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Autore: Alfred il sanguinario    28/08/2018    1 recensioni
E' passato un anno dal brutale omicidio che ha scosso l'intero Regno Unito: un giovane adolescente, Bryan Miller, brutalmente stuprato e ucciso da un ragazzo poco più grande di lui: Thomas, un diciannovenne tranquillo e insospettabile, conosciuto su internet e che sembrava animato solo che da buone intenzioni, di cui il giovane ed ingenuo Bryan si fidava ciecamente.
Steve li conosceva entrambi, ed era in quella stessa casa quando l'orribile delitto si è consumato. Era scappato dalla finestra, in preda al panico, ancora insanguinato e tremante. La stampa lo ha soprannominato 'the final boy', dato che è sopravvissuto alla furia omicida di Thomas, nonostante una grave ferita alla spalla.
Ma ora Steve comincia a ricevere strane lettere dal carcere dove Thomas è detenuto. Steve non ricorda nulla di quella sera, o quasi. Gli psichiatri e la polizia gli hanno creduto ciecamente, nessuno gli ha mai fatto troppe domande. Ma cosa ci faceva lì? E cos'è che non riesce a ricordare, ma che Thomas ricorda? E' un sopravvissuto, un eroico 'final boy', oppure è un criminale impunito?
Genere: Introspettivo, Thriller, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
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Era una giornata grigia. Il sole era coperto da fitte nubi, e nemmeno un raggio riusciva a illuminare quel quartiere di Newcastle. I piccioni volavano bassi, e l'asfalto era ancora umido per via della pioggia della notte. Non c'era molta gente per le strade; in fondo era domenica, ed era molto presto. Solo qualche anziano procedeva a passo molto lento, probabilmente diretto al supermercato come di routine, o in chiesa. 
Steve osservava quel panorama dalla finestra di casa sua, tenendo una sigaretta accesa fra le dita. Il suo sguardo era vacuo, fisso sui giochi per bambini del parco sottostante, completamente vuoti. La luce era così grigia che sembrava quasi di essere in un film in bianco e nero, pensò.
Portò la sigaretta alla bocca e inspirò profondamente. Poi chiuse gli occhi ed espirò, lasciando uscire il fumo. Un anno prima, non si sarebbe mai sognato di accendere una sigaretta in casa, specialmente mentre sua madre era in casa. Ma ormai sapeva che non gli avrebbe detto nulla. Non le importava, o forse in realtà le importava, ma tutti le avevano detto che doveva lasciarlo stare, allentare la presa per un po'. Non poteva stargli addosso, anche la terapista glielo aveva detto. 
Tutto era cambiato da un anno a quella parte, ma non in meglio. Sua madre gli parlava sempre con un tono calmo e distaccato, come si parla a quei bambini particolarmente emotivi che hai paura di far piangere davanti alla loro madre. Aveva perennemente una nota di pietà, o di timore. Sembrava che camminasse sul ghiaccio sottile ogni volta che gli si rivolgeva. 
Steve sapeva che non poteva parlare dei suoi problemi con lei, nonostante lei gli ripetesse in continuazione che era pronta ad ascoltarlo. Si sarebbe preoccupata, sarebbe andata in fibrillazione a sentire quanti incubi Steve faceva ancora, e quante volte durante il giorno gli capitava di ripensare all'unico ricordo di quella terribile notte che aveva. 
Tutto questo rimaneva nella sua testa, era confinato. Non amava entrare nei dettagli nemmeno con la terapista, lo aveva fatto solo una volta. Per il resto si limitava a parlarle dei suoi incubi, delle strane altalente di emozioni che pervadevano i suoi giorni, ma solo una volta le aveva raccontato esplicitamente il suo ricordo. E da allora non ne aveva più fatto menzione, non direttamente. 
In quel momento, mentre Steve era completamente assorto dai suoi pensieri, qualcuno suonò alla porta. Steve pensò di ignorarlo, ma poi gli venne in mente che se non avesse aperto lui, sua madre si sarebbe svegliata e gli avrebbe chiesto perché non aveva aperto la porta. Così lasciò cadere la sigaretta, distrattamente, e si diresse verso la porta. Aprì senza pensarci, e si trovò davanti un postino. Giovane, avrà avuto sì e no venticinque anni. 
"E' qui Steven Morgan?" chiese.
"Sì, sono io..." disse lui, leggermente confuso dalla situazione. 
L'uomo gli porse una lettera. Steve esitò, "E' per te." lo incalzò lui. 
Steve la afferrò. 
"Mi hanno chiesto di dartela personalmente e non lasciarla nella cassetta." disse.
"Chi lo ha chiesto?" 
"Un uomo" rispose lui facendo spallucce. "Arrivederci" disse, mentre si allontava. 
Steve richiuse la porta, e osservò la lettera. Il destinatario era lui, e quando lesse il mittente ebbe un sussulto. Sentì la temperatura corporea salirgli improvissamente, il torace era come invaso da un caldo veleno. 
Prigione Statale di Shepton Mallet. 

Non aveva alternative. L'unica cosa che riusciva a percepire era la paura, l'urgenza di allontanarsi da quel luogo, non aveva tempo di pensare al perché o rimuginare. Si trovava sul cornicione del palazzo, e poteva vedere chiaramente le impronte di sangue che lasciava sulla superficie, mentre gattonava più veloce che poteva, col cuore in gola. Ma non riusciva a pensare distintamente, sentiva le lacrime rigargli il volto e il cuore battergli all'impazzata, ma non sapeva nemmeno perché. Mentre si allontanava, gattonando alla cieca, a letteralmente dieci centimetri da un pendio mortale, senza vedere nulla, sentiva delle urla strazianti alle sue spalle. 
"Steve!" era l'unica cosa che ricordava di aver udito distintamente. Riconobbe quella voce, la riconobbe immediatamente sul momento, ma quando tre quarti d'ora dopo i soccorsi giunsero su quel cornicione, dove si era rannicchiato, dicendogli gentilmente di afferrare la loro mano, si era già dimenticato. Di chi era quella voce? 
  
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