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Autore: Lost In Donbass    27/08/2018    0 recensioni
Denis è arrogante, spaccone e attaccabrighe, ma in realtà cerca solo qualcuno da amare. E che lo ami a sua volta.
Valentina è depressa e devastata, ma riesce sempre a dipingersi un sorriso sulle labbra. Per ora.
Ylja ha una famiglia distrutta, un fidanzato disturbato e gli occhi più belli di tutta la Russia. Però è tremendamente stanco.
Valerya ha tanti demoni, lo sanno tutti. Nessuno però ha mai tentato di esorcizzarla.
Aleksandra sembra essere la ragazza perfetta, anche se nasconde un segreto che non la farebbe più sembrare tale.
Kuzma tira le fila e li tiene tutti uniti, è quello che li salva. Eppure sa che non farà una bella fine.
Sono arrabbiati e distrutti. Sono orgogliosi e violenti. Amano, odiano, bevono e si sballano.
Sono i ragazzi del Blocco di Ekaterimburg e questa è la loro storia.
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
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REMEMBER TO LEARN TO FORGET WHISKEY SHOTS AND CHEAP CIGARETTES

CAPITOLO UNO: I RAGAZZI DEL BLOCCO

All my life they said I’d be nothing
But I’m something
And I rather be a stray
Than be nothing to no one at all
(Sleeping With Sirens – The Strays)



Li conoscevano tutti, nel quartiere. I ragazzacci rocker che se ne stavano tutto il giorno a bighellonare per la città, indolenti e annoiati. Il gruppo di scappati di casa che fumava sigarette riciclate e beveva vodka sin dalle otto di mattina. La compagnia da cui le madri ti tenevano lontano e dei quali i padri sparlavano a cena. Non c’era nessuno che non provasse una sorta di morbosa attrazione per quei ragazzi, un vago senso d’invidia per il loro menefreghismo e la loro bellezza da rivista. Non c’era ragazzo o ragazza in città che non aveva desiderato, almeno una volta, fare parte di quel gruppo che gli adulti denigravano come la peste. Li guardavano, spigliati, violenti e volgari, con gli skateboard appesi agli zaini e la musica a palla nelle casse che si portavano sempre dietro, mentre scendevano per le strade. Ridevano sempre, risate forti e conturbanti, amavano mettersi nei guai, con quelle mazze da baseball e quelle bombolette spray. Camminavano a testa alta, sfacciati e arroganti, si credevano padroni del mondo e facevano di tutto per ricordare ai loro concittadini che loro avevano decisamente una marcia in più. A scuola, tutti li osservavano di nascosto, nascondendosi dietro occhiate sdegnose o dietro sorrisi incerti, spiando le mosse del piccolo branco di teppisti. Tutte le ragazze della scuola avevano desiderato almeno una volta farsi sbattere dal capobanda, tutti i ragazzi avevano osservato il fisico da modella della bionda. Erano pur sempre la teppaglia da cui tutti cercavano di tenerti lontano, ma che calamitava l’attenzione più di quanto potesse farlo una rock band all’apice della fama. Belli, strafatti, inconcludenti: il fascino dei perduti che avrebbe incantato chiunque.
Erano i ragazzi di periferia, e questa è loro storia.

Un sorso di vodka. Una sigaretta. Un altro sorso di vodka. L’ultima hit dei Green Day da canticchiare a mezza voce. Dai, ancora un po’ di vodka. Si spegne la sigaretta e, cazzo, hai scordato l’accendino a casa. Occhi al cielo e colpo di tacco sul selciato. L’ennesimo sorso per tirarsi su di morale. Occhiolino alla sventola bionda che ti ha appena attraversato la strada. Occhiata al cellulare, giusto per ingannare il tempo. Ancora un po’ di vodka, forza. Frugata alla ricerca di un fiammifero e sbuffo quando la ricerca si rivela infruttuosa. Altro occhiolino alla sventola di prima che è tornata indietro e ti sta mangiando con gli occhi: ancora cinque minuti lì impalato e recuperi il suo numero, sicuro. Mano tra i capelli, come fanno gli attori americani. La sventola comincia ad avvicinarsi ancheggiando, e tu sei pronto. Sorridi, fingendo di sistemarti il chiodo di finta pelle. Eccola che arriva, la pollastra. Distogli un attimo lo sguardo, giusto per non fare la figura del morto di sesso. Regalata, bello, regalata. Lei è al tuo fianco, dice qualcosa, con quell’accento ucraino che ti manda su di giri come niente.  Ti volti, il ciuffo opportunamente sistemato sull’occhio. Ehi, dolcezza, hai mai visto niente di simile nella periferia dell’impero?

-Ohi, maiale, mi stai ascoltando oppure no?
Non appena udì la voce di Kuzma, il suo migliore amico, Denis si riebbe di colpo dalla trance autoindotta dopo aver visto l’ennesima pubblicità del concerto di quella cantante ucraina super sventola.
-Eh, sì, ci sono, presente.- si affrettò a blaterare, tentando di cancellare dalla mente immagini poco consone di lui e della cantante-sventola impegnati in una sessione di baci travolgenti. – Cosa mi stavi dicendo?
-Se mi ascoltassi, invece di farti seghe mentali su quella lì … dio, ma non puoi lasciare certe cose a quando sei da solo in camera tua?!
-Non basta, amico, non basta.- il filo di bavetta che seguì questa affermazione fu piuttosto esaustivo.
I due ragazzi seduti sul cavalcavia, impegnati a bere da una fiaschetta e a fumarsi qualche sigaretta appena girata, erano i classici tipi da cui la mamma vuole tenerti lontano. Chi li avesse visti dall’esterno, avrebbe riportato un ragazzo alto, con un fisico da militare e i chiari occhi sinceri, insieme a un altro poco di buono sporcato da tatuaggi e capelli spettinati, col chiodo bucherellato. Una coppia da cui stare alla larga, probabilmente violenti, probabilmente gentaglia col coltello sempre in mano. Chi invece li avesse conosciuti, avrebbe riportato un delicato giovane appassionato di poesia e di vestiti e uno scapestrato ragazzo affettuoso e innocentemente ossessionato dal sesso. Niente di così spaventoso come pensava la gente. Ma finché rimaneva la brutta nomea, i due non si preoccupavano più di tanto. In fondo, la periferia era la loro, non c’era altra storia. Quel cavalcavia di ferro dove si arrampicavano era la loro Statua della Libertà, da dove si vedeva tutto il Blocco, quel quartiere popolare nella periferia di Ekaterimburg che faceva rizzare i capelli in testa. Enormi palazzi di stampo sovietico incastrati nel gelo siberiano, distese di cemento, asfalto e rovina sociale che loro comandavano a loro piacimento. Erano fieri in maniera quasi morbosa di quel quartiere cadente e povero, orgogliosi della loro appartenenza, non avevano paura di dire “siamo ragazzi del Blocco”, ben sapendo cosa pensava la gente di quell’ammasso di brutture architettoniche e di demolizione sociale in ogni senso. Ma loro ci erano nati, il sangue che scorreva nelle loro vene era quello della periferia, il loro orgoglio era stato forgiato nel degrado, il loro senso dell’onore era stato inciso in quei palazzi semi distrutti. I ragazzi della periferia portavano alta la bandiera di quell’inferno urbano e non se ne vergognavano.
-Comunque, torniamo a noi. Cosa dicevi?- Denis lanciò nel vuoto il mozzicone della sigaretta e lo guardò cadere esattamente sopra a un tir che passava a tutta velocità.
-Che dovremmo trovare un nascondiglio migliore per la roba.- continuò flemmatico Kuzma, bevendo un sorso di vodka.
-Perché?!- Denis sbatté le lunghe ciglia da ragazza, che gli ombreggiavano un grosso paio di occhi ambrati – E’ già in un nascondiglio perfetto.
-Certo, tenerla dentro al mappamondo di tua nonna è veramente geniale, wow.- Kuzma scosse la testa, roteando gli occhi al cielo – Denis, ma dove ce l’hai la testa?
-In mezzo alle sue gambe … - il ragazzo indicò di nuovo l’immagine gigante della cantante-sventola che campeggiava esattamente di fronte a loro.
Un sordo schiaffo sul collo lo costrinse a distogliere lo sguardo dal sorriso smagliante della bionda ucraina e a concentrarsi sul suo migliore amico. Che, guarda caso, era biondo anche lui.
-Ahia, okay, scusa, torniamo a noi. Niente mappamondo. Se la mettessimo nel cassetto della biancheria di Sasha? Magari fingendo che siano i sacchettini alla lavanda che profumano?
-E pensi che sua madre non se ne accorga se sua figlia indossa biancheria che puzza di marijuana da qui a un chilometro?
Kuzma alzò un sopracciglio e Denis si ritrovò suo malgrado ad annuire.
-E se usassimo un libro finto? Compriamo una scatola, la imbottiamo di erba e poi fingiamo sia un volume di rara consultazione.
-Questa non è male. Sempre che a qualcuno non venga voglia di aprirlo …
-Kuzma, che palle! Sei un disfattista!
-Sei te che ragioni solo con l’aggeggio là sotto e mai col cervello, sempre che tu lo abbia! E sei anche fidanzato, ti ricordo.
I due amici si guardarono negli occhi, un paio piccoli e celesti e l’altro paio grandi e ambrati, e rimasero per un po’ in silenzio. A volte, tra loro, bastava quello per capirsi. Un’occhiata più significativa di mille parole, un’impercettibile stretta di mano, un dialogo muto che andava avanti da oramai diciotto anni e che si costruiva sui litigi furiosi, sugli abbracci rubati, sui ricordi condivisi, su un’amicizia che nulla avrebbe potuto spezzare. Non avevano nemmeno bisogno di parlare per capire come si sentiva l’altro, un solo sorriso poteva fermare un pianto, un ringhio interrompeva un errore ancora prima che fosse compiuto, un rapido cenno d’assenso era una promessa. Se glielo avessero chiesto, nessuno dei due sarebbe stato in grado di ricordare quando era cominciata la loro amicizia. Semplicemente, erano sempre stati un loro. Loro quando si ubriacavano. Loro quando pestavano. Loro quando piangevano. Loro quando sognavano. Semplicemente Denis e Kuzma, la coppia inseparabile che calcava da anni le periferie di cemento della grande città russa e che faceva faville con i loro sorrisi bruciati e le loro voci rovinate dalla vodka a poco prezzo e dalle sigarette riciclate.
-E’ successo qualcosa tra di voi?- Kuzma piegò la testa, alzando un sopracciglio.
Denis si morse il labbro, scompigliandosi i capelli, come faceva ogni volta che non voleva intavolare la conversazione. Bevve un sorso di vodka per farsi coraggio e sputò di sotto, beccando il parabrezza di una macchina che transitava. Ridacchiò da solo, fiero della mira dei suoi sputi
-Abbiamo litigato. Come al solito.
Non andava sicuramente fiero delle continue liti tra lui e Sasha, ma non poteva fare a meno di adottare quel tono sfrontato e menefreghista che poco si addiceva a quello che realmente provava quando lei lo cacciava fuori di casa. D’altronde, era lui l’uomo della situazione. Che razza di figura ci avrebbe fatto a piagnucolare solo perché il loro rapporto già ballerino andava deteriorandosi sempre di più? Nessuno si aspettava che Denis Shostakovich, il capobanda del Blocco, frignasse per una ragazza; e anche se lui lo avrebbe volentieri fatto, tentava di tenere alto il personaggio che si era costruito negli anni. Il belloccio di periferia che sputava in faccia a tutti e rideva di fronte alla morte.
-Cos’è successo questa volta?
Kuzma gli passò dolcemente un braccio attorno alle spalle e Denis gli si strinse contro, dondolando le gambe nel vuoto sotto di loro. A volte si chiedeva come sarebbe stato andare a letto col suo migliore amico, cosa avrebbe provato, come si sarebbero comportati, chi sarebbe stato sopra e chi sotto, ma ogni volta che provava l’impulso irrefrenabile di baciarlo, si bloccava. Aveva troppa paura dell’eventuale rappresaglia di Kuzma per muovere il primo passo, e tutti sapevano cosa comportavano le rappresaglie del ragazzo.
-Non me lo ricordo nemmeno più. Stavamo guardando la tv, in casa sua, e io devo aver fatto qualche commento su non so cosa, e lei si è innervosita, e allora mi sono girati i coglioni anche a me, e poi come al solito siamo quasi arrivati alle mani, così me ne sono andato sbattendo la porta e lei ha continuato a urlami contro dalla tromba delle scale. Solita, vecchia storia.
Denis fece le fusa come un gatto quando Kuzma gli scompigliò i capelli e gli baciò la tempia, con quei suoi modi delicati e affettuosi.
-A volte mi chiedo perché non ci siamo messi insieme io e te.- brontolò, passandogli la fiaschetta quasi vuota.
-Perché ci saremmo presi a ceffoni dopo due minuti.- gli ricordò tranquillamente Kuzma, bevendo quel che rimaneva della vodka – Den, io e te siamo fatti per essere migliori amici, non amanti.
Denis annuì, ma la voglia di baciare ed eventualmente andare a letto con Kuzma non era così peregrina nella sua testa. Certo, riconosceva che come coppia probabilmente si sarebbero davvero presi a pugni, troppo diversi per poter veramente stare insieme, ma contemporaneamente troppo simili per lasciarsi andare. No, forse non era innamorato del suo biondo migliore amico, ma ne era attratto. Attratto dal suo corpo perfetto, dai suoi occhi sinceri, dalla sua calma e dalla sua tranquillità, dalla sua erudizione sconfinata, dal suo coraggio e dalla sua gentilezza abilmente dissimulata dallo sguardo gelido e dai modi scostanti. Lo avrebbe ammesso senza tanti complimenti: Kuzma Lukjanenko era affascinante, e non nascondeva nemmeno a se stesso che ogni tanto, la notte, pensava a lui insieme alle varie cantanti più o meno vestite che andavano di moda. Triangoli. Ménage a trois. Cavolo, avrebbe dovuto fare il regista di film porno, il successo era assicurato.
-Cosa ne dici, andiamo un po’ a vedere cosa fanno gli altri?- propose, stiracchiandosi.
-Sì, così magari la pianti di sbavare su quel cartellone.
-Non sto sbavando!
-Muoviti, maiale.
-Ammetti che è una sventola storica.
-Ammetti che sei un maiale, e poi forse ne riparliamo.

Accocolate sul grosso letto rimboccato da un piumone rosa shocking, due giovani ragazze stavano guardando l’ennesima puntata di Pretty Little Liars, seppellite da grandi cuscini a forma di cuore e da una ciotola di patatine quasi finita. Niente di così innovativo nella tranquilla routine di Aleksandra e Valentina, più comunemente conosciute come Sasha e Valya, o, semplicemente, come “le ragazze del Blocco”.  Più che amiche, sorelle o amanti, le due vivevano in simbiosi da quando erano nate, attaccate una all’altra come gemelle, dipendenti come fossero una la sigaretta dell’altra. Certo, alcuni potevano trovare il loro rapporto quasi nauseante ma non i loro amici, abituati a vederle come un’unica entità semovente. Non c’era volta in cui le due non stessero insieme, esclusa qualche uscita romantica tra Sasha e Denis, che però si concludevano sempre con la medesima frase del ragazzo “Tanto varrebbe che venisse anche Valya”. L’ultima volta che aveva tentato di proporre una threesome, però, era stato brutalmente zittito da tutta la banda, tanto da costringerlo a tenersi per lui le sue strampalate idee su eventuali avventure notturne. In cuor suo, però, non aveva mai davvero perso le speranze.
-Stai ancora pensando a Den, o sbaglio?
Valentina interruppe la puntata, voltandosi verso l’amica, un sopracciglio alzato. Come se non sapesse che quando Sasha si rosicchiava le unghie era chiaro segnale di nervosismo. La ragazza smise di colpo di martoriarsi le unghie e sbuffò, roteando i grandi occhi verdi al cielo
-Dai, Valya, non infierire … - mugolò indistintamente, mettendosi a ruminare qualche patatina sbriciolata – Abbiamo litigato, come al solito.
-Litigate un po’ tanto in questo periodo, correggimi se sbaglio.
Valya accarezzò i lunghi capelli biondo platino di Sasha, mettendole una ciocca dietro l’orecchio, indugiando per un attimo quando sfiorò la candida pelle. C’erano momenti in cui avrebbe così tanto voluto mordicchiare quel piccolo orecchio da elfo, o affondare il nasino in quei lisci capelli così chiari e profumati, ma si tratteneva, sapendo quanto sarebbe suonata scorretta una sua azione del genere. Era la sua migliore amica, mica la sua ragazza, certe azioni non aveva sicuramente il diritto di farle. Eppure quanto avrebbe voluto essere al posto di Denis, a volte. Poterla tenere per mano quando si andava a bighellonare in giro, baciarla sotto la luce lunare, imboccarla di torta a San Valentino, prometterle il mondo ogni sera prima di addormentarsi. Invece, era confinata a far solamente l’amica: quella che sì, ci dorme insieme e la può guardare farsi la doccia, ma che non può permettersi di toccarla come avrebbe voluto né di dirle quello che le premeva da anni. Valya ci aveva sempre sofferto, e teneva dentro di sé quella malinconia come un germe che attechiva sempre di più. Ma cosa poteva fare, quando sapeva che Sasha era innamorata persa di Denis e che probabilmente era troppo etero per poter fare anche solo un mezzo pensiero su di lei? Niente, poteva fare, se non continuare l’eterna recita della migliore amica pronta a spalleggiare l’altra sino alla fine. E sperare che finalmente rompesse con il loro storico amico. Valya voleva molto bene a Denis, quello era chiaro, voleva solo che … ecco, che le lasciasse Sasha in palio.
-Ma è colpa sua!- sbottò Sasha, affondando tra i cuscini – Non so, guarda il culo a uomini e donne indiscriminatamente che io sia lì o no, probabilmente chissà chi si scopa quando io non ci sono, ha la sensibilità di un parafango, mi sventaglia in giro come fossi un trofeo … ma che maniere sono?!
-Lo sai che ti vuole bene, Sasha.- brontolò di rimando Valya, legandosi i lunghi capelli neri e rosa in uno chignon disordinato – E’ un bravo ragazzo, solo un po’ coglione. Deve ancora crescere, lo sai meglio di me.
-Me ne frego!- ribatté la bionda, sputando di colpo la manciata di patatine che si era inavvertitamente infilata in bocca – So benissimo che mi vuole bene, è mio amico e come amico lo posso ancora sopportare, ma come ragazzo basta! Nemmeno che fossi la sua sgualdrina.
Se Valya fosse stata sul punto di farle notare che, se si fossero messe insieme, lei l’avrebbe trattata come una principessa, non lo fece vedere. Rimase impassibile, con un certo sforzo e si trattenne anche dal darle un bacino su quella bella bocca. Erano anni che resisteva indomita alla tentazione, anni che si rodeva, anni che si autodistruggeva con quell’amore a senso unico. E anni che ogni mattina ci metteva sempre di più a dipingersi un sorriso sincero sulle labbra.
-Ma allora non capisco perché non lo lasci, tesoro.- osservò, sfarfallando le lunghe ciglia incrostate di mascara – Nemmeno che la vostra amiciza si guasti.
Sasha ci mise un po’ a rispondere, impegnata a rigirarsi una ciocca tra le dita, una buffa smorfia dipinta sul bel viso da bambolina dei sobborghi. Bellissima, sboccata, apparentemente stupida: Aleksandra Bazarova era l’idolo del Blocco di Ekaterimburg. Ma come per tutti era una stella nascente dell’infinito cielo russo, un angelo di periferia a tutti gli effetti, per sé stessa non era altro che un demone a doppio taglio che si uccideva da solo ogni santo giorno. Se solo la gente avesse saputo quanti drammi si nascondevano dietro agli occhi ridenti della bella Sasha. Se solo fossero stati capaci di strapparle quel falso sorriso da copertina e avessero scoperto il marcio che lei nascondeva abilmente sotto le felpe sformate.
-Non lo so, amore … - brontolò Sasha, poggiando la testa sul grembo di Valya – Forse perché a letto è una bomba.
Le due ragazze risero in coro, con le loro risate distrutte da adolescenze rovinate e infanzie mai davvero vissute.
-Oppure è solo perché non ho voglia di cambiamenti drastici.- continuò, più seria – Stare con Den è così tremendamente ovvio, così meccanico che non avrei proprio voglia di sconvolgere tutto, fare finta di non sopportarci per qualche settimana e poi ricominciare come amici. È più semplice vivere così.
-La vita non sarà sempre così facile, Sasha, ricordatelo.- le ripeté per l’ennesima volta Valya, tormentandosi l’anellino all’angolo del labbro – A volte bisogna anche saper fare delle scelte.
-Lo so … ma dovrò farne così tante quando crescerò che non ho proprio voglia di cominciare già adesso. Ma poi chi lo sa, magari domani rompiamo e io avrò bellamente dimenticato quello che ti ho detto oggi.
Sasha rise, gli occhi allegri e il sorriso luccicante e Valentina rise a sua volta, perché per lei la felicità era vedere la propria amica felice. Poteva suonare sdolcinato, ma in fondo a loro non rimaneva altro che quello. Le loro amicizie. I loro odi. Le loro liti. I loro drammi. Tutte cose alle quali erano troppo legati per lasciarle andare, cicatrici che li aiutavano a stare a galla e che ricordavano a tutti loro che sì, erano ancora in piedi, e che sì, in qualche modo sarebbero sopravvissuti. Mutilati, ma vivi.
Rimasero per qualche attimo abbracciate, avvolte dal rosa tenue delle pareti e dai poster di cantanti pop che tappezzavano le pareti, quando il delicato squillo di un messaggio non le svegliò dal dolce torpore che le aveva avvolte.
-Guarda, è Kuzma.- commentò Valya, scorrendo il messaggio – Chiede se abbiamo voglia di andare al covo. Ci sono anche Denis e Lera.
Le due ragazze si guardarono, e Sasha fu la prima a saltare in piedi, in un turbinio di capelli biondissimi e felpa blu elettrico
-Andiamo, allora. Forse prendere un po’ d’aria mi aiuterà a schiarirmi le idee.
-C’è anche Den, ti ricordo.- ridacchiò Valya, alzandosi a sua volta, stirandosi i vestiti spiegazzati.
-Me ne farò una ragione, anche se l’ascia di guerra è ben lungi dall’essere sepolta.
Le due ragazze si sorrisero e, in fretta e furia, cominciarono a mettersi le scarpe. Destinazione, il covo.


***
Eccoci qua con una nuova storia che spero vi piaccia. Ci sto mettendo anima e corpo quindi fatemi sapere cosa ne pensate! Per facilitare la lettura, lascio una schedina con i nomi e i diminutivi dei personaggi
Denis: Den, Denisoch'ka
Kuzma: Kuzja
Valentina: Valya, Valyoch'ka
Aleksandra: Sasha
Valerya: Lera, Leroch'ka
Ylja: Yljusha




  
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