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Autore: inunotaishobae    13/08/2018    2 recensioni
Dopo aver vissuto per tutta la sua vita nella sua città natale, Rin trova finalmente il coraggio di raccogliere le sue poche cianfrusaglie e trasferirsi a Shibuya, quartiere di Tokyo, per raggiungere Kohaku, Sango e Miroku, amici di vecchia data. Ormai la sua casa è diventata dimora di fantasmi del passato che sembrano non volerle lasciare spazio per volgere lo sguardo al futuro, dunque allontanarsi sembra l'unica soluzione per trovare, dopo momenti oscuri, giorni più luminosi e floridi. Il suo carattere gioviale e affabile le servirà ad affrontare la sua nuova vita con coraggio e grande volontà.
Nel frattempo, un misterioso e meticoloso Sesshomaru si prende cura del suo giardino nella sua abitazione a Shibuya, in un vicinato tranquillo e silenzioso che sembra quasi assecondare la sua natura, così distante e apparentemente parallela a quella della giovane dal fare espansivo - o forse no?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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 “Rin, sei certa di aver preso tutto?” – la voce di Kohaku risuonò dal piano inferiore, volteggiando nell’aria mentre gli occhi scuri di Rin osservavano morbosamente la fotografia dei suoi genitori, durante quella che sembrava la celebrazione di un anniversario. Dopo il richiamo di Kohaku i suoi occhi scuri luccicarono momentaneamente, in un impeto il suo corpo sussultò per riporre meccanicamente la cornice in legno dentro la valigia, nascosta da diversi vestiti per far sì che durante il trasloco non avesse ricevuto alcun tipo di danno.
Tirando la zip, chiuse definitivamente l’ultima delle tante valige; l’afferrò e con qualche difficoltà riuscì a trascinarla fin su la rampa di scale che la divideva dal piano inferiore.
“Rin?” – Kohaku ripeté, affacciandosi momentaneamente dalla porta d’entrata.
“Eccomi, ho finito” – e con un ultimo sforzo si allontanò dalle scale, porgendo a Kohaku l’ultima valigia; prima di chiudere la porta decise di voltarsi, scrutare per qualche attimo l’ambiente ormai vuoto davanti a sé e con rammarico, osservare quel che restava con malinconia, la carta da parati rovinata e il pavimento invecchiato dai passi; dopo una manciata di secondi, afferrò il pomello della porta, lo tirò lentamente e con un click si assicurò di averla chiusa.
Il Giappone è un territorio così vasto, eppure a Rin sembrò di allontanarsi di migliaia di miglia da casa quando notò quanta strada gli pneumatici dell’auto di Kohaku stavano lasciando alle spalle; un trasferimento non pensava sarebbe mai stato nei suoi piani, per il semplice fatto che se c’era qualcosa a tenerla ancora con i piedi piantati fermamente al suolo erano i ricordi, di cui sembrava essere diventata la vittima preferita – soprattutto nel silenzio di una casa le cui pareti sembravano aver assorbito i suoni del tempo, rilasciandoli e giocando brutti scherzi alla psiche ormai martoriata della giovane.
Le memorie sono il cibo preferito dell’anima, ma anche il veleno più forte. Questo ci rende umani: la voglia di non arrendersi a ciò che è sbagliato, il tentativo, anche estremo se necessario, di scegliersi la felicità non per destino ma per egoismo, perché la brama di un uomo è più forte di qualsiasi altra cosa.
Rin, seppur con difficoltà, aveva accettato quello che la vita le aveva messo davanti, senza tirarsi indietro se si trattava di qualcosa di non gradito; ciò che le dava speranza è che sicuramente anche lei, prima o poi, avrebbe raggiunto uno stato ideale. Anche se sola, sconsolata e poco abile nella vita quotidiana, aveva la certezza – sentiva dentro di sé – che il piano a lei riservato dal destino, la tela intricata del fato non era poi così costernante come altri sospettavano.
“Se ne hai bisogno, posso restare con te quando arriveremo nel tuo appartamento” – mormorò Kohaku, osservando come Rin stesse divagando in pensieri fitti e chissà di che tipo mentre i suoi occhi seguivano la strada percorsa dall’auto.
“Come?” – un turbine di pensieri venne interrotto dalla voce di Kohaku, e il gomito gracile poggiato sul bordo del finestrino minacciava di scivolare via.
“Sai, per darti una mano a sistemare i mobili, le tue cose… E’ molta roba” – sorrise Kohaku, le sue mani strette attorno al volante della sua auto.
Un piccolo sorriso solleticò le labbra di Rin, i capelli scuri le incorniciavano il viso. “Non vorrei trattenerti ancora, sai… Sono ormai due giorni che non vai a casa. Puoi tornare lì e riposarti”.
“Rin, se non volessi aiutarti non mi sarei fatto avanti” – Kohaku si affrettò a spiegare, infine si voltò per un momento a guardarla. Un cipiglio gli fece inarcare le sopracciglia. “Ma se tu non mi vuoi attorno… Non è un problema, puoi dirmelo”
“No, no! Non intendo questo!” – Rin alzò una mano come per fermare la lingua di del giovane. “E’ solo che Sango a quest’ora ti starà aspettando, è quasi sera e per arrivare ci vorranno almeno due ore, tua sorella si preoccuperà non vedendoti tornare”
Annuendo distrattamente, Kohaku fissò la strada e un ennesimo sospiro sfuggì dalla sua bocca. “E va bene… Ma Lunedì verrò a prenderti, ti darò un passaggio per andare a scuola, così memorizzerai la strada e ti darò qualche indicazione sulla struttura”
Rin sorrise di nuovo. “Grazie, Kohaku”
Il ragazzo sentiva il cuore fremere ad ogni minima gentilezza di quella piccola e forte donna, fremiti di ogni genere gli stringevano lo stomaco per la vicinanza; avrebbe mai potuto chiedere una compagnia più piacevole?
“Kohaku” – Rin lo chiamò. “Com’è… Com’è il mio vicinato? Credi sia tranquillo? Come sono le persone lì?”
Kohaku scosse la testa. “Non devi preoccuparti, il quartiere dove vivrai sarà molto tranquillo, tutti sono molto cordiali e riservati, non ti daranno minimamente fastidio” – disse, stringendo lievemente la mano di Rin, prima di riportarla sul cambio. “Sarai al sicuro, Rin”
Dopo quasi due ore di viaggio giunsero finalmente a Shibuya, quartiere di Tokyo dove Kohaku viveva con sua sorella, e dove da lì a poco Rin avrebbe frequentato l’ultimo anno di liceo prima di iscriversi all’università.
Trovarsi catapultata in una realtà diversa in così poco tempo era sicura l’avrebbe disorientata, eppure cercava di darsi coraggio, sperando in qualcosa di migliore per lei; cercare un proprio posto nel mondo è lo scopo di qualsiasi uomo, lei non faceva eccezione. Eppure avere paura era pur sempre umano, no? Sospirando, ascoltava il suono degli pneumatici sulla strada asfaltata.

Dopo qualche svolta, l’auto di Kohaku si spense davanti all’appartamento dove Rin avrebbe vissuto; la zona le parve stranamente silenziosa, erano solo le cinque del pomeriggio dopotutto – che le parole di Kohaku fossero così precise? Un luogo silenzioso, senza dubbio alcuno.
“Certo, le riferisco tutto adesso, aspetta” – Kohaku allontanò il cellulare dal suo orecchio, voltandosi verso Rin impegnata nell’accatastare i diversi cartoni scuri contenenti oggetti e vestiti accanto al divano. “Rin, Sango e Miroku vorrebbero che tu ti unissi a noi per cena, ti va?”
Rin annuì, alzandosi mentre scioglieva i capelli dalla crocchia disordinata che li raggruppava sulla sua nuca. “Se non sono di troppo, volentieri”
Kohaku sorrise, riportando il cellulare vicino al suo orecchio e continuando a parlare si allontanò abbastanza da sparire dal campo visivo di Rin, la quale si assicurò di posizionare nel miglior modo possibile la cornice di legno che racchiudeva dolci ricordi sul pensile proprio soprastante il camino. Sorrise e cercando di mascherare un nostalgico cipiglio, poi si voltò e raggiunse Kohaku che la stava aspettando sul viale esterno, l’auto già accesa. Si sistemò sul sedile del passeggero e infilò le chiavi di casa in una tasca della sua borsa. Dopo pochi minuti giunsero a casa di Sango e Miroku, che sembrava piuttosto affollata quella sera.
“Rin!” – Sango la accolse a braccia aperte, stringendola a sé per qualche momento, prima di lasciarla entrare dentro, dove Miroku stava conversando amichevolmente con altri invitati.

Sango notò immediatamente il suo sguardo perplesso. Le afferrò la mano in un sussulto e la trascinò verso il divano. “Accidenti, devo presentarti loro due!”
“Kagome, InuYasha, lei è Rin, una mia vecchia amica” – sorrise dolcemente, mostrando la nuova arrivata ai suoi due ospiti.

“Allora tu sei Rin!” – la ragazza si alzò immediatamente, i suoi occhi scuri sembrarono brillare per un momento. “Sango ci ha raccontato di te così tanto! – le afferrò una mano con le sue, stringendola lievemente – per non parlare di Kohaku”. Un lieve rossore accese le guance di Rin, il cui sguardo cercò subito quello dell’amico; si sentì grata di scoprirlo ancora all’esterno della casa, sapendo che se avesse sentito una cosa del genere avrebbe sicuramente bruciato per l’imbarazzo.

“Io sono Kagome, conoscerti è un immenso piacere, davvero” – e sorrise morbidamente. Si presentò a sua volta, sentendosi improvvisamente più tranquilla e decisamente più distesa dopo quel breve scambio di parole.

Accanto a Kagome sedeva un uomo che non sarebbe mai potuto passare inosservato: una folta chioma di capelli bianchi ricopriva la sua testa, un paio di profondi occhi color caramello erano fissi su di lei, mentre un sorriso si faceva spazio sulle sue labbra sottili. “Io sono InuYasha, lieto di conoscerti” – le strinse la mano fugacemente ma con grande decisione, tornando a parlare con Kagome pochi attimi dopo.

La cena iniziò solo qualche minuto più tardi, quando Miroku, ormai compagno di Sango da diversi anni, invitò tutti i presenti a prendere posto attorno al tavolo nella sala da pranzo. Rin fu immediatamente tempestata di domande riguardanti la sua scuola, il suo lavoro e le sue prime impressioni riguardanti la nuova città.

“Spero di adattarmi presto al ritmo della città, ma per ora… Sono molto tranquilla, è stata una bella giornata” – Rin sorrise, il resto dei presenti le rivolse qualche parola di incoraggiamento, quasi come se fossero già al corrente di tutto.

Una mano strinse la sua, e quando alzò gli occhi per capire di chi fosse, Rin incontrò il viso dai tratti morbidi di Sango. “Sei la benvenuta qui, Rin. Ricordalo sempre”

Dopo qualche altra piccola chiacchiera, la cena finì, e Kohaku cercò di convincere Rin a lasciarlo accompagnarla a casa; lei, ad ogni modo, rifiutò insistentemente, dicendosi stanca dopo le ore passate in auto, affermando con grande certezza che una passeggiata non le avrebbe potuto fare male. Dopo aver salutato tutti, si diresse all’esterno, e in quindici minuti fu capace, grazie alle indicazioni che le erano state fornite da Miroku – e qualche aiuto dal suo GPS – a trovare la familiare strada di casa.
Grazie alla luce emanata dai lampioni gli occhi di Rin riuscirono a mettere a fuoco un meraviglioso giardino che si trovava proprio accanto al suo nuovo appartamento; fu in grado di scorgere piccoli cespugli di rose, diversi attrezzi da giardinaggio, e mentre cercava di dipingere nella sua mente chi potesse essere il proprietario di un ambiente così ben curato, scorse più in lontananza la figura di un uomo che non somigliava per niente all’immagine di possibile proprietario che aveva creato nella tua testa.

Le era difficile individuare i diversi dettagli, la luce soffusa non era affatto dalla sua parte, ed inoltre la stanchezza cominciava a gravare fortemente sulle sue palpebre. Lo vide tagliare piccoli rami da un vaso di chissà quale pianta, un paio di pantaloni di tuta gli avvolgevano morbidamente il bacino, una t-shirt blu metteva in risalto il pallore della sua pelle.

Mentre Rin apriva la porta d’ingresso al nuovo appartamento vide lo sguardo del suo nuovo vicino scattare immediatamente su di lei, probabilmente non aspettandosi di sentire qualcuno a quell’ora, o da quella parte. I loro occhi si incontrarono momentaneamente, prima che lui potesse tornare al suo lavoro e Rin rifugiarsi all’interno della sua piccola e buia casa.  
   
 
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