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Autore: Kaiyoko Hyorin    06/08/2018    0 recensioni
[La Saga di Riftwar]
Delle molteplici razze che popolano il mondo, due in particolare sono legate dal filo rosso del destino, condannate a camminare l'una accanto all'altra ed a non incontrarsi mai.. non pacificamente. O almeno è questa la credenza ineluttabile, perché come può esserci pace e comprensione se l'una è succube del Sentiero Oscuro e l'altra predica la via della Luce?
Ma le cose non sono così semplici ed è sotto l'oscura ombra di un pericolo ben più grande di quanto si possa immaginare che i cambiamenti più impensabili possono compiersi, come un incendio nasce da una piccola e fugace scintilla. Sta tutto alla volontà dei singoli, ed è di questa che vi voglio mostrare la forza.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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5. The Dark Brother



Aveva deciso di non rischiare di nuovo la traversata delle montagne dopo quanto accaduto a causa di quei nani, così si era messo in viaggio verso est con l'intento di aggirarle e raggiungere il Passo di Cutter. Avrebbe atteso lì l'esercito di Murmandamus.
Era più d'una settimana che seguiva il sole senza imbattersi in alcun parirazza. Evidentemente non erano rimasti in molti a sud dei Denti del Mondo, ma di questo non si diede pena. Si sentiva in realtà sollevato al pensiero di non doversi trovare in obbligo di unirsi ad un altro clan, così da non dover rendere conto a terzi dei propri comportamenti. In realtà anche fra i suoi compagni spesso si era trovato costretto a conformare il proprio modo di fare ed a sottostare a modi di pensare che gli andavano stretti ed ora che si ritrovava a viaggiare da solo avvertiva per la prima volta una sorta di liberazione ad alleggerirgli l'animo.
Mantenne un'andatura rapida, senza doversi preoccupare di allestire un campo al calar del sole o di procacciare cibo in quantità per tutto il gruppo. Viaggiò persino di notte, perché era ansioso di superare quel tratto di territorio ostile e potersi lasciare l'accaduto definitivamente alle spalle.
Giunse il tramonto dell'ottavo giorno e, all'allungarsi delle ombre sul terreno della selva che stava attraversando, Elwar era in bilico fra il pensiero di passare un'altra notte in cammino oppure di cercare un riparo per riposare un poco, quando si rese conto di non essere il solo ad aggirarsi per il bosco. Improvvisamente in allarme, fece appena in tempo a nascondersi dietro ad un albero quando alcuni esploratori eledhel sbucarono dal fitto, con gli archi pronti e le espressioni tese e guardinghe.
Che ci fanno qui degli eledhel?
Si appiattì contro il tronco dietro il quale aveva trovato riparo e le cui radici nodose fuoriuscivano dal terreno creando piccoli ponti sospesi fra i cespugli ed incorniciando quell'anfratto al pari delle pareti di una culla naturale. In quel tratto la vegetazione era straordinariamente fitta ed offriva un discreto numero di nascondigli, e fu grazie a questo ed ai suoi riflessi che riuscì a sottrarsi alla perlustrazione in atto di quegli elfi.
Messosi ormai in allerta, Elwar stava ancora cercando di pensare ad un modo per uscire da quella situazione incresciosa quando le sue orecchie a punta vibrarono nel captare una nuova serie di suoni anomali alla vita del bosco. Immobile al pari di una statua smise quasi di respirare, quindi si arrischiò a lanciare una nuova occhiata da dietro il proprio riparo appena in tempo per distinguere uno degli esploratori di Elvandar scambiarsi un cenno con il compagno e poi scattare nella direzione dalla quale era venuto, sparendo senza alcun rumore in pochi secondi.
L'altro invece, così come il moredhel, si appostò dietro uno degli alberi vicini e rimase in attesa mentre quei suoni si facevano via via più distinti. Un lontano eco di voci e fruscii si accompagnò ad un più distinto scalpiccio.
Si stava avvicinando qualcosa.. o meglio, qualcuno.
Quando la ragazza comparve nel suo campo visivo, giungendo correndo ed incespicando lungo il sentiero dalla parte opposta a quella da cui aveva visto poc'anzi provenire quegli esploratori, Elwar si ritrovò meccanicamente a trattenere il respiro ancora una volta. Era un'eledhel.
Che diamine sta succedendo?! Si ritrovò a chiedersi allibito, non riuscendo a distogliere lo sguardo dalla fuggitiva. Ne notò gli abiti laceri e sporchi, prova di quante volte avesse avuto un contatto indesiderato con il terreno, ma più di questo il suo volto serbava traccia, come il suo continuo incespicare, delle sue reali condizioni. Incorniciato da una massa scomposta di capelli castano chiaro, aveva un viso di un pallore estremo che non era mitigato affatto dal rossore dovuto sforzo fisico che stava sopportando.
Quell'elfa era al limite delle sue forze.
Ma non era l'unica sagoma in movimento al di sotto della chioma degli alberi: dall'altro lato del sentiero rispetto a lui, la ragazza era inseguita da due ombre, due moredhel che muovendosi rapidi fra la vegetazione la stavano aggirando.
L'esploratore eledhel rimasto nascosto nelle vicinanze, dopo aver assistito alla stessa scena di Elwar, parve allora decidere di intervenire e con un movimento fulmineo lasciò il suo riparo per scoccare in rapida successione due frecce proprio sui due Fratelli Oscuri all'inseguimento. La prima fendette con un sibilo sordo l'aria ed andò a segno, ma non fu così per la seconda, la quale andò a conficcarsi nella corteccia di uno dei tanti alberi di quel tratto di bosco.
E fu a quel punto che si scatenò il caos.
I due elfi ingaggiarono una lotta corpo a corpo, intensificando i rumori e le grida che già riempivano l'ambiente sino a poco prima pervaso di quiete, e la fuggitiva perse del tutto l'equilibrio cadendo nella polvere con un gemito strozzato a meno di un paio di metri proprio dal nascondiglio scelto da Elwar.
Ed a quest'ultimo non occorse più di un secondo per rendersi conto di un'altra presenza in avvicinamento. Dalla stessa direzione dalla quale era sopraggiunta quell'infima elfa, improvvisamente sbucò un altro elfo a cavallo il cui mantello dischiuso gli lasciò distinguere chiaramente la caratteristica foggia della casacca sottostante. Non appena ne riconobbe il clan di appartenenza, ogni muscolo gli si irrigidì di colpo.
Corvi.
Il disprezzo che gli nacque in petto fu tanto repentino e intenso da spingerlo ad agire e, mosso dall'istinto si sfilò l'arco da sopra la testa, incoccò una delle poche frecce che era riuscito a procurarsi con esso, e dopo aver preso un ultimo respiro si sporse da dietro il tronco e scoccò.
Il dardo perforò l'aria con un sibilo appena distinguibile in mezzo a tutto quel caos e l'istante seguente il moredhel, membro di uno dei clan più avversi ai Lupi Grigi, scivolò di sella, riversandosi al suolo privo di vita. L'animale scartò di lato appena in tempo per evitare di travolgere la ragazza-elfa, la quale nel mentre stava tentando invano di rimettersi in piedi. Elwar la vide premersi una mano sul fianco sporco di sangue ed inarcò un sopracciglio all'espressione sofferente che le vide deturparle i lineamenti, ma colse anche qualcos'altro su quel volto, qualcosa che sorprendentemente riconobbe: una profonda determinazione a non arrendersi.
In un lampo si rivide nel fronteggiare quell'imboscata che era valsa la vita di tutti i suoi compagni, con la stessa cieca determinazione di lei a non mollare, a non darsi per vinto, e quell'inattesa empatia nei confronti di colei che invece avrebbe solo dovuto disprezzare lo sconvolse e lo confuse.
Troppo allibito dalle emozioni che gli erano in un istante affiorate in petto, del tutto estranee alla sua natura di Fratello Oscuro, si riebbe soltanto quando si rese conto che quella stessa eledhel era riuscita a strisciare sino al limitare opposto del sentiero e sembrava del tutto intenzionata a cercare rifugio proprio ove in realtà, oltre il suo campo visivo, stava avvenendo lo scontro.
Lasciando cadere l'arco, Elwar con un'imprecazione sommessa uscì dal suo riparo ed afferrò l'elfa per la vita, trascinandola con sé nell'unico posto sicuro che era divenuto quel suo riparo. Una volta di nuovo al coperto se la strinse addosso, premendosi nuovamente contro la dura corteccia, tenendole saldamente una mano sulla bocca per impedirle di emettere il minimo suono.
Non poteva in alcun modo farsi scoprire, da nessuna delle due fazioni.
La sentì tentare d'opporre resistenza ma era fin troppo debole e gli bastò rinsaldare la presa perché quella smettesse di dibattersi e s'abbandonasse infine stremata contro il suo petto. Quel contatto pregno di arrendevolezza gli trasmise un tepore che lo indusse ad abbassare lo sguardo in un moto di sorpresa, distraendolo dall'analisi che stava tentando di fare sugli accadimenti del sottobosco per mezzo del solo udito. Lo scalpitare degli zoccoli di alcuni cavalli faceva vibrare il terreno sotto di loro, grida ed esclamazioni cariche d'astio riempivano l'aria ed il rintocco metallico dell'incrociarsi delle spade spezzava il tutto, segno che la battaglia era ormai entrata nel vivo.
Eppure ogni cosa scomparve nel momento in cui si fece distrarre da lei. Incrociandone lo sguardo sbarrato, Elwar si ritrovò a fissare due pozze velate di lacrime tanto spesse da riflettere come gemme preziose i fiochi raggi del tramonto.
Per la prima volta nella storia, l'argento più vivo incontrò l'oro.
Il moredhel si sentì improvvisamente estraniare da tutto ciò che li circondava, come risucchiato in una dimensione parallela il cui centro erano quegli occhi tanto unici nel colore quanto nell'espressività. Per una prima, fugace frazione di secondo, una scarica elettrica gli attraversò tutto il corpo, risalendogli lungo la spina dorsale e spazzando via ogni sentimento negativo che aveva potuto serbare sino a quel momento nei confronti della proprietaria di quello sguardo.
In quell'unico singolo momento, ogni differenza fra loro scomparve, dissolta nel nulla.
Poi il momento passò e quelle emozioni terminarono tanto bruscamente quanto erano sbocciate e lo scontro ancora in corso tornò prepotente a richiamare l'attenzione del moredhel con i suoi rumori, facendolo sussultare nel ritornare con la coscienza al presente.
Dovevano andarsene da lì.
Prendendo un bel respiro si preparò allo scatto e cambiò presa sul corpo della ragazza. Le fece passare un braccio sotto le ginocchia mentre con l'altro le cingeva la schiena, di modo da reggerla fra le braccia. Un ultimo istante in cui gonfiò nuovamente i polmoni e, senza più guardare la ragazza, scattò nuovamente in piedi, spiccando la corsa nella direzione diametralmente opposta a quella in cui stava avvenendo quel confronto tutt'altro che pacifico.
Non aveva percorso più di pochi metri che una freccia gli sibilò accanto, mancandolo per un soffio, ma Elwar continuò a correre, consapevole che era l'unico modo per salvarsi la pelle. Superò un tronco caduto con un balzo e deviò alla propria sinistra, prendendo a procedere a zig-zag per un breve tratto fra gli alberi, finché i rumori alle sue spalle non si attenuarono abbastanza da essere sovrastati da quelli prodotti da lui stesso in quella folle corsa.
Soltanto quando ogni altro suono che non fosse il suo stesso respiro scomparve alle sue orecchie finalmente decise di rallentare, guardandosi meccanicamente intorno alla ricerca di un altro riparo di fortuna dietro il quale prendersi una pausa per riprendere fiato e schiarirsi le idee.
Scelse un masso ricoperto di muschio ed una volta appoggiata la schiena alla pietra fresca non mancò, col respiro corto, di ringraziare mentalmente gli Dei per essere ancora vivo e, soprattutto, per l'assoluto silenzio in cui era sprofondata l'elfa che teneva fra le braccia. Un silenzio insolito accompagnato da un'immobilità pressoché totale.
Inarcando un sopracciglio a quella considerazione, Elwar abbassò finalmente ancora una volta lo sguardo sul volto della ragazza e soltanto a quel punto si rese effettivamente conto della verità: aveva perso conoscenza.
Ne notò solo a quel punto come il respiro che le sgorgava dalle labbra leggermente dischiuse fosse pesante e sofferto e quanto il rossore superficiale che le aveva scorto inizialmente in volto aveva lasciato il posto ad un pallore diffuso e lucido di sudore. Tutti quei segnali ebbero il potere di fargli nascere in petto una nuova inquietudine che lo spinse, contro ogni pronostico, ad accostare una guancia alla sua fronte, sussultando non appena entrò in contatto con la pelle d'ella: era bollente.
Un nuovo grido in lontananza, a diverse centinaia di metri da loro, lo riportò alla realtà rammentandogli che non era ancora fuori pericolo e senza attendere oltre riprese a muoversi, seppur più lentamente. Superò senza troppe difficoltà l'ennesimo cespuglio comparso sul suo cammino con un agile balzo, ma si rese ben presto conto di star sprecando più energie di quanto intimamente sperato: portare di peso l'elfa abbassava drasticamente la sua abituale resistenza ed era perfettamente consapevole che, anche a causa della nuova pendenza in salita assunta dal terreno sotto di loro, si sarebbe ritrovato a corto di energie molto prima di potersi considerare al sicuro.
Dannazione! Se solo ci fosse un cavallo a portata di mano! Imprecò fra sé e sé, scoccando infine uno sguardo alle proprie spalle. Non vedendo alcun segno di eventuali inseguitori si arrischiò quindi a rallentare ulteriormente l'andatura.
Percorse un altro centinaio di metri prima di sopraggiungere in una piccola radura. Incassata in una discreta formazione rocciosa sovrastata di vegetazione e riparata su tre lati, era il luogo ideale per una sosta. Vi si inoltrò senza indugi e, una volta distesa la ragazza-elfa sull'erba fresca, si permise di tirare un discreto sospiro di sollievo nell'appoggiarsi con la schiena ad uno dei massi chiazzati di licheni presenti.
– Per lo meno non ci stanno più seguendo – mormorò fra sé e sé, abbassando ancora una volta lo sguardo sul volto dell'eledhel che inaspettatamente s'era portato appresso.
Stava male, anche un bambino lo avrebbe capito, tanto era evidente il tremore che a tratti le scuoteva le membra. Non si fece domande, si limitò ad avvolgerla nel proprio mantello prima di iniziare a predisporre il necessario per il fuoco. Era già a metà dell'opera quando si rese effettivamente conto di ciò che stava facendo, fermandosi di botto e voltandosi ancora una volta a fissare incredulo quella ragazza-elfa.
Che diamine stava facendo?
La risposta tardò tanto a lungo ad arrivare che egli si ritrovò a serrare meccanicamente la mascella per la frustrazione e la confusione che gli si agitavano in petto.
Era sbagliato.
Ciò che stava facendo era totalmente sbagliato.
Non c'era alcuna logica nell'aiutarla. Andava contro a tutto ciò che sapeva ed in cui credeva, a tutto ciò che era stata la sua esistenza sino a quel momento.
Andava contro la sua stessa natura di moredhel.
Eppure, quanto più a lungo rimase ad osservarla avvolta nella grigia stoffa del suo mantello, tanto meno forte era la presa di quelli che fino a quel momento aveva considerato i suoi naturali istinti. Alla fine, scuotendo il capo con fare rassegnato, riprese ciò che stava facendo ed una volta approntato il focolare tornò accanto all'eledhel, accostando una mano alla sua fronte.
La febbre doveva essersi aggravata.
La sollevò a sedere, circondandole le spalle con un braccio e facendola poggiare al proprio petto di modo che non si accasciasse su sé stessa, quindi recuperò con la mani libera la propria borraccia accostandogliela alle labbra. Come il liquido fresco le si riversò in bocca, quella iniziò presto a deglutire e ne vide l'espressione del viso mutare, distendendosi appena seppur senza apparire meno sofferente. Quando infine, alcuni sorsi dopo, scostò il proprio recipiente per lasciarla respirare, quella schiuse di pochi millimetri le palpebre, cercandolo.
In quella frazione di secondo egli credette che fosse sul punto di dire qualcosa, ma l'istante seguente ella tornò ad abbandonarsi contro il suo petto, spossata e febbricitante. Allora lui la stese nuovamente sul proprio mantello e dopo essersi assicurato che fosse ben coperta si rimise a trafficare intorno alla legna del fuoco, adoperandosi ad accenderlo.
Quando finalmente le fiamme scoppiettarono allegre, rischiarando con la loro tenue luce rossastra l'oscurità ormai calata sul mondo, egli sollevò lo sguardo oltre il limitare della piccola radura montana, tendendo al contempo le orecchie. Rimase in ascolto, cogliendo lo stormire del vento fra i rami e qualunque altro suono proveniente dal sottobosco circostante, in una veglia che lo avrebbe accompagnato per il resto della notte.

***

Correre. Non faceva altro che correre.
Correva da ore, pervasa da un perenne stato di panico. Ma nonostante cercasse di correre più veloce di quanto non avesse mia fatto in vita sua, la consapevolezza di non poter sfuggire a ciò che la minacciava le attanagliava il petto in una morsa sempre più stretta. Gli alberi sfrecciavano indistinti intorno a lei, altrettanto oscuri e minacciosi della cosa che la braccava tanto insistentemente.
Le gambe iniziarono a farsi pesanti, come se fossero state trattenute da delle catene fissate al suolo e ben presto la ragazza-elfa iniziò a sentirsi sempre più stremata. Quando il fianco a cui era ferita riprese improvvisamente a dolerle, perdendo fiotti di sangue, incespicò e cadde al centro di una piccola radura. Tentò di rialzarsi, ma le gambe non le rispondevano più e lei, presa dal panico, abbassando lo sguardo ne comprese finalmente il motivo: dal polpaccio sinistro spiccava l'asta di una freccia e quella visione la raggelò. Era spacciata.
Immediatamente un terrore sordo ancor più intenso di quello provato in precedenza l'avvolse e la soffocò, accompagnato da un'ondata di lacrime che silenziose e gelide le rigarono il viso.
Due mani artigliate l'afferrarono improvvisamente per le spalle e la costrinsero a guardare verso l'alto e le pupille le si dilatarono tanto da minacciare di far scomparire per sempre l'iridi grigie.
Il moredhel l'aveva ripresa ed ella, ancor prima di vederne il ghigno sfrontato, già sapeva di chi si trattava. I suoi occhi incontrarono quelli scuri di Amras... e gridò.


Gridò con tutto il fiato che aveva, squarciando la quiete del mattino e provocando il sollevarsi in volo di uno stormo di uccellini fino a un momento prima appollaiati fra le fronde degli alberi vicini.
Due mani la afferrarono saldamente per le spalle, riportandola completamente alla realtà ed Aredhel quasi si strozzò nel sussultare violentemente a quel contatto, cosicché mentre la voce tornava a morirle in gola s'alzò di scatto a sedere con gli occhi spalancati dal terrore. A quel movimento brusco la fitta al fianco ferito le smorzò il respiro ed ella gemette per il dolore, ripiegandosi subitaneamente su sé stessa e pesando maggiormente su quelle braccia che, a dispetto di tutto, la sostennero senza incertezze impedendole di ricadere fra le stoffe del suo giaciglio improvvisato.
Col capo ancora chino e gli occhi chiusi tentò di riprendere fiato, ma come la consapevolezza della propria condizione tornò, così fecero i ricordi degli ultimi giorni, che si mescolarono all'incubo appena avuto. Per questo, quando l'attimo seguente riaprì le palpebre, sollevando di scatto il capo, nel posar gli occhi chiari sul volto di colui che ancora la sorreggeva, ogni traccia di calore la abbandonò.
Un elfo dai lunghi capelli neri.
Al suo volto si sovrappose nella mente di lei l'immagine di quello di Amras ed un nuovo terrore si impossessò dell'eledhel, che cedendo al panico distolse lo sguardo e riprese a dibattersi per cercare di liberarsi.
– No!! Lasciami stare! Non toccarmi! – esclamò con voce rotta, ma la ferita al fianco si fece sentire immediatamente e già questa sarebbe bastata a porre fine ai suoi tentativi di ribellione. Senza fiato, senza speranze, avvertì le lacrime salirle prepotentemente agli occhi e un groppo in gola le smorzò del tutto il respiro, facendola boccheggiare.
– Calmati! – la voce dello sconosciuto che ancora la reggeva per le spalle le giunse all'improvviso, d'un timbro profondo e vagamente roco a causa del tono brusco da lui utilizzato – Calmati, dannazione!
Come quelle parole infransero il momento, quel groppo alla gola che stava minacciando di soffocarla scomparve e lei fu libera di respirare di nuovo. Le ci vollero un altro paio di secondi per tornare padrona di sé e lucida abbastanza da rendersi conto con sconcerto di essersi aggrappata con forza alla casacca di quell'elfo, la cui presa sulle sue braccia si fece più morbida.
Completamente scioccata, solo a quel punto Aredhel tornò a sollevar lo sguardo sul volto altrui, sbarrando nuovamente gli occhi argentei nel ritrovarsi ad affondare in due pozze del colore dell'oro più splendente. Completamente spiazzata, annichilita da quello sguardo caldo e freddo insieme, smise del tutto di respirare e una sensazione nuova le nacque in petto, sfiorandole l'animo al pari di una tiepida carezza gentile.
Per un unico primo istante le parve quasi di aver già visto quegli occhi...
Deglutendo, preda di un nuovo impulso deviò lo sguardo da quell'iridi per abbassarlo sui lineamenti di quell'elfo, trovandoli solcati d'apprensione ed una nota contrariata che ne rendeva lo sguardo ancor più penetrante. La carnagione olivastra le rammentò in un angolo della mente, lontano dalla sua consapevolezza, lo stesso colorito di Lorren ed i capelli corvini che gli ricadevano ai lati del volto tradivano una certa insubordinazione nei confronti del suo tentativo di tenerli legati in una coda di cavallo.
Un.. un moredhel?
Si riprese da quella sorta di trance contemplativa soltanto quando venne riportata volutamente alla realtà dallo schiarirsi della voce dell'altro, grazie al quale si rese finalmente conto dell'espressione incredibilmente seccata che questi aveva assunto.
– Bene – esordì quello che doveva essere effettivamente un moredhel, ora che aveva la sua attenzione – Grazie a te fra poco avremo almeno una pattuglia di guerrieri nemici alle calcagna – le annunciò, mentre le sue mani non parevano voler ancora scostarsi da lei, concludendo in tono sprezzante – Spero ne sarai orgogliosa.
– Ma... io... – Aredhel non trovava le parole per esprimersi, ancora sconvolta per l'incubo causato dalla febbre e confusa dall'evidente difficoltà che aveva avvertito nel tentare di determinare la natura dell'elfo che aveva di fronte. La gola le faceva male da quanto era riarsa dalla sete ed il fianco le bruciava in un modo insopportabile, tanto che finì per serrare la mascella in una smorfia di tensione.
Il moredhel non aggiunse altro ma lasciò finalmente la presa e la ragazza, priva di un appiglio, si ridistese cercando di regolare il respiro e riordinare le idee all'interno della sua mente in subbuglio.
Cosa stava succedendo? Era stata ricatturata?
– Hai la febbre – le disse colui che in teoria avrebbe dovuto non interessarsi per nulla alla sua condizione, traendola dalla sua confusione interiore solo per porgerle una borraccia colma d'acqua – Bevi.
Ubbidì meccanicamente a quel tono di comando e prese in consegna ciò che le veniva offerto, traendo alcuni sorsi d'acqua mentre il moredhel si mise a controllarle il fianco ferito. Quando le bende sporche di sangue esposero all'aria fresca dell'alba la lacerazione, sul suo volto abbronzato si delineò una nuova smorfia contrariata.
– ..e questa si è riaperta – annunciò senza alcun entusiasmo.
Aredhel tentò di tirarsi su ma stavolta non vi riuscì e gemette alla fitta di dolore che le attraversò in una scarica elettrica il cervello. Fu quell'elfo ad aiutarla, ancora una volta, invitandola silenziosamente a bere un altro sorso quando fu di nuovo seduta.
Si lasciò accudire docilmente, ancora troppo confusa per fare altrimenti, rimanendo in silenzio per tutto il tempo mentre il moredhel le sistemava nuovamente il bendaggio di fortuna. Eppure, prima che questi potesse aver finito, la miriade di interrogativi che uno dopo l'altro le si erano formati nella mente iniziò ad assumere un ordine che ben presto prese il sopravvento sul timore del momento, inducendola a schiudere nuovamente le labbra.
– Chi sei tu?
– Io? – l'altro parve sinceramente sorpreso della domanda postagli, ma le rispose senza nemmeno guardarla il viso – Mi chiamo Elwar. Elwar Garaniel – quindi si fermò, sollevando finalmente lo sguardo per fissarla dritto in volto, come in attesa di qualcosa.
– Aredhel... – fece allora lei, sentendosi improvvisamente un po' a disagio sotto quello sguardo penetrante – Aredhel Duhlyn.
– Bene, Aredhel... – esordì Elwar – come ho detto poco fa, qui fra poco sarà pieno di moredhel e per allora sarà meglio per noi aver già levato le tende. Quindi, – affermò senza mezzi termini, mortalmente serio – o sarai in grado di camminare da sola, o ti lascerò indietro.
Quel cambiamento di toni fu tanto repentino ed in contrasto con le attenzioni dimostratele un attimo prima da lasciarla nuovamente spiazzata. Quando si riebbe abbastanza, il suo primo pensiero fu un commento che tenne saggiamente per sé seppur ebbe il potere di delinearle le labbra in una smorfia più che eloquente.
Spiccio a parole, il moredhel!
Optò per annuire comunque, riconoscendo seppur soltanto fra sé e sé che quello strano moredhel non aveva tutti i torti sulla necessità di muoversi. Eppure vi erano troppi interrogativi che ancora necessitavano di un chiarimento per lasciar sfumare il momento.
– Ma – tentò – perché mi stai aiutando? Non sei uno di loro.. sei da solo? Dove sono i tuoi compagni?
Quello che seguì fu un teso momento di silenzio, prima che Elwar si decidesse a risponderle.
– Non credo possano essere affari tuoi.
L'improvvisa freddezza di quelle parole e del tono da lui usato le penetrò sino al centro del petto, dandole per un attimo l'impressione di non essere affatto riuscita a sfuggire alla situazione in cui si era ritrovata sino a poche ore prima.
No, c'era dell'altro. Alzandosi in piedi, non senza un aiuto, comprese che il gelo che l'aveva pervasa a causa del comportamento di quel nuovo moredhel era di una natura differente a quello sperimentato presso i Corvi. Ciò che sottile le serpeggiava nella parte più profonda dell'animo non era paura di lui.
Ferma al centro della piccola radura stava ancora cercando di definire quella sensazione quando nel suo campo visivo comparve il braccio di Elwar, il quale gli stava porgendo un ampio indumento grigio scuro.
– Tieni – le si rivolse senza alcuna traccia di emozione nella voce come nello sguardo – Questo almeno ti aiuterà a mimetizzarti nei tratti scoperti.
Aredhel prese il mantello e se lo drappeggiò sulle spalle, scoccando un'altra occhiata di sottecchi al moredhel che nel mentre si era voltato a spegnere le ultime braci del fuoco. Quando tornò da lei il suo tono autoritario la raggiunse senza difficoltà, altrettanto impersonale di quello usato poco prima.
– Per prima cosa dobbiamo trovare un corso d'acqua – le annunciò indicandola con un vago cenno della mano – E dovremo cambiarti quel bendaggio da macellai, altrimenti non farai molta strada.
Aredhel si dette un'occhiata al fianco e alle bende sporche di sangue rappreso. La blusa non era ridotta molto meglio e lo squarcio si era slargato, arrivando a coprire mezza circonferenza. Le labbra della ragazza si piegarono in una smorfia.
– Quanti erano? – il tono di voce distaccato del moredhel la fece distogliere dalle sue riflessioni ed ella lo osservò un attimo in silenzio, prima di capire a cosa si riferisse.
– Tre... – rispose senza troppo entusiasmo, mentre una nuova amarezza le trapelava dalla voce al solo pensiero. L'aveva fatto per permettere a Lorren di tornare ad Elvandar, solo per questo li aveva affrontati.
In quel momento, in un flash, le tornarono alla mente una serie di immagini sconnesse del suo tentativo di fuga del giorno prima, di com'era caduta miseramente, ormai priva di forze; del volo fatto quando il suo cavallo era stato abbattuto; delle voci e dei rumori dei moredhel al suo inseguimento mentre correva per il sottobosco; del suo tentativo di strisciare al riparo in un ultimo atto disperato. Ognuno di quei ricordi era intriso di disperazione e d'un terrore talmente grande da smorzarle il respiro al solo pensiero, tutti tranne uno. Quello di un paio d'occhi del colore dell'oro.
Gli occhi di Elwar.
Per riflesso si ritrovò a cercare di incrociarli un'altra volta, senza successo. Il moredhel in questione era intento ad esaminare la boscaglia ed i suoni che da essa provenivano presso uno dei grossi blocchi di roccia che delimitavano la piccola radura nella quale dovevano aver trascorso la notte. Osservandone la figura volta di schiena, sempre lo stesso interrogativo tornò prepotentemente a riaffiorare.
Chi è? Qual'è il suo scopo?
Quello che i Corvi avevano avuto intenzione di farne di lei l'aveva infine compreso, perché non ci voleva molto a tirar le somme di una simile indole tanto meschina e maligna quale era quella di quei Fratelli Oscuri, ma non era così per quello con cui si trovava ora. Lui l'aveva aiutata e la stava aiutando persino in quel momento. O almeno così sembrava.
Perché era così, no?
L'improvviso dubbio le fece tornare alla mente un altro ricordo del dì precedente, seppur esso si racchiudesse tutto in una sola emozione: la certezza di aver raggiunto Lorren. Quella consapevolezza ebbe su di lei lo stesso effetto che le avrebbe fatto sentir franare il terreno sotto i piedi e per poco non barcollò, sconcertata e improvvisamente boccheggiante.
Era vero, se l'era totalmente dimenticato. Negli ultimi momenti di fuga aveva avuto la certezza che gli eledhel inviati a cercarla fossero stati vicini, che avrebbero potuto salvarla. Perché Elwar l'aveva portata via? Perché non aveva permesso loro di trovarla?
Perché l'ha fatto? Si domandò sconcertata. Erano lì per me, perché non ha lasciato che mi trovassero? Perché ha impedito a Lorren di salvarmi?!
Un groppo in gola tornò a spezzarle il respiro, sconcertata da quell'improvvisa consapevolezza, ed una sensazione di delusione mista ad indignazione la travolse, facendole serrar i pugni lungo i fianchi. Puntò le iridi sull'elfo che intanto stava scendendo dal suo avamposto di guardia e fu con lo stesso effetto che avrebbe avuto uno schiaffo in pieno volto che si rese finalmente conto della realtà dei fatti.
Ma certo.. è naturale! È pur sempre un moredhel! Pensò amaramente.
Elwar in quel momento tornò a cercarla con lo sguardo ed i loro occhi si incrociarono per l'ennesima volta, cosicché ella poté distintamente vederne l'espressione cambiare. Lo sguardo ambrato di lui cambiò, facendosi guardingo e scostante in reazione a ciò che doveva aver letto sul viso di lei. Invece di fermarsi di fronte a lei, come se nemmeno esistesse le passò accanto, superandola senza batter ciglio e la ragazza non riuscì ad impedire al proprio petto di contrarsi.
Voltandosi, lo osservò allontanarsi a quel modo ed un'improvvisa vergogna l'assalì.
Certo, era un moredhel, ma l'aveva tratta in salvo e le aveva persino dato il suo mantello. Fino a poche settimane prima non avrebbe condannato tanto facilmente le intenzioni di un Fratello Oscuro solo per essere tale, nonostante le credenze del suo popolo. Poi scosse il capo, come a voler estirpare quei dubbi. In fondo, fino a poche settimane prima era ancora una ragazzina intenta a cercare di rendere reali i propri sogni, molto più inesperta del mondo che la circondava. Da allora le cose erano cambiate e lo stavano facendo ancora adesso, tanto da renderle incomprensibile il modo in cui si sentiva in quel momento nei confronti di tutta quella vicenda.
– Muoviti!
Elwar la fece tornare in sé e il suo tono duro rinsaldò in ella il proposito di restare in guardia, ma fece ugualmente come le era stato detto. Si incamminò e già al primo passo un ginocchio minacciò di cederle, ma stringendo i denti tese ogni muscolo e lo raggiunse, solo per fermandoglisi accanto, in attesa di spiegazioni sul da farsi.
– Bene – fece questi, dopo aver sparso le ceneri del focolare per tentare di cancellarne la traccia, voltandosi verso di lei – Dammi le mani.
– Cosa? – domandò spiazzata, senza muovere un muscolo.
– Le mani – ripeté impassibile lui, porgendole la sua per farle cenno di sbrigarsi.
Sebbene lievemente imbarazzata, assalita da quell'emozione di disagio che le fece nuovamente dimenticare la natura di chi aveva davanti, fece come le era stato detto e sollevò ambo le palme in un impacciato tentativo di posarle sulla sua. Il moredhel senza indugio le afferrò e, tenendole unite, le legò velocemente i polsi con una corda.
– Ma cosa...? – Aredhel era spiazzata dalla repentinità e dal risultato di quel gesto e si ritrovò a boccheggiare come un pesce, altalenando lo sguardo dal suo volto ai propri polsi.
L'aveva legata!
In tutta risposta Elwar le rivolse un sorrisetto ironico.
– Sei mia prigioniera e come tale verrai trattata – le annunciò senza troppi preamboli – In questo modo non ti verranno strane idee in testa.
Totalmente spiazzata le ci vollero un paio di secondi in più per elaborare il significato di quelle parole e, quando ci riuscì, la rabbia le montò in petto, mista ad un'irritazione di tutto rispetto per l'inganno. Si era illusa e nient'altro, ecco cos'era accaduto sino a quel momento. Quel moredhel, con quei suoi occhi ingannatori, l'aveva indotta a credere di poter riporre in lui la sua fiducia, quando invece avrebbe dovuto guardarsene tanto se non di più dei Fratelli Oscuri dai quali era fuggita.
La striscia di stoffa usata per legarla andò a sfregare negli stessi punti in cui la pelle era già arrossata dalle corte corde usate in precedenza dai Corvi, cosa che la indusse a tentare di allentarne la morsa.
– Sono troppo debole per tentare di sfuggirti – cercò di protestare, al limite della sopportazione.
– Oh, questo lo so benissimo anche io – le rispose lui mentre quel sorrisetto gli si accentuava sul volto – ma non vorrei che ti saltasse in mente di tentare qualche trucchetto con me.
Trucchetto?!
– Tsk – fece soltanto lei in risposta, sempre più amareggiata.
Da una prigionia all'altra.
Come aveva fatto a credere di essere salva?
Si allontanarono, inoltrandosi nel sottobosco, dirigendosi verso est alla ricerca di un corso d'acqua, camminando per quasi un'ora prima di trovare ciò che cercavano. Una volta ripulita la ferita e rimessa la fasciatura, anch'essa accuratamente lavata nelle acque del torrente, svoltarono poi verso nord, percorrendo diverse leghe senza mai rivolgersi la parola se non per lo stretto indispensabile, cosicché durante tutto il tragitto Aredhel ebbe la possibilità di restar sola coi suoi pensieri.
Pensieri amari, che non fecero altro che peggiorare il di lei stato d'animo.
Oh, Lorren...

***

– Lorren!
Varsel lo raggiunse di corsa, afferrandolo per una spalla e costringendolo a voltarsi ad affrontarlo.
– Lorren, che vuoi fare?!
– Era riuscita a fuggire! – esclamò lui in tutta risposta, liberandosi della presa del suo capitano e riprendendo il suo incedere fra il fitto del sottobosco. L'ansia che fin'ora lo aveva tormentato aveva ormai superato il limite e l'eledhel non riusciva più a dominare il nervosismo, soprattutto alla luce di quella nuova scoperta.
Il fratello maggiore della sua amica gli afferrò nuovamente il braccio, facendolo fermare ancora una volta e dandogli una scrollata come a volerlo far rinsavire. Intercettandone di nuovo lo sguardo, Lorren vide nello sguardo altrui i suoi stessi sentimenti malcelati ed una determinazione tanto ferrea da lasciarlo in preda alla confusione.
– È inutile, lo vuoi capire? Ora come ora non le sei di nessun aiuto se insisti a fare di testa tua! Anche io sono preoccupato, cosa credi? Ma questo non è il nostro territorio – gli disse con fermezza, in tono duro – Se ci dividessimo correremmo tutti un rischio troppo grande!
L'eledhel impiegò qualche istante prima di annuire, un poco spaesato per l'irruenza di quelle parole ma, grazie ad essa, nuovamente padrone delle proprie emozioni. Comprendeva le ragioni dell'elfo e si rendeva perfettamente conto che era in pena quanto lui per la sorte di Aredhel, ma le speranze stavano continuando ad assottigliarsi ogni secondo trascorso in quella ricerca e ben presto sarebbe giunto il momento in cui Varsel si sarebbe trovato in bilico fra il continuare o il tornare ad Elvandar. E l'eventualità di abbandonare la ragazza-elfa Lorren non riusciva a immaginarla.
La frustrazione che aveva provato nel venire a conoscenza della reale vicinanza a cui si erano inconsapevolmente trovati da lei aveva rischiato seriamente di farlo precipitare di nuovo in quella marea di emozioni riconducibili a quel periodo della sua vita trascorso come Fratello Oscuro.
Tornando sui suoi passi, studiò ancora una volta le tracce sul terreno in silenzio, seguendo la scia e le orme lasciate da quella che ormai aveva la certezza fosse la sua compagna di ronde. Un sentimento di affetto e gratitudine gli sfiorò il petto al pensiero del tempo che lei gli aveva dedicato, a differenza di molti altri elfi di Elvandar, e cercando di dominare il battito del cuore si concentrò su quanto stava facendo. Fu allora che si rese conto della presenza di altre orme vicino al punto in cui ella doveva essere caduta, orme che si riconducevano al tronco semi-cavo di un grosso albero: un nascondiglio perfetto e ben riparato per quei momenti di totale confusione.
Ed allora strabuzzò gli occhi scuri.
Qualcosa di inaspettato era accaduto. Qualcuno l'aveva afferrata e trascinata con sé in quel punto riparato, allontanandola dal pericolo incombente. Corrucciandosi in volto, cercando di far quadrare le tracce che aveva sott'occhio con una serie consecutiva di eventi, non gli fu difficile individuare poi la direzione nella quale quel nuovo personaggio si era allontanato; una direzione diametralmente opposta alla loro, segno che poteva voler dire soltanto una cosa: non poteva essere né un eledhel, né un moredhel del clan dei Corvi.
Poi con la coda dell'occhio scorse qualcosa fra radici ed arbusti e, scostando una delle fronde del cespuglio più grosso, si ritrovò a districare dalla vegetazione quello che era un arco di foggia Hadati. Alternando allora lo sguardo dall'arma appena rinvenuta e le tracce a terra, inarcò un sopracciglio.
Era ancora intento a cercar di districare quell'enigma nella propria mente, accovacciato sul terreno accanto a quelle orme leggermente più nette delle altre, quando la voce di uno degli esploratori gli fece sollevar di scatto il capo.
– Alcuni Fratelli Oscuri si sono allontanati nel bosco – annunciò questi rivolto al loro capitano, indicando proprio nella direzione in cui le tracce che stava esaminando Lorren scomparivano.
L'eledhel si sentì gelare il sangue nelle vene.
Chiunque fosse il soccorritore di Aredhel, era seguito. Serrò i pugni lungo i fianchi.
Se soltanto avesse avuto la certezza che la sua amica stava bene...

***

Elwar continuava a tormentarsi sin da quel mattino.
Non riusciva a prendere una decisione sul da farsi.
Per tutto il giorno non avevano fatto altro che camminare, nel tentativo di allontanarsi il più possibile dal punto in cui v'era stato lo scontro che aveva vista coinvolta l'elfa che portava con sé, ed al sopraggiungere della sera erano riusciti a percorrere un notevole tratto limitando al minimo le tracce dietro di loro. Il terreno umido non facilitava le cose, ma lui era abituato ad aggirarsi su terreni montani molto simili a quello, peccato non fosse altrettanto per la ragazza al suo seguito. Ogni ora trascorsa ella aveva accusato sempre più la stanchezza, tanto che alla tramonto Elwar si era visto costretto a decidere di fermarsi per la notte.
Avevano scelto una zona particolarmente fitta di vegetazione e s'erano accampati senza alcun fuoco, per evitare di essere individuati.
Posando il proprio sguardo ambrato sulla sua prigioniera ne distinse chiaramente, nell'oscurità rischiarata dalla luna calante, i lineamenti segnati dalla stanchezza del viaggio e ne notò il modo convulso in cui se ne stava rannicchiata ai piedi di un albero, avvolta nel mantello che lui stesso le aveva dato. Tremava.
Elwar avvertì in fondo all'animo una sensazione sgradevole, simile ad una puntura fastidiosa e persistente che si affievolì solo quando si impose di scacciare via qualunque pensiero la riguardasse dalla propria mente. Non poteva rischiare di segnalare la loro posizione ai loro inseguitori. Perché sì, erano seguiti. Era dal primo pomeriggio che se n'era accorto grazie alla morfologia così varia del territorio che stavano attraversando, cosa che lo aveva indotto a cercare di eluderli come meglio potevano, senza successo. Aredhel, con quella febbriciattola costante, non era stata assolutamente in grado di mantenere l'andatura da lui richiesta, rallentandoli inevitabilmente entrambi.
Ed in tutto ciò, la cosa più importante era che non era riuscito a capire, in quel fugace scorger di sagome in lontananza, se si trattasse di eledhel o moredhel. Non che vi sarebbe stata differenza in un caso o nell'altro. Poteva tentare di fare solo una cosa: spingersi oltre la loro portata.
Non aveva fatto un gran mistero della propria inquietudine con la sua prigioniera, ma non gli era importato granché, finché ovviamente non si erano fermati. Soltanto da quel momento aveva celato accuratamente le proprie emozioni negative dietro una facciata di pacata indifferenza, perché non voleva in alcun modo turbarla tanto da indurla a non riposare adeguatamente: avevano entrambi bisogno che recuperasse il maggior numero di energie possibili per l'indomani mattina, quando si fossero rimessi in viaggio.
Così ora se ne stavano in assoluto silenzio, lui con le orecchie tese a sondare i rumori dell'ambiente circostante e la mente che continuava a soffermarsi su un unico pensiero. Evidentemente quell'elfa era più importante di quanto l'apparenza suggerisse. O questo, o semplicemente era benvoluta fra i suoi compagni, per avere un'intera squadra di eledhel sulle sue tracce. In quanto ai moredhel, non era un mistero che i Corvi non prendessero bene uno smacco come la fuga di una prigioniera, quindi non avrebbe considerato strano il loro accanirsi nel riprendersela.
Era stata molto fortunata a sfuggire loro, in effetti.
Se non ci fosse stato lui non ce l'avrebbe mai fatta da sola. Non conciata a quel modo.
Continuò a scrutarla nell'oscurità della notte, senza reale interesse eppure non per questo riuscì ad impedirselo, notando come apparisse scossa in quella sua posizione raggomitolata su sé stessa. Si teneva le ginocchia strette al petto e teneva gli occhi chiusi, ma la tensione tradita dal modo in cui si abbracciava le gambe rendeva evidente il fatto che non stesse dormendo.
Inaspettatamente, dopo una manciata di secondi di muta osservazione qualcosa iniziò a muoversi all'interno del petto del moredhel, una sensazione differente da qualunque altra avesse mai provato e della quale non riuscì ad identificarne la natura; qualcosa che lo lasciò turbato e disorientato.
Con energia scosse il capo, come a voler scacciare quella sensazione che gli provocava solo disagio e, quando rialzò lo sguardo, notò che la ragazza-elfa lo stava osservando con quei suoi occhi luminosi colmi d'una domanda inespressa. La di lei perplessità acuì le emozioni che gli erano nate in quel momento nell'animo e percepì per la prima volta da quando aveva memoria il sangue salirgli bollente al volto. Seccato, la ignorò come meglio poté e distolse lo sguardo per dirigerlo verso le tenebre del sottobosco alla propria sinistra.
Le notti stavano facendosi via via più fredde con il procedere della brutta stagione, rifletté, e specialmente a ridosso di quelle montagne, sotto le fronde degli alberi, stava sollevandosi un vento freddo proveniente da nord; una brezza che sembrava possedere lo stesso tocco della morte e che gli diede l'irrazionale impressione di portarla con sé verso Regno degli uomini.
Inconsciamente anche Elwar si ritrovò a rabbrividire, fatto che non fece altro che aumentare il suo malumore.
Tsk, dannata stagione.



continua...


Sono sempre più emozionata ad ogni capitolo che pubblico... o forse lascio passare talmente tanto di quel tempo che faccio in tempo a dimenticarmi l'emozione che sperimento prima... ç.ç scusateeee non vorrei nemmeno io procedere così tanto a rilento, potrei camparvi mille scuse e il resto, ma la verità è che va a rilento anche la stesura dei capitoli!
Ma eccolo qua! Il capitolo dell'incontro! Sì, come preannunciato le cose si fanno interessanti finalmente (almeno spero..)!
Inoltre, non contenta dell'impostazione delle pagine, ho aggiunto un bannerino ad inizio di ogni capitolo a ricordare a tutti di cosa si sta parlando... vi piace?? Ho faticato un po' a crearlo ma sono abbastanza soddisfatta del risultato.
Beh, che dire, spero che qualcuno di voi intrepidi alla fine decida di dirmi cosa ne pensa di questo mio parto secolare (^^°) nel frattempo vi auguro buona estate!
Alla prossima, gente!!

Kaiy-chan
   
 
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