficie agitata, una voce la chiamò dolcemente.

“Jessamine, svegliati. Dobbiamo andarcene da qui”.

La ragazza cercò di aprire gli occhi, un senso di spossatezza che le appesantiva la coda e le braccia. Si trovò davanti Fumiko, che la guardava preoccupata. Aveva qualche taglio sulla fronte e sulle braccia, ma a parte quello sembrava stare bene.

“Fumiko…” mormorò, alzando un braccio per prenderle la mano.

Non riusciva a credere che la ragazza fosse effettivamente viva, che ce l’avesse fatta per davvero. Strinse la mano di Fumiko tra le dita, accarezzandole il palmo con un lieve sorriso.

“Ce l’ho fatta, non piangere” le disse, notando le lacrime che le scintillavano agli angoli degli occhi. Riusciva a vederle prima che si confondessero con l’acqua del mare, sembravano piccole gemme.

“Ce l’hai fatta” ripeté Fumiko, ricambiando la stretta.

Jessamine stava per chiudere di nuovo gli occhi, ma la ragazza la fece raddrizzare.

“Jessamine, ho bisogno che tu resista ancora per un po’. Dobbiamo uscire da questo labirinto, prima che ci crolli addosso e renda inutile il tuo sacrificio” i singhiozzi la scuotevano, ma la aiutò comunque a tirarsi su.

Le girava la testa e si sentiva come se avesse nuotato ininterrottamente per i sette mari, ma riuscì a non cadere nuovamente sul fondale.

Fumiko aveva ragione, le mura del labirinto tremavano, come scosse da un terremoto e pezzi di corallo si staccavano a vista d’occhio. Avevano poco tempo prima di rimanere incastrate sotto le macerie e vanificare ogni sforzo.

“Ho un’idea” disse Jessamine, ancora debole e provata.

Fumiko annuì, pur non sapendo quali fossero le sue intenzioni. Si fidava di lei.

Jessamine si concentrò sulle poche forza che le erano rimaste ed evocò una leggera corrente, spingendola verso l’amica.

“Fatti sospingere dall’acqua, ci metterai di meno a raggiungere l’uscita. Io ti vengo dietro” spiegò.

La coda di Fumiko non le avrebbe permesso di scappare abbastanza in fretta, ma forse con l’aiuto della corrente sarebbero riuscite a farcela. Ammesso che fossero riuscite a trovare l’uscita.

Nuotarono in silenzio per un po’, girando sempre a destra. Alle loro spalle i muri continuavano a sbriciolarsi, sbarrando il passaggio. Non sarebbero potute tornare indietro nemmeno volendo, dovevano per forza procedere e sperare di raggiungere l’esterno prima che un muro le schiacciasse.

“Aspetta!” esclamò Fumiko, facendole cenno di fermare la corrente.

Jessamine si arrestò, appoggiandosi contro un corallo. Sentiva le scosse del terremoto sulla pelle, ma se non si fosse tenuta a qualcosa, sarebbe scivolata sulla sabbia e non si sarebbe più alzata.

“Che succede?”

La ragazza si guardava intorno, con aria sospettosa.

“C’è qualcosa che non va. Ascolta”.

“Io non sento niente” disse Jessamine, sforzandosi di cogliere qualcosa, qualsiasi cosa.

“Esattamente. Le mura ci stanno crollando alle spalle, ma non fanno alcun tipo di rumore. Se c’è una cosa che ho imparato in tutti questi anni è che, per quanto assurdo sia, anche sott’acqua queste cose provocano un boato, proprio come quello che si riscontra sulla terraferma durante i terremoti”.

Era vero, il silenzio era strano.

“È un’illusione” comprese infine Jessamine.

“Cosa?”

“Il labirinto che crolla. È solo un’illusione creata da quella megera, vuole farci credere che moriremo, vuole farci perdere la speranza, lasciandoci vagare qui per il resto dei nostri giorni”.

Un’espressione incredula si dipinse sul volto di Fumiko.

“Come facciamo ad uscire?”

“Dammi la mano e reggiti forte. Se vuoi, chiudi gli occhi”.

Le dita di Fumiko si strinsero intorno alle sue. Poteva sentire il battito del suo cuore attraverso il palmo della sua mano.

Richiamò nuovamente la corrente, indirizzandola verso l’amica, poi iniziò a nuotare a tutta velocità lungo il corridoio in cui si trovavano, trascinandosela dietro con l’aiuto della spinta della corrente. Arrivata a una decina di metri da un muro, non accennò a rallentare. Fumiko emise un gridolino, mentre si schiantavano contro il corallo.

“Puoi aprire gli occhi, ora”.

 La ragazza fece come le era stato detto e rimase a bocca aperta.

“Ma come è possibile?” domandò, spostando lo sguardo da lei al labirinto alle loro spalle.

Jessamine sorrise stancamente.

“Prima di addentrarmi nel labirinto, avevo segnato una delle pareti a sinistra dell’ingresso, in modo da ritrovarla. Ci avevo incastrato il pettine per capelli e quando l’ho visto ho capito che la parete di fronte a noi doveva essere un’illusione, quindi ho rischiato” spiegò.

Fumiko non disse nulla, ma le gettò le braccia al collo e la strinse in un abbraccio. Si scostò quasi subito e fece per scusarsi, ma Jessamine la attirò nuovamente a sé, nascondendo la faccia nell’incavo della sua spalla.

“Grazie” sussurrò semplicemente Fumiko.

Jessamine tacque, troppo concentrata sulla sensazione di calore che le trasmetteva il corpo della ragazza. Non abbracciava qualcuno da quando aveva stretto tra le braccia il corpo di sua madre, prima di essere fatta prigioniera dalla ciurma di quel dannato vascello. Era una sensazione strana, a cui non era abituata. Non riempiva il vuoto che aveva nel petto, ma alleviava leggermente il dolore.

“Jessamine…”

“Sì?”

“Sto per fare una cosa, per favore, non scappare”.

Jessamine non si mosse. Fumiko la costrinse a guardarla negli occhi, alzandole il mento con un dito, poi si chinò su di lei e la baciò.

Fu talmente inaspettato, che Jessamine all’inizio non reagì, poi chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dal momento, decidendo di rimandare a dopo qualsiasi pensiero. Per quegli istanti, si dimenticò di ogni cosa, pensando solo a Fumiko. La strinse ancora di più a sé, accarezzandole la schiena con la punta delle dita, poi si scostò e posò la fronte contro la sua.

“Ne valeva davvero la pena”.

EPILOGO

Jessamine era sdraiata sul letto, scossa dai tremiti. Accanto a lei, Fumiko teneva un composto di alghe e fiori, cercando di imboccarla.

Dal giorno del labirinto, Jessamine aveva avuto moltissime crisi. Fumiko sosteneva che aveva gli stessi sintomi che si riscontravano sulla terraferma quando qualcuno era in astinenza da sostanze stupefacenti e si era prodigata per cercare un modo per farle cessare i tremori e le esplosioni di rabbia ingiustificate.

Era stata da una maga bianca, che le aveva spiegato che quelli erano gli effetti della privazione di potere oscuro a cui si era sottoposta Jessamine e le aveva spiegato come creare quella specie di pappa, che avrebbe dovuto aiutarla ad uscirne. Sosteneva che fosse solo un effetto collaterale temporaneo e che presto Jessamine sarebbe tornata in sé.

Fumiko le aveva anche domandato se secondo lei Jessamine avrebbe continuato a sentire il bisogno di uccidere marinai innocenti per vendicare il torto che aveva subito, ma a quello la maga non aveva saputo dare una risposta certa. Sarebbe dipeso, aveva detto, solo e soltanto da Jessamine.

“Dai, Jess… Solo un altro cucchiaio”.

“Non ce la faccio” la voce di Jessamine era rotta dai fremiti.

Fumiko si chinò su di lei, posandole le labbra sulla fronte.

“Se fai la brava, ti do un premio” cercò di adularla, con un sorrisetto.

Sembrò funzionare, perché aprì la bocca e mandò giù una cucchiaiata di poltiglia.

Fumiko sorrise e poggiò il guscio di granchio che stava usando come ciotola. Si sdraiò accanto a Jessamine e le strinse la mano, aspettando che i tremori della ragazza si calmassero.

“Allora, questo premio?” chiese lei, quando la crisi si fu placata e fu nuovamente in grado di parlare senza balbettare.

Fumiko si girò su un fianco, aspettando che lei facesse lo stesso. Quando si ritrovò faccia a faccia con Jessamine, le posò una mano sul fianco, facendole venire la pelle d’oca, poi la baciò lentamente. Non ne avevano mai parlato ufficialmente, quindi nessuna delle due avrebbe saputo definire cosa fossero una per l’altra, ma questo non le aveva fermate dallo scambiarsi baci e carezze in ogni momento.

Jessamine sospirò e chiuse gli occhi.

“Cosa farai se quando starò di nuovo bene ricomincerò ad andare all’abisso?” chiese.

Fumiko scosse la testa.

“Ci penseremo quando e se sarà il momento. Adesso pensa a guarire e a goderti le piccole cose. Troveremo una soluzione a tutto”.

Accarezzò i capelli di Jessamine fino a quando la ragazza non si fu addormentata, poi si alzò e rimase per qualche minuto ad osservarla. Sembrava così tranquilla, mentre dormiva.

Sapeva che la sensazione di vuoto non aveva abbandonato il petto della ragazza, ma sperava che con il tempo riuscissero a trovare un modo per colmarlo. La maga le aveva detto che una possibilità era che l’amore riempisse lo spazio lasciato dalla magia oscura. Non era una cosa certa, ma esisteva la possibilità e per ora tanto bastava a Fumiko.

Di una cosa era certa: se l’amore era ciò che serviva a Jessamine per guarire definitivamente, lei avrebbe saputo darglielo. Non sapeva se quello che provava per lei fosse amore, era troppo presto per poterlo dire, ma era sicura che sarebbe potuto diventarlo, se la ragazza le avesse permesso di rimanere al suo fianco abbastanza a lungo. Sarebbe potuto sbocciare come uno dei fiori che aveva usato per fare colpo su di lei.

  
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