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Autore: Piccolo Giglio    11/08/2018    0 recensioni
Dall'opera:
"Ho vissuto una vita incline ad ogni tipo di vizio.
Fin da quando ero giovane, mi sono avvicinato ai lussi più sfrenati, che le mie tasche si potevano permettere.
Alla morte di mio padre- morì di crepacuore, ucciso dalla condotta morale del suo stesso figlio- ereditai una bella somma, con la quale pagai i miei debiti e mi misi in viaggio, dirigendomi verso l'oriente, immerso nelle immagini raccontate da coloro i quali vi si erano recati, e si erano trovati immersi in lussi che noi occidentali possiamo solo immaginare..."
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho vissuto una vita incline ad ogni tipo di vizio.

Fin da quando ero giovane, mi sono avvicinato ai lussi più sfrenati, che le mie tasche si potevano permettere.

Alla morte di mio padre- morì di crepacuore, ucciso dalla condotta morale del suo stesso figlio- ereditai una bella somma, con la quale pagai i miei debiti e mi misi in viaggio, dirigendomi verso l'oriente, immerso nelle immagini raccontate da coloro i quali vi si erano recati, e si erano trovati immersi in lussi che noi occidentali possiamo solo immaginare.

Tuttavia, nonostante amministrai bene il mio denaro i primi giorni, alloggiando solo in locande economiche e mangiando pasti semplici tipici dei luoghi che visitavo, ben presto mi ritrovai senza soldi, e fui costretto a fermarmi in Francia, dove, a Parigi, trovai un quartiere che faceva per me.

Ero immerso nella più totale lussuria, circondato da prostitute da pochi soldi e bettole in cui l'alcol, a poco prezzo, si versava a fiumi, e tutto ciò nascondeva la reale povertà che serpeggiava tra quelle strade.

Vissi in quel quartiere per settimane, ormai del tutto ambientato con il luogo, in cui potevo già contare su alcuni amici, che altri non erano che giovani, i quali, come me, bazzicavano fin dalle prime ore del pomeriggio nelle locande, bevendo fino ad essere completamente ubriachi, finchè la mattina non ci risvegliavamo circondati dal nostro stesso vomito sul marciapiede.

Nessuno si curava di noi, immersi come erano tutti nella povertà.

Dopo tempo che alloggiavo là, vedendomi preso dalla mia routine, che comprendeva il bazzicare in giro fino a trovare una locanda aperta con qualche cliente e pronta a servirmi da bere, non notai subito gli strani fenomeni che avvenivano in quel luogo.

Fu una notte, quando, come al solito, mi trovavo quasi completamente ubriaco con la solita combriccola, che notai qualcosa di strano.

In uno dei vicoli che avevo passato più e più volte, senza prestargli tanta attenzione, per la prima volta, notai una luce rossastra.

Dopo la gran quantità di alcol che avevo bevuto quella sera, vedevo in quella luce qualcosa di meraviglioso da scoprire, e la feci notare ai miei compagni, in quel momento chini a ridere senza alcun vero motivo.

“Là, guardate la luce!”.

Tutti e tre smisero di ridere, voltandosi verso il mo braccio, teso ad indicare il bagliore rossastro che proveniva da un punto indistinto del vicolo.

Proposi, forse con troppa enfasi, di andare a vedere cosa fosse, e i miei compagni accolsero allegramente la mia proposta.

Ci dirigemmo, quindi, urlando e cantando a squarcia gola versi sconci, verso la luce, incauti.

Ciò che ci si parò davanti, deluse parecchio i miei amici, che, persino dopo essersi abbandonati totalmente all'alcol, capirono che non c'era niente di eccezionale nella semplice porta di ferro, un po' arrugginita, posta sotto una strana lanterna, fonte del bagliore che avevamo intravisto dalla fine del vicolo.

Ma io più di tutti ero mosso dalla curiosità, attratto, quasi come se sentissi una voce chiamarmi da dentro il piccolo e sinistro edificio in cui era presente la vecchia porta, malconcio come la stessa.

Nonostante sentivo i commenti e i fischi dei miei compagni, che mi spronavano a tornare indietro e a farci un altro giro per cercare una nuova taverna, mi avvicinai alla porta, provando a spingerla e ad aprirla, per entrare dentro.

Ebbene, dopo un po' di fatica, causata anche dall'alcol che mi rendeva difficile ogni movimento, riuscii ad aprirla, non aiutato dai miei compagni che, stufi, avevano deciso di tornare nella via principale, ad importunare qualche prostituta.

Io entrai, attratto sempre di più dalle forza sinistre che sembravano risiedere in quella casa, che, data la vecchiaia della carta da parati, quasi completamente rovinata e strappata dalle pareti, il camino quasi completamente privo di mattoni, che risiedevano, ormai caduti, vicino ad esso e dalla puzza di vecchiume e polvere, sembrava non essere abitata da anni.

Mi avvicinai alla stanza più grande che c'era, seppur molto piccola, e mi guardai attorno circospetto.

Non notai niente di particolare, ma, ad un certo punto, come proveniente dal nulla, in un angolo della stessa stanza che fino a qualche secondo prima aveva solo qualche mobile distrutto dal tempo, comparve lo stesso bagliore della lanterna rossa presente sopra la porta, davanti all'ingresso.

Pensai che fosse l'alcol a distorcermi la scena, magari permettendo alla luce di fuori di entrare attraverso una delle vecchie finestre, ma presto mi dovetti ricredere, sentendo una voce roca e cupa, sinistra, provenire da quel bagliore.

Sentendo chiamare il mio nome, cercai di strizzare gli occhi alla luce, sperando che uno dei miei amici si fosse nascosto e mi stesse giocando un brutto scherzo, ma così non era.

“Tu brami soldi e lussuria. Tu sei dedito ai vizi, pieno di debiti. Ebbene, annullerò tutti i tuoi problemi, e ti farò vivere la vita che hai sempre sognato, ma, in cambio, maggiori saranno i tuoi piaceri, maggiore sarà in servizio che mi dovrai rendere”.

Nonostante la paura avesse risvegliato parte di me, ero ancora governato in parte dall'alcol, e fu proprio lui, egoista e lussurioso, a chiedere

“Di che servizio parli? Quale favore potrei mai renderti in cambio di tanto denaro?”.

Dalla luce, a cui pian piano mi stavo abituando, riuscendo a distinguerne quasi una sagoma, si sentì la voce rispondere

“Portami anime, e io ti farò uomo ricco e felice, immerso nei piaceri che il mondo ha da offrire. E nessuno di questi piaceri ti sarà mai celato: le tue possibilità saranno infinite”.

Spaventato da quella richiesta, questa volta mi risvegliai, deciso a tornare indietro, e cancellare il ricordo di questo tenebroso avvenimento.

Ma, prima che potessi avvicinarmi al corridoio per uscire fuori, sentii la testa girare, e persi i sensi.

La mattina dopo, mi risvegliai in uno dei vicoli in cui ero solito risvegliarmi dopo una notte di baldoria.

Ricordandomi, quasi subito, degli avvenimenti successi la sera prima, il panico si impossessò di me.

Tuttavia, durò poco, perchè la ragione fu pronta a trovare il capo espiatorio.

Era chiaro che, quello che io avevo vissuto come evento macabro e spiacevole, altro non era che un incubo provocato dall'alcol, e ciò spiegava anche il luogo in cui mi ero risvegliato e il forte mal di testa.

La mia vita, quel pomeriggio, riprese come sempre, tanto che mi dimenticai del mio presunto incubo, ma la sera, quando mi recai in una delle solite taverne dove era mia abitudine bere con il solito gruppo di compagni, accadde qualcosa di inaspettato.

Tutti i miei debiti, che fino ad allora aumentavano a dismisura nel momento stesso in cui entravo, facendomi avere, così, numerose inamicizie, erano spariti.

Nessuno più mi chiedeva insistentemente di ridargli i soldi di giocate avvenute sere prime, e il proprietario della bettola mi dava da bere senza esitare, non ammonendomi, ancora una volta, che sarebbe stata l'ultima mia serata di baldoria, se non avessi saldato il mio debito.

In un primo momento, pensai che tutto ciò fosse un caso.

Che, a causa della baraonda di gente, il proprietario della taverna si fosse dimenticato del mio conto?
E i giocatori d'azzardo erano forse già intenti a scommettere e giocare, senza potersi permettere la minima distrazione?

Improvvisamente, mi risuonò nelle orecchie la voce che sentii nei miei sogni, e la sua promessa di togliermi ogni debito.

Iniziai a sudare freddo, e preso da spasmi di terrore, rovesciai la birra, che il locandiere fu subito pronto a sostituire con un altra.

La lasciai lì sul bancone senza neanche toccarla, e uscii velocemente da quella locanda, fuggendo attraverso le vie, ed evitando la strana che mi aveva portato, la sera prima, alla porta cigolante.

Raggiunsi in poco tempo il mio squallido appartamento, in cui ero solito rimanere solo nelle tarde mattinate in cui aspettavo una nuova partita dove scommettere i miei soldi o attendevo annoiato che passasse qualche conoscente che mi chiedeva di bere.

Quella notte, fu come una salvezza, e mi tranquillizzai una volta aperta la gracile porta di legno, che richiusi velocemente e ancora ansimante, per chiudermi alle spalle quell'evento che mi aveva causato tanto spavento.

Mi recai verso la finestra più vicina, prendendo due lunghi respiri, affacciandomi per vedere qualche elemento insolito nella strada che percorrevo ogni giorno.

Non vidi né strane figure, né luci rosse abbaglianti, e tutto sembrò tornare monotono e ordinario.

Rimasi affacciato per un bel po', troppo spaventato per rinchiudermi dentro la stanza, finchè, in tarda notte, la stanchezza non prese il sopravvento e mi addormentai.

Mi svegliai di soprassalto la mattina, ancora appoggiato alla finestra, e grondante di sudore, per un incubo terribile e angosciante, ma indistinto e di cui non rimaneva nessuna traccia nella mia memoria.

Cercai di calmarmi, lasciando alle spalle tutto ciò che era successo la sera prima, bevendo quel po' di alcol che tenevo a casa mia, per permettermi di svegliarmi completamente.

Ancora impaurito per uscire di casa, aspettai che la via sopra la quale abitavo si animasse, permettendo ad una fitta folla di persone di nascondermi tra loro stesse.

Girato l'angolo, però, fui ridestato improvvisamente dalla pace che, anche solo per un attimo, aveva percorso il mio corpo.

La gente, sempre più agitata, iniziava a spingere e ad urlare, cercando di farsi spazio per accerchiare un piccolo gruppo di uomini sul marciapiede.

L'aria si faceva soffocante, per via dei sempre più numerosi curiosi che si ammassavano nel piccolo spazio rimasto tra il marciapiede ed il muro, facendomi uscire del tutto dalla calca.

Vendo una giovane donna visibilmente spaventata appoggiata contro il muro, come per prendere aria, mi avvicinai

“Signorina, tutto bene?”.

Alzato il volto spaventato, la donna, ancora più giovane di quel che pensassi, scattò improvvisamente verso di me, appoggiandosi alle mie spalle come per fermare la sua caduta.

“E' morta! Squarciata durante la notte! E' morta!”.

Senza volerlo davvero, mi spostai velocemente, facendo cadere la ragazza, in preda ad un terribile tremore per via del disgusto e della paura.

Disgusto e paura si impadronirono anche di me, mentre cercavo di spingere la folla per vedere il corpo accasciato a terra, il cui ventre era completamente squarciato, e il volto, ormai congestionato, lasciava trasparire l'ultima ombra di terrore.

Lasciarono cadere il caso il giorno stesso, in quanto non era raro che qualcuno uccidesse una prostituta, “forse un giovane amante geloso”, “forse un ladro in cerca di soldi”, vociferavano.

Ma io, di nuovo rinchiuso nel mio appartamento, non credevo a niente di ciò che si diceva in giro, pensando che la figura circondata da luce rossa, la promessa, la sparizione di tutti i miei debiti e la morte della puttana non erano coincidenze.

Rimasi chiuso in casa per tre giorni e tre notti, non rispondendo neanche alle richieste dei miei amici di uscire, con la promessa che mi avrebbero trovato qualche buona prostituta, offerto una bevuta, o pagato una giocata.

Dopo la terza notte passata senza dormire, in preda alle allucinazioni dovute all'orribile scena a cui avevo assistito, e alla quasi follia per via del terribile spazio chiuso e poco illuminato in cui ero rimasto chiuso per tutto quel tempo, decisi di uscire.

Mi trovai ancora una volta circondato dalla folla, a percorrere la stessa strada di tre giorni prima, senza osare alzare lo sguardo da terra, come se il solo guardare la gente potesse essere la causa della loro morte.

Senza quasi accorgermene, entrai in una delle tante locande in cui ero solito andare, forse quella a cui ero affezionata di più per via di una giovane molto graziosa e che serviva ai tavoli, con cui ero solito fare due chiacchiere.

“Non la si vede da tre giorni, dicono! Cosa fa? Rimane chiuso tutto solo in casa? O si è trovato una graziosa compagnia con cui stare?”.

Era lei, sorridente e irriverente come sempre, mentre prendeva due boccali semi vuoti da un tavolo in cui due uomini dormivano, ancora ubriachi dalla sera prima.

“Non ho trovato nessuna dolce compagnia, sono stato...malato, ma adesso ho bisogno di bere”.

Notando il mio tono imperativo, prese immediatamente un altro boccale, riempiendolo di birra fino all'orlo.

Finii di bere tutto in un sorso, e, riposando pesantemente il boccale ormai vuoto sul bancone, feci per cercare nelle mie tasche qualche spicciolo con cui pagare la bevuta.

Prima che potessi anche solo constatare il vuoto all'interno delle mie tasche, una mano bloccò il mio polso.

La giovane cameriera mi sorrise, e, senza dire niente, mi fece alzare dal mio sgabello, si avvicinò a me, e mi condusse nel retro del locale, ora completamente vuoto, tranne che per uno dei due uomini ubriachi, che ancora dormiva appoggiato al tavolo, mentre il suo amico si dileguava senza pagare il conto.

Rimasi nel retro con la cameriera ore, e, quando lei tornò nella sala principale, io la seguii, ancora avvolto dal piacere e senza più pensare ai terribili eventi che ormai mi perseguitavano.

Passai tutto il resto della giornata a bere, con lei che aveva occhi solo per me, mentre riempiva uno dopo l'altro i miei boccali, per ore ed ore.

Anche a chiusura locanda, quando ormai rimanevano solo i soliti ubriachi che avrebbero passato là la notte, io rimasi con lei, finchè non mi ridiede la mano, pronta ad uscire, ancora una volta, con me.

Ubriaco com'ero, ricordo solo l'attimo prima di uscire dalla locanda, con il suo sorriso caldo e provocante, e la sua mano stretta nella mia.

Mi risvegliai la mattina dopo, con una strana sensazione di angoscia, dovuto probabilmente ad un altro incubo, ma che venne subito sostituita da una meravigliosa sensazione di felicità, grazie a quella ragazza.

Avevo memoria solo di una scena, oltre quella in cui eravamo mano nella mano, l'ultimo mio attimo di lucidità: lei, la sua mano ancora nella mia, che gira in un vicolo e si ferma di scatto a guardarmi.

Nonostante dovesse essere un momento di gioia per me, mi ritornò, per un solo secondo, la terribile sensazione di angoscia che avevo avuto nel svegliarmi.

Scesi giù per strada, e camminai diretto verso la locanda, ma una voce straziata e iraconda si levò dalla folla che occupava la strada

“Un'altra! Ne hanno uccisa un'altra! L'ha squarciata durante la notte, come quell'altra!”.

Il panico mi pervase.

Non rimasi un minuto di più in quella via, senza neanche sentire più informazione di quelle urlate poco prima.

Mi diressi velocemente verso la locanda in cui ero stato il giorno prima, e spalancai, terrorizzato, la porta.

Lei era lì, sorridente come il giorno prima, a servire i boccali di birra ai primi clienti.

Fui colto da improvviso sollievo, e fu cos'ì forte che mi lasciai cadere a terra.

“Già ubriaco di prima mattina?”.

Le risposi di no, sorridente e grato, e mi sedetti proprio davanti a lei, nel bancone.

Tutto si ripeté come il giorno prima, e mi risvegliai di nuovo nel mio letto, colto dal panico e, per la terza volta, dall'angoscia.

Questa volta, non fui quasi sorpreso di sentire che un'altra prostituta era morta, esattamente come le altre due, completamente squarciate, con il sangue che macchiava il marciapiede e le budella che fuoriuscivano dalla carcassa.

L'orrore che mi stimolavano gli sprazzi del terribile sogno che avevo avuto era molto più forte della tragicità dell'evento.

Ancora una volta io e la mia dolce cameriera ci recammo nel vicolo, ma ebbi, subito dopo, il ricordo di me che mi incamminavo, ancora ubriaco, verso casa, e dell'incontro con un'altra donna.

Cercai di ricordare più a fondo, ma avevo memoria solo del suo sguardo terrorizzato diretto verso di me.

Passai davanti alla locanda, ormai così familiare, solo per assicurarmi che la mia nuova compagna fosse ancora là.

Una volta fatto, in vece di entrare, com'era ormai il mio solito, mi diressi verso un decadente palazzo, tanto famoso perchè, in una delle stanze, avvenivano le scommesse con la posta più alta di tutto il quartiere, a cui io stesso partecipai, perdendo un mucchio di soldi.

Entrando, nessuno di loro mi chiese i soldi da rendere, e, di nuovo, non ne fui quasi completamente stupito.

Iniziai a giocare con loro, e così passai tutta il giorno, vincendo più e più volte.

Verso sera, la mia fortuna provocò sospetto nei miei compagni, mentre invece, io, per la terza volta, non ne fui sorpreso.

Dopo l'ultima giocata, ormai completamente avvolti dal fumo e con le mie tasche che si riempivano sempre di più, nonostante le assurde puntate che facevo, uscii, completamente e volutamente sobrio, mentre i miei avversari avevano lo stomaco pieno solo di alcol e una sempre più crescente invidia nei miei confronti.

Non ci volle molto perchè, in una delle strade meno trafficate durante quell'ora della notte, fui preso alle spalle e picchiato dagli stessi uomini con il quale avevo giocato per tutto il giorno, decisi a riprendersi ciò che era loro, e che pensavano io avessi rubato, ignari del pericolo di quell'azione.

Non opposi resistenza per tenermi i soldi, ma mi ritrovai comunque privo di sensi dopo poco, mentre supplicavo affinchè mi lasciassero in pace.

Mi risvegliai così presto che neanche la via principale era ancora trafficata, se non per qualche individuo sparso, e qualche giovane che urlava tentando di vendere il proprio giornale.

Vicino ad uno di essi, lessi la notizia in prima pagina, e mi dovetti trattenere dal vomitare.

Cinque uomini erano stati brutalmente squarciati nel vicolo vicino al quale io avevo perso i sensi, la notte prima, e i nomi riportati combaciavano con quelli dei miei assalitori.

Corsi velocemente a casa, dove fu impossibile trattenermi e vomitai tutto quanto, prima ancora di notare la pila di soldi sul mio letto.

Mi avvicinai, ancora in preda agli spasmi, e notai che la somma combaciava con quella che mi era stata presa, provocandomi altri conati.

Impazii completamente quando, nella mia mente, affioravano sprazzi di quello che non pensavo più fosse un terribile incubo, ma atti compiuti inconsciamente.

I miei cinque assalitori, che festeggiavano urlando per la somma appena rubata, si girarono di scatto, e, beffardi, si prepararono a ridarmele.

Dopo un vuoto, che non mi lasciava spazio all'immaginazione, avevo l'orribile visione della mia mano mentre squarciava uno dei cinque, ancora vivo, ma con la bocca tappata per attutire le urla dall'altra mia mano, che riusciva a tenerlo a terra.

La sua smorfia di dolore e orrore rimase fino a quando la mia mano completò il suo lavoro, e, girando lo sguardo, vidi gli altri quattro cadaveri attorno a me.

Risvegliato da questo terribile ricordo, ricominciai a vomitare, deciso, come la prima volta, a rimanere chiuso in quella stanza.

Inutile dire che, come la prima volta, sia i miei amici che la mia compagna venivano a parlarmi, per convincermi ad uscire, ma venivano brutalmente cacciati con urla e bestemmie.

Passò una settimana, e, mentre i miei amici si arresero, la dolce cameriera mi rimase accanto, anche per ore, vicino alla porta, disposta a ricevere solo bestemmie ed imprecazioni, che la portavano alle lacrime.

Non si arrese nemmeno quando, dopo una delle mie peggiori crisi in cui minacciavo di farmi del male, colta da un'improvvisa forza fisica, riuscì ad aprire la porta, trovandomi senza forze a terra, tremante e ricoperto dal vomito e dall'urina.

A nulla valsero le mie parole aspre, le mie preghiere e le mie lacrime, perchè mi rimase accanto e, quando finalmente finii di singhiozzare, mi aiutò a lavarmi e mi diede da mangiare.

Il giorno dopo, stavo già meglio, ma più passava il tempo accanto a me, più temevo per lei.

Così, la stessa sera, le raccontai dei terribili eventi che mi perseguitavano, ma lei, invece di fuggire e lasciarmi al mio destino, prese coraggio, e i rimase vicino.

Passò quasi un mese, e vivevamo insieme, io ancora chiuso in casa, lei che usciva solo per lavorare alla locanda, tornando da me ogni sera.

Una notte, accanto l'uno all'altra, quasi scordandoci dell'orribile maledizione che mi perseguitava, ci lasciammo trasportare dal nostro amore, promettendoci di sposarci il più presto possibile, e di vivere felici, lontano da quell'orrendo posto.

La mattina mi sveglia di soprassalto, a causa di un orrendo incubo, ma strinsi il corpo della donna con cui avevo deciso di passare il resto della mia vita.

Quando le strinsi la vita, chiamandola dolcemente per svegliarla, il suo corpo sembrò sgretolarsi tra le mie braccia, e un liquido caldo iniziò a bagnarmi, arrivando a macchiare anche le lenzuola.

Fui preso dalla nausea quando, togliendo il lenzuolo che ci copriva, notai il suo corpo completamente squarciato, mentre ricordavo l'incubo macabro che mi aveva perseguitato per tutta la notte.

Ero stato io a squarciare la donna che amavo! Io l'avevo condotta al patibolo! Io mi ero lasciato ingannare dall'amore, provocando solo quel terribile evento.

Mi misi a piangere disperato, accanto alla sua carcassa, che cercavo di ricomporre, come se sperassi che potesse tornare in vita.

I poco tempo, fui coperto di budella e frammenti del suo corpo che erano sfuggiti dal cadavere.

Iniziai, disgustato dalla scena e da me stesso, a distruggere tutto ciò che vedevo in casa, lanciando tutto ciò che trovavo facile da sollevare addosso al cadavere della mia amata.

Poi, tutto finì.

Smisi di piangere, e rimasi a fissare il suo corpo, non più meraviglioso e pieno di vita, ed il suo viso, ancora addormentato, con una sola piccola piega della bocca che faceva trapelare il dolore.

Non so dire per quanto tempo rimasi fermo così, so solo che, quando misi il cappotto e uscii senza nemmeno chiudere la porta, era notte profonda, e solo nelle vie piene di locande si sentiva il frastuono della folla.

Io mi diressi da tutt'altra parte.

Ci misi poco a trovare il vicolo da cui era cominciato tutto, anche se la luce rossa, era sparita.

Ci ho messo poco anche ad aprire la porta e, una volta dentro, ad avere la brillante idea di prendere un residuo di legno appartenente, forse, al vecchio mobilio, ricoprirlo dei residui del fuoco che, molto tempo fa, veniva acceso nel camino, e ad iniziare a scrivere la mia storia, qua, sul muro.

Ora ho finito, e ci metterò poco a prendere quella corda là, legarla ad una delle travi del vecchio soffitto e lasciarmi morire.

  
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