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Autore: inunotaishobae    06/09/2018    5 recensioni
“In me hai una confidente, se lo vorrai” – sussurrò di nuovo lei.
Sesshomaru sorrise, perché lei non sapeva che l’aveva cercata per così tanto, e averla trovata si era rivelato semplicemente meraviglioso.
E trovarsi solo, in quel momento, dopo aver rispolverato un ricordo a lui così caro, gli parve più doloroso che altro. Non riusciva quasi più a darsi pace, camminava angustiato per le strade, rivedendola in ogni creatura e oggetto grazioso.
disclaimer: i personaggi presenti in questa storia non appartengono a me, ma all'opera InuYasha, di Rumiko Takahashi.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rin, Sesshoumaru | Coppie: Inuyasha/Kagome, Rin/Sesshoumaru
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi tornata, di nuovo! Questa volta non con una One Shot; l’idea mi è piaciuta così tanto che al pensiero di svilupparla non potevo scrivere solo un capitolo, per quanto lungo fosse. Volevo renderla un po’ più… Speciale, diciamo così. Se questo primo capitolo vi è piaciuto fatemelo sapere, magari lasciando una recensione, che sia una critica (siate spietati!) o un piccolo pensiero, ben venga. Sono sempre felice di leggere ciò che avete da dire a riguardo. Un bacio e alla prossima x
P.S: se volete rendere la lettura più coinvolgente, vi consiglio di ascoltare “Tema d’Amore – version 2” di Ennio Morricone nel momento in cui comparirà l’asterisco (*).

 
 
 
“Andiamo, è solo una giornata al mare, che ti costa!” – fece esasperata lei sullo stipite della porta; dopo una caterva acida di no a richieste che non le parevano poi così improponibili si fece coraggio e piazzandosi ritta ritta, con le mani a scavare sui fianchi, lo sfidò con lo sguardo.

Sesshomaru sospirò, strappando varie volte l’ennesimo documento. “Rin, è inutile mettere il broncio, ti ho detto che non mi va” – fece schietto, impedendo a se stesso di cedere a quello sguardo ferito e oltraggiato. Non gliel’avrebbe data vinta – almeno, non di nuovo. Anche lui era in vacanza, e proprio non gli andava di mettersi al sole, sudare e sentire la sabbia appiccicarsi ovunque.

 “A me va, e voglio che tu venga con me!” – lo rimbeccò ancora, tentennando sul posto mentre gesticolava furiosa. Iraconda per quale motivo, poi? Un capriccio dei suoi soliti. “Insomma, ti ho già dato il permesso di lavorare per oggi nonostante anche tu sia consapevole che non è momento o luogo adatto, e adesso non vuoi nemmeno accompagnarmi al mare?”

Sesshomaru non spostò lo sguardo dalle sue scartoffie – così le chiamava Rin – e decise di non rispondere, sapendo perfettamente che lei non avrebbe mai gettato la spugna e che sicuramente quello scambio acceso di battute sarebbe sfociato in una discussione disastrosa. Di solito non avrebbe sopportato un simile atteggiamento, ma quando si trattava di Rin… Come avrebbe potuto mandarla a quel paese?
Rin sbuffò, gli diede le spalle ed uscì dal suo ufficio. Chiuse la porta forse più forte del solito e non gli regalò nemmeno il solito bacio accompagnato dal tenero buon lavoro come da rito. Sesshomaru ne rimase segretamente infastidito, ma in taciturna intesa – perché così doveva andare – non le parlò fino al pomeriggio, e lei fece lo stesso.

La raggiunse in salotto, in quella casa che non ricordava affatto quella che avevano in Giappone. Sì, l’Italia era bella, ma se si trovava lì era solo perché Rin aveva insistito affinché quel viaggio si facesse a tutti i costi. Non voleva deluderla, e dunque mise da parte se stesso per accontentarla.
Si ritrovarono sul divano, lei con un piatto di frutta mista mentre osservava smarrita la TV, lui con un libro tra le mani che nemmeno ricordava di aver portato con sé; tutto solo per mascherare le fugaci occhiate che spesso e volentieri le rivolgeva per capire se fosse ancora arrabbiata o meno. Constatò sorpreso che non sembrava arrabbiata, ma solo incredibilmente abbattuta; se si fosse trattato di un altro momento non avrebbe esitato a raggiungerla, avvolgere le sue spalle con un braccio per stringerla a sé. Ma in quella situazione non sapeva se lei avrebbe voluto che lui lo facesse, dunque si trattenne dal farlo, anche se avrebbe voluto consolarla.

Quando lei ebbe terminato di consumare i suoi spicchi di mela e quelli di arancia, si alzò e non tornò per quelli che parvero, ad occhio, venti minuti. Sesshomaru, acuendo il senso dell’udito, tentava nel miglior dei modi di capire se stesse piangendo – perché a quel punto non sarebbe riuscito a starsene con le mani in mano – o se semplicemente volesse stargli il più lontano possibile.

Sentiva solo il suono dei piatti sbattere contro la vaschetta in alluminio del lavandino, e lei era completamente in silenzio. Sesshomaru chiuse il libro – di cui non ricordava il titolo, e di cui non aveva letto nemmeno una parola – e si alzò, accompagnando i suoi primi due passi con un sospiro leggero.
Non era un tipo eloquente, né poi così estroverso, ma da prima ancora di invitarla a cena per la prima volta, aveva sempre cercato le parole più adatte quando si trattava di Rin; non sapeva – a quel tempo – cosa lo spingesse ad avere tanto riguardo per lei, ma non riusciva a farne a meno. Quando arrivò in cucina si fermò dietro di lei, che non lo aveva nemmeno sentito – sarebbe stato impossibile, un demone come Sesshomaru non avrebbe mai palesato la sua presenza così volgarmente – e afferrò un canovaccio dal ripiano in marmo alla sua sinistra, per poi prendere un piatto dal tappetino e asciugarlo attentamente.

Rin era abituata a quei suoi modi di fare: non avrebbe mai attaccato bottone per cominciare una conversazione, le avrebbe ronzato attorno senza dare troppo nell’occhio per un po’ finché lei non avesse fatto il primo passo. Ma si sarebbe trattenuta, non gli avrebbe rivolto parola.

Ma forse… Avrebbe potuto utilizzare quel solito modo di procedere delle cose a suo favore, almeno per una volta. Asciugandosi le mani frettolosamente si allontanò di nuovo dalla cucina, raggiungendo la loro camera da letto per afferrare una borsa capiente, prendere due asciugamani, un bel telo rosso e qualche flacone di crema protettiva e un costume, il primo che le capitò sottomano. Dopo solo cinque minuti Sesshomaru sembrò materializzarsi sulla soglia. Ti aspettavo al varco, pensò lei.
Allora lo vide osservarla attento, mentre teneva una spalla premuta contro lo stipite della porta, le braccia conserte e un volto lievemente intristito.
“Ci andrai?” – domandò, non muovendo neanche un muscolo se non la bocca.

Si sfilò la maglietta, la lanciò sul letto e poi si voltò a guardarlo. “E’ così” – fece schietta, si girò nuovamente per dargli le spalle e togliendosi il reggiseno fece per sostituirlo con la parte superiore di un bikini che non aveva mai indossato – semplicemente perché al mare non ci andava abbastanza spesso. Strinse i diversi lacci in nodi non troppo stretti, guardandosi allo specchio per sistemare le coppe sul seno. “Non è necessario che tu venga, ci sono Kagome, Sango, InuYasha, Miroku, e anche Kohaku. Non credo che ci sarà modo di annoiarsi” – e non poté fare a meno di lanciargli un’occhiata dallo specchio.

Kohaku altri non era che il ragazzino con una cotta memorabile per Rin; sin da quando entrambi frequentavano il liceo aveva tentato nei modi più disparati di corteggiarla, ma lei non aveva mai fatto caso a quell’interesse, scambiando le mille gentilezze per semplici gesti amichevoli. Dopo il liceo e l’università, continuò imperterrito a palesare sempre più insistentemente il suo interesse per la giovane, la quale però, dopo un corso pomeridiano di approfondimento all’università, aveva trovato nel tirocinante, un demone dagli occhi magnetici, un uomo colto ed affascinante, che era capace di tenerle testa e per cui aveva sviluppato una sorta di grande simpatia – chiamiamola così.
Alla notizia del fidanzamento con Sesshomaru, Kohaku si era così sentito tradito che passò più di tre mesi in Nuova Zelanda, dove ricevette – sotto richiesta di Sesshomaru stesso – un invito al matrimonio dei due, a cui non si era presentato. Sango, dopo aver quasi terminato i preparativi per l’Italia, aveva recuperato i rapporti con Kohaku, e felice di aver ritrovato suo fratello lo invitò a seguire la comitiva in vacanza; insomma, ecco che ci faceva lì. E Sesshomaru non lo aveva mai digerito, minimamente; non che lo temesse come rivale, certo, ma il solo sapere che un altro ragazzo potesse provare qualcosa per Rin lo mandava fuori di testa.
Sesshomaru avvertì un cipiglio arruffargli la fronte, un cruccio fastidioso gli fece inarcare le sopracciglia. “Non mi avevi detto che lui sarebbe venuto” – fece, sciogliendo le braccia per stenderle lungo i fianchi. Fece qualche passo, ma non le si avvicinò troppo.
“No, infatti. L’ho invitato io” – aggiunse tranquilla, osservandolo fermarsi e rimanere immobile, come sorpreso.
Poco dopo riprese i suoi passi e la raggiunse, piazzandosi alle sue spalle. “Che razza di scherzo è questo?” – le domandò inquieto, osservandola attentamente negli occhi. Lei lo guardò senza scomporsi troppo, e fece spallucce.

“Non è uno scherzo, è vero” – e lui si sentì bruciare, non capiva quasi più dove finisse la razionalità e dove iniziasse la sconsideratezza.
“Smettila di comportarti in questo modo” – la ammonì, afferrandole un polso per girarla verso di sé. “A che diamine di gioco stai giocando?” – mugugnò, fissandola truce come se avesse voluto divorarla da un momento all’altro.

“A nessun gioco, Sesshomaru” – e si girò per guardarlo, senza temere il suo sguardo altezzoso o il suo ego soffocante. “Cosa ti aspetti che faccia? Non sarò la candela tra due coppie, e non ho la minima intenzione di restarmene a girarmi i pollici all’infinito in spiaggia e al ristorante” – e si scostò dalla presa ferrea del demone, che la seguì senza tregua.
“Era il caso di scomodare quel maledetto piccolo essere sfuggito alla morte? È ridicolo, mi sorprende che tu possa agire in questo modo” – le ringhiò contro, senza smettere di pedinarla.

In questo modo?” – si fermò di scatto, voltandosi per fissarlo. “Siamo in vacanza, in prossimità del mare, e tu hai avuto la bellissima e romantica idea di metterti a lavorare per tutta la mattina senza degnarmi nemmeno di una parola, aspettando che fossi io a sistemare le cose come succede ogni dannatissima volta! Perché tanto tutto è più importante di me, non è così?” – sputò a raffica, per poi sostare un momento. “Non ho voglia di sentire altro, Sesshomaru” – e riprese a camminare, lasciandolo dietro di sé, fermo nel corridoio mentre la guardava spiazzato.

Tra le mani stringeva una canotta color pesca, la vide infilarsela dalla testa e in meno di due minuti era fuori da casa, probabilmente per raggiungere l’appartamento affittato da InuYasha e Kagome. Sesshomaru non poteva fare a meno di pensare che forse lavorare durante la loro vacanza non era stata la sua idea migliore – eppure le aveva detto che sarebbe stato solo per quella volta, era urgente! – e un po’ si sentiva in colpa. Erano sposati da appena due anni, non avrebbe mai pensato che lei potesse aver già accumulato così tanto stress, per giunta a causa di suo marito. No, proprio non lo accettava. Avrebbe dovuto trovare il modo per farsi perdonare, non poteva davvero lasciare che lei si allontanasse – non dopo che lui l’aveva cercata per così tanto.

Rin sapeva essere davvero estenuante a volte, e Sesshomaru spesso non faceva altro che ignorare gli atteggiamenti che meno era in grado di gestire per il tempo necessario. Ma forse, a lungo andare, ciò aveva contribuito a rendere Rin ancor più instabile circa il loro rapporto, e questo non se lo perdonava per niente. Restò per qualche attimo fermo, in attesa che qualcosa – un’idea, un’illuminazione – arrivasse a dargli una mano, ma nulla sembrò minimamente valido. Sconfortato, raggiunse la porta d’uscita, assicurandosi di chiudere a chiave prima di andarsene. Poteva ancora sentire il profumo dolce e leggero di lei impregnare l’aria, e con un profondo respiro provò a raccoglierlo tutto; spesso si chiedeva se la mondanità, gli atteggiamenti umani non l’avessero rammollito troppo, e a volte lo aveva domandato anche a Rin.

*Ricordava quando una sera, a letto, con la tempia destra premuta contro il petto rotondeggiante della sua compagna, le sue dita affusolate e minuziose tra i suoi capelli bianchi, nel silenzio avvolgente della notte rischiarata dalla luna luminosa, il suo volto accentuato dal chiarore, sulla pelle cosparsa di leggerissime lentiggini, gli occhi scuri, i capelli corvini sparpagliati sul cuscino fresco e stropicciato, lei lo aveva vezzeggiato per lunghissimo tempo.

Avvertire quelle dolci mani accarezzargli le spalle e poi il torace, fino a soffermarsi sul cuore infausto del demone, che non sentiva null’altro se non il respiro lento e piacevole della ragazza e la fragranza più buona che avesse sentito convogliare audace nelle sue narici per trascinarlo amorevolmente nel sonno, era come ritrovarsi in una realtà alternativa, dove lui aveva trovato un piccolo angolo di pace in cui si sentiva a casa. Un bacio silenzioso venne posato sulla sua fronte, dove uno spicchio di luna marcava orgogliosamente la natura demoniaca del ragazzo – non così giovane, dopo tutto – e le stesse labbra si fecero più vicine al suo orecchio.

“Sento il tuo cuore battere veloce” – sospirò dolce lei, passando una mano tra i fili bianchi, che parevano di seta, di quel dolce e pericolosissimo individuo, che non credeva avrebbe mai potuto provare un tale fermento sconquassargli il petto.
Sesshomaru sorrise appena, inavvertitamente. “Lo so” – mormorò, avvicinandosi un po’ di più alla sua amata, dolcissima Rin, così attenta e premurosa. “Non è la prima volta che succede”

Le dita sottili si spostarono lentamente sulla schiena scoperta del demone, per una agile e gentile carezza. “Non avrei mai creduto che potessi avere questo effetto su di te, mi sembra ancora molto poco credibile” – mugugnò lei, tornando ad appoggiare il capo sul cuscino, per sprofondarci.

“Non era mai successo prima, ma tu hai… Hai sempre avuto molta influenza su di me” – le rivelò, aggiustando la guancia sul suo petto, sentendosi sicuro abbastanza per far trapelare quella sua nuova sfaccettatura e mostrarla alla creatura più cara che avesse al mondo.

“Davvero?” – gli domandò, abbassando lo sguardo per incontrare il suo viso rilassato sostare morbido sul suo seno.

Sesshomaru restò in silenzio per qualche momento. “Sempre” – sussurrò. “Sono un demone, e per natura non dovrei, ma io ho sempre avvertito qualcosa quando ti ho vicino, ma non chiedermi cosa sia, perché non lo so. E a volte, sarò sincero, ne sono irrazionalmente spaventato. I cambiamenti sono difficili da accettare, per me…” – completò, rigirando tra pollice e indice una ciocca di capelli scuri.
Rin non gli aveva risposto per qualche tempo, limitandosi ad accarezzargli ancora i capelli, mentre lo stomaco faceva un gran fracasso; lo sentiva contorcersi e bruciare, e sapeva perfettamente che la causa di tale fenomeno non potevano che essere le parole di quel demone, apparentemente imperturbabile, ma così sensibile e predisposto al sentimento.

Allora si fece coraggio. “Non ti dirò che esserne spaventato sia sbagliato, ognuno di noi ha un modo diverso di reagire al nuovo, e io non posso biasimarti per questo” – lui l’ascoltava attento, la mano sinistra posata lievemente sulla pelle liscia dei fianchi, un ennesimo contatto che gli mandava in visibilio i sensi. “Ma se ti può consolare, anche io avverto le stesse cose” – aggiunse, afferrandogli la mano artigliata per portarla sul proprio petto, per fargli sentire il modo in cui anche il suo cuore sbatteva intrepido sulla cassa toracica.

Sesshomaru parve sorpreso per un momento: come aveva fatto a non notarlo prima? Il suo orecchio si trovava praticamente in prossimità, e il suo udito avrebbe dovuto percepire quel battito già da lontano. Accarezzò piano la pelle sotto il proprio palmo, indugiando con i polpastrelli per catturare quel dolce suono.
“In me hai una confidente, se lo vorrai” – sussurrò di nuovo lei.
Sesshomaru sorrise, perché lei non sapeva che l’aveva cercata per così tanto, e averla trovata si era rivelato semplicemente meraviglioso.

E trovarsi solo, in quel momento, dopo aver rispolverato un ricordo a lui così caro, gli parve più doloroso che altro. Non riusciva quasi più a darsi pace, camminava angustiato per le strade, rivedendola in ogni creatura e oggetto grazioso. Quando tornò a casa si diresse immediatamente nella loro camera da letto, al solo scopo di rubare sospiri furtivi al cuscino di lei, ai suoi vestiti e alle lenzuola, cercando di capire come avesse potuto dimenticare tutto ciò che lei aveva fatto per lui, il modo in cui lo aveva accettato sin dal primo momento, aiutato a trovare conforto e un posto per sé nel mondo, che non gli sembrava più adatto ad ospitare una creatura del genere.

Si sistemò sul letto matrimoniale, con il cuscino di lei stretto tra le braccia e il naso schiacciato sulla federa. Non dormì propriamente, non ci sarebbe mai riuscito, non finché lei non fosse tornata, e un senso di agitazione lo scosse particolarmente quando si domandò se lei stesse bene, se le fosse successo qualcosa in sua assenza, se Kohaku l’avesse già raggiunta,e avesse provato a farle qualcosa, a corteggiarla ancora. Afferrò il cellulare in uno scatto agitato, scrivendo al suo fratellastro per chiedere conferma. Un messaggio lo fece sospirare di sollievo poco dopo, il cuore in ostaggio della morsa brutale del senso di colpa.

InuYasha [01:37 AM]: È qui da qualche ora, e non ha smesso di piangere per un minuto. Kagome sta cercando di consolarla, ma è disperata. Mi spieghi che diamine hai combinato?

Si stese di nuovo tra le lenzuola, ancora stretto in una camicia bianca e un paio di pantaloni grigi, la cintura solo slacciata, ma ancora avvolta attorno al bacino. Non dormì nemmeno un secondo, per tutta la notte, aspettando che l’alba si facesse viva per raggiungere la sua amata.
Si fece cullare dalle malinconiche memorie di loro due assieme, percependo il senso angosciante di mancanza più forte che mai attanagliare il suo petto e tutto il suo corpo.
   
 
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