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Autore: Layla    12/08/2018    0 recensioni
[Gokinjo Monogatari/Camminando nei cortili del cuore]
[Gokinjo Monogatari]
Il racconto dell'incontro avvenuto a Londra tra Tsutomu e Mikako che copre un evento implicito tra l'ultimo capitolo del manga e l'epilogo. Spero vi piaccia.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La neve a Londra

28 ottobre

 

Il suono della sveglia mi strappa come ogni giorno dal mondo dei sogni.
Ogni giorno da quando sono qui a Londra ho degli attimi di disorientamento: sento mia madre chiedermi di prepararle la colazione e lamentarsi per le scadenze del suo manga, rivedo il volto sorridente di Tsutomu che mi dice di andare a scuola e la carrellata dei ragazzi dell’akindo.
Passato il disorientamento sorrido ogni mattina, sentendomi felice dal profondo del mio cuore di essere qui e avere accettato la borsa di studio all’estero.
Mi mancano il Giappone, il mio ragazzo, la mia famiglia e i miei amici, ma sono anche determinata a realizzare i miei sogni.
Determinatissima.
In classe mi chiamavano mera mera girl, la ragazza ambiziosa e io, Mikako Koda, sono felice di esserlo.
Mi alzo e apro le spesse tende della mia camera, fuori Londra è grigia e la tenue luce della prima mattina riesce a malapena a oltrepassare la cortina di nuvole.
Ieri è stato un giorno particolare, ho incontrato Ken Nagakawa, il cantante di una band molto popolare in Giappone, ma io ho sempre avuto le prospettive capovolte su di lui. Per me è il sosia del mio ragazzo e non il contrario.
Apro la collana con portafoto che Tsutomu ha creato per me e guardo il volto sorridente del mio amore, se lui non mi avesse spinta con gentilezza ad accettare adesso sarei a Tokyo, pentita di non averlo fatto.
Deve essergli costato molto – la sua mancanza a volte si fa intollerabile e ogni volta che chiudo una telefonata o altre forme di contatto con lui piango come una fontana perché vorrei abbracciarlo – siamo cresciuti insieme, tanto che credo che sia stato il destino a metterci così vicini uno all’altra.
Lui è calmo quanto io tendo ad arrabbiarmi per qualsiasi cosa, gentile almeno quanto io sono scontrosa e – cosa più importante – sa sempre quello che è meglio per me.
Mi faccio una doccia, bevo un caffè con dei biscotti continuando a trovarlo troppo amaro e mi vesto.  Chiudo la porta a chiave e saluto Seiji, il mio vicino di appartamento nonché ex assistente di mia madre e alieno in incognito: ogni cosa brilla in lui, dalla pelle ai capelli biondissimi, rarissimi in un giapponese.
Anche i miei capelli sono biondi, ma sono frutto di una tintura, quando sono arrivata qui erano di un fucsia vivace, ora sono completamente smontati.
“Buongiorno, Seiji!”
Lo saluto in inglese, una nostra legge non scritta recita che quando siamo insieme dobbiamo sempre parlare in inglese, chi si lascia sfuggire anche solo mezza parola in giapponese deve dare all’altro un penny.
“Buongiorno, Mikako.”
“Hai impegni oggi? Le mie lezioni finiscono prima.”
“No, sono libero. Ti va di fare qualcosa?”
“Mi tingeresti di nuovo i capelli di rosa?”
Lui ride, è a Londra per un corso per parrucchieri.
“Questo è sfruttamento!”
“No, è fare economia! Lo sai che non sono ricca, i miei capelli hanno bisogno di una sistemata e tu sei un bravissimo parrucchiere.”
“Ora passiamo all’adulazione, di male in peggio.”
“Eddai!!”
Lui sospira.
“Il salone è chiuso da mezzogiorno alle due, tu passa a mezzogiorno e mezza.
E con questo mi devi una cena, Mikako.”
Io lo abbraccio.
“Grazie, Seiji!”
Salutiamo la portinaia e poi io e lui ci separiamo, ognuno diretto alla propria fermata della metro.
Io prendo il treno giusto in tempo, di solito ascolto i Mambo nel percorso casa-scuola, ma oggi apro il medaglione e guardo la foto di lui.
Vedere Ken Nagakawa mi ha sconvolta ieri, non ha intaccato la mia determinazione, ma mi ha resa molto nostalgica di casa e desiderosa di rivedere il mio ragazzo. Ripenso con un sorriso mesto ai due anni in cui siamo andati a scuola in treno e a quando odiavamo quelle carrozze stipate di pendolari, lui ha addirittura perso la patente per il motorino per evitare quel percorso. Purtroppo non sapeva che per un altro anno non avrebbe potuto trasportare un passeggero e così quel motorino – Sally – giace inutilizzato nel cortile del nostro condominio.
Mi piace pensare che ci aspetti per fare quelle escursioni che sognavamo di fare, devo solo tenere duro per un altro anno e poi potrò tornare in Giappone a testa alta e stringere forte a me Tsutomu e magari fare l’amore con lui.
Arrossisco e la consueta ondata di nostalgia arriva devastante.
Mikako, non devi pensare a cosa che poi ti faranno stare male, mi dice pedante la mia coscienza e non posso che darle ragione.
Arrivo alla fermata della scuola e saluto alcuni dei miei compagni, gente da tutto il mondo viene qui e c’è un’atmosfera di cordiale competizione. Nessuno vuole essere secondo a nessuno e questo mi stimola, mi permette di non pensare a ciò che ho lasciato indietro.
Ayumi mi scrive spesso, anche Mariko a volte, ma è dalla ragazza di Yusuke che ho scoperto che Risa è incinta. Dovrei essere preoccupata per lei, ma so che tra di noi è la più stabile e che affronterà tutto al meglio e poi conto di tornare a casa per una breve vacanza per Natale e l’anno nuovo.
Come ogni giorno do fondo alle mie energie, devo imparare tutto quello che può aiutarmi nella mia carriera futura ora che ne ho la possibilità.
L’intervallo e il pranzo passano in un soffio.
Esco che sono le cinque, il sole è già basso all’orizzonte e fa freddo, quel freddo umido che ti penetra nelle ossa. Faccio un inventario mentale delle cose che ho nel frigo e mi accorgo che manca la carne e la verdura scarseggia.
Prendo la metro ed esco dalla stazione, solo che invece di dirigermi verso casa mia faccio una breve deviazione dal macellaio e dal fruttivendolo. Compro anche delle arance tentata dal prezzo insolitamente basso.
Arrivata a casa mi metto comoda, metto via la spesa e mi concentro sul compito che mi hanno affidato: la consegna è fissata tra una settimana, ma da brava stakanovista mi metto sull’opera.
Nemmeno cinque minuti dopo suona il campanello, probabilmente è Seiji o la portinaia.
Apro la porta con uno squillante “Hello!” e poi spalanco gli occhi paralizzata: Tsutomu è davanti a me.
Mi sorride e fa la prima mossa attirandomi a sé, io scoppio a piangere sul suo petto, felice di rivederlo, incredula e completamente sopraffatta dalla situazione.
Cosa ci fa qui?
Alzo lo sguardo e la domanda mi muore sulle labbra, non me ne importa nulla della ragione per cui è qui, l’importante è che ci sia.
Sorride di nuovo e io lo attiro a me e lo bacio con passione, tutta quella che si è accumulata in questi sei mesi di distanza.
Forse è un regalo degli dei per la mia perseveranza di questi mesi, ha davvero importanza?
Continuiamo a baciarci, ci stacciamo solo un attimo per riprendere fiato e probabilmente faremmo anche altro – la mano di Tsutomu mi sta accarezzando la schiena tentatrice – se non sentissi un “Ehm,ehm” dietro le sue spalle.
Mi stacco e noto mio padre che mi sorride con un’aria vagamente imbarazzata, arrossisco anche io non appena mi rendo conto della scena. Probabilmente pochi padri rimarrebbero così composti davanti a una scena del genere, il mio è speciale.
“Ciao, papà!
Sono felice di vederti. Forza, entrate.
Non state sulla soglia.”
Entriamo tutti e tre, loro si accomodano sul divano, io rimango in piedi felice come una bambina il giorno di Natale.
“Cosa volete da bere?”
“Una birra.”
“E tu Tsutomu?”
“Una birra anche per me.”
Mio padre ride all’improvviso.
“Ho detto qualcosa di divertente?”
Il mio ragazzo lo guarda perplesso.
“No, è che per me sarete sempre quei bambini che giocavano in cortile, mi fa strano che beviate birra sebbene ne abbiate l’età.”
Io ridacchio, immaginando i pomeriggi passati a giocare con lui.
Io facevo il marito che tornava a casa stanco dal lavoro, lui la mogliettina premurosa: eravamo strani anche allora. Lo siamo sempre stati e credo che sia questa la ragione per cui stiamo insieme, ognuno conosce e accetta ogni lato dell’altro: da quelli positivi a quelli negativi.
Io sono la ragazza ambiziosa, dal carattere di merda e che perde subito la pazienza, lui invece è calmo, gentile e ha avuto bisogno di tempo per capire cosa volesse fare.
Credo che ora sia felice, ha abbandonato la sua strana arte per la fotografia, il che significa che ha trovato qualcosa che gli piace di più. Non gliel’ho mai chiesto, glielo chiederò.
“È quasi ora di cena, volete fermarvi qui?”
“Io non posso, tesoro. Ho un incontro con alcune persone, ma Tsutomu può rimanere, la sua presenza non è necessaria. Ci vediamo domani, è domenica e non devi andare a scuola.”
“Sì. Grazie, papà.”
Lo accompagno alla porta e lo abbraccio.
“Grazie di questo magnifico regalo.”
Sussurro al suo orecchio, lui sorride e se ne va.
“Cosa vuoi mangiare, Tsutomu?
Ho degli hamburger o possiamo ordinare una pizza.”
Lui non risponde, ma si alza dal divano e copre velocemente la distanza che ci separa. In un attimo prende il mio volto tra le sue mani grandi e mi bacia con passione.
“Mi sei mancata, mi sei mancata troppo.”
“Anche tu.”
Rispondo al braccio, lui mi accarezza la schiena, il sedere, io gioco con i suoi capelli.
Non credo che mio padre avesse alcun incontro, probabilmente voleva solo lasciarci da soli, perché aveva capito che avevamo bisogno di tempo da passare insieme.
Continuiamo a baciarci, lui mi prende in braccio.
“Come sei piccola! Dov’è a tua camera?”
Io gli indico una porta, lui mi fa l’occhiolino, dobbiamo recuperare mesi di fare l’amore arretrati, la cosa mi fa piacere.
Apre la porta e mi depone gentilmente sul letto, inizia a baciarmi di nuovo, poi si alza all’improvviso e chiude a chiave, facendomi alzare un sopracciglio.
“Non voglio che nessuno ci disturbi, soprattutto Seiji.
Se ripenso a quanto è stato vicino a te mentre io ero dall’altra parte del mondo…”
“Scemo, lo sai che Seiji per me è come un fratello!”
Stendo le mie braccia verso di lui che non tarda a tornare da me, ci baciamo a lungo, sempre più profondità, sempre più appassionatamente. Nemmeno stessimo prendendo boccate uno dall’altra.
Nel frattempo le sue mani vagano distratte sulla mia schiena, sulla pancia, sulle cosce, io invece sono saldamente aggrappata a lui, perché ho paura che svanisca e che tutto si riveli essere solo un bel sogno.
Ho bisogno di realtà.
Gemo e inizio a baciare il collo di Tsutomu, piano, poi sempre più vorace, gli lascio un succhiotto giusto per far capire a chi appartiene e finalmente anche lui geme. Gli tolgo la maglia e accarezzo il suo petto magro in punta di dita.
“Mika, mi stai facendo impazzire. Prima provochi e poi ti tiri indietro.”
“È così che si gioca, no?”
Io mi sdraio sul letto e tento di ammiccare senza sembrare una cretina, lui si avventa su di me con frenesia. Mi slaccia il sopra della salopette e mi toglie la maglietta, con un dito traccia il contorno del mio reggiseno, osservandolo con occhi pieni di desiderio.
Una seconda scarsa lo manda fuori di testa, se non è amore questo…
Mi slaccio il reggiseno e mi sdraio a braccia aperte, lui sorride e in un attimo è su di me, le sue mani accarezzano ogni centimetro di pelle, poi si dedica al io seno.
Con una mano ne accarezza uno e l’altro lo bacia, lo succhi e lo mordicchia facendomi gemere, poi cambia seno.
Io sto già vedendo le stelle, con mani malferme cerco di accarezzare di nuovo il suo petto e di arrivare più giù, ma lui mi blocca con un’espressione birichina.
“No, sei tu la festeggiata adesso.”
Con una scia di baci e carezze raggiunge l’elastico delle mie mutande, me le toglie gentilmente e poi si dedica alla mia femminilità con la lingua e con le dita.
È bravo, deve essere talento naturale, visto che non abbiamo fatto molta pratica.
Io gemo, ansimo, le mie mani stringono le lenzuola e la mia schiena si inarca al ritmo delle ondate di piacere che vengono dal mio centro pulsante.
Mi sto avviando lentamente verso il punto di non ritorno, ancora qualche tocco nel punto giusto e il mio primo orgasmo in terra inglese mi esplode in testa in un fuoco d’artificio di luci e colori.
La testa vaga, si perde e poi torno in me e mi perdo di nuovo nel sorriso dolce di Tsutomu.
Lo attiro a me e lo bacio con passione, non mi sono mai sentita così aperta e vulnerabile come ora ed è bellissimo.
“Grazie.”
“Di niente, amore.”
“Adesso per tocca a te.”
Lo aiuto a liberarsi dei jeans e dei boxer.
Qualcuno è già bello sveglio, non servono ulteriori manovre, delicatamente lo prendo in mano e lo guido verso la mia apertura.
Lo sento fremere, una scossa elettrica attraversa il corpo di entrambi.
“Mi-Mikako, mi sei mancata. Tu e il tuo corpo.”
Appoggia la testa contro la mia spalla e bacia svagato il collo.
“Anche tu.”
Gli soffio in un orecchio.
Lo sento sorridere e poi arriva la prima spinta lunga e profonda.
Continuiamo con questo ritmo per un po’, accompagnati dai nostri ansiti e gemiti, mentre i nostri corpi si riscoprono e i punti giusti vengono toccati.
Lo guardo negli occhi e sono liquidi di piacere, non ce la fa più a trattenersi.
Le spinte diventano brevi e secche, cerca ancora di essere gentile, ma non ce la fa più e mi va bene.
È come una scala verso il paradiso e ci arriviamo insieme urlando uno il nome dell’altra.
Alla fine crolla su di me, io gli accarezzo i capelli sudati, lui mi bacia la spalla.
“Prendi la pillola, vero Mika?”
“Sei la solita scimmia! Adesso me lo chiedi?”
Scoppiamo entrambi a ridere.
“Sì, la prendo.”
Rimaniamo a coccolarci ancora un po’, poi lo stomaco di Tsutomu si mette a brontolare.
“Credo che sia arrivato il momento di mangiare.”
Rido io, lui mi fa eco.
Non c’è suono migliore al mondo.

 
Dopo una cena a base di pizza ordinata a domicilio decidiamo di uscire.
In fondo lui non ha mai visto Londra e io non vedo l’ora di mostrargliela in notturna, domani la visiteremo per bene con papà.
Lui si guarda in giro affascinato, sembra un bambino il giorno di Natale davanti a una schiera di giocattoli nuovi e bellissimi.
“Allora, cosa mi racconti?”
Dico io per spezzare il silenzio.
Credo di sapere già molte delle cose che dirà, ma sentirle raccontate da lui è diverso, le rende più vere.
“Uhm, vediamo.
Oh, lo scandalo della scuola.”
Virgoletta la parola “scandalo”.
“Risa è rimasta incinta di Takeshi, ma continua a frequentare la scuola come se nulla fosse.”
“Lei fa le cose per bene o non sarebbe Risa.”
“Esattamente, ma credo che parte del merito sia di Takeshi che la sostiene e del fatto che la sua band ha trovato un ingaggio.”
“Ottimo! Scommetto che sono bravi!”
“Sì, lo sono. Sono andato a un paio di concerti con Jiro, Yusuke e Ayumi.”
“Jiro?”
Lo guardo un po’ sconcertata.
“Ma lui non lavora sempre dopo scuola?”
“Quella volta l’ho convinto a venire, non volevo fare il terzo incomodo.”
“Yusuke e Ayumi sono una coppietta appiccicosa?”
“Di solito no, ma hanno i loro momenti e quando li hanno…”
“È meglio che se ne stiano da soli.”
Lui annuisce, come al solito siamo sulla stessa lunghezza d’onda, a volte finiamo le frasi a vicenda.
“E Londra com’è?”
“Caotica come Tokyo, solo ci tengono molto di più alle tradizioni e agli edifici vecchi.”
“Capito.”
“E P-chan come sta? Ha trovato il suo principe?”
“No, che io sappia.”
Si gratta la testa.
“Ma sembra vada molto d’accordo con Shintaro, continuano a scambiarsi consigli sulle bambole.”
“E l’Akindo?”
Lui abbassa gli occhi.
“Sono mesi che non facciamo più il mercatino e non ci vediamo tutti insieme, credo fossi tu la colla che teneva insieme il gruppo.”
“Oh.”
Arrossisco, non me lo aspettavo, mi sembravano tutti motivati per le loro ragioni.
“Cosa c’è, Mikako?”
“Io, beh, mi aspettavo che continuaste senza di me, non pensavo di essere così importante e roba del genere.”
“Ma dai, ragazza mera-mera! Chi era quella che ci spronava più di tutti?”
Io rido.
“Sì, hai ragione, ero io.”
“Sei la mera-mera anche di questo istituto?”
“Questo è l’istituto dei mera-mera, la concorrenza è spietata, non posso mai abbassare la guardia e devo superare l’ostacolo dell’inglese, ma… ma io ce la farò!”
Dico decisa.
“Tutti voi avete fatto un sacrificio lasciandomi andare ora e io vi ripagherò.”
Lui mi scompiglia dolcemente i capelli.
Nel nostro girovagare siamo finiti a camminare lungo il Tamigi e si vede il Tower Bridge, noto anche che ha iniziato a nevicare. Concentrata nella conversazione con Tsutomu non me n’ero accorta e ora tutto è avvolto da un sottile manto bianco.
Meravigliata mi guarda intorno e sorrido.
“Voglio un ricordo di questo momento!”
“Io ho la mia macchina fotografica.”
“Ci serve solo un passante in vena di aiutare.”
Mi guardo attorno e alla fine fermo un gruppetto di ragazzi.
“Potreste scattarci una foto con il Tower Bridge?”
Chiedo gentilmente, il più ferrato in materia tecnologica si fa avanti.
Tsutomu gli spiega come usare la macchina gli fa mille raccomandazione e alla fine ci mettiamo in posa.
Click!
E siamo immortalati per sempre in questo momento di felicità, una foto che guarderò per sopportare le lunghe giornate senza di lui, la mia famiglia e i miei amici.
Lui guarda la foto e sorride.
“Siamo venuti bene, te la manderò non appena l’avrò sviluppata.”
“Fa vedere, Tsutomu!”
Ci sono due ragazzi sorridenti con il Tower Bridge sullo sfondo, entrambi indossano dei capelli stravaganti, ma va bene così: è quello che siamo noi.
“È davvero bella!”
Dico sorridendo, era da tanto che non mi sentivo così leggera e felice.
“Sì. Adesso ho qualcosa a cui aggrapparmi quando sarò da solo.”
“Lo stavo per dire io, lo sai che questa cosa è inquietante?”
Lui ride.
“Ma è sempre stato così, abbiamo sempre saputo cosa provavamo l’un l’altro.”
“Questo è vero, il che ci fa anime gemelle, suppongo.”
“Già, magari ci sposeremo.”
Entrambi ricordiamo quando giocavano a fare marito e moglie da piccoli e scoppiamo a ridere.
“Mi sa che è scritto nelle stelle, siamo destinati a stare insieme.”
“Speriamo che i nostri figli non ereditino il tuo essere scimmia.”
“O il tuo essere una nana acida.”
Io gli do un pugnetto in pancia.
“Hey! Io non sono acida.”
“Forse solo gelosa, all’inizio odiavi Mariko e Ayumi, ti ricordi?”
Io arrossisco e inizio a muovere freneticamente le mani.
“Era tanto tempo fa, adesso sono cambiata.”
Lui mi rivolge il suo sorriso gentile, colmo d’amore, quello che è sempre stato il mio sorriso.                                                                                                                       “Lo so.”
Abbracciati torniamo a casa dove trovo mio padre che abbraccio.
“Come va, papà?”
“Sto bene e voi?”
“Oh, sì! Stiamo bene, gli ho mostrato Londra.”
“Ottimo.”
“Adesso vi preparo la cena.”
Annuncio con un sorriso.
“La mia cucina continua a essere buona.”
Ridono entrambi pensando a mia madre che non sa cucinare nemmeno il ramen preriscaldato.
Preparo delle cotolette e le servo a tavola, i miei due uomini della mia vita la mangiano con gusto e io mi imprimo nella testa questa immagine.
Domani li dovrò salutare all’aeroporto e piangerò sicuramente, ma non è a questo che voglio pensare, sono i momenti trascorsi insieme che contano, momenti come questi.
Questo è ciò che conta, mangio anche io, immersa in questa felicità.
Loro sono la mia famiglia, ciò che conta nella mia vita.
Se non sono diventata una ragazza cattiva ed egoista lo devo a Tsutomu e papà mi ha donato un infanzia normale.
Sì, sono una ragazza fortunata e felice e non c’è motivo di piangere o disperarsi, questo anno finirà e io presto tornerò alla mia solita vita.
Tornerò a rincorrere i miei sogni con chi mi ama al mio fianco.
Va tutto bene.
Ora so che anche le ragazze un po’ strane come me possono essere felici.
Sorrido.

   
 
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