Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Ang_V97    30/08/2018    0 recensioni
Dal testo: «E a te che hai letto tutto il mio diario, non penserai che questo sia l’unico? E non penserai che questo sia tutto!
Cercali, trovali, leggili e impara ad amare te stesso/a, la tua famiglia, la tua casa, il tuo passato.»
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Anna, Elsa, Sorpresa
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quando mi dissero che un viaggio diplomatico può cambiare la tua vita, non sapevo quanto avessero ragione. Mi avevano detto che sarebbe bastato andare lì, salutare, stringere qualche mano, poi sarebbe arrivato il momento di cenare, posare per qualche ritratto e alla fine sarei ripartita per tornare a casa. Ma non è mai così, vero? Non è mai semplice come lo descrivono. Non è mai così poco doloroso come lo è in realtà.
Ricordo tutto molto nitidamente, come stesse accadendo ora, ed invece chiunque stia leggendo questo diario sa bene che le cose che andrà a leggere sono successe molte vite fa…
 
«Regina Elsa, la nave è pronta a salpare: aspetta solo lei.»
La voce di una delle mie guardie mi arrivò alle orecchie in modo molto distinto, nonostante io fossi totalmente assorta in altri pensieri. Ero agitata: generalmente era Anna ad andare in viaggio con Kristoff, non io! Ma il mio consigliere disse che per quel particolare incontro c’era bisogno della Regina, e quindi eccomi qui: pronta ad imbarcarmi su una nave, da sola, sperando di tornare presto ad Arendelle. Amavo molto avere rapporti con gli altri regnanti, mostrarmi in pubblico, conoscere persone nuove, ma questo solo quando c’era mia sorella accanto a me e soprattutto solo quando erano loro a venire nel mio regno di ghiaccio. Spostarmi per mesi interi e vivere la quotidianità senza la mia sorellina, no, a quello non ero ancora riuscita ad abituarmi. «Cerca di divertirti Elsa, e stai tranquilla: il regno è in buone mani. Mi mancherai, ma starò bene, promesso. Buon viaggio, sorellona!» «Ti voglio bene Anna.» «Te ne voglio anch’io, tantissimo!» La mia sorellina era cresciuta più di quanto a me piacesse ammettere con me stessa e con lei, la vedevo ancora piccola, ma sapevo bene che in realtà era molto più adulta di me in certi momenti. Ci abbracciamo, io sospirai e lei mi baciò una guancia per farmi sorridere, così io mi calmai un pochino e potetti salire su quell’enorme vascello di legno, con le bandiere che segnavano il simbolo del nostro regno. Salutai Anna e il suo fidanzato mentre mi allontanavo nello stesso mare che aveva ucciso i nostri genitori. Un brivido mi percorse la schiena a quel pensiero.
«Regina, si vede terra: arriveremo entro la fine della giornata!» Ero in viaggio da un mese ormai, avevo persino dimenticato cosa volesse dire “terra ferma”: nonostante amassi l’acqua, poiché era per me facile trasformarla in ghiaccio (e durante quel viaggio dovetti farlo molte volte, per evitare che le tempeste avessero la meglio su di noi), non vedevo l’ora di poter dormire in un letto vero, mangiare cibo diverso e camminare sulla sabbia e la strada. Il tramonto era giunto all’apice quando sentii gli uomini del mio equipaggio applaudire: avevamo attraccato finalmente! Scesi dall’imbarcazione con cautela, ad attendermi c’erano moltissime persone, una in particolare mi colpì: la Principessa del regno che per qualche giorno mi avrebbe ospitata, il regno di Corona. «Regina Elsa, è davvero un piacere conoscerla di persona.» «Il piacere è mio, principessa Rapunzel. Ho sentito molto parlare di lei e della sua famiglia. È un onore per me essere qui al vostro cospetto.» Era vero: avevo molto sentito parlare di lei: a quanto pare, proprio come me, aveva dei poteri magici e questo mi incuriosiva moltissimo. «Oh, Elsa! Sei così simile a tua madre… lei sarebbe stata fiera di te.» Ma il vero motivo per il quale mi aveva colpito, tra la folla, era perché la sua famiglia era imparentata con la mia: le nostre madri erano sorelle. E quando mi voltai verso colei che mi aveva paragonata a mia madre, non potei non crederci: la madre di Rapunzel era pressoché identica a mio nonno materno, il quale a sua volta, somigliava molto a mia madre. «Regina Arianna. Spero davvero che abbia ragione su mia madre. Io ero fiera di essere sua figlia. E poterla finalmente conoscere, è un vero onore. Sarei lieta se nei prossimi giorni potesse parlarmi di lei, sono certa che abbia avuto modo di conoscerla meglio di quanto è stato concesso a me. Ve ne sarei grata, e anche mia sorella Anna.» Qualcuno, leggendo questo diario, potrebbe pensare “ma tu non eri la regina dei ghiacci perché hai il cuore di ghiaccio?”, beh purtroppo non è così: la storia della mia famiglia è ciò che più mi toccava e tocca tutt’ora il cuore e avere quante più notizie possibile era ciò che più mi premeva in quel momento e se dovevo fare la “dolce” – sì perché per me quello era essere dolce – con la Regina o con chiunque altro, ci avrei almeno provato.
Io mi sentivo molto a disagio, fuor d’acqua: il regno di Corona era così solare, luminoso, pieno di abiti estivi e di fiori: l’opposto di Arendelle insomma. L’unica cosa in comune erano i rumori: le risate, i bambini che correvano gioiosi, i lavoratori. Casa mia finalmente era tornata ad essere un regno felice, nonostante il buio quasi perenne e il freddo glaciale, ma quelli erano dettati dal clima, non da me, quindi le persone erano entusiaste di viverci. «Le manca casa, Regina Elsa?» Sussultai quando sentii la voce di Rapunzel giungere alle mie spalle. Mi ero fermata ad una finestra del palazzo, in mezzo ad uno dei tanti corridoi, osservando le movenze degli abitati per carpine i segreti: magari avrei potuto fare qualche piccola miglioria al mio regno, per poter rendere ancora più fieri di me i miei sudditi; agli occhi di Rapunzel dovevo sembrare una stupida ferma lì, questo mi mise in imbarazzo e provai a dissimulare con un leggero colpo di tosse. «Oh, no… cioè. Sì. È molto evidente?» «Ha lo sguardo triste di chi non ha con sé tutto ciò che desidera.» Ogni volta che incrociavo lo sguardo di quella principessa mi sembrava di vedere gli occhi di Anna: verdi, grandi, profondi e dolcissimi. Mia sorella mi mancava terribilmente e non sapevo come combattere quella tristezza se non con un po’ di magia: un piccolo pupazzo di neve spuntò fuori dal nulla, nascosto dietro ad un’armatura che faceva da ornamento al corridoio in cui eravamo a parlare. Rapunzel ne rimase sorpresa, ma poi iniziò a ridere e a giocare con lui come se fosse un cagnolino: era così simile ad Anna anche nelle movenze e nei modi. «Lei piacerebbe molto a mia sorella, sa principessa Rapunzel?» «Davvero? Sarei molto curiosa di conoscerla! E può chiamarmi semplicemente Rapunzel. Tra cugine non serve essere troppo formali, Regina.» Mi venne da sorridere. Ma era un sorriso vero, non uno di quelli che facevo per cortesia, la cosa mi spaventò quasi; scossi il capo per riprendermi ed annuii cercando di ricordare uno dei tanti discorsi di mia sorella: “sciogliti di più, sii più te stessa, dai fiducia a chi pensi che la meriti”. «E tu chiamami Elsa, allora.» Ci sorridemmo. Forse potevamo essere amiche.
Il giorno seguente mi svegliai all’alba: era la seconda notte che dormivo in quella stanza e già me ne ero innamorata follemente: era azzurra e bianca, dormivo su un letto a baldacchino blu notte e mi coprivo con un set di lenzuola celesti sulle quali erano ricamati piccoli fiocchi di neve bianchi: chiunque avesse progettato quella stanza l’aveva fatta apposta per rendermi il soggiorno piacevole. Il pensiero andò dritto a mia cugina, doveva essere stata per forza lei! Quella ragazza, strano a dirlo, ma mi era simpatica.
Mi preparai per la colazione in giardino con la regina, avrei potuto parlare con mia zia di mia madre, della sua vita: ero davvero entusiasta! Ciò che mi rendeva meno entusiasta era il fatto che quella sera a palazzo ci sarebbe stato un ballo al quale io ero l’ospite d’onore, ma purtroppo mi toccava andarci e l’avrei fatto, volente o nolente. Quando arrivai in giardino l’aria era fresca e profumava di biscotti e torta appena fatta: era un profumo dolcissimo che mi riportava alla mente tanti ricordi che pensavo di aver rimosso. «Torta di mele al cioccolato! Era la preferita mia e della mamma quand’ero piccola.» «Lo so bene: tua madre se la faceva preparare ogni volta che stava poco bene. Quando tu eri già nata, mi scrisse una lettera per parlarmi di te tua sorella: lei vi amava tantissimo. Io… mi sono sempre sentita in colpa per la sua morte. I tuoi genitori partirono da Arendelle per venire qui a Corona perché Rapunzel era nata e volevano renderci omaggio. Se non li avessi invitati probabilmente loro…» Lo ammetto: in quel momento avrei voluto versare una lacrima. Probabilmente Anna avrebbe versato fiumi di lacrime! Ma io no, rimasi impassibile. Mi limitai ad accennare un sorriso, uno finto e a prendere la mano di colei che era mia zia per stringerla leggermente: da quando avevo imparato a controllare i miei poteri e avevo ripreso ad interagire con altri esseri umani stavo cercando di imparare cosa fosse l’empatica, spinta anche da Anna ovviamente. In quel momento sentivo che la regina Arianna aveva nel cuore la stessa sensazione di dolore e strazio che io mi ero portata dentro per anni, quindi la cosa più giusta da fare era provare a consolarla, per quanto ci potessi io riuscire. «Regina… zia. Non è stata colpa sua. Negli anni ho capito che purtroppo al destino non si comanda. Era giunta la loro ora, non è una colpa di nessuno di noi. Io e mia sorella abbiamo avuto gli stessi pensieri per decenni. Ma non è colpa di nessuno, né nostra né vostra. Stia serena, su.» Lei mi sorrise e riconobbi il sorriso di mia madre. Gli occhi allora mi si riempirono di lacrime e l’unica cosa che riuscii a fare fu quella di alzarmi per potermi congedare con educazione. Forse lei non capì, neanch’io capivo fino in fondo i miei comportamenti: anni a rendermi impermeabile all’emozioni ed ora non riuscivo a lasciarmi andare neanche con chi ero certa non mi avrebbe fatto del male perché era della famiglia.
«Elsa, posso entrare?» Rapunzel bussò alla mia porta, ero rimasta tutto il pomeriggio chiusa dentro la mia camera sperando di far finire al più presto quella giornata, non che il ballo mi allettasse molto di più ma almeno non avrei dovuto affrontare le mie emozioni. Mi ero appena infilata l’abito: blu scuro, luccicante, a sirena: se mi avesse vista Anna avrebbe pensato che finalmente mi ero decisa a diventare più femminile, in realtà l’abito mi era stato regalato dalla famiglia regnante di Corona. «Vieni Rapunzel, entra pure.» Mi accinsi ad andare davanti allo specchio per potermi acconciare i capelli in una treccia morbida e vidi che la bionda dai capelli lunghissimi era ferma sul ciglio della porta ad osservarmi; anche lei era già vestita: il mio opposto, poiché era rosa e aveva un’ampia gonna che metteva in risalto il bustino stretto. «Non ti mangio se entri, giuro.» Lei sorrise dolcemente ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle. «Mia madre mi ha raccontato cos’è successo alla colazione di questa mattina. Mi spiace che qualcosa ti abbia potuto turbare, mia madre ne è mortificata…» «Non è colpa di tua madre, Rapunzel. La colpa non è di nessuno. Solo che a volte non gestisco i ricordi così bene come penso e rischio di lasciarmi andare.» «E cosa c’è di male?» Io ricordo quel discorso a memoria, l’ho rivissuto nella mia mente per mesi, anni! E se gli altri discorsi letti finora potevano essere parafrasati, questo che stai andando a leggere, caro lettore o lettrice, non lo è affatto. «Che c’è di male nel lasciarsi andare all’emozioni? Farsi travolgere, spezzare e ricomporsi fino all’infinito! Le emozioni di creano dentro un vortice incomprensibile, ti fanno soffrire, annegare. Ma poi ti riportano in alto, ti fanno respirare, ti fanno vivere! Elsa tu hai così paura di esprimere ciò che provi che non respiri, quando invece potresti farlo a pieni polmoni, potresti essere davvero felice. Ma non lo sei, perché non vuoi: ti blocchi, ti chiudi, ti nascondi. Parli sempre di tua sorella, di come lei si apra al mondo. Beh allora perché non lo fai anche tu? Cosa aspetti? La vita va vissuta, non credi? Chi più di me e te lo può sapere? Chi più di me e te sa quanto un solo istante vissuto davvero valga, rispetto a mille passati in una prigionia? Suvvia, Elsa, caccia il carattere forte che sono sicura tu abbia e dimostra a te stessa che vivere di emozioni non fa paura. Può far male, puoi soffrire, ma almeno puoi sfogarti e lasciarti andare: non fa forse più male avere il cuore spezzato ma non poter piangere, piuttosto che lasciar scorrere fuori il dolore attraverso le lacrime?» Sì, è un discorso lungo, ma sì: ne ricordo ogni parola, ogni pausa. Ma mi colpì talmente forte quel discorso, come neanche uno schiaffo avrebbe potuto fare. Quante volte Anna aveva provato a rendermi più “umana”, spingendomi a ragionare sulle stesse cosa sulle quale mi stava spingendo Rapunzel in quel momento? Scoppiai a piangere. Sì: accadde davvero. Piansi. In silenzio, ovvio, le lacrime mi bagnavano le guance e il sale mi finiva sulle labbra ma non un solo singhiozzo mi uscì. Mi sedetti sul pavimento coprendomi il viso con le mani quando sentii i passi di Rapunzel venire verso di me: mi vergognavo troppo per mostrarmi in quello stato, anche se il succo del discorso era proprio quello di non vergognarmi delle mie emozioni; ero una pessima alunna con le lezioni di vita, purtroppo per tutti. Lei fece una cosa che permettevo di fare solo ad Anna: mi abbracciò forte! Mi strinse a lei e quel corpicino minuscolo riuscì a trasmettermi forza e tranquillità: mi trasmise senso di appartenenza, di famiglia. Mi lasciai andare, piansi un po’ più forte, alla fine l’abbracciai a mia volta. Chissà se Anna sarebbe stata gelosa o ne sarebbe stata felice, pensai in quel momento. Mia sorella. Lei mi mancava tantissimo e l’idea di poter ripartire due giorni dopo mi riempiva il cuore di gioia; ma devo ammettere che anche sfogarmi in quel modo mi faceva sentire un po’ più leggera. «G-grazie, Rapunzel. Davvero. Ti sarei grata se…» «Non lo dicessi a nessuno? Certo, tranquilla: ho la bocca cucita.» Rimanemmo ancora abbracciate, forse per qualche istante, forse per qualche minuto: il tempo iniziò a scorrere diversamente: me lo stavo godendo di più. Il mio percorso verso una “me aperta all’emozioni” non sarebbe stato veloce, anzi prevedevo parecchi momenti difficili, però mi sentivo un po’ più sicura ora che sapevo che qualcun altro aveva visto del buono in me, oltre ad Anna.
Scendemmo al piano di sotto, dove la sala imperiale era stata addobbata a gran festa: luci, lanterne cinesi, soli e fiocchi di neve scendevano giù dal soffitto mentre la stanza si riempiva di persone che danzavano, parlavano, ridevano e mangiavano ogni prelibatezza immaginabile: era un vero spettacolo per gli occhi, e per il cuore. «Annunciamo l’entrata in sala della regina Elsa di Arendelle, nipote di primo grado della regina Arianna. Il regno di Corona è lieto di ospitarla e di accoglierla come facente parte della famiglia. Buona permanenza.» Le trombe squillarono, le luci si puntarono su di me ed io morii di imbarazzo. Ma Rapunzel, che era scesa prima di me, e mia zia mi guardarono, dai piedi della scalinata, quella che io avrei dovuto percorrere da sola per fare la mia entrata ad effetto e mi sentii più calma, sorrisi e un passo dopo l’altro riuscii ad immergermi in quella folla di persone pronte ad acclamarmi, abbracciarmi, lasciarmi intontita per le troppe parole o il troppo profumo. Non mi sentivo proprio a mio agio, riuscivo a lasciarmi andare un po’ di più con coloro che erano la mia famiglia di sangue, ma con gli estrani tenevo ancora quel sorriso finto: come ho detto, avrei dovuto fare ancora tanta strada; a dire il vero, la sto ancora facendo!
Io e Rapunzel stavamo ballando con il suo fidanzato, in lontananza lo sguardo di mia zia si meritò un mio sorriso sincero. Poi la musica cessò, le voci si zittirono, il gelo calò nella stanza. Mia cugina inorridì, aveva perso tutta la luce che aveva negli occhi: quegli occhi verde smeraldo ora non erano più vivi, solo terrorizzati. Mi voltai, cercando di capire, quando una voce femminile e stridula riempì il silenzio che si era creato: «E così c’è una nuova sangue blu in città. E nessuno mi ha invitata a questa festa? Siete sempre così cattivi con me! Soprattutto tu, Rapunzel: rinneghi così… la tua mammina?» «Gothel tu… tu eri morta! Come… come hai…?» «La magia, mia cara bambina. Sei sempre così ingenua, non è vero? Ma ora la tua ingenuità me la porterò via io, assieme alla tua VITA!» Con un urlo la donna dai capelli neri scagliò una sorta di fulmine in direzione di Rapunzel. Il panico mi assalì per un attimo, ma trovai la lucidità subito dopo: ecco a cosa serviva controllare le proprie emozioni. Alzai una lastra di ghiaccio dal pavimento che protesse mia cugina e Gothel o come diavolo si chiamava lei ne rimase scioccata. Purtroppo per me e per gli altri, anche lei sapeva controllare le emozioni. O così sembrava. «Togliti di mezzo ragazzina insolente.» «Mai! Flynn porta tutti fuori di qui: MUOVITI!» Gli lanciai uno sguardo che penso valse più di mille parole, sembravo un generale che dava un ordine ad un suo sottoposto, ma funzionò: Flynn uscì di corsa assieme agli invitati. Ovviamente Rapunzel era troppo testarda per darmi ascolto: rimase lì, contro ogni parere, e questo spinse anche il suo fidanzato a rientrare nella sala, la quale orami era un cubetto di ghiaccio: avevo dovuto alzare barricate su barricate per poter permettere a tutti di salvarsi e non essere colpiti dagli incantesimi di quella psicopatica. Ricordate quando poche righe fa ho scritto che sembrava saper controllare le emozioni? Ecco, in realtà aveva preso il sopravvento la follia omicida e aveva iniziato a colpire quasi cosa si muovesse sotto i suoi occhi. Per questo avevo creato tanti piccoli pupazzi di neve, così si sarebbe distratta senza capire dove fosse il suo unico reale obbiettivo. Ma mia cugina era pazza e testarda proprio come me e mia sorella e mentre io cercavo di proteggerla, lei si alzò in piedi iniziando a parlare: era davvero brava con i suoi discorsi, ma in quel momento non era esattamente ciò che ci voleva, fermarla però non era così facile come poteva sembrare: «Gothel fermati, basta! Se hai la magia e la vita eterna, perché vuoi ancora vendetta? Cosa ne ricaveresti, sentiamo? Smettila di lottare, ti prego. In questo regno dovrebbe vigere la pace, l’amore ed invece…» Mi distrassi. Fu colpa mia. Gothel la colpì in pieno petto: il suo colorito rosa lasciò spazio ad uno più violaceo, gli occhi le si riempirono di lacrime per il dolore, la bocca si contrasse in una smorfia di stupore. I buoni non sempre vincono. I cattivi, qualche volta, hanno la meglio. Quella volta non avrei potuto dare la colpa al destino: non potevo dire “io non c’entravo”, non avrei ascoltato chi per consolarmi mi avrebbe detto “tu non potevi fare niente”. Perché io ero lì, a mezzo metro da lei. Ero lì e non sono riuscita a salvarla. Ero lì e le emozioni mi hanno sopraffatta. Scagliai tutti i miei colpi contro Gothel: la congelai mentre si era alzata in volo, cadde al suolo rompendosi in mille pezzi. Pensai “è fatta: ora Rapunzel si riprende!” ma non fu così: chi ha detto che uccidendo una strega si annullano i suoi incantesimi, aveva proprio torto. Mia cugina era in fin di vita, tra le braccia del suo futuro marito, io e mia sorella saremmo state invitate al matrimonio, dovevo essere la damigella d’onore: questo lo avrei scoperto mesi dopo, quando poi mi arrivò una lettera scritta da mia zia che a sua volta aveva trovato un diario – sì: ecco da dove ho preso l’idea – di Rapunzel. Piansi forte, le lacrime erano amare e dolorose, mi bruciavano gli occhi e la pelle. Poi lei mi prese la mano, la strinse con quel po’ di forza che aveva e mi sorrise con quel suo fare dolce che mi aveva conquistata appena scesa dalla nave: erano passati solo tre giorni eppure mi sembrava di essere lì da una vita; è così che ci si sente a sentirsi parte di un qualcosa? «Non smettere di amare, mai. Non smettere di essere te stessa.» Tossì, si fermò per una manciata di secondi ed in quel lasso di tempo mi venne un’idea: «Posso congelarti! Ti terrò in vita, ti porterò ad Arendelle, lì vivono i troll, loro ti possono salvare!» Ma non ci fu abbastanza tempo: sorrise un’ultima volta e poi mai più. Le urla strazianti di Flynn e di mia zia si unirono a quelle del Re di Corona e a tutto il regno. E alle mie; sì: piansi davanti ad un intero regno, davanti a persone sconosciute che non avrei mai più rivisto: conti, contesse, dame, marchesi, principi di regni lontani che erano venuti lì solo per omaggiare me, ma che invece avevano assistito ad un combattimento magico e ad una fine tragica. Quante vite sconvolte mi sarei portata sulla coscienza? Ma non era ciò a cui pensavo in quel momento: lì in terra c’era mia cugina, la prima oltre a mia sorella a farmi sentire accettata. L’unica oltre ad Anna degna di essere chiamata “famiglia”. Il mio cuore era a lutto, ma quella testa dura aveva ragione: lasciar andare il dolore di un cuore spezzato attraverso le lacrime lo rendeva più sopportabile.
Aiutai i miei famigliari a riprendersi e lasciai che a loro volta fossero loro ad aiutare me, ma dovevo tornare ad Arendelle e così dopo i solenni funerali di Stato per Rapunzel tornai nel mio regno con la promessa che sarei tornata presto a trovare tutti loro, magari con mia sorella così che si potessero conoscere.
«Oh mio Dio, Elsa! Mi sei mancata così tanto… sono stata molto in pena per te. Quando ho saputo cos’era accaduto… Elsa, ma stai sorridendo?» «Sì, Anna: sorrido. Perché il destino non può essere cambiato, ma la vita va vissuta comunque.» Abbracciai mia sorella, la strinsi forte come non avevo mai fatto e lasciai che le lacrime mi solcassero il viso. Parlammo a lungo, le raccontai di Rapunzel e di Corona e di Flynn e delle storie che nostra zia mi aveva raccontato su nostra madre. Lei mi disse che aveva saputo cos’era successo a Corona tramite alcuni falegnami che erano venuti a vendere legna per le navi: le voci corrono più veloce del mare. Arendelle se l’era cavata egregiamente con la sua principessa ma tutto il regno sperava di poter comunque dare una festa in mio onore, per festeggiare il mio ritorno a casa.
“Casa”, la mia. È vero che casa non è solo un luogo fisico: perché casa per me è anche la distesa di ghiaccio nella quale vado ad affinare i miei poteri, è Corona, è mia zia, è i miei genitori. Casa è Anna. Casa è Rapunzel. Casa è dove il tuo cuore batte anche se ferito.
 
E a te che hai letto tutto il mio diario, non penserai che questo sia l’unico? E non penserai che questo sia tutto!
Cercali, trovali, leggili e impara ad amare te stesso/a, la tua famiglia, la tua casa, il tuo passato.


«Cosa stai leggendo, sorellina?» «Una storia fantastica di due sorelle… proprio come me e te! Solo che una ha il potere del ghiaccio, invece che del fuoco come te, e l’altra… beh l’altra non è più in vita, mentre io ho i poteri di un angelo! Chissà da dove sono saltati fuori questi vecchi diari, penso che li leggerò tutti!» «Aria sai che amo leggere anch’io, ma non credi sia ora di andare? Ci aspettano per la cena, su!» «Va bene, va bene, arrivo. Ah, Rory? Ti voglio tanto bene.» «… domani leggerò quella storia, promesso.»
  
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