Film > Captain America
Segui la storia  |       
Autore: Mikarchangel74    26/08/2018    1 recensioni
Non appena Jack Hailey ricevette la lettera di arruolamento e riuscì ad essere assegnato alla squadra del Capitano Steve Rogers e del giovanissimo, intraprendente ed impavido Sergente James Buchanan Barnes con cui legò subito moltissimo, si ritenne fortunato e privilegiato.
Era il 20 ottobre del '41. Gli Stati Uniti erano in guerra contro gli occupanti tedeschi ed il giovane soldato alle prime armi dormiva tranquillo nella propria tenda militare ignaro di quanto sarebbe accaduto pochi attimi dopo e dell'inferno in cui sarebbe precipitato.
Genere: Angst, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Nuovo personaggio, Steve Rogers
Note: Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Supernatural/Marvel'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

~~Titolo:  Non temere, non ti lascio

Fandom: Marvel
Ship: nessuna
Warning Rating arancione. Scene di ptsd e violenza.
Tags: Hurt & Comfort https://www.facebook.com/notes/hurtcomfort-italia-fanfiction-fanart/26-prompts-challenge/1761132400576945/
Partecipo alla Challenge #26promptschallenge 17/26 ‘Espiazione’ (2° capitolo)
Parole: 7063

 

Non temere, non ti lascio

(Capitolo2)


Era passata appena una settimana da quando Jack Hailey, giovane recluta dell’esercito americano e il suo amico, nonché più alto in grado sergente James Barnes erano stati trasportati presso l’ospedale militare di Musgrove in Somerset, Inghilterra.

Appena giunto Jack era stato rivoltato come un calzino, aumentando esponenzialmente le sue condizioni traumatiche e psicologiche.
Era stato separato da Barnes e trasportato nella sala dell’infermeria sterile dove gli era stata tolta la coperta, tagliata via la divisa e tutti gli indumenti rimasti ed ovviamente i modi che avevano usato non erano stati delicati e premurosi. Mani fredde, insensibili ed indifferenti lo toccavano in ogni dove, facendolo urlare come un pazzo riacutizzando il dolore delle percosse.
Nonostante avesse ancora il sedativo in circolo nelle vene, il terrore che lo aveva di nuovo investito, era riuscito ad annullare persino l’effetto del calmante.
Avevano dovuto visitarlo accuratamente anche nelle sue parti intime e soprattutto lì, la zona inguinale intorno ai testicoli aveva una colorazione bluastra per via dell’ecchimosi dovuta al forte calcio ricevuto.
Accurati esami medici fatti successivamente stabilirono anche che ne aveva risentito la sua fertilità. Il ragazzo non avrebbe mai più potuto avere figli, ma non glielo riferirono all’inizio.
Gli dovettero inoltre fare una sorta di pulizia rettale per evitare infezioni, con aggiunta di iniezioni di antitetanica e la tremenda penicillina.
Jack si sentì morire di nuovo.
Ormai si sentiva come un pezzo di carne da macello, non riusciva a muoversi, non riusciva a difendersi o a ribellarsi avrebbe voluto morire per non sentire più niente, ma non gli era permesso nemmeno perdere conoscenza.
Poteva solo gridare e piangere. Pregare di morire e supplicare ‘Pietà’.

Bucky fuori dall’infermeria in corridoio si muoveva nervosamente e si tormentava le unghie delle mani con i denti, mentre tutto il suo essere veniva scosso profondamente dalle urla strazianti provenienti oltre quella maledetta porta. Jack non aveva smesso un attimo.
Ad un certo punto la pena nel suo cuore fu’ così tanta che dovette allontanarsi in fretta. Lo stomaco voleva ribellarsi e rigettare fuori quel poco che conteneva.
Si affacciò ad una grossa finestra che dava sul cortile dell’ospedale militare.
Si appoggiò al davanzale stringendolo così forte che le dita divennero esangui. Respirò profondamente svariate volte tenendo gli occhi chiusi.
Come sarebbe stato in grado di aiutare un ragazzo in quelle condizioni? Lui non aveva esperienza né nel campo della medicina né in psicologia.
Ma una cosa era certa, non lo avrebbe lasciato di nuovo da solo, almeno finché non fosse riuscito ad aiutarlo, a farlo tornare quello di prima, anche se quel genere di ferite non si sarebbero mai rimarginate del tutto.
Doveva tentare, si sentiva troppo in colpa per averlo lasciato in mano a quei mostri bastardi.
E’ vero, non era stata colpa sua, il protocollo, in situazioni come quella consigliava la ritirata per poi organizzarsi e contrattaccare, ma non avrebbe dovuto lasciare nessuno di cui si era preso la responsabilità di proteggere.

***

Ore dopo Jack era stato spostato in una stanza del reparto psichiatrico.
“Hey! Non è pazzo!” Aveva protestato il sergente, e come risposta aveva ricevuto un “Forse ancora no ma lo diventerà”
Bucky avrebbe voluto spaccare la faccia a quell’infermiere, ma si trattenne ed entrò nella stanza. Jack era rannicchiato sotto un lenzuolo leggero scosso da sporadici singhiozzi, era sveglio, fissava avanti a se con occhi assenti e vitrei come potrebbero essere quelli delle bambole, quasi non batteva le palpebre e tremava assurdamente.
Dall’angolo dei suoi occhi ogni tanto scivolava giù una lacrima, che sembrava l’unica cosa animata in quel corpo. A Bucky si strinse ancor di più il cuore.
Mentre prestavano le prime cure al giovane soldato, Barnes era stato convocato dal responsabile di quell’area dell’ospedale per farsi raccontare cosa aveva affrontato quel soldato, James ovviamente aveva spiegato come erano stati attaccati, come l’aveva ritrovato e aveva ipotizzato cosa potesse esser successo, ovviamente solo Jack avrebbe potuto raccontare i fatti, ma chissà se mai ci fosse riuscito.

Iniziò così il lungo e difficile periodo di degenza per Jack nell’ospedale militare di Musgrove e della veglia di Bucky.

***

La prima settimana.
Jack non si muoveva mai se non per tremare o sussultare ogni volta che qualcuno lo toccava, sembrava diventato un vegetale, era sveglio ma non era presente, come lo mettevano e come rimaneva, proprio come una bambola, non urlò più dopo quel giorno dell’infermeria.
Potevano fargli qualsiasi cosa, ma lui niente.
Bucky cercava di spronarlo, invogliarlo a partecipare continuamente in ogni modo possibile, parlandogli, leggendogli libri, portandogli oggetti a lui noti, ma Jack non reagiva e Bucky si domandava spesso dove o se stesse sbagliando e se non fosse ormai tutto inutile.
Ma non si scoraggiò. Decise che non lo avrebbe mai più abbandonato, sperando che un giorno si sarebbe ‘svegliato’. Aveva iniziato col mettersi seduto su una sedia vicino al suo letto, aveva persino imparato a cambiare i sacchetti delle flebo perché cercava di lasciare il ragazzo in mano ai medici il meno possibile, voleva che sentisse che il suo amico Bucky era lì appositamente per lui.
Dormiva su una poltroncina lì in un angolo della stanza e si allontanava solamente per andare in bagno. La mattina si alzava, correva in bagno a darsi una rinfrescata e poi iniziava ad occuparsi di Jack, cercava di lavarlo un po’, ovviamente senza andare in zone che avrebbero potuto sconvolgerlo, inzuppava una spugna nell’acqua tiepida e gliela passava delicatamente addosso e nel farlo gli parlava dolcemente, come un padre farebbe con un bambino piccolo.
Ogni tanto un pensiero però andava al suo capitano. Chissà come se la stavano cavando sul campo di battaglia o se avevano bisogno di lui. Ma poi guardava il corpo annichilito lì, davanti a lui, gli carezzava la fronte e ripeteva nuovamente “Non preoccuparti. Ci sono io qui con te. Non ti lascerò mai più.”

Cercava di spronarlo con frasi e domande come “Buongiorno Jack. Come ti senti stamani? Hey oggi c’è il sole fuori, ti va’ di uscire?”
Ovviamente non riceveva mai risposta, ma Bucky non si perdeva d’animo.
Dopo averlo lavato lo tirava su in una posizione un po’ più seduta, lo pettinava, se c’era bisogno lo radeva anche se lo sentiva irrigidirsi a morte durante quell’operazione e non capiva se era una reazione al tocco o alla lama affilata del rasoio, che fosse stato anche minacciato con dei coltelli? Ma questa reazione significava che comunque lui qualcosa sentiva, che una parte di lui era ancora cosciente di ciò che gli accadeva intorno.
Quindi arrivava la ronda dei dottori per la visita e le medicazioni più complicate. Bucky avrebbe voluto fargliele evitare, ma purtroppo erano necessarie e lo ritrovava di nuovo con gli occhi sbarrati, il cuore che batteva all’impazzata e l’affanno. Quindi con pazienza lo abbracciava stringendolo dolcemente tra le braccia, gli sussurrava parole confortanti per calmarlo e l’operazione durava dalla mezz’ora all’ora, a seconda di cosa avevano dovuto fargli nella visita.
Dopo di che cercava di fargli buttar nello stomaco qualcosa, ma Jack non collaborava affatto. Guardava nel vuoto e non apriva la bocca.
“Ti prego Jack, devi mangiare qualcosa, non voglio che ti lasci andare così! Avanti soldato! Reagisci!” Ma niente, sembrava tutto inutile.
Ai medici non pareva vero che ci fosse il sergente Barnes a prendersi cura di quel paziente, gli risparmiava un sacco di lavoro.

Nella seconda settimana sembrava che poche cose fossero cambiate nel comportamento di Jack. James si era avvicinato a lui sempre di più, adesso riusciva a lavarlo, vestirlo e stare persino seduto sul suo letto senza vederlo saltare o ansimare di terrore.
Era una piccola vittoria anche se era vero, il soldatino ancora non reagiva; Dalla tac non risultò niente di anomalo, ma i medici sospettarono che il giovane potesse aver rimosso tutto. Poteva essere un bene ed in quel caso, una volta che avesse ripreso a svolgere le sue mansioni autonomamente, sarebbe stato dimesso.
“Hai sentito Jack? Dai guarisci che ti rispediscono a casa!!” Disse con enfasi Bucky, ma in risposta ricevette il solito sguardo perso nel vuoto e apatico.
“Hey Jack guardami. Guardami ti prego.” Gli disse sedendosi sul suo letto e con dolcezza appoggiò il palmo caldo della sua mano su una sua guancia smunta e con una leggerissima pressione gli voltò il viso verso di sé.
“Jack … Sai chi sono? Mi riconosci? O hai dimenticato anche me?”
Per un fugace momento gli sembrò che Jack lo osservasse e che avesse impercettibilmente allargato gli occhi.
Cosa significava? Lo riconosceva? Bucky avrebbe dato il suo occhio sinistro per sapere cosa c’era adesso nella testa di quel ragazzo e dove si era andato a rifugiare per tutto quel tempo.
Era troppo tranquillo, come il silenzio e la calma che precede una tempesta. E quella tempesta arrivò proprio durante la terza settimana, quando Jack riacquistò ogni tenebroso e raccapricciante ricordo, catapultandolo nella cruda realtà e devastando di nuovo tutto il suo fragile equilibrio. Tutto il suo essere, tutto quello che aveva costruito passo dopo passo con Barnes.

Iniziarono gli incubi notturni.
Una notte di colpo, Jack si mise ad urlare ed agitarsi facendo spaventare James e due o tre infermieri che accorsero.
Bucky si sedette sul suo letto e lo abbracciò subito forte, ma Jack stavolta non reagì come sempre. Lanciò un urlo ancora più forte. Il suo corpo era scosso da un tremore fuori dal normale, tanto che James decise di lasciarlo immediatamente.
Stavolta c’era qualcosa di diverso nel giovane. Jack si stava guardando intorno spaesato, con gli occhi grandi, il cuore in defibrillazione e l’affanno per l’assurda paura. Paura di cosa, solo lui lo sapeva.
Gli occhi schizzavano da una parte all’altra come palline di un flipper.
Jack era tornato, era lì presente. Bucky non sapeva se questo fosse un bene o un male, ma finalmente era di nuovo in sé, per lo meno dava segni di vita. Ne fu’ sollevato, anche se la gioia ed il sollievo svanirono presto.
Jack aveva di nuovo la mente stravolta da indescrivibili immagini truci: Lui immobilizzato, impossibilitato a difendersi mentre i nazisti si accanivano su di lui malmenandolo senza pietà con calci, pugni, sputi. Lui nella polvere da solo, privato della libertà, dell’identità. Deriso, umiliato, privato della sua dignità, del suo orgoglio .. della sua vita.
C’erano incubi la notte che lo facevano svegliare sudato, teso, con le coperte strette nei pugni, digrignando i denti per un dolore che solo lui poteva sentire, oppure incubi che lo facevano schizzare a sedere stravolto, urlando ancora ‘pietà’ … Una pietà che non era mai arrivata per il giovane soldato.
James allora si sedeva sul letto, lo afferrava abbracciandolo stretto. Cullando quel corpo tremante sconquassato dal pianto e dai singhiozzi, che erano come tante piccole lame che gli affettavano il cuore.
Gli teneva la testa contro il proprio petto, come quando una madre tiene il bimbo appena nato e gli sussurrava piano cercando di calmarlo, perché altrimenti sarebbero arrivati gli infermieri per sedarlo e Bucky non voleva che tornasse in quello stato catatonico indotto forzatamente dai medicinali, anche se magari poteva essere una benedizione per Jack.
Ma forse il giovane stava realizzando, forse stava elaborando quanto gli era accaduto, e questo era un bene, magari ci sarebbe voluta una settimana, un mese o un anno di incubi, urla e pianti, ma alla fine sarebbe finalmente stato meglio, stava esprimendo tutto il suo orrore e dolore, era un bene. Pensava Bucky ingenuamente.
“E’ tutto ok. E’ tutto ok, è solo un brutto incubo. Sono qui con te, non temere non ti lascio.” Continuava a ripetergli mentre l’altro farfugliava frasi senza senso, come il vaneggiamento di un pazzo, alle volte usando un linguaggio osceno come se lui stesso fosse uno dei suoi carnefici.

Ma il sergente Barnes si sbagliava.
Senza medicinali che lo tenessero tranquillo e staccassero un po’ la spina al suo cervello, il soldato fu’ preso da schizofrenia e paranoia. Gli incubi lo distruggevano la notte e forti allucinazioni lo colpivano durante il giorno.
Le allucinazioni erano sempre più reali per Jack, al punto che un giorno spiccò un balzo dal letto, finendo addosso al sergente, che colto di sorpresa e sbilanciato finì a terra con Jack, i tubicini delle flebo e un ago si sfilò dalla pelle tirata del braccio del ragazzo.
Bucky si sorprese dell’incredibile forza che aveva il ragazzo all’apparenza molto debole e debilitato.
Jack lo spinse sotto al letto tenendogli una mano sulla testa
“Stai giù! Siamo sotto attacco!” Sibilò serio contro un confuso ed allibito James.
Sembrava che Jack fosse veramente su un campo di battaglia che solo lui poteva vedere.
Tre infermieri accorsero, avendolo intravisto dal corridoio.
“Oh no ci hanno trovato! Maledetti crucchi non ci avrete!!” E d’improvviso afferrò una gamba di uno degli infermieri, tirandola e facendolo cadere pesantemente.
Gli altri due afferrarono Jack per le gambe tirandolo fuori da sotto il letto, mentre lui si dibatteva e gridava di nuovo terrorizzato. James cercò di farsi capire sopra le grida dicendo che se ne sarebbe occupato lui e che era tutto sotto controllo, di lasciarlo fare, ma stavolta Jack dovette essere sedato.
Mezz’ora dopo ripresero il sergente Barnes, dicendo che non avrebbe dovuto ricapitare mai più o avrebbero preso seri provvedimenti. Ne andava la tranquillità degli altri pazienti di quel reparto.

Barnes non poté mantenere la parola data perché non si era reso ancora conto di quanto la testa di Jack stesse dando di matto in quel momento. Probabilmente se se ne fosse reso conto, avrebbe fatto sparire da un po’ il coltello e la pistola che teneva con se e che aveva chiuso ovviamente fuori dalla portata di Jack, in uno stipetto in alto dell’unico armadio che c’era in quella stanza d’ospedale. E nemmeno si seppe spiegare come il ragazzo ne venne a conoscenza, fatto sta’ che una mattina, poco prima dell’alba, mentre dormiva, si sentì appoggiare qualcosa di freddo alla tempia.
Sollevò piano le palpebre e sbatté gli occhi assonnati qualche volta trovandosi il ragazzo in piedi di fronte a lui
“Jack… Jack è ancora notte dormi, torna a letto. C’è qualcosa che non va’?”
Ma Jack lo colpì con un forte manrovescio che svegliò completamente Bucky, accorgendosi che aveva le braccia tirate indietro ed i polsi bloccati dietro la spalletta della poltroncina.
Bucky lo guardò preoccupato
“Jack ma cosa…”
Ma il ragazzo impugnò la pistola con entrambe le mani puntandogliela al volto
“Silenzio maledetto schifoso! Pensavi di farla franca è? Ma ti ho trovato! Ti ho preso!”
Bucky iniziò ad avere paura
“Jack! Jack! Hey soldatino..” Usò il nomignolo con cui l’aveva sempre chiamato appena arruolato. Doveva cercare di farlo tornare in sé “..Jack sono io. Sergente Bucky Barnes del centosettesimo reggimento fanteria. Sono dalla tua parte! Sono un tuo amico!”
Ciò che spaventò il sergente era la luce che scorse in quello sguardo, un qualcosa che non aveva mai visto nel ragazzo. Uno sguardo ricolmo di un odio smisurato, feroce, dilaniante, qualcosa di profondo che cercava di scoppiare e trovare finalmente pace e vendetta.
Jack lo colpì ancora, stavolta con l’arma che stringeva in mano e che tagliò la guancia a Bucky. Qualche goccia di sangue scuro colò sulla camicia.
“Sta’ zitto ho detto! Tu sei un fottuto nazista! Ti ucciderò come un cane!” Gridò e si apprestò a sparare, ma per fortuna l’intervento degli infermieri fu’ tempestivo, iniettarono direttamente una buona dose di sedativo nella sua spalla e lo disarmarono, mentre Bucky rilasciava il fiato trattenuto e riprendeva un po’ di colorito sulle guance. C’era mancato veramente poco.
Gli infermieri decisero di legare Jack a letto.
Il giorno dopo il gruppo di specialisti che avevano Jack in cura si riuniscono per decidere come procedere col paziente. Tutti concordano sul fatto che ormai il ragazzo abbia perso il senno, l’orrore della guerra l’aveva fatto impazzire. Avrebbero potuto tentare con l’elettroshock, loro ultima risorsa, ma nella maggior parte dei casi, preferivano tenevano imbottiti di sedativi e dopo un tot di tempo rimandati a casa.
Non solo, tutti ritennero altresì giunto il momento di separare il sergente dal ragazzo. Non gli aveva fatto bene, anzi, non permettendogli di dargli le giuste cure e i calmanti, la colpa era soltanto sua se adesso quel soldato era impazzito definitivamente.
Quindi lo convocarono, gli spiegarono la situazione e lo cacciarono sgarbatamente.
Quando gli dissero che la colpa era quasi sicuramente sua se Jack aveva perso la testa, Bucky si sentì sprofondare… Ma come, lui aveva fatto di tutto per aiutarlo .. ed invece aveva forse causato un danno peggiore?

La sera stessa fu’ l’ultima volta che si accostò al letto di Jack legato a polsi e caviglie a quel letto di ospedale, che sotto l’effetto dei tranquillanti mormorava in maniera confusa ed agitata.
Si chinò per dargli un sentito bacio sulla fronte e sussurrò un contrito “Perdonami.”
Poi raccolse la giacca e la sua poca roba e se ne andò per riunirsi col suo reggimento e con Steve Rogers.

***

Per Jack iniziò un periodo ancora più orribile, senza la protezione di James ormai i medici erano liberi di trattare Hailey come ritenevano più giusto, anche se i metodi o i sistemi forse non giovavano alla sua ripresa ed al suo stato emotivo e psichico, ma per loro era solo il paziente numero 567/A, non era ciò che era stato per il sergente.
Lo tenevano sempre legato su quel letto, eccetto quando avevano da fargli esami che richiedevano di doverlo portare in altre stanze o quando dovevano lavarlo o cambiargli le lenzuola e se avevano da fare qualcosa nella stanza allora lo mettevano seduto su una sedia con una camicia di forza ben stretta addosso.
Nella sua follia aveva cercato di nuovo di assalire l’infermiere di turno un paio di volte e così oltre che tenerlo immobilizzato ogni giorno gli facevano ingoiare due pasticche di Haldol, un forte antipsicotico che avrebbe dovuto tenere a freno allucinazioni e delirio.

Ed altre settimane passarono.

James era tornato a combattere a fianco di Cap.
Aveva raccontato tutto all’amico, di come aveva cercato con ogni mezzo di aiutare quel ragazzo.
“Ci ho messo anima e cuore Steve. Ho dato tutto me stesso” Disse guardando a terra affranto ed avvilito.
Il capitano gli posò un braccio sulle spalle strusciando lentamente la mano sospirando. Gli dispiaceva vedere il suo amico così abbattuto
“Lo so Bucky, ne sono certo. Probabilmente Jack è stato ferito.. così profondamente che forse nessuno potrà più aiutarlo” Gli sussurrò dolcemente “Tu hai fatto tutto il possibile, non lo hai abbandonato e ti sei preso cura di lui. Sei stato bravissimo e sono sicuro che lui lo sa .. Una parte del suo cervello ti ha sentito ed era al corrente che tu fossi lì per lui.”

Ma Bucky non riusciva a togliersi Jack dalla mente. Per fortuna gli addestramenti, i compiti da svolgere lì nel campo militare e gli scontri che avvenivano ogni tanto per respingere il nemico, lo tenevano lì presente, con la mente occupata, ma ogni qual volta non aveva niente da fare, quando era da solo il suo pensiero correva al giovane soldato. Chissà come se la stava passando nell’ospedale, se finalmente avevano trovato una cura, se era migliorato, se … si era ricordato o aveva chiesto di lui… E se lo avesse fatto? .. E lui non c’era…
Quella sensazione di disagio che aveva provato sentendosi responsabile per averlo lasciato indietro e fatto finire in mano al nemico e quindi in ospedale era aumentata perché poi si era convinto che invece di averlo aiutato lo aveva fatto impazzire del tutto e peggiorato la situazione. Aveva voluto redimersi sperando di farlo tornare il ragazzo che era ed invece era stato persino cacciato dai medici, perché non all’altezza del compito prefissato.
Steve cercava di stargli vicino il più possibile perché vedeva quanto tutta quella faccenda gli pesava sul cuore, ma non poteva fare più di tanto.

Quasi un altro mese era passato e la condizione di Jack intanto aveva avuto una nuova evoluzione.
Una parte remota della sua mente, quella sana e razionale alla fine aveva deciso di reagire, di lottare per riportare tutto alla ‘normalità’ e questo significava l’elaborazione e l’accettazione di ciò che gli era capitato ed anche il realizzare ciò che aveva fatto; Aveva dato di matto con le allucinazioni, ma quel che era peggio, aveva quasi ammazzato l’unica persona a lui vicina dopo l’arruolamento.
E adesso?
Adesso non poteva certo biasimarlo se era stato di nuovo abbandonato, se Bucky se n’era andato.

Durante tutto il suo tempo da sveglio, tempo nel quale non dormiva o non era sotto l’effetto di quella merda che gli davano per irretire la mente ed il corpo, fissava il soffitto, unica cosa che gli era concessa di fare e pensava a come sarebbe stata la sua vita adesso.
Iniziò ad avere sentimenti negativi su se stesso.
Non era stato capace nemmeno di durare due anni nell’esercito, alla prima difficoltà se l’era fatta sotto.
Avevano ragione quei tedeschi era un essere insignificante, senza più dignità. E se fosse tornato adesso a casa… Cosa avrebbero pensato di lui? … Lo avrebbero deriso … Forse neanche gli avrebbero aperto la porta di casa. Suo padre lo avrebbe disconosciuto… Avrebbe perso anche la sua identità.
Perché quel giorno di ottobre non lo avevano ucciso? Sarebbe stato meglio.

Questi pensieri divennero presto una convinzione sempre più reale, più radicata in lui quando un giorno, sentì due medici parlare lì nella stanza, mentre lui faceva finta di dormire ed apprese la notizia che non avrebbe nemmeno più avuto modo di avere figli.
Perché continuare a vivere senza più uno scopo, senza più averne la voglia, senza più nessuno che avesse un qualche interesse in lui?
Non poteva uccidersi con niente perché i medici in quel particolare reparto stavano molto attenti a non avere nessun tipo di oggetto che potesse fungere da arma. Né una penna, ne’ una posata di plastica.. niente, soprattutto in sua presenza.
Quindi la prima cosa che gli venne in mente fu tenere da parte quelle maledette pasticche e poi prendersele tutte in una volta, già, ma come? Non aveva più la facoltà dell’uso delle proprie braccia, delle proprie mani ormai da molto tempo. O erano bloccate a quell’orribile letto o ammanettate.
Veniva lavato, pettinato, vestito o svestito, veniva imboccato e gli veniva messo il pappagallo per i propri bisogni. …  Era solo una bambola di carne ed ossa, tenuta in vita a quale scopo? Era sicuro che lo avrebbe abbandonato anche la sua coscienza a breve. .. Doveva trovare il modo di morire, di dire finalmente basta a tutta quella sofferenza a quel dolore opprimente che sentiva nel petto.
E non riuscendo a trovare altre soluzioni decise di smettere di mangiare. All’ora dei pasti sigillava ogni volta la bocca e girava la testa. L’addetto ai pasti di turno non perdeva tempo a cercare di farlo mangiare e così Jack iniziò a deperire sempre di più, ma ne era quasi felice, finché i medici non decisero d’intervenire infilandogli un sondino nel naso che finiva nello stomaco e vi spingevano siringate di cibo liquido, alimentandolo forzatamente. Nonostante le sue disperate proteste
“Perché lo fate??!! Vi prego lasciatemi in pace!!” Gridava piangendo.

Ormai anche i medici non riuscivano più a raccapezzarsi, avevano notato il nuovo cambiamento nel comportamento del ragazzo, ma anche i loro metodi erano falliti. Il ragazzo era irrecuperabile, ma visto che ormai le allucinazioni erano sparite, sembrava non dare più segni di paranoia né di raptus omicidi, era meglio rispedirlo a casa, a quel punto solo la vicinanza di persone care sarebbe riuscita a far sì che il paziente si riprendesse un po’ e riuscisse a tirare avanti.

***

L’11 giugno del 1942 Jack tornò a casa.
La sua famiglia non era mai riuscita ad andare a trovarlo in ospedale perché purtroppo non era una famiglia agiata, avevano giusto i soldi per tirare a campare e non avevano potuto permettersi un biglietto aereo per l’Inghilterra, ma erano stati avvertiti subito del ricovero del figlio e aggiornati via via sulle sue condizioni.
Quindi sapevano più o meno come sarebbe tornato. Non sapevano dello stato di depressione in cui era precipitato e della sua convinzione di voler morire, ma erano felici di riaverlo a casa e sua madre e la sorella maggiore erano ottimiste; A casa con loro Jack si sarebbe ripreso. Gli sarebbero stati accanto e con il loro amore sarebbe di nuovo stato bene.

Infatti lo accolsero a braccia aperte, tutti si resero disponibili, lo servivano in ogni modo possibile, ma Jack rimaneva impassibile. A stento parlava se gli veniva chiesto qualcosa, non sorrideva mai e tutti quei loro sorrisi, abbracci, quel loro comportamento risultava così falso ai suoi occhi ed invece di sentirsi al sicuro, amato e protetto si sentì ancora più solo. Avrebbe voluto solo una persona lì vicino, solo per poterlo salutare un’ultima volta e dirgli di non sentirsi in colpa, che la colpa era stata solo sua. E più volte durante il riposo la madre, che solitamente dormiva vicino al suo letto vegliandolo per non lasciarlo solo, sentì pronunciare quel nome, quasi in un sussurro disperato, mentre una lacrima accompagnava il nome: Bucky.
Sua madre si mise a fare ricerche, che fosse un suo compagno morto in battaglia?
Ma tramite telefonate a destra e sinistra seppe che questa persona era ancora in vita. E riuscì a raggiungerla.


Non appena Bucky venne avvertito che Annabelle la madre di Jack Hailey lo stava aspettando a telefono, lasciò il mestolo nel pentolone della zuppa che stava servendo ai soldati in fila, che aspettavano la propria razione di rancio e corse via ignorando le loro proteste, raggiungendo l’unico telefono portatile in dotazione al reggimento, rispose quasi col fiatone e non tanto per la breve corsa.
“Pronto.”
“Sergente … Barnes?” Disse la voce dall’altra parte del telefono
“Sì. … Come sta’? E’ successo qualcosa?” Barnes non riuscì ad aspettare e trattenersi. Temeva il peggio. Era ormai passato quasi un anno senza che avesse avuto più notizie del suo amico e adesso d’improvviso questa telefonata. Perché?
“Jack … Sì sì sta’..” La madre presa un po’ di sorpresa dal tono apprensivo e dalla domanda improvvisa esitò un momento “E’ per questo che l’ho chiamata Signore. Jack è .. qui a casa con noi …”
James si stava spazientendo da quelle mezze frasi, perché la donna non andava diretta al punto e gli diceva quale era il motivo della sua telefonata?
“.. Ecco … Magari le sembrerà un po’ strano, ma mio figlio chiede di lei. Non da sveglio.” Si corresse subito la donna “Durante la notte sussurra sempre il suo nome…” Silenzio “Mi chiedevo se…”
Bucky terminò per lei, sentendo quanto si peritasse nel chiederglielo
“Certo. Parto subito.”

Corse da Steve per chiedere il permesso ed il suo compagno non ci pensò su nemmeno un secondo
“Vai Buc. Va’ da lui.”

Una settimana dopo il sergente James Buchanan Barnes suonò al campanello della famiglia Hailey.
Jack era stato avvertito subito di chi sarebbe arrivato e così accantonò momentaneamente l’idea del suicidio, non si sarebbe ucciso, non prima di aver parlato e chiarito con Bucky, glielo doveva.

Bucky entrò in quella casa col cuore che batteva a mille per l'ansia non sapendo come lo avrebbe trovato perché in fondo non gli era stato spiegato niente durante la telefonata.
E non lo trovò bene, ovviamente meglio di come lo aveva lasciato, ma sembrava che quel male invisibile fosse ancora ben radicato e strisciasse dentro il corpo e la mente di quel povero ragazzo, devastandolo.
Avrebbe voluto abbracciarlo ma si trattenne non sapendo come Jack avrebbe reagito e non voleva certo guastare il suo delicato equilibrio psicologico. Anche se la madre si accorse che Jack fu’ felice di vedere quella persona nonostante non sorridesse o si fosse mosso impercettibilmente.
"Ciao soldatino" disse Bucky con una dolcezza infinita "Come stai?"
Jack distolse lo sguardo ed anche lì James capì che qualcosa non andava
"V-Vorrei parlarti da solo" disse Jack evitando di rispondere alla domanda, così i suoi familiari esaudirono il desiderio lasciandoli, la madre strinse dolcemente l'avambraccio del sergente, prima di uscire e Bucky si chiese se fosse stato un gesto di incoraggiamento a cercare di parlare col ragazzo e sbrogliare quell’intricata matassa di sofferenza che ancora imprigionava il suo essere o fosse stato un gesto di piacere che lui fosse venuto si rendesse disponibile per suo figlio.
Comunque, una volta soli Bucky aspettò che l'altro parlasse, ma Jack non riusciva a trovare le parole ed esitò a lungo, così iniziò lui
"Jack. Cosa c'è che non va? Non sei felice di essere finalmente a casa? Con i tuoi genitori e tua sorella? Sembrano proprio brava gente." Gli prese le mani nelle sue e lo sentì sussultare leggermente, mentre Jack teneva lo sguardo basso, evitava di guardarlo negli occhi per paura che l’altro riuscisse a decifrare e leggere i suoi propositi futuri.
Bucky sospirò e proseguì
"Mi dispiace terribilmente... Non sai quanto sono stato male per averti lasciato .... Dimenticato in quel maledetto accampamento... Era una mia responsabilità proteggerti ed invece..." Esitò guardandolo per capire se Jack avesse recepito ciò che gli stava dicendo, ma lui non mosse un unghia o cambiò espressione, ma iniziò a sentire le sue mani tremare piano e continuò
"E m-mi dispiace se ti ho fatto impazz.."
Ma Jack stavolta alzò la testa di scatto guardandolo negli occhi
"No... Tu non ... Tu non hai fatto niente di sbagliato...” Farfugliò a mezze frasi, come se non riuscisse più a comporre una frase come si deve
“Tu sei l'unico vero amico che abbia mai avuto.... Ti.. Ti ho sentito. ..So che mi eri vicino in ospedale, ma io..." riabbassò lo sguardo, adesso tremava tutto il suo corpo come una foglia
"Ho cercato di ucciderti...  Sa-Sapevo il protocollo che andava seguito ma ho perso troppo tempo ed ho fallito."
Bucky scosse la testa, il cuore stretto in una morsa
"Eri solamente giovane ed alle prime armi... Con un attacco di quella portata siamo andati tutti nel panico quindi non hai assolutamente niente da rimproverarti" Cercò di consolarlo.
Trapelava una tristezza infinita da quel ragazzo smunto e deperito e Bucky dovette fare uno sforzo enorme per cercare di non manifestare quanto patisse per lui.
Poi Jack fece un gesto che sorprese totalmente il sergente: si alzò di scatto dalla sedia e lo abbracciò.
Buc esitò poi ricambiò l'abbraccio molto cautamente, ma felice, col cuore ancora troppo stritolato per poter battere regolarmente.
Jack rimase diversi secondi con le braccia attorno al collo del suo amico, con il viso nascosto nel colletto della sua camicia verde militare, come se Bucky fosse l'ultima sua ancora di salvezza, ma era giunta l’ora di tagliare l'ultimo filo che lo tratteneva dall’esplicare il suo desiderio di farla finita con tutto quanto e si sciolse dall'abbraccio, guardando Bucky con gli occhi lucidi.
"Grazie per esser venuto qui"
A James suonò tanto come un addio, ma scacciò il brutto pensiero
"Hey. Sono qui e tornerò ogni qualvolta avrai bisogno" gli promise e Jack per la prima volta gli accennò un debole sorriso ed annuì.
“Saluta il capitano da parte mia quando lo vedrai”

Bucky si trattenne un paio di giorni, gentilmente ospitato dalla famiglia Hailey, poi decise di tornare al suo dovere di patriota, dopotutto c’era ancora una guerra in atto, Steve aveva bisogno di lui e Jack poteva riuscire a riprendersi piano piano. Ne fu’ un po’ sollevato e comunque gli promise che sarebbe tornato a trovarlo il più sovente possibile.

Il giorno della partenza di Bucky coincideva anche con uno dei controlli medici periodici che doveva affrontare Jack. Nonostante l’ospedale avesse dimesso il ragazzo, aveva dato ai genitori l’indirizzo di un bravo medico generico con anche un attestato conseguito in psicologia che esercitava proprio negli Stati Uniti, dove Jack avrebbe dovuto presentarsi regolarmente per una visita ogni due settimane, almeno finché il medico lo avesse ritenuto opportuno monitorando le sue condizioni fisiche e psichiche.
Jack odiava quelle visite. Da quel dannato giorno dello stupro nel campo militare il tocco di altre mani che non fossero le sue lo facevano tremare di repulsione ogni stramaledetta volta, accrescevano solamente la sua idea di essere un pezzo di carne di cui poter usufruire a piacere, anche se si trattava di una visita medica per il suo benessere fisico o delle carezze amorevoli della madre.
Ormai aveva sistemato anche le cose con il suo sergente. Era in pace con se’ stesso, era l’ora di farla finita.

Barnes accompagnò la famiglia allo studio medico, tanto la corriera che lo avrebbe portato al piccolo aeroporto locale passava lì accanto.
Una volta entrati per la visita James raccolse il suo bagaglio leggero e si recò alla fermata della corriera che sarebbe passata di lì ad una mezz’ora.

Jack come sempre rimase passivo ed immobile durante tutta la visita. Strinse i denti e deglutì ripetute volte alle mani che lo palpeggiavano e s’intrufolavano senza permesso e senza remore dappertutto.
Ripose come un automa alle domande che gli venivano poste e per il medico, fu’ tutto a posto. Il ragazzo reagiva positivamente alle cure ed il suo corpo ormai era guarito, infezioni non ce n’erano state fortunatamente e sembrava in lenta ripresa anche la sua psiche.
Mezz’ora dopo erano già fuori.
Jack disse ai suoi che doveva andare un momento in bagno e si allontanò nel corridoio, ma la stanza della toilette venne superata, arrivò alla rampa di scale che dal terzo piano della palazzina dove si trovavano, arrivava al quinto. Salì con calma, non aveva fretta né paura, in realtà era quasi felice che finalmente fosse finita.
Raggiunse il quinto piano e trovò il modo di salire su una piccola mansarda dove vi era una piccola finestra che dava sul tetto piatto. Era così magro che riuscì a sgattaiolare fuori, alcuni piccioni volarono via risentiti. E con passi lenti e decisi arrivò al bordo. Una specie di cornice alta una ventina di centimetri correva tutt’intorno al perimetro del tetto e lo separava dal vuoto.
Guardò di sotto. Una lacrima scappò dai suoi occhi precipitando giù, la avrebbe seguita a breve. Una folata di vento gli scompigliò i capelli e gli carezzò il volto come se volesse dargli un ultimo gesto d’affetto.
Sospirò, guardò davanti a se’ la bellezza del panorama che gli si presentava.

Bucky salì sull’autobus e si sedette vicino al finestrino.
Il mezzo partì e passò davanti al palazzo dove Jack stava facendo la visita medica. Distrattamente guardò l’edificio e qualcosa di strano attirò la sua attenzione. Tre o quattro persone stavano guardando ed indicando verso l’alto, alzò lo sguardo incuriosito e notò a malapena un ‘qualcosa’, poi l’autobus passò oltre. Il sergente rimase un momento confuso con espressione corrucciata, poi di colpo sbiancò per un pensiero che gli era d’improvviso apparso in mente, ripensando al loro saluto, all’abbraccio di Jack.
-… E se fosse … Ma no. Sicuramente mi sbaglio, quello poteva essere una persona addetta riparare qualcosa sul tetto …- Si disse tra sé e sé cercando di calmare un qualcosa che adesso gli chiudeva la bocca dello stomaco.
Si agitò sul sedile. Non poteva partire con quel dubbio orribile che adesso gli pugnalava il cuore. Se per caso quella figura che aveva intravisto là in cima fosse stato Jack?!
Lo aveva già abbandonato una volta. Non avrebbe commesso lo stesso errore. … Doveva almeno sincerarsi che chi aveva visto in piedi su quel tetto non fosse il suo amico.
Si alzò gridando all’autista di fermare l’autobus e scese, correndo più forte che poteva per tornare indietro.

I genitori di Jack si erano insospettiti, non vedendolo più uscire dal bagno, poi videro alcuni infermieri correre, gente che andava alla finestra e si precipitava a guardare fuori. Quando poi sentirono
“C’è uno che si vuol buttar di sotto!”
Si guardarono terrorizzati ed uscirono fuori anche loro guardando in alto dove spiccava la figura esile del loro figlio. Annabelle si sentì male. La sorella gridò.

Jack non poteva essere più in pace. Una sensazione che non provava più da così tanto tempo e volle goderne per un po’. Salì in piedi sul piccolissimo parapetto. Chiuse gli occhi inspirando profondamente. L’aria lì era pura, non contaminata da odori di garze, medicinali, odori di cibo, odori di persone, fumi degli scarichi delle auto, fumi della polvere da sparo, fumi delle deflagrazioni delle bombe o il fumo che l’aveva soffocato quel giorno impedendogli la fuga. Niente di tutto questo.
Non fece nemmeno caso alle voci allarmate sottostanti o a quei due infermieri che stavano cercando di allargare la piccola finestra per salire sul tetto e raggiungere il ragazzo.

James finalmente arrivò davanti al palazzo ansimando senza fiato, guardò in alto e tutte le sue paure divennero certezze. La figura ritta sul bordo del tetto dell’edificio era proprio il suo amico.
“Non stavolta!” Si disse e corse dentro, raggiungendo la scala e salendo i gradini due a due, senza fermarsi finché non raggiunse la cima.
Si mise a discutere con i due infermieri che non volevano saperne di farlo passare.
“Se non mi fate andare da lui. Morirà!”
“Non può andare. Dobbiamo occuparcene noi”
La sorella di Jack, che aveva visto il sergente precipitarsi dentro, l’aveva seguito. Colpì i due infermieri dietro la testa con una sbarra di un vecchio letto, che era stata lasciata lì in mansarda.
James la guardò un secondo
“Va’ da mio fratello. Ti prego salvalo.”
Bucky annuì e anche se con difficoltà, uscì sul terrazzo andando vicino a Jack che stava ancora ad occhi chiusi
“Jack … Sono Bucky”
Jack aprì immediatamente gli occhi, come sottratto ad un sogno bellissimo. Si sarebbe aspettato di tutto, ma non di sentire ancora quella voce. Lui doveva esser già andato via.
Voltò la testa guardandolo angosciato.
“Co-Cosa ci fai tu ancora qui?!” Chiese con un filo di voce
No, non voleva che Barnes assistesse alla sua morte.
James fece altri due passi verso il ragazzo, cercando di avvicinarsi
“Jack. Perché sei qui? .. Ti prego non farlo.” Lanciò un’occhiata verso il basso
Le lacrime iniziarono a rigare le guance del ragazzo
“Io-Io non resisto più. Tu non sai co-cosa vuol dire vivere in queste condizioni… N-Non sai cosa s-si prova ad esser bloccati su un t-tavolo e…”
Anche dagli occhi di Barnes iniziarono a cadere lacrime.
“No. No hai ragione. Non lo so. Non posso saperlo. Nessuno dovrebbe nemmeno immaginare di affrontare quello che hai passato tu. Ma puoi venirne fuori.. Sei forte. Non lasciare che chi ti ha fatto del male abbia anche questa vittoria. Se .. Tu adesso ti uccidi, loro avranno vinto una volta di più! Ti prego. Se ti uccidi, ucciderai anche me, tua sorella, i tuoi genitori.” Spiegò Bucky tentando di fargli cambiare idea e farlo ragionare. Non era uno psicologo e forse stava sbagliando tutto, ma lasciò che fosse il suo cuore a guidarlo.

Jack tornò a guardare avanti a sé
“Senti che pace c’è quassù. Io voglio solo provare di nuovo pace e serenità. Non voglio più incubi o visite. .. Non riesco veramente a svegliarmi giorno dopo giorno. E’ troppo per me. Non ce la faccio veramente più. Perdonami amico mio.” Jack chiuse gli occhi, inspirò e si sbilanciò leggermente in avanti lasciando che poi la gravità facesse il resto.

Il sergente Barnes scattò in avanti lanciandosi in quei due metri che li separavano. Afferrò Jack per un polso, ma il peso del ragazzo ormai in caduta, seppur blando lo sbilanciò e si sentì trascinare oltre il parapetto. Si rigirò afferrandosi con un braccio al bordo e gridando di dolore quando il contraccolpo del peso morto dei loro corpi gli stirò i legamenti della spalla. Ma non mollò nessuna delle due prese.
La sorella di Jack si precipitò a reggere il braccio di Barnes chiedendo aiuto a squarcia gola.

“Lasciami andare James ti prego!” Piangeva Jack disperato
“Nooo!! Ti ho lasciato una volta!! Non commetterò quest’errore di nuovo!! Non ti lascerò!!”

Poco dopo altre persone accorsero sul tetto e tirarono su’ i due ragazzi che rotolarono sul piano. Bucky ansimava per il pericolo scampato, ma abbracciò Jack stringendolo al petto con il braccio ancora funzionante.
“Non meriti questa fine indegna e miserabile … Non sarai mai più solo. Rimarrò con te tutto il tempo necessario finché tu non sarai di nuovo il ragazzo forte che conoscevo. Ce la farai. Ne sono sicuro.” Ripeté mentre Jack gli singhiozzava disperato e finalmente sfogando tutto il suo dolore contro il petto del sergente, mentre anche i genitori gli si erano stretti intorno.
“Nessuno ti lascerà solo, figlio mio.” Sottolineò il padre.

***

 

Da quel giorno tutti furono più attenti alle necessità del giovane uomo.
Jack iniziò un lungo e faticoso percorso per sbloccare la sua mente, alleggerirla da tutta quella matassa intricata di sentimenti e ricordi che lo atterrivano e che spesso ancora cercavano di portarlo nel baratro della disperazione, ma con pazienza e determinazione iniziò lentamente a venirne fuori.

Non tornerà mai più il ragazzo spensierato e felice che era prima della guerra, cicatrici pronte a riaprirsi saranno sempre lì in agguato, ma riuscì a portare avanti la sua vita, giorno dopo giorno.
Questa volta quando venne il momento per Bucky di lasciarlo, fu’ un saluto sereno per entrambi. Niente più rimorsi di coscienza per il giovane sergente.
Jack iniziò a lavorare con la sorella ed aprirono un autorimessa dove noleggiavano auto. In quel periodo incontrò una donna Mariah, si innamorarono e lei decise di passare il resto della sua vita con lui, aiutandolo nei momenti difficili ed amandolo anima e cuore.
Un giorno, visitarono un orfanotrofio, Christopher un bambino orfano vittima della guerra toccò profondamente i loro cuori e visto che non potevano avere figli propri, decisero di adottarlo, finalmente con lui Jack tornò a provare di nuovo un po’ di quella pace tanto agognata.
Ogni tanto per le ricorrenze invitavano Bucky e Cap, tanto la guerra sembrava in via di conclusione, e tutto sembrava tornato abbastanza nella normalità, almeno fin quando Steve non dovette dargli la notizia che Bucky era caduto giù da un treno durante un attacco ed era morto. Fu’ un colpo durissimo per Jack e rischiò di nuovo di riportarlo nel baratro della disperazione … Ma questa è un’altra storia… Jack visse, continuò a vivere pensando a quanto il suo amico aveva sacrificato e dato per lui, portandolo per sempre nel suo cuore.

 

The End

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Captain America / Vai alla pagina dell'autore: Mikarchangel74