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Autore: MaikoxMilo    11/09/2018    3 recensioni
Svegliarsi da un coma non è facile, né per chi si trova in quella particolare situazione in prima persona, né per chi vi è fuori... No, non esiste "essere fuori" per chi sta rischiando di perdere una persona cara, perché il senso di perdita è così opprimente da toglierti il tuo stesso respiro, da spingerti a fare di tutto per salvarla...
E poi il risveglio, doppio, se possiamo dire... Perché non puoi mai sapere cosa ti riserverà il futuro, perché non puoi mai sapere cosa accade se le vite del passato e del presente si incontrano...
Seguito de "La guerra per il dominio del mondo" della quale è necessaria la lettura. Personaggi Lost Canvas e serie originale.
(Fanfic in fase di riscrittura)
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Aquarius Degel, Nuovo Personaggio, Scorpion Kardia, Scorpion Milo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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EPILOGO: IL POTERE DELLA CREAZIONE

 

 

15 settembre 2011, pomeriggio

 

 

Il vociare delle rondini appese al filo della corrente è sempre più intenso e chiassoso, come se davvero si stessero per dare l’ultimo saluto prima della grande partenza.

Le rondini sono sempre state così, me le ricordo fin da quando ero piccolina quando, nella casa in campagna a fine estate, le suddette si radunavano sui tetti delle case, sulle antenne, persino sulle parabole, in attesa della grande partenza. E poi partono. Insieme. Verso i rispettivi luoghi in cui andranno a svernare. Lo stesso sta accadendo oggi, anche se, a dir la verità, percepisco un bel po’ di trambusto già da un po’. Loro lo sanno, quando devono partire, lo sanno ma attendono le altre, per cominciare il viaggio insieme.

Sorrido tra me e me, continuando ad osservare la scena in attesa che le ultime ritardatarie si uniscano alle altre. Non so quante ne manchino, e non so come lo facciano a sapere, ma anche questo fa parte del grande ciclo della vita. Devono essere guidate da un istinto superiore, deve essere così.

Abbasso istintivamente lo sguardo, per la milionesima volta persa nei miei pensieri, talmente tanto che non mi sembra neanche di partecipare alla vita reale, sensazione che va avanti da un mese. Già, da un mese…

E’ passato già un mese da quando siamo tornati nella nostra epoca, il tempo è volato, o forse sono io ad essere rimasta ferma mentre quest’ultimo ha continuato a scorrere senza sosta, esattamente come è nella sua natura fare.

Il 15 agosto del 2011 siamo tornati nella nostra epoca… come al solito l’intuizione di Dégel è stata corretta: il tempo subisce un’accelerazione quando viene, in qualche modo, controllato, che il fautore di questo sia il Mago o Crono medesimo non ha importanza, così è. Proprio per questo, quando siamo andati a salvare i nostri amici dalla peste bubbonica qui, nel presente, era il 1 agosto, ma quando, solo pochi giorni dopo, siamo nuovamente tornati nella nostra epoca grazie al potere del dio, era già il 15 dello stesso mese.

Sospiro, ripensando alle facce degli altri Cavalieri d’Oro e del giovane Hyoga. Certamente sono stati più di dieci giorni senza avere notizie, ben consci che Milo e Camus stessero rischiando di morire, inutile descrivere la loro reazione al loro ritorno: esclamazioni, grida e persino abbracci. Questo è il tempo a cui appartengono questi giovani uomini, questo è il tempo a cui appartengono le mie care amiche, ma che dire, invece, di me?

Sbuffo contrariata, sforzandomi, sempre per la milionesima volta, di concentrarmi sul presente e non più sul passato. In effetti, in questo mese, pur risultando fisicamente qui sono sempre stata altrove, distante ed inespugnabile, me ne rendo conto da me: sto facendo preoccupare tutti, soprattutto Camus, che ha già il suo bel da fare in questo periodo.

Mi sento incommensurabilmente in colpa, ma nello stesso momento non riesco proprio ad oppormi a questo stato di apatia e di perpetuo malessere: io… in fondo, penso di essere rimasta là, nel 1741!

Fortunatamente Michela, Francesca e Sonia non sono messe così male, diminuendo così, almeno loro che possono, il carico sulle spalle dei loro maestri. Per nessuno è stato facile lasciare il passato, complice i legami instaurati e così via, eppure… tutti gli altri se ne sono fatti una ragione, continuando a vivere pienamente il presente, io invece no.

Michela si è rimessa con Hyoga, perdonandolo per aver ucciso l’amato maestro in passato. Li vedo sempre più affiatati insieme, sempre più… intimi. So per certo che non hanno fatto ancora niente (e del resto non so nemmeno se Hyoga, in quanto Cavaliere della dea Atena, possa!), ma non so ancora quanto durerà. Michela è sempre più convinta che il Cigno sia il ragazzo giusto per lei, mi chiede di frequente, andando dritta al sodo, metodi e precauzioni per, ehm, ridurre al limite i rischi. Ecco, io non so mai cosa dirle, perché anche io sono inesperta sul settore, anche se più informata di lei, quindi mi limito a ricordarle che Hyoga è Cavaliere di Atena, che forse non è consentito compiere atti carnali essendo lui una adepto ad una dea vergine, ma lei non si arrende. Una volta persino ha provato a parlarne con Camus, ma.. APRITI CIELO! La faccia di mio fratello era quanto di più sinistro e distorto avessi mai visto; probabilmente, se fossi stata totalmente in me, avrei anche ridacchiato a seguito di quella scena, con Michela che, poverina, provava e barcamenarsi in quella situazione imbarazzante e con Camus che aveva l’espressione di uno che era stato appena insultato in pubblica piazza.

Mio fratello è diventato ancora più protettivo con me e le altre, la cosa ci fa un immenso piacere, ma di contro ci rende più suscettibili al litigio, visto che le mie amiche hanno già una testa pienamente pensante e vogliono quindi fare come credono. Solo l’altro giorno infatti, Camus ha litigato con Francesca per, credo, la questione di Death Mask, un evento mai assistito prima, visto che lui e la mia amica sono sempre andati d’amore e d’accordo, essendo di natura simili. Davvero, una scena così non si era mai vista!

Francesca in questo mese ha continuato a frequentare il Cancro anche se, per sua natura, come mi ripete spesso, ci va con ‘i piedi di piombo’. Dal canto suo, Death Mask sembra sinceramente preso da Francesca, ma anche io sono sul chi vive a causa dei suoi altarini passati, per altro ancora un bel po’ sconosciuti. Non metto in dubbio che Deathy voglia redimersi, ma ciò non toglie che con un tipo come lui bisogna stare un minimo attenti, o almeno è la mia sensazione. Credo che anche Camus la pensi così, lui è sempre stato contrario a questa relazione e, tutto sommato, non ha nemmeno mai avuto un grande rapporto con il Cavaliere del Cancro, (anche se ultimamente sono migliorati anche loro), per cui si oppone come può a questa evenienza, risultando anche a volte un pochino esagerato, come appunto qualche giorno fa. Certo, Francesca non ci mette molto a farsi rispettare e ad agire come meglio crede, finendo anche per alzare i toni (cosa non da lei!). Fortunatamente tutte le discussioni si aprono e si chiudono nell’arco di una o al massimo due ore, riportando poi la calma fra noi.

Sonia invece continua scrupolosamente gli allenamenti per diventare sempre più forte, pare anche abbia fatto una promessa a riguardo anche allo stesso Regulus. La vedo soventemente all’arena di combattimento, con Milo, o Aiolia e, qualche volta, Aiolos, saltuariamente persino tutti e tre insieme. E’ risoluta come non mai, concentrata, con tutte le sue forze, nell’apprendere nuove tecniche e a perfezionare quelle passate. La stimo sinceramente. Non si è fatta abbattere dagli avvenimenti passati, trovando invece in essi un profondo incentivo a continuare il suo percorso. Dovrei davvero trarre ispirazione da lei, malgrado sia più piccola di me…

Parliamo spesso, noi due, forse ultimamente più di quanto mi confidi con Francesca, Michela e lo stesso Camus. Mi sento… così distante da loro! Continuo a volere un bene dell’anima alle mie amiche, mio fratello continua ad essere la persona più importante della mia vita e so che continuerà così, malgrado l’avanzare del tempo; tuttavia in questo periodo ho come un blocco nei loro confronti. Michela e Francesca stanno, più o meno lentamente, sperimentando un sentimento nuovo, un qualcosa di talmente forte che io solo nella mia precedente vita ho provato. E’ vero, Michela ha già avuto relazioni in passato, Francesca è una divinità, quindi chissà quanta esperienza ha ben più di noi mortali, eppure stavolta anche io sento che è diverso. Sono contenta per loro, ma… non me la sento ancora di condividere questa marea di emozioni che sto continuando a provare, non adesso che possono essere realmente felici. Cosa avrebbero da spartire, ora come non mai, con una musona come me?! No… preferisco allontanarmi e osservarle da lontano, non voglio contaminarle con la mia, di infelicità. Questo è uno dei mille e più motivi per cui sono spesso a chiacchierare con Sonia. Si sta formando un rapporto assai profondo tra noi, entrambe parliamo del più e del meno, entrambe abbiamo piacere a passare del tempo insieme, infine entrambe ascoltiamo con grande pazienza gli sfoghi dell’altra, non lesinando in consigli ed idee. Recentemente sono riuscita addirittura a raccontarle del problema più ostico per me: mio fratello Camus dell’Acquario. Come già rivelatole, lui è tutto il mio mondo, ormai. Malgrado questo, in tutto questo periodo non sono riuscita a concludere un discorso con lui, limitandomi a rispondere a monosillabi e a distogliere subito l’attenzione su di lui. Non che entrambi non ci avessimo provato, eh, anzi, Camus tenta di parlare continuamente con me, di qualunque cosa, ma sono io il problema. Io… non riesco neanche a guardarlo in faccia, mi fa troppo male. Fa male posare il mio sguardo sul suo aggraziato profilo, su quei due zaffiri che si ritrova e sui suoi strani capelli che, pur liscissimi dietro, hanno quello strano ciuffetto sopra che mi ricorda quasi l’involucro di una castagna. Così rimaniamo distanti, tremendamente distanti, pur vivendo nella stessa casa: lui non può fare miracoli, pur sforzandosi di rompere il muro che ho creato involontariamente tra noi non può riuscirci, non finché non sono io stessa a creare una breccia in esso, cosa che non riesco ancora a fare. Anche di questo me ne vergogno incredibilmente. Sonia dice che passerà, che passerà come le rondini in autunno, per l’appunto, che il tempo solo può alleviare il mio stato; io non ne sono altrettanto sicura...

Nel frattempo pare che tutte le rondini si siano finalmente riunite, decisamente pronte a partire per iniziare il loro lungo viaggio. Tutte insieme fanno un chiacchiericcio più che consistente, ma è un piacere udirle, mi rilassa e mi fa sentire in pace con il mondo. Ho sempre amato la primavera, la rinascita che ne porta, unita alla speranza e ad un clima migliore, soprattutto se abiti tra i ghiacci eterni della Siberia; ora, vederle in procinto di partire per una nuova vita, mi rattrista un poco, ma insieme mi fa percepire ancora di più lo splendore di questa esistenza.

Ed eccola lì, la prima, probabilmente la più temeraria, ha spiccato il volo, seguita a breve distanza dal gruppo più vicino e successivamente da tutte le altre. Non torneranno più fino all’arrivo della prossima primavera, si sentirà la loro mancanza. Buona fortuna, mie piccole amiche, spero troverete più in là ciò che cercate!

Dei passi molto vicini a me mi spingono a voltarmi, trovandomi davanti agli occhi uno sguardo azzurrino sin troppo famigliare. Scrollo ferocemente la testa, tornando a concentrarmi sul presente, nel farlo discosto lo sguardo, fissando con insistenza il terreno sotto di me, in particolare un ciuffo di erba mosso dal vento.

“Finalmente ti ho trovata, Marta! Non sapevo dove andare a pescarti, visto che, di frequente, tendi a sparire. Poi mi sono ricordato che oggi partono le rondini, per cui ho pensato di trovarti in un luogo del genere. E infatti… - mi saluta Milo, in evidente stato di disagio – Camus mi ha chiesto di venirti a prendere, come sai, è da un po’ di giorni che non si sente molto bene. Voleva trovarti lui stesso ma ho preferito lasciarlo riposare e prendermi io la responsabilità” mi spiega poi, sospirando impercettibilmente.

“Camus… come sta?” chiedo, sinceramente mortificata.

“Sai… quello che ha subito in più di un mese non si cancella così, come se nulla fosse. Occorre del tempo, tanto tempo… so per esperienza che questo suo stato lo irriti e lo umili al tempo stesso, ma è meglio per lui non fare sforzi, visto le crisi che ogni tanto ha!” continua ad esplicare, pratico.

“Capisco...” sussurro, tornando a guardare il filo della corrente ormai svuotato.

Da quando siamo tornati, Camus ha ricominciato a pieno regime la sua attività di Cavaliere. Va ai raduni al tredicesimo tempio, si allena regolarmente e, a volte, lo mandano in missione. Tuttavia il suo corpo non riesce a reggere tali ritmi, provocandogli, di tanto in tanto, dei malesseri più o meno intensi. L’ultimo solo pochi giorni fa, di ritorno da una missione, quasi sveniva appena entrato in cucina, fortuna che Milo e Sonia erano con noi, ci hanno aiutato a metterlo a letto. Credo sia ancora sottopeso, anche se non ho idea di quanti chili abbia perso durante la lenta tortura di quel bastardo, ma la cosa più preoccupante non è nemmeno questa, bensì le crisi che ogni tanto lo colgono quando compie sforzi al di là della sua portata. Non ho neanche idea di come siano messe le ferite al petto, so solo che non è affatto normale che, tutto così di colpo, gli salga la temperatura corporea e perda conoscenza… sembra tutto così infausto!

“Marta, coraggio, torniamo insieme alla Casa dell’Acquario, le rondini se ne sono ormai andate, non torneranno per un po’ di mesi, inoltre anche tu devi mangiare qualcosa, mi hanno detto che rifiuti spesso il cibo e, anche quando ti nutri, sembri un uccellino. Questo non è minimamente da te, piccola, se aspettiamo ancora un po’ scompari, sei già un seghino così!” interviene ancora Milo, limpidamente preoccupato per le mie condizioni.

Sbuffo sonoramente, maledicendo mentalmente le mie amiche per aver reso partecipe anche Milo dei miei pranzi e cene. E’ vero, ho perso l’appetito e mangio pochissimo, è ovvio che siano preoccuparti per me, ma che mi lasciassero un po’ stare, per Atena!

In ogni caso, seguo docilmente il mio amico, chiedendomi per l’ennesima volta cosa avrebbe fatto invece Cardia al suo posto. Milo è sin troppo tranquillo ed educato per gli standard della sua precedente vita. Pur non nascondendo una buona dose di vivacità, sfrontatezza e via dicendo, non ha assolutamente nulla da comparare con Cardia. So che questo è il risultato delle esperienze vissute, in primis della morte di Camus nella Battaglia delle Dodici Case, ma ho comunque difficoltà ad approcciarmi a lui: Cardia, il mio migliore amico, in una circostanza simile, mi avrebbe imboccato a forza e costretto a mangiare. Quanto mi manca…

Milo non fiata per tutto il percorso, cosa assolutamente non da lui, un fatto talmente estraniante che quasi non mi fa rendere conto della gravità dei suoi pensieri, almeno finché, giunti al tempio dell’Acquario ed entrati al suo interno, non è il Cavaliere dello Scorpione medesimo ad interrompere il lungo silenzio fra noi.

“Scusami... so cosa stai pensando, e me ne dispiace, ma… non posso essere in alcun modo Cardia, quello ormai è passato. Tuttavia, sebbene non riesca ad essere il tuo migliore amico come era lui, tengo comunque molto a te. E’… è devastante vederti in questo stato, lo è per tutti noi!” mi prova a confortare, dando voce al suo incredibile intuito.

Lo fisso in silenzio, sentendomi ancora più mortificata in una simile situazione.

“Milo… sono io che vi chiedo perdono. Vorrei tornare da voi con tutte le forze, ma non ci riesco. Sono ancora prigioniera dell’altro mondo, io… non ho parole per descrivere il senso di colpa che mi affligge. Vorrei solo raggiungervi, ma… mi è impossibile!” dico, stringendo con forza inaudita le mani.

“Lo so, ce ne stiamo rendendo conto… vediamo la tua tristezza e la capiamo, tuttavia non possiamo nemmeno essere noi a raggiunge te. Sei… troppo distante! - sospira lui, dispiaciuto – In particolare Camus sta soffrendo molto a vederti in questo stato e… non può fare niente, capisci? Penso che si senta responsabile del tuo malessere, è devastante per lui non poter fare nulla per te, inoltre… uh? Che succede, Marta?”

“Non senti anche tu questo sibilo proveniente dal piano di sopra?”

“Eh? Che sibilo? Io non...”

Tace un attimo, acuendo il suo udito nel tentativo di percepire il suono in questione. Alzo ancora di più il capo, stordita dal sibilo sempre più forte. Sì, non c’è alcun dubbio, proviene da sopra, ma non dalle camere, bensì dalla biblioteca. E’ come una risonanza che dilaga nei dintorni, richiamando sempre di più la mia attenzione come i flutti del mare attraggono qualsiasi oggetto a sé.

“Marta, io non sento niente, a cosa ti riferisci di pr...”

“Milo... l’armatura dell’Acquario è al piano di sopra, nella biblioteca, giusto?” gli chiedo, completamente assorta. Un richiamo… sì, sembra proprio un richiamo!

“Sì, si trova lì, ma se fosse lei la causa di questo sibilo che sostieni di sentire, la udiremo anche noi Cavalieri d’Oro!” prova a convincermi lui, discretamente preoccupato. Del resto, sono stata assente per un mese intero, ora d’improvviso sento suoni non percepiti da altri, ci credo che sia così in apprensione davanti ad un comportamento simile!

Guidata dall’istinto, mi dirigo in direzione della scale, sempre più certa di quel che odo. Milo mi richiama più volte ma, non ricevendo alcuna risposta, è costretto a venirmi dietro con passo incalzante. Lo avverto sempre di meno, sempre più presa da quel sibilo che, proprio ora, sta diventando sempre più insistente nella mia testa, passando da una orecchia all’altra e trapanandomi il cervello con sempre maggior intensità.

Varco la soglia della biblioteca e mi dirigo al centro, scrutando i dintorni per capire la direzione del suono. Milo mi è dietro, a cinque, massimo sei passi da me; non ha occasione di raggiungermi però, perché la porta della biblioteca si chiude improvvisamente, riportandomi concretamente alla realtà con un sussulto.

“Milo!!! Dannazione, Milo!!!” urlo, dirigendomi verso la porta e picchiandola con forza.

“Marta!!! Marta!!! Che diavolo sta succedendo?! Tutto ok?!” mi grida di rimando lui, completamente nel panico. Che si tratti di un attacco nemico?! Dopo un mese il Mago si è già ripreso?! No, non può essere, troppo poco il tempo, anche se… anche se nella sua dimensione può forse essere passato un periodo più lungo, permettendogli di recuperare le energie e continuare con il suo piano. Un brivido mi scorre lungo la spina dorsale a quel pensiero, maledicendomi per non essere stata sufficientemente attenta. Tuttavia, ancor prima di razionalizzare un pensiero, un fruscio è dietro di me, leggero quanto inconsistente.

“Perdonami, Milo… non avrei voluto!”

Trasalisco all'istante nel riconoscere quella voce che non avrei pensato mai più di udire, nel farlo, la mia mano, improvvisamente molla, scende fino alla maniglia della porta e lì rimane, tremante. Gli schiamazzi di Milo dall’altra parte si fanno sempre più incalzanti, forse non percependo più il mio intervento, ma, in un certo qual modo, sono anche sempre più distanti, deboli, insignificanti…

Mi volto lentamente nella direzione opposta, gli occhi spalancati dall’incredulità e una fievole speranza in cuore. E’ così che i nostri occhi si incrociano ancora una volta. La sua espressione, prima risoluta, cambia nell’incrociarsi con la mia e so che anche per me è lo stesso. Il braccio è ancora protratto in direzione della porta, gli scaffali dietro di lui, i suoi libri tanto amati, traspaiono direttamente dal suo corpo, ormai null’altro che puro spirito.

“D-Dégel!” balbetto, mentre i contorni intorno a me si fanno sempre più sfumati... sono forse in procinto delle lacrime?!

“M-Marta… tu, riesci finalmente a vedermi?”

Annuisco, mentre il mondo al di fuori di me si fa sempre più torbido al di là della mera manifestazione di Dégel dell’Acquario, assurdamente così nitida davanti a me.

“Che… che sollievo! Io… per così tanto tempo ho cercato di farmi percepire da te, ben sapendo che non mi era concesso, ma… non volevo lasciarti sola, per cui ci ho provato e riprovato, ma a nulla sono valsi gli sforzi miei...”

“No… ci sei riuscito invece, fin dalla battaglia contro Crono, quando mi hai rincuorata prima dell’ultimo assalto, e forse anche prima!” biascico, quasi commossa.

“Lo avevi intuito allora, eh?” mi sorride mestamente lui, risultando sempre più vacuo, pallido e smorto. Una emanazione, per l’appunto!

“Eri con me persino quando Shion mi parlò per la prima volta di te. La carezza che avvertii, per mezzo di una ventata leggera che mi scompigliò i capelli, era la tua mano! Mi sei… così… mancato!” continuo, sempre più emozionata.

Dégel annuisce brevemente, mentre lo vedo baluginare un po’: è lampante che sia solo il suo spirito qui, non so come e non so perché, tra l’altro la sua anima dovrebbe essere dentro il corpo di mio fratello Camus, eppure… lui è qui, non è una illusione. So trattarsi di un attimo, di un frammento di tempo… svanirà, già lo avverto, ma sono ugualmente felice di rivederlo.

Lo guardo un po’, desiderando follemente di essere con lui persino in una simile situazione, ma so che apparteniamo a due sfere esistenziali diverse: la vita e la morte, non c’è possibilità di contatto.

Nonostante questa consapevolezza, il Dégel che ho davanti è quello di sempre, più smunto, più spento, più vacuo, ma sempre lui, il Dégel che ho conosciuto nel passato, il Dégel della mia precedente esistenza.

“Sai, per un’ombra non è affatto facile muoversi nel mondo concreto. Non hai possibilità di reazione, le cose accadono, davanti a te, senza che tu possa fare alcunché. Non ho potere di interferire… per anni ho vagabondato nel nulla nel tentativo di farmi percepire, niente! E’ stato tutto così assurdamente pleonastico quello che ho fatto fin’ora! Alla fine ho capito che, per manovrare, seppur per brevi istanti, gli oggetti, serviva una grande forza mentale e allora ci ho provato, ripetutamente, fino ad oggi...” mi prova a spiegare lui, prostrato.

“D-Dègel, io… ho così voglia di toccarti ora...” sussurro, vinta da quella emozione. Nello stesso momento allungo la mano nella sua direzione, trovando solo il nulla al suo posto. Come immaginavo...

“Marta, non sono più tra i vivi, non c’è alcun modo, per noi, di tornare ad intrecciare le nostre dita...”sospira lui, sinceramente affranto.

Tuttavia non mi rassegno, cercando, per lo meno, di avvicinarmi il più possibile a lui.

“Ma sei rimasto comunque al mio fianco, Dégel! Come posso… come posso lasciarti in questa situazione ora che sei riuscito a palesarti dinnanzi a me?! No, non ti abbandonerò, non più!” ribadisco, cocciuta, mentre le lacrime, stavolta le sento nitidamente, solcano il mio viso.

“Non l’hai mai fatto, Marta, non mi hai mai abbandonato! Tu… tu hai salvato la mia anima, ma le cose dovevano andare così, è giusto che siano andate così!”

“NOOOOO!!!” singhiozzo disperata, tentando ancora di oppormi.

Dégel si avvicina ancora di più a me nel gesto di accarezzare i capelli; gesto che non avverto minimamente, procurandomi così ancora più dolore.

“Non rendere le cose così tremendamente difficili, piccola rondine, non ho molto tempo e ti devo avvertire di una cosa importante, per questo sono qui!”

“I-importante?”

Dégel annuisce brevemente, allontanandosi un poco per cercare di darsi più contegno, anche lui profondamente emozionato dal nostro nuovo, insperato, incontro.

“Il Potere della Creazione… tu sai che significa, vero?” mi chiede poi, improvvisamente serio.

“Ne ha parlato Crono, sì, ma non so tutti i dettagli. Come sai… come lo sai?”

“Il Potere della Creazione non è che in me al livello embrionale… come saprai senz’altro, solo in Camus è allo stadio evoluto, costituendo una riserva di potere inesauribile oltre al cosmo, che possiedono tutti gli esseri viventi. La sua forza è quindi, in un certo senso, doppia. In battaglia non ha mai fatto uso di questa capacità, relegandola a forza dentro di sé e facendo ausilio del solo cosmo. Il Mago invece vuole impossessarsi proprio di questa sua particolarità: la Creazione! Gli è indispensabile per i suoi fini”.

Rimango basita a guardarlo, tentando di assorbire quelle nuove informazioni. Crono non aveva specificato nulla a riguardo, tranne il fatto che, sì, il potere fosse proprio in Camus. Quest’ultimo, poi, non me ne ha mai nemmeno accennato ed io ho rispettato questo suon volere.

“Al dire il vero mio fratello non mi ha mai nominato una cosa simile...”

“Non l’ha fatto perché non poteva, è una cosa che solo lui e Shion sanno, neanche Milo ne è a conoscenza! E’ una capacità tremenda, per questo è giusto che rimanga suggellata!”

“Questo potere… non mi sembra così negativo, perché sigillarla?”

“Sarà lui a parlartene quando se la sentirà. Piuttosto… - taglia corto lui, fissando il suo sguardo nel mio – Tu sai, vero, dove giace il mio corpo... anzi, i NOSTRI corpi...”

Sobbalzo violentemente a seguito della frase, guardando Dégel con un misto di paura e sgomento. Non ci avevo pensato prima, ma effettivamente, il Dégel che ho davanti, quello del dopo Atlantide, del dopo morte, colui che ha seguito il suo destino senza opporsi, sa perfettamente che io sono Seraphina ed è consapevole di ciò che è accaduto nella maniera più totale.

Annuisco silenziosamente, tesa alla massima portata.

“Ti devo chiedere… ti devo chiedere di lasciar riposare i morti e di… proteggerli, se puoi...”

“Dégel… non capisco, io...”

“Non possiedo il Potere della Creazione, ma lo si può estrapolare da me partendo dalla scintilla che lo contiene che è appunto contenuta al mio interno...”

Sussulto ancora e ancora, cominciando a comprendere.

“Significa che… che… PER ATENA, NO!”

“Al momento possiamo stare cheti; separano il mio corpo dall’esterno metri e metri di ghiaccio allo Zero Assoluto: il mio ultimo sforzo per placare Poseidone, salvare il mondo e per… r-rimanere con te”.

Arrossisco mio malgrado, portandomi una mano al petto.

“Al momento il Mago non sa di questa eventualità, ma… se lo dovesse scoprire, se Camus dovesse ancora sfuggirgli... potrebbe tentare anche questa mossa, usurpando la nostra tomba e venendo in possesso del mio corpo. Non dovete permetterglielo!” esclama, fremendo vistosamente.

“Non credo sia facile, nemmeno per lui, superare i limiti e travalicare lo Zero Assoluto, la temperatura teoricamente più bassa possibile. Neanche il mondo fisico può raggiungere i -273,15 gradi, solo tu ci sei riuscito, non può esserci quindi un modo per rompere il tuo feretro di ghiaccio!” ribatto, decisa.

“Quello che dici è veritiero, ma… lui, lo abbiamo visto, può trascendere ogni limite fisico! Al momento la strada gli è preclusa grazie a voi, ma… se le cose dovessero cambiare...”

“Dégel!!! Non lo permetterò, te lo prometto, io avrò cura del tuo lascito!” affermo disperata, percependo il senso di urgenza nella sua voce. Inaspettatamente mi sorride, un sorriso che mi riempie il cuore, per quanto esso sia etereo e inconsistente.

“Lo so, sono in buone mani...”

Vorrei aggiungere altro, ma lo vedo baluginare più forte rispetto a prima, la netta sensazione che presto scomparirà. Panico totale…

“Dégel! Non andartene, ti prego!!! Resta… resta con me!” urlo con tutto il fiato che ho in corpo, tentando di abbracciarlo ma ritrovandomi a stringere solo l’aria di questa stanza.

“Devo, Marta… il dispendio di energia per mantenermi visibile a te è notevole. Presto… presto non potrò più fare alcunché per un lungo periodo, ma già sapevo di correre questo rischio. E’ così frustrante sapere della crisi che stai vivendo in questo periodo e non poter fare nulla per te. Io… dovevo parlarti ancora una volta, nonostante una parte di me fosse consapevole che, l’incontrarsi di nuovo, sarebbe stato pernicioso per te, per la tua salute. Perdonami… ora soffrirai nuovamente nel perdermi e tutto perché ho dato voce al mio egoismo”.

“Hai fatto solo quello che era necessario Dégel, io non sono mai stata forte, hai… hai visto come son morta, portandomi dietro anche te. Non mi perdonerò mai per questo!” blatero, prostrata all’inverosimile. Tutto è successo per causa mia, anche adesso, che sono rinata a nuova vita, non me lo perdonerò mai!

“Non sei affatto... debole… sei sempre stata più forte di Unity, nonostante la malattia che ti ha condotta alla morte, perché non è certo da quest’ultima che si capisce quanto tenace sia una persona. Tu non ti saresti mai arresa, avresti combattuto per il tuo popolo, per il luogo che tanto amavamo, per la pace. Quindi non dire assurdità: hai custodito la mia anima, ti sei addirittura reincarnata a nuova vita per preservare l’umanità in me, te ne sono immensamente grato. Tu... mi hai salvato, in tutti i modi in cui un uomo può essere salvato! Grazie! Grazie, io...” mi sussurra con dolcezza, tentando di toccare la mia mano. La vorrebbe stringere, lo capisco fin troppo bene, ma, come ha detto lui stessopoc’anzi, le nostre dita non si possono più intrecciare.

“D-Dègel… non andartene, ti prego! Io… io non so come farò!” ripeto ancora, fuori di me.

“Ci riuscirai... ci riuscirai in qualche modo, perché ne sei in grado! Io sarò al tuo fianco; sotto un’altra forma, è vero, ma ti basterà aprire gli occhi per vedermi, ti basterà alzare il braccio per toccarmi, e sarò lì, sempre e comunque! - mi sussurra ancora, mano a mano che la sua figura va svanendosi sempre più - Non ti abbandonerò mai, te lo prometto! Averti conosciuto in vita è stata la cosa di cui renderò maggiormente grazia agli dei, è stata una meravigliosa avventura che, per quanto concerne me, si è conclusa senza più alcun rimpianto. Ora tu hai la facoltà di continuare, e lo farai! Finisce qui il nostro viaggio insieme, non il tuo. Ora prosegui per la tua via, Seraphina, il resto lo affido a te!”

E con queste ultime parole lo vedo, indistintamente, avvicinarsi a me per poi posarmi le labbra sulla fronte, naturalmente non percepite, ma è comunque di calore la sensazione che mi avvolge delicatamente le membra, un po’ come la luce abbagliante che mi circonda. Lentamente mi abbandono…

“D-Dégel...” riesco appena a sussurrare, in un mormorio strascicato e rotto. Poi il nulla...

 

* * *

 

 

Oltre l’orizzonte degli eventi… forse non è un luogo, ma una destinazione.

L’orizzonte in fuga si allontana sempre di più man a mano che l’osservatore cerca di raggiungerlo. Io sono di nuovo qui, al confine tra due mondi diversi e distinti. E’ buio e freddo, sono immobile. Tutto ciò che non si muove perisce, questo è il destino della vita stessa. Da quanto sono qua? Quante volte ci sono stata? E soprattutto perché? Una luce mi risucchia verso l’esterno -ma esterno di cosa, poi?- spingendomi, ancora una volta a lasciare quel luogo tetro e misterioso che rifiuta il movimento. Una luce, un richiamo, una voce, quella della persona a me più cara! E inaspettatamente ricomincio a muovermi...

 

 

Sobbalzo più o meno nell’esatto momento in cui avverto qualcuno scrollarmi con impeto, il risultato non può essere che svariati colpi di tosse consecutivi, la difficoltà a respirare regolarmente e l’accartocciarmi su me stessa a causa dello sterno dolorante. Fitte non ben definite si susseguono per tutto il corpo, mentre sento qualcuno chiamare più volte il mio nome in un singulto. Poco dopo vengo avvolta da delle braccia forti e delicate al tempo stesso. Per i primi istanti fatico a riconoscere i contorni intorno a me, fatico a raccapezzarmi e a definire un pensiero razionale. Gli occhi sono offuscati, ma il mio corpo è più abile del mio sguardo ad individuare il soggetto che mi sta tenendo tra le braccia.

“Ca-Camus...” trasalisco, con un filo di voce. Non vedo il suo volto, trovandomi contro il suo petto, ma percepisco il tremore del suo corpo, scosso da ripetuti spasmi.

Ci sono altri di fianco e vicino a me, forse qualcuno mi tiene pure una mano o, non so, la spalla, non capisco… mi ci vogliono parecchi minuti per riprendermi.

“Marta!!! Che paura ci hai fatto prendere!”

“Cosa è successo?!?”

“Mi dispiace, piccola, io… non sapevo che fare!”

Il vociare appartiene a Michela, Francesca e Milo, accucciati apprensivi al mio fianco. Ci troviamo nella biblioteca dell’undicesima casa e… AH! Ora inizio a rammentare ciò che è successo: ero con il Cavaliere dello Scorpione quando è successo tutto, il tintinnio, il sibilo che avvertivo era di Dégel, ho parlato con lui e… come faccio a riferirlo agli altri?

Le persone che mi stanno più care al mondo sono qui, al mio fianco, sono tornata, non so bene da dove, ma so di averlo fatto. Ancora non vedo il viso di mio fratello, ma quello sguardo terrorizzato presente negli altri, che probabilmente avranno pensato all’attacco del Mago, mi da le forze per spiccicare parola.

“Dégel… l’ho visto!” bisbiglio, certa della mia visione.

Come c’era da immaginarselo, le reazioni che ottengo sono tutt’altro che tranquille, preoccupando, se possibile, ancora di più gli animi. Nel tentare di sfuggire a quegli sguardi vacui e un po’ allampanati, persino più del fantasma di Dégel, provo a discostarmi da mio fratello, ma non ci riesco con le mie sole forze.

Camus allenta infine la sua stretta su di me, guardandomi con un misto di timore e incredulità.

“Marta, cosa stai…?”

“L’ho visto, sì, mi ha anche parlato e...”

“Certo, il nostro cervello ci fa vedere sempre le cose e le persone che desideriamo disperatamente rivedere!” taglia corto lui, cambiando drasticamente espressione e alzandosi in piedi con uno scatto. Il contatto fra noi oramai oppressivo da entrambe le parti.

I suoi occhi, ora così severi, mi intimoriscono e, insieme, mi offendono.

“Non sto vaneggiando, io...”

Non ho il tempo di finire la frase che vedo mio fratello allontanarsi da me, dirigersi verso la finestra, incrociare le braccia al petto e puntare il suo sguardo vuoto verso l’orizzonte lontano. Un chiaro sintomo di disagio e di chiusura; chiusura proprio nei miei confronti.

Vorrei raggiungerlo e parlargli, ma prima ancora di razionalizzare il pensiero mi trovo stritolata da Michela e Francesca che, spaventate a morte dall’avermi trovata svenuta, si aggrappano a me come per se avessero paura di vedermi sparire nel nulla.

“Buaaaaa!!! Ci hai terrorizzato, Marta! - singhiozza Michela, strusciandosi contro di me – E’ da un mese che non parliamo praticamente mai, è da un mese che ti sei chiusa al mondo, e ora questo… abbiamo sentito le urla di Milo, ci siamo precipitate qui insieme al Maestro, ma quella stramaledetta porta non si apriva. Poi quando ci siamo riusciti eri lì, stesa a terra, pallida come un cencio. Abbiamo pensato subito al Mago maledetto!” mi contestualizza lei, agitata.

“Sì, sai… è stato il nostro primo pensiero! Non rispondevi ai nostri stimoli, quasi sembrava che non respirassi nemmeno, abbiamo avuto paura, ma ora… ora va tutto bene, vero?!” le fa eco Francesca, più contenuta nei modi ma ugualmente sconvolta per i fatti antecedenti.

Sospiro diverse volte, lasciandomi coccolare dalle mie amiche, nonostante sia conscia dell’urgenza di riferire il messaggio di Dégel, il suo lascito. Mi sento davvero prostata e delusa da me stessa per come ho trattato le persone del mio presente in quest’ultimo mese, allontanandomi da loro e facendo preoccupare tutti. Un giorno… un giorno, quando sarò finalmente rinata, lasciandomi indietro la mia vita passata, ritornerò da loro più forte di prima. Vorrei… vorrei essere il loro sostegno, questo è il mio desiderio!

“Ora che ti sei ripresa siamo tutti più tranquilli, però è davvero strano quello che è successo, inspiegabile! La porta… la porta si è chiusa proprio da sola e non si apriva più, non sapevo come...”

“Milo, è stato Dègel a chiuderla, usando la sua forza mentale. Si scusa con te ma non aveva altro modo!” gli racconto, quasi brusca.

Nella stanza ricade un silenzio assordante, mentre tutti sono immobili come statue di ghiaccio.

“Ah… Dégel, certo. È una frase da lui, ma...” proferisce Milo, in tono ambiguo. E’ chiaro che non mi creda, qui nessuno mi crede, come potrebbero d’altronde?!

“So che sembra assurdo e inconciliabile a tutti voi, ma Dégel è qui, è sempre stato qui… una parte della sua anima è rimasta legata a questo luogo e quindi lui ha fatto di tutto per mettersi in contatto con me soprattutto in quest’ultimo mese. Ci è riuscito solo oggi e lo ha fatto per una ragione specifica, e sarebbe...”

“Marta, piantala di sproloquiare! Ciò che dici non può essere stato che un sogno partorito dalla tua mente. A te semplicemente manca Dègel e il tuo cervello te lo ha fatto vedere, fine!” mi sgrida veemente Camus, ritto davanti alla finestra. La frustrazione di chi, pur volendo, in qualche modo, aiutarmi, non può farlo in alcun modo.

“Camus, ascoltami, almeno… prima di saltare a conclusioni affrettate, lascia che ti spieghi di quanto avvenuto. So che sembro una pazza in questo momento, ma...”

“NO, Marta! Conosco fin troppo bene quello che stai passando, ma reagisci nella maniera sbagliata. Non fare l’errore di ancorarti ai ricordi, metti da parte il passato e concentrati sul presente! - ribadisce lui, secco, prima di continuare – Non esiste più alcun Dégel, IO sono ciò che è rimasto di lui. La sua anima è dentro di me, o almeno, il suo retaggio. Mi dispiace, non è possibile ciò che vai dicendo!” conclude, non nascondendo un certo rimorso nel parlare.

Lo guardo rattristata, intuendo limpidamente il malessere che ha accompagnato anche lui in quest’ultimo mese, motivo peculiare della sua reazione oggi.

Alla fine non è cambiato nulla fra noi, lui continua ad avere quell’attitudine al ‘sono io il fratello maggiore per cui so quel che dico’, mentre io continuo ottusamente a scornarmi con lui. Contrariamente al mio stato d’animo, sorrido amaramente tra me e me, decidendo di andare dritto al punto.

“Il Potere della Creazione...” accenno infatti, fissando la mia espressione nella sua, lui si irrigidisce di botto, spalancando le palpebre e tremando appena. Come immaginavo…

“Dégel mi ha chiesto di preservare il suo corpo, impedendo al Mago di accedere alla sua tomba. Il Potere della Creazione non è che in lui allo stato embrionale, ma sufficiente da poter essere estrapolato e lavorarci su. Non possiamo permettere che questo avvenga!” riassumo, pratica.

In verità nessuno dei presenti, ad eccezione di Camus, ha la più pallida idea di cosa io abbia affermato. Vedo la paura, lo sgomento, l’incredulità passare nei loro occhi, il tutto ben amalgamato nelle loro espressioni confuse. Rimango in silenzio, stringendo i pugni.

“Il potere… di cosa?”chiede Michela, cercando di attirare la mia attenzione.

“La Creazione… ne ho sentito parlare, noi divinità la conosciamo da molto tempo, ma la sua esistenza si perde nella notte dei tempi. Marta, tu come fai a...”

“Stai forse dicendo che dobbiamo proteggere il corpo di Dégel sito ad Atlantide?!?”

L’ultima domanda di Milo si perde nell’aria, insieme ad altri mille mila quesiti taciuti e a stento trattenuti. Continuo a fissare il volto di Camus, ora chino a guardare il pavimento. Mi interessa che lui abbia capito, null’altro.

“Te ne ha parlato… Dégel? - biascica, nervoso – Dunque… davvero ha trovato il modo per raggiungerti, eppure la sua anima dovrebbe essere dentro di me, la percepisco!” constata ancora, sempre più interdetto, osservandosi le mani.

“Me lo aveva già accennato Crono, è questa la ragione per cui il Mago voleva il tuo corpo, vero?! Non solo per il ghiaccio, non solo per portare ai massimi livelli il tuo potere congelante e quindi, all’occorrenza, poter fermare il tempo, ma anche e soprattutto per questo. Camus… sulle tue spalle sta il peso del mondo, poiché sei il primo essere umano, dopo secoli e secoli, forse millenni, a possedere la scintilla divina della Creazione...” esterno il mio pensiero, consapevole di star attraversando una nota dolente per mio fratello.

Lui annuisce appena, tornando, per brevi secondi, a fissare fuori dalla finestra, nuovamente sfuggente. Quando il suo sguardo torna su di noi quasi percepisco il peso di quella vita e di quel potere a forza celato. Non so come comportarmi ma è Camus stesso a parlare.

“Ti racconterò tutto… - inizia, cupo – ma non qui!”

“Cam, va bene anche se non me lo vuoi dire, lo capisco. Non volevo sforzarti a...”

“No, invece! Volevo comunque raccontartelo, Marta, ma le parole mi mancavano. Lo farò appena possibile, visto che è uscito il discorso, però non è questo il luogo adatto”.

Cala un nuovo silenzio tra noi, mentre mio fratello cammina nervosamente in cerca di qualcosa nella biblioteca.

“Ohi, ohi, pare che siamo stati tagliati fuori, nevvero?” interviene Milo, sarcastico.

“Amico mio, io non...”

“Lo so, non mi hai mai parlato di questo… questo potere che dite della Creazione, ma suppongo avessi una valida ragione. - afferma ancora lo Scorpione, fissando intensamente Camus il quale annuisce ancora una volta – Va bene così, Cammy. Se è una cosa tra voi, se hai bisogni di ritagliarti un po’ di tempo con Marta, vai senza esitare!”

“Ti… ti ringrazio...”

Un ulteriore silenzio, che profuma di un qualcosa di solenne, mentre le mie amiche ed io fissiamo la scena stupite.

“Io… io non sto capendo, dove devono andare il Maestro Camus e Marta?” chiede Michela, non arrendendosi all’eventualità di non sapere.

“Francesca… - di nuovo la voce di Camus, mentre i nostri occhi saettano da una parte all’altra a seconda di chi prende la parola – Ti affido l’undicesima casa e gli allenamenti di Michela. Quando torna Hyoga digli che non sarò presente per i prossimi tre giorni!”

“V-va bene, ma voi… voi dove andate?” domanda lei di rimando, fiera di avere un incarico così importante dato proprio dal suo maestro, ma parallelamente tesa nel percepire l’urgenza della sua voce.

“Andiamo dove tutto è iniziato...” sussurra soltanto, poco prima di cingermi le spalle con un braccio e portare il mio volto contro il suo torace, costringendomi così a serrare istintivamente gli occhi.

Uno strappo nella regione ombelicale è l’unica cosa che avverto, prima di essere afferrata da una luce dorata calda e accogliente.

 

 

* * *

 

 

Ho intuito già da prima le intenzioni di Camus, dal suo sguardo, dalla luce nei suoi occhi e, in ultimo, dalla muscolatura rigida ancora prima che proferisse quelle parole. Tuttavia il mio corpo, non ancora avvezzo alla velocità della luce e non ancora temprato dai duri allenamenti, avverte con distinzione il cambio di luogo e… di temperatura.

Mi ritrovo ben presto ginocchioni per terra, ansimante e tremante allo stesso tempo. E’ infatti il freddo la prima cosa che sento, ancora prima del terreno incrostato dal ghiaccio sotto di me. Per la prima volta da un bel po’, mi ritrovo nel più spietato inverno, anche se, in linea teorica, dovremmo essere ancora in autunno qui, le nevicate dovranno aspettare ancora qualche giorno prima di coprire, con un evento nuovo, queste lande desolate. Ma che freddo, però!

“Come avrai facilmente intuito, ci troviamo nella Siberia Orientale, non troppo lontani da Pevek e dall’isba in cui ho addestrato Hyoga – mi spiega Camus, aiutandomi ad alzarmi – Marta, purtroppo non hai che il peplo addosso, in questi mesi non c’è stato neanche il tempo per pensare di trovarvi altri indumenti, ma è una cosa che farò al più presto con l’avanzare della brutta stagione, te lo prometto. Nel mentre, se hai freddo...”

Sorrido divertita nell’avvertire il tentato calore che ha tentato di mascherare in un apparente tono neutrale. Davvero uno strano fratello mi sono scelta!

“Grazie, ma non occorre ora. Sto tremando solo per lo sbalzo termico, in verità non fa troppo freddo qui, per i vestiti più pesanti ci sarà tempo più in là, no?! Ora pensiamo ad andare, io ti seguirò!” rispondo, facendogli l’occhiolino per rassicurarlo. Camus mi sorride di rimando, intenerito. Deve aver capito il mio bluff ma fa finta di crederci. E avanza.

Effettivamente ho freddo, dannatamente freddo, malgrado le mie tecniche del ghiaccio si siano notevolmente potenziate in questi mesi e sappia sin troppo bene che, in verità, pur con la luce morente e il cielo grigio, questo posto si trovi in uno dei periodi più caldi dell’anno. Eppure tremo.

Cercando di non darci troppo peso, cerco di stare dietro al passo di mio fratello, assai più esperto di me a muoversi in questo luogo, un po’ come uno sciamano che conosce a menadito il territorio su cui ha vissuto. Faccio del mio meglio per non inciampare nel duro terreno incrostato e indurito dalle frequenti gelate. In verità le nevi e i ghiacci eterni sono affamati di nuove precipitazioni, il permafrost è ai minimi termini, permettendo a qualche porzione di terra di vedere la luce del sole. I ghiacci sono in attesa, il sole è già basso e noi due siamo gli unici umani, in apparenza, a colonizzare queste terre. Stranamente non vedo nemmeno animali in giro.

Camus si ferma e si volta, io gli arranco dietro, dandomi un contegno come posso. Ho tutte le scusanti per essere maldestra e imprecisa nei movimenti, eppure non voglio deluderlo, né tanto meno farmi aiutare da lui. Voglio essere all'altezza delle sue aspettative, perché, ne sono consapevole, Camus non è arrivato subito all'isba proprio per saggiare le mie capacità. Ed io sarò degna di questa prova.

Dopo mezzora di cammino (non ho idea di quanto manchi!), mio fratello non procede più davanti a me, ma si affianca, cominciando a parlare di Pevek, la città più vicina alla sua isba e, contemporaneamente, uno dei centri abitati più a Nord della Russia.

Camus mi racconta che la città è stata fondata dopo la Prima Guerra Mondiale sulle rive del Mar della Siberia Orientale per fornire un porto per esportare i minerali. Con l’avanzare del tempo, molte miniere sono diventate non redditizie e quindi, conseguentemente, hanno chiuso, diminuendo anche mano a mano la popolazione che abitava queste terre. A causa della sua latitudine nord oltre il Circolo Polare Artico, le condizioni climatiche sono estremizzate rispettivamente nei periodi più freddi e più caldi.

“Sai, l’inverno è una lunga notte che inizia da circa fine novembre a metà gennaio. In questo periodo di tempo l’unica luce naturale che abbiamo a disposizione è quella dell’aurora boreale, la grande divinità venerata dagli sciamani fin dagli albori della nostra storia. E’ dura e fa freddo, tanto che siamo avvezzi a muoverci al buio o comunque all'aperto laddove chiunque si chiuderebbe invece in casa, ma mai quanto il Sole di Mezzanotte, dove l’astro in questione rimane costantemente sopra l’orizzonte per un tempo prolungato. Lo vedi scendere, lentamente, toccando il punto più basso verso Mezzanotte, per poi risalire, tanto da sperare che si spenga per sempre, a volte!” continua il suo racconto, in tono evocativo.

Lo ascolto ammirata, sforzandomi di immaginare cosa la lunga notte e il lungo giorno possa comportare per loro, ma più ci penso più mi sento di non condividere il suo pensiero. Io ho sempre amato il sole, so cosa voglia dire vivere asserragliata dai ghiacci, proprio per questo non riesco proprio a concepire l’idea di prediligere la lunga notte: vivere costantemente al buio, senza più vedere la nostra stella per interi giorni, il freddo, la morte, le bufere… No! Ho sperimentato sulla mia pelle tutto questo e, ancora di più, non posso che amare follemente il sole!

Proseguiamo il nostro tragitto per un tempo indefinito, mentre il sole è sempre più basso all'orizzonte. Sono stanca e ho le piante dei piedi sempre più dolenti, del resto i sandali non sono propriamente propedeutici per queste latitudini e questi climi. Quasi sbatterei a terra, ma piuttosto che lamentarmi e mostrare cenni di stanchezza mi mordo la lingua e vado dritta per la nostra strada, cocciuta. Finalmente raggiungiamo una simpatica casetta di legno su due piani, isolata da tutto e tutti, non troppo distante dal mare, o almeno credo visto che mi pare di sentire quel particolare profumo salino che solo lui può dare. Do una veloce occhiata a Camus, che si limita ad annuire e farmi strada. Il suo assenso viene accolto da un mio sospiro di sollievo, ovviamente soffocato tra me e me.

L’isba sembra graziosa e confortevole, ma non ho comunque le forze per indagare. Un leggero dito di polvere mi indica che la casetta è in disuso da un po’, ma ugualmente accogliente. Mi siedo pigramente su una sedia vicino al tavolo, dopo aver dato giusto una spolverata per evitare di sporcarmi, nel frattempo Camus comincia a svolgere le consuete mansioni, quali accendere la stufa (unicamente per me, visto che devo avere un non so che di patetico che a lui di certo non è sfuggito), attaccare la presa di alcuni elettrodomestici, passare la scopa e detergere l’ambiente. Vorrei tanto aiutarlo, chiedendomi se, in passato, nel periodo dell’allenamento degli allievi svolgesse le stesse mansioni come una perfetta donna di casa. Sbuffo e ridacchio tra me e me nell’immaginarmelo tutto trafelato a cucinare e a pulire, ma la mia mente sempre più stanca non mi permette di figurarmelo bene, malgrado gli sforzi…

Avverto una inconsueta pressione tra le tempie, un qualcosa di duro che non razionalizzo fintanto che Camus stesso non mi accarezza delicatamente i capelli, riscuotendomi.

“Marta, sei stanca… su, se vuoi, ci sono due letti” mi avverte, premuroso, in uno strano tono che non sono in grado di comprendere.

Ah ecco, devo essermi addormentata sul tavolo o qualcosa del genere. Chiudo di nuovo gli occhi, stanca. Sono nel dormiveglia ora, a metà strada tra il conscio e l’inconscio.

Passano diversi minuti e una coperta viene posata sulle mie spalle… credo, non so, sono troppo stanca per aprire anche solo una palpebra.

In qualche punto remoto della stanza avverto la voce di Camus giungere alle mie orecchie come sempre dolce e calda.

“Visto che seguiti ottusamente a dormire lì, ti ribadisco che ci sono due letti al piano di sopra, Marta! Sei stremata e hai bisogno di riposo, usali senza fare complimenti. Io intanto vado a comprare qualcosa da mangiare e...”

“Ti aspetto qui, fratellino, ce la faccio...” biascico, muovendomi appena.

“Ma stai crollando dal sonno e...”

“Resto qui!” continuo ostinata, respirando profondamente.

“Cocciuta come sempre!” mi rimprovera bonariamente lui, avvicinandosi per scompigliarmi nuovamente i capelli.

“Ho preso da te!” soffio di un fiato, mentre un largo sorrido mi solca le guance.

 

 

Non so se Camus mi abbia più risposto, perché la scena davanti ai miei occhi cambia magicamente, riportandomi all’aperto, al freddo e al... passato; un passato non mio.

E’ buio fuori, come diceva mio fratello non vi è che l’aurora a rischiarare i dintorni, pallida luce evanescente ma sicura. Eppure, malgrado le condizioni proibitive, un ragazzo e due bambini sono seduti sul ghiaccio intenti a mangiare pesce appena cotto, pegno per gli sforzi dell’allenamento odierno.

Il bambino biondo dagli occhi grandi e azzurri; azzurri come un fiume di ghiaccio, rimane in silenzio a gustare il suo pesce, quasi come fosse la cosa più bella e preziosa del mondo. Dall’altra parte invece, un bambino dai capelli verdi e lo sguardo vivace non fa che porre quesiti su quesiti al Maestro, in un modo che mi ricorda un po’ Michela.

Maestro! Maestro! Maestro! Ma l’aurora boreale, infine, cosa è? - chiede, tutto trafelato – Ho sentito che è il sole stesso, è vero? E’ il sole che, pur non essendo visibile, ci fa capire che c’è sempre e comunque?”

In effetti in un certo senso è così, Isaac, ma il concetto è di difficile intuibilità per dei bambini come voi. Ti basti pensare che ci sono particelle cariche di origine solare che, a contatto con l’atmosfera, in particolare con la troposfera, eccitano gli atomi della suddetta, creando questo effetto ottico. Quindi sì, romanticamente può essere considerato lo stesso sole che, nonostante il buio, non ci abbandona mai!” racconta Camus sempre in tono evocativo, sorridendo al piccolo. Isaac ne è entusiasta, al sua bocca si spalanca in un enorme ‘o’ eccitato, davvero il suo maestro è l’uomo più puro e giusto che ci sia in questo mondo!

Mama mi raccontava anche un’altra cosa!” interviene quindi Hyoga, perso come sempre nei suoi pensieri. Camus inarca prudentemente un sopracciglio, come sempre quando si tratta del piccolo Hyoga, sin troppo ancorato al passato e ai ricordi. Tuttavia gli chiede delucidazioni, incuriosito.

Mi raccontava che c’era questa creatura che aveva la forma di un canide, per alcuni era una volpe, per altri un essere non ancora decifrato, per altri ancora un vero e proprio Husky… comunque l’aurora è causata dalla corsa di questo animale che, si dice, corra in lungo e in largo insieme ai Venti del Nord. Proprio grazie al suo movimento, la neve smossa vola verso il cielo, formando i colori dell’Aurora” prova a raccontare il bambino, un po’ impacciato nel sentirsi così messo alla prova.

Inaspettatamente il Maestro ridacchia tra sé e sé, colpito dall’ingenuità appena dimostrata. In effetti sarebbero dovuti diventare in fretta uomini, non c’era scelta, ma, per il momento, all’infuori dei duri allenamenti, il profumo dell’infanzia accarezzava i loro giovani corpi, non avrebbe accelerato il tempo più del dovuto.

E’ una bella storia, Hyoga, in effetti anche io ho sentito parlare di questa creatura affascinante, ma non pensi forse che, se esistesse veramente, sarebbe esausta dal continuare a correre in lungo e in largo per l’emisfero boreale?! In tal senso avrebbe la lingua penzoloni di fuori e le zampe rosse a causa della neve, nessuna creatura di questa terra potrebbe osare tanto e per un tempo così prolungato, neanche i Cavalieri!” ribatte Camus, totalmente sereno. Le risate cristalline degli allievi riecheggiano allegramente nei dintorni, sormontando il frastuono del vento lontano che, proprio in quel momento, prende a soffiare.

 

 

“Marta… mi hai aspettato davvero qui!”

Una carezza sopra la mia testa mi riscuote. E’ calda e accogliente,, così come la leggiadra voce che mi accoglie, insostituibile. Non mostro alcun cenno di movimento da quanto sono cullata nel sonno.

“Marta… - un ulteriore richiamo – cosa devo fare con te?! Eri sfinita ma hai voluto aspettarmi qui, come se non bastasse non ti sei lamentata neanche un istante per la lunga marcia che ti ho costretto a fare, e tutto per non deludermi, vero?”

A questo punto mi alzo di scatto a sedere, fissando il vuoto per alcuni secondi interminabili. I miei occhi sono aperti ora, ma le nebbie del sonno mi irradiano la mente, provocandomi uno stato di alienazione rispetto all’ambiente circostante. Camus se ne deve essere accorto, perché avverto appena la sua voce quel tanto che basta per impartire l’ordine alle mie gambe di alzarmi e cercare un giaciglio più consono. Da qualche parte, dentro di me, so di essermi addormentata sul tavolo, ma i miei movimenti sono oltremodo fiacchi. Ho un unico obiettivo: ricercare il letto e coricarmi, tornando al sonno da cui sono stata strappata. In effetti l’oggetto della mia ricerca è a poca distanza da me, posizionato in un angolo separato dalla cucina da un muro. Mi dirigo lì in automatico, del tutto incurante delle lamentazioni che avverto provenire da mio fratello da qualche parte dietro di me. Senza curarmene più di tanto, raggiungo la meta, coricandomi e raggomitolandomi su me stessa. Che freddo! Il gelo della Siberia deve essermi penetrato nelle ossa, sento le giunture e i muscoli completamente rigidi, fattore che mi rende ancora più assopita.

Trascorrono secondi, forse minuti, in cui ho un black-out pressoché totale, il placido nero dell’incoscienza che mi avvolge. Poi… di nuovo una carezza sulla mia fronte e una voce, in apparenza lontana.

“Penso sia ormai inutile dirti che questo è il mio letto, vero? Non sei più fisicamente qui..”

Una risata leggera, mentre la presenza vicino a me rimane in contatto con la mia schiena: si deve essere seduto sul bordo. E’ davvero meraviglioso che io non percepisca più nulla intorno a me, ma che comunque riesca ad avvertire lui, mio fratello, come se il legame tra noi superasse qualsiasi cosa. Il suo sguardo è su di me mentre sospira impercettibilmente regalandomi un altro sorriso… amaro, ma pur sempre un sorriso.

“Sei così simile ad Isaac… anche lui faceva di tutto per essere all’altezza delle mie aspettative, arrivando a volte allo stremo. Quel ragazzo… non poteva tollerare in alcun modo l’idea di poter essere una delusione per me, era intransigente, schietto e in possesso di una volontà ferrea che lo spingeva a perseverare con ostinazione nel suo desiderio di diventare Cavaliere per salvaguardare la pace nel mondo e gli esseri umani – mi racconta, in tono sommesso, non smettendo di accarezzarmi la schiena – La stessa caparbietà la rivedo in te, Marta, tu… voi siete sempre così dediti a voler essere degni di me, ma sono io… sono io a deludervi, invece, l’anello fallace di questo circolo!”

Un lungo silenzio assordante, poi uno sbuffo, seguito da una risatina nervosa e autoironica.

“Scusami… pensavo che, dopo i fatti accaduti il mese scorso, io fossi in grado di parlarti schiettamente e in tutta sincerità, tuttavia, a quanto pare, mi è ancora difficile farlo, nonostante ci stia provando con tutto me stesso. - dice, sentendosi a suo agio a parlarmi in una simile circostanza – Fai bei sogni, ma petite, e… perdonami, per tutto! Hai scelto me, rinunciando al tuo amore per Dégel ed io… io non sono nemmeno in grado, ancora una volta, di parlarti a cuore aperto quando sei vigile. Davvero patetico!”

 

 

* * *

 

16 settembre 2011, mattino

 

 

Zampetto lentamente in direzione del mare, da dove sento provenire nuovamente un richiamo forte e insistente. In verità, non ho alcuna garanzia che sto andando proprio verso la grande distesa d’acqua, giacché non sono mai stata qui, ma ne sono convinta e pertanto proseguo il mio percorso. Sotto i miei piedi il terreno pare scricchiolare da quanto è gelato. Pensare che siamo solo a metà settembre, i rigori invernali veri e propri non hanno che da venire!

Ho lasciato Camus a dormire nel letto, non l’ho nemmeno avvertito, ora che ci penso, però mantengo ben brillante il mio cosmo, cosicché lui possa raggiungermi in qualunque circostanza.

Dopo il suo sfogo di ieri mi sono addormentata completamente, non percependo più niente. Al mio risveglio ero tra le sue braccia, quasi come se avesse avuto paura che potessi scomparire da un momento all’altro. La sua presa su di me nascondeva un qualcosa di facilmente assimilabile alla disperazione, mentre il suo volto, pur profondamente addormentato, non era per niente sereno.

Sospiro, sfregandomi le mani nel tentativo di recuperare un po’ di calore. Sono una codarda, non so cosa altro pensare di me… dovrei trovare le forze per tranquillizzare mio fratello, per fargli capire che non sono pentita della mia scelta e che, anzi, è quanto di più bello avessi mai potuto compiere. Ma… in questo mese non ho fatto altro che chiudermi da tutto e tutti, allontanandomi per non essere raggiunta più da nessuno; per un mese ho messo gli altri in condizione di soffrire, non solo per i fatti accaduti, ma anche e soprattutto per me. E Camus… Camus è quello che ha subito più di tutti questo stato, come se non fosse abbastanza quello che ha dovuto passare in questo periodo!

Guardo desolatamente il paesaggio intorno a me, ai miei occhi tutto uguale. Un tempo ho vissuto in lande non dissimili, ma ora non ce la farei più, nonostante il mio potere inerente al ghiaccio. Il fischio dentro di me persevera, si fa sempre più pressante, dimostrandomi che sono sulla strada giusta; la strada della pazzia, aggiungerei con ironia, visto che la mia testa è un continuo coacervo di richiami. Se non fossi certa della loro reale esistenza, penserei di essere precipitata nella pazzia.

Poco dopo mi blocco improvvisamente, avendo raggiunto una grossa voragine che gitta direttamente dentro il mare. Rimango sbalordita a contemplarla, chi deve aver fatto questo, chi deve essere stato in grado di rompere le nevi eterne, deve essere stato un uomo fuori dal comune; ancora di più perché, di primo acchito, pare proprio che il ghiaccio eterno sia letteralmente imploso da sotto… da sotto l’acqua, quindi! Com’è possibile?!?

Non ho il tempo di domandarmi oltre che una luce azzurrina attira la mia attenzione, portandomi a specchiarmi sotto di me. Che cosmo spaventoso che si riesce ancora ad avvertire, mi sta quasi chiamando ed io… io non posso assolutamente oppormi!

Senza nemmeno rendermene conto, sono già in acqua, le gambe che, malgrado l’intorpidimento dato dalle basse temperature, sbattono velocemente per darmi la spinta verso il basso. Più giù, devo andare più giù… più giù! Solo in profondità potrò finalmente incontrarlo, lo avverto.

L’acqua gelida fa male al petto, fa bruciare le gambe e mi irrigidisce le dita, tuttavia non me ne curo, proseguendo per la mia direzione. Ormai sono diversi metri in profondità, le orecchie mi iniziano a dolere, malgrado la compensazione dell’aria che spingo a forza fuori dalle mie labbra. Forse sarebbe il caso di tornare indietro, però avverto distintamente che manca davvero poco, un ultimo sforzo, mentre concentro tutto il mio ossigeno nei polmoni per non affogare. Comincio davvero ad essere esausta, almeno finché…

 

Mia spuma del mare, tu che sei entrata laddove qualcun altro ha cessato di vivere nel mondo della superficie, dimmi… hai forse dimenticato di poter respirare? Inspira ed espira, Seraphina, sai che puoi farlo, non avere remore alcuna!

 

Lentamente eseguo quando chiesto con prudenza, temendo di ingoiare l’acqua salmastra di questo luogo, tuttavia i miei polmoni, dopo un breve sussulto, si abituano ben presto a respirare l’ossigeno disciolto in acqua. Nello stesso momento la pelle, prima martoriata dal gelo, si fa via via più fluida, riportandomi un poco di calore. Non so bene cosa stia succedendo, ma sembra quasi che il mio organismo e l’ambiente circostante interagiscano tra loro tramite osmosi, proteggendo il mio corpo dagli aghi acuminati che sono il gelo.

“Dio Poseidone… quale è il motivo della tua chiamata qui? Perché hai aspettato così tanto per palesarti?” chiedo mentalmente, perché comunque non posso aprire la bocca per parlare.

 

Tu sei fatta d’acqua, Seraphina… o meglio, tutti voi esseri umani siete costituiti da questo elemento, ma tu hai qualcosa che ti permette di accentuare tale capacità, o meglio due… Una, la sai già, è il cosmo ghiacciato che hai ereditato da tuo fratello Camus in questa vita; il ghiaccio è acqua, ma questo non da la garanzia di governare anche la sua forma liquida, lo sai, vero? Tu hai un’altra cosa indispensabile per controllare tale potere…

 

Rimango ferma immobile con fare pensieroso, intorno a me è tutto molto scuro, tanto da farmi credere, per un breve secondo, di essere ripiombata nel mondo dei sogni. Poi… improvvisamente l’intuizione, i miei occhi saettano, increduli, le labbra tremano appena.

“Ma non sarà che…?!”

 

Ebbene sì, l’Oricalco… l’oricalco che è dentro di te, Seraphina, custodito dalle tue sembianze attuali, incastonato come una gemma nel lago…

 

“Io non so davvero come sia possibile… l’Oricalco sarebbe dentro di me? Non si era irrimediabilmente danneggiato per intervento di Pandora?!? Come può trovarsi dentro il mio attuale corpo?

 

E’ in te, ciò ti basti… nemmeno noi dei sappiamo rispondere a certi quesiti. In ogni caso la mia gemma ce l’hai tu, per sbaglio, è vero, ma questo non toglie che ho bisogno di te. Sii la mia mano implacabile, Seraphina, la mano con la quale punirò il Mago impostore.

 

“Mi stai chiedendo di diventare il tuo vassallo, in sostanza… ma i miei ideali differiscono notevolmente dai tuoi e la mia volontà, in fondo, non appartiene che ad Atena, perché questa è la strada che mi è stata indicata da mio fratello. Come puoi quindi fidarti di me?

 

E’ giusto così… io sono impotente in questa situazione, poiché Atena, in quest’epoca, mi ha già sconfitto. Tuttavia già una volta mi sono unita a lei per combattere contro Hades e impedirgli la conquista del mondo, non vedo perché esitare ora che il pericolo è più grande. Tu segui il tuo percorso come meglio credi, io ti faccio ausilio del potere dell’acqua, l’origine della vita, tu promettimi che estirperai il Mago da questa dimensione, non chiedo altro. E inoltre…

 

“Inoltre?”

 

No, nulla… è solo giusto così. Un tempo, un promettente aspirante Cavaliere di Atena si è unito alle mie schiere, poiché credeva realmente nel mio ideale di giustizia. Fu detto Kraken e agì di conseguenza distruggendo tutto ciò che ostacolava la realizzazione di questo mio mondo di pace. E’ stato uno dei più valenti guerrieri che abbia mai avuto. Accadde tutto per un incidente, è vero, ma ora desiderio ricambiare il favore e tu, donna che ha vissuto due volte, sarai la mia mano che guiderà i Cavalieri di Atena verso la distruzione di quell’homunculus, intesi?

 

“Beh… non mi pare di avere molta scelta, hai già deciso tutto tu!” ironizzo, guardandomi intorno preoccupata. I miei sensi si sono infatti acuiti, trasmettendo al mio corpo una sensazione di schiacciamento data da un impellente pericolo in avvicinamento. Cosa sta accadendo nei dintorni?

 

Hai ragione… voi umani siete pedine nelle nostre mani, questo è il nostro pensiero comune, tuttavia… ci sfuggite sempre. Non sei obbligata a fare quanto ti ho detto, ma trovo che il Mago sia un nemico in comune, quindi non hai neanche un motivo preciso per non distruggerlo. Anzi, TU vuoi distruggerlo, nevvero?! Persino allora, poco dopo la tua morte, hai combattuto insieme al Giudice degli Inferi nel Limbo per salvare l’anima di Dégel, o ricordo male?

 

“COSAAA?!? IO AVREI COMBATTUTO NEL LIMBO CON RHADAMANTIS PERCHE’ IL MAGO VOLEVA DEGEL?!? - urlo, totalmente sbalordita, aprendo automaticamente la bocca – Ma quindi il nemico… sa!”

Silenzio intorno, non otterrò risposta. Acqua salina entra in me, provocandomi un vero e proprio colpo di tosse. Nonostante il mio essere acqua, avverto le forze venir meno, quasi come se l’ingranaggio che mi permetteva di respirare qua sotto, si fosse irrimediabilmente rotto.

“MARTAAAAA!!!”

Un grido impellente mi travolge, facendomi voltare in direzione della superficie. Esso è ricolmo di terrore.

“Sono qui, Camus...” riesco a malapena a pensare, quasi allo stremo delle forze.

 

Oh? Pare che qualcuno ti sia venuto a cercare, ecco da dove proveniva quel cosmo carico di pena e paura. Ora comprendo perfettamente!

Marta… o Seraphina, che dir si voglia, torna nel mondo in cui vivi e allenati ad esercitare il potere dell’acqua, non sarà facile ma dovrai farlo, anche subito, direi, se non vuoi essere travolta dalla corrente!

 

“Aspetta, cosa vuoi...” faccio in tempo a chiedere, poco prima di avvertire una pressione giungere da destra rispetto al mio corpo. Non ragiono, non decido. Semplicemente protraggo le mie braccia di direzione di quella forza sconosciuta, allargando bene i palmi per contenere quell’immensa energia. Un secondo esatto dopo, essa si è arrestata tra le mie mani in stato latente ma non immoto, pronta a sprigionarsi al minimo accenno di perdita di controllo.

 

Ecco, è questo che intendevo… Imparerai gli usi che puoi ricavare con della semplice acqua, da arrestarne il moto ad accentuarlo. Essa potrà scorrere nelle tue dita, o implodere, se vuoi… Ti affido tutto, Seraphina!

 

 

* * *

 

 

Presumo che la mia idea di base fosse quella di sfruttare la corrente tra le mie mani, puntarla verso il basso e, grazie a quella, ritornare in superficie a tutta birra, utilizzando proprio quello strano moto ondoso che, senza una ragione precisa, così improvvisamente, mi stava per travolgere. Successivamente, una volta balzata in aria, diciamo, a una decina di metri dal suolo, avrei usato il mio potere congelante per creare una pista, in modo tale da scivolare delicatamente a terra, come sicuramente avrebbe fatto mio fratello Camus, atterrando elegantemente sul permafrost. Nella pratica ovviamente, quasi nulla di questo è avvenuto!

Uggiolo meccanicamente per il dolore, premendo istintivamente le mani sulle gambe nel vano tentativo di percepire meno il bruciore. Nello stesso momento faccio mente locale, chiedendomi tacitamente come diavolo ci sia finita lì, distesa sul ghiaccio con le braccia e i polpacci completamente brasati a seguito dello sfregamento con il terreno sottostante. Ricordo di essere uscita dall’acqua grazie alla corrente, e fin lì tutto bene, perché sono balzata fuori come avevo pensato. Poi… ho usato il potere congelante, sempre come avevo progettato, ma… ma ho preso male le misure, forse, oppure sono inciampata nei miei stessi piedi, fatto sta che ho fatto parecchi metri sfregandomi con il ghiaccio, solo ora sono riuscita a fermarmi e… DANNAZIONE, CHE MALE!!!

“PER ATENA, MARTAAAA!!!”

Di nuovo l’urlo di mio fratello, credo si stia avvicinando a me, perché posso udire lo scricchiolo dei suoi passi. Provo ad alzarmi per darmi un tono, ma le braccia tremano come foglie. Decido di sfoderare la carta dell’ironia per scacciare via l’imbarazzo.

“Ah, Cam… scusami! Nella mia testa avrei dovuto atterrare elegantemente, come fai sempre tu, ma nella pratica ti sarò sembrata un sacco di patate, vero?! Ahahahahaha!!!” rido per stemperare la tensione. In verità vorrei scavarmi una fossa per la vergogna. Camus si ferma a pochi passi da me, il volto un coacervo di emozioni varie, che probabilmente non riesco a comprendere, i muscoli rigidi, come se si fosse mummificato sul posto.

“Davvero, mi spiace… cerco sempre di prenderti come esempio, perché ammiro i tuoi modi eleganti e raffinati, ma per quanto ci provi non riesco, sembro tanto un...”

“DANNAZIONE! Hai il cervello di una formica, Marta?!?”

“Eh?”

“TI HO CHIESTO SE HAI IL CERVELLO DI UNA FORMICA DA QUANTO NON RAGIONI!!!”

Silenzio intorno dopo l’esclamazione di mio fratello, ora con il fiato corto e intento a squadrarmi da capo a piedi con un’espressione quasi di odio. Mi pietrifico all’istante.

“Ragazzina, esigo una risposta: perché diavolo sei andata proprio lì, senza neanche avvertimi, senza dirmi nulla?!? Dove diavolo ce l’hai la testa?! Lo fai di proposito?!?” grida ancora, completamente fuori di sé dalla rabbia. Ingoio a vuoto, incrociando le braccia davanti al petto, sono quasi singhiozzante. Non mi aspettavo una reazione così esorbitante e la cosa più sciocca è che non riesco nemmeno a connettere il motivo per cui lui se la sia presa tanto.

“RISPONDIMI: LO FAI APPOSTA?!?”

“Io… cosa ti dovrei dire?” pigolo, gli occhi lucidi, la tremarella e il pianto trattenuto a forza.

“Vai sempre dove non devi andare, che io te lo dica espressamente oppure no, non c’è una volta, CHE DICO UNA, che fai come vorrei… NO, sempre a seguire il tuo cervello sciocco e volubile, sembra davvero tu lo faccia apposta per terrorizzare me!” continua il suo rimprovero, avvicinandosi ulteriormente e frastornandomi ancora di più.

Ingoio nuovamente a vuoto, tremando ancora di più, ormai il gelo è dappertutto.

“Io… io sentivo questo richiamo che mi ha detto di immergermi e...”

“POTEVI MORIRE, MARTA!”

La sua scarsa fiducia nella mia forza mi offende, portandomi a sfidare il suo sguardo, ora temerario.

“Non sono così debole, governo il ghiaccio come te, inoltre mi sono notevolmente rinforzata in questi due mesi. Che bisogno c’era di...”

“ISAAC E’ MORTO PROPRIO QUI E AVEVA BEN PIU’ ESPERIENZA DI TE A RIGUARDO! - urla ancora lui, sovrastandomi completamente, furente. Taccio, completamente prostrata – La corrente del gelido mare della Siberia Orientale non perdona. Non importa quanta esperienza tu abbia, se Lei ti coglie, ti sovrasta, senza possibilità di appello! Sei stata una sciocca temeraria, oltretutto senza neanche un motivo ragionevole per farlo!”

Abbasso lo sguardo, rabbrividendo in seguito alle sue parole. Isaac è morto qui, quindi… non lo sapevo, per questo Camus è così furioso con me: sono andata dove non voleva e ha temuto per la mia sorte.

Un singhiozzo a stento trattenuto fuoriesce, non voluto, dalle mie labbra, tremanti come non mai. La gola dolorante. E rimango lì, per terra, gli avambracci arrossati, le ginocchia totalmente doloranti, le dita intirizzite dal freddo; bagnata come un pulcino e vestita con il solito peplo, assolutamente non consona al luogo. Pallido ritratto di un qualcosa di patetico lasciato lì.

Camus nota il mio malessere, pertanto scioglie impercettibilmente la muscolatura, sospirando pesantemente come si fa quando il mulo, cocciuto, non vuole percorrere la mulattiera che ha davanti a sé.

Casse-toi, Marta, ho bisogno di stare un po’ da solo. Torna all’isba e lì rimanici, intesi?!” mi sibila a mo’ di avvertimento, regalandomi un’occhiata che non ammette repliche.

Annuisco silenziosamente, alzandomi in piedi con fatica per poi dirigermi, a capo chino, verso il luogo indicatomi. Lo sguardo di mio fratello fisso sulla mia figura.

 

* * *

 

 

Sospiro rumorosamente dalle vetrate della finestra, assistendo alla luce morente che, in un ultimo inutile sforzo di resistere, irradia l’ambiente di fuori, rendendo splendente il terreno circostante, come in un sogno. Ho l’impressione che qui, contrariamente che in Italia e in Grecia, le giornate calino molto più in fretta, accelerando il processo verso l’oscurità perpetua. Anche a Bluegrad era così, lo rammento bene, portandomi ad uno stato di torpore ed inedia proprio all’affacciarsi della brutta stagione.

Mi rimetto faticosamente in piedi, alzandomi dalla specie di divanetto situato proprio sotto la finestra. Sono ancora dolorante, ho male alle articolazioni e bruciore sulle braccia e sulle gambe, laddove dei lunghi segni rossi, striati, hanno fatto capolino: delle vere e proprie scottature, non c’è che dire!

Fisso attonita la casa, così silenziosa senza Camus, che pure parla raramente, ma per lo meno compie azioni, si muove, insomma, vive… Mi ha strigliato per benino stamattina e, da allora, non ha più fatto ritorno. Ormai è sera.

Se penso alla sua espressione terrorizzata mentre mi sgridava sento come una fitta al cuore. Non volevo spaventarlo a quel punto, ma ha ragione: nolenti o dolenti faccio sempre ciò che non vuole, consapevolmente o no, ma come potevo immaginare che Isaac fosse morto là sotto?!? E come, poi? Quel poco che mi ha raccontato Camus su di lui, lo ha dipinto come una persona forte, risoluta, probabilmente più dello stesso Hyoga. E allora come…

Un rumore sordo e improvviso, di una porta che si apre, mi arriva alle orecchie, portandomi istintivamente a scattare per celare il mio volto, ancora tremendamente imbarazzato, al nuovo venuto che so per certo trattarsi di Camus. Il suono dei suoi passi leggeri infatti risuona per tutta l’isba, ma non una sillaba viene proferita dalle sue labbra. Meglio così, non saprei come affrontarlo ora, mi vergognerei troppo. Pur non guardandolo direttamente, provo ad intuire le sue mosse, facendomi aiutare dagli altri sensi. Credo avesse qualcosa con sé, perché ho avvertito distintamente il suono di un sacchetto posato sul tavolo, seguito dagli onnipresenti passi che continuano a girare per la stanza. Dopo questo, è un continuo aprire e chiudere di sportelli, cassetti e cassettini… deve aver comprato molto, eh?!

Una volta finite le sue manovre, il silenzio assoluto ritorna nell’isba, trasmettendomi un bel po’ di disagio mentre mi ostino a fissare il paesaggio, che ormai si sta spegnendo, fuori dall’isba. Un nuovo fruscio mi fa capire che Camus ha di nuovo lasciato la stanza ed è andato di là, ancora non so a fare cosa. Proprio quando inizio a pensare che la giornata si concluderà così, nell’assoluto mutismo di ambedue, la voce cristallina di mio fratello irrompe nelle mie orecchie, chiamandomi a gran voce.

“Ragazzina pestifera, vieni qui!”

Lentamente scendo dal mio giaciglio, dirigendomi a capo chino in cucina, le movenze e il viso non dissimili da un cane che si sente tremendamente colpevole. Mi affaccio alla stanza, notando Camus in posizione eretta vicino al tavolo che, con un cenno del capo, mi indica insieme la sedia su cui sedermi. In mano tiene un oggetto non ben identificato, ma è il suo volto a destare il mio interesse: non sembra più furioso come prima, ma neanche perfettamente sereno, spingendomi a credere che la rabbia non gli sia ancora completamente passata. In ogni caso eseguo, docile, quanto richiesto.

“Ah, allora, ogni tanto fai quanto ti chiedo!” ironizza lui, regalandomi un buffetto sulla guancia più intenso del solito, tanto da lasciarmi il segno. Non rispondo nulla, limitandomi a fissare il vuoto alla mia destra, ancora troppo imbarazzata per avere un raffronto con lui.

Camus nel mentre mi prende delicatamente il braccio destro tra le sue dita, osservando, con sguardo clinico, l’entità del danno causato dall’attrito con il ghiaccio, poi, sempre silenziosamente, mi spalma sulle bruciature una crema di colore giallognolo dal tubicino che teneva nell’altra mano. Il contatto della pomata contro la mia pelle martoriata mi regala una stilettata di bruciore più forte, ma non lo do a vedere, rimanendo a capo chino ad osservare le sue manovre. Deve essere andato a comprare questo unguento proprio per me, nonostante la rabbia. Vorrei ringraziarlo calorosamente, tuttavia provo ancora un’immensa vergogna alla sola idea di rivolgergli la parola.

Passano minuti interminabili, dove entrambi siamo presi dai nostri pensieri e azioni; dopo la medicatura e il conseguente bendaggio per proteggere le zone arrossate, Camus si alza in piedi, scoccandomi una breve occhiata, prima di voltarsi.

“Può darsi che stanotte ti bruci ancora un po’, ma domani il fastidio dovrebbe attenuarsi parecchio!” mi spiega, guardando fuori dalla finestra.

“Va bene...”

“E poi… scusami per prima!”

Lo fisso sgomenta, rizzando la schiena, mentre le sue mani, prima inerti lungo i fianchi, si stringono violentemente, imbiancando le nocche.

“Non avevo alcuna ragione valida per trattarti così, non ti avevo nemmeno avvertito sulla pericolosità delle correnti sottomarine, eppure ti ho attaccato senza nemmeno darti il tempo per spiegare. La verità è che… mi hai spaventato tremendamente, Marta, ma prima di gridarti di tutto avrei dovuto mantenere il sangue freddo e chiederti delucidazioni” continua la sua spiegazione, il viso finemente accarezzato dalla luce artificiale. Distante… così tremendamente distante.

Non vedo completamente il suo viso, tuttavia il suo malessere lo avverto pienamente, perché è ben concreto davanti a me. I suoi occhi, fissi a guardare un punto indefinito fuori dalla finestra, ma ancora di più, fissi a guardare qualcosa che non esiste più e che si è materializzato nella sua mente. Una vera e propria emanazione di una sofferenza atrocemente costante.

Mi alzo lentamente in piedi con l’intento di riscuoterlo, ma la sua voce, metallica, giunge automaticamente alle mie orecchie, parafrasi del suo desiderio di parlare e di… avermi vicino.

“In quest’ultimo mese noi… non abbiamo avuto molte occasioni di confronto, le poche che ci sono state abbiamo quasi sempre discusso alzando i toni più del dovuto. E comunque… io mi rivolgevo a te, ma tu non eri lì, bensì da tutt’altra parte. Avevi un disperato bisogno di aiuto, di qualcuno che ti scrollasse e che ti riportasse in superficie, come tu avevi fatto con me, ma io… non ne sono stato in grado!”

Continua a darmi le spalle e mi sembra che il suo corpo tremi, così come la sua voce così difficile da far uscire. Eppure sento che deve continuare il suo monologo, sento che VUOLE continuare a parlare, malgrado l’enorme difficoltà che ciò gli procura.

“Del resto… come potevo anche solo lontanamente raggiungerti? - continua infatti, nervosamente – Hai scelto di stare con me, hai scelto di continuare a prenderti cura di me, come già hai fatto in questi pochi mesi di conoscenza con infinita dolcezza e con il tuo modo di fare che mi riscalda il cuore… tuttavia, da quando siamo tornati, tutto questo si è volatilizzato all’istante. Stai soffrendo perché io non sono riuscito, da solo, a evitare che la mia anima finisse in pezzi, vero? Come potevo anche solo… parlarti?! Non piangevi, ma avevi l’aria di chi trattenesse a stento le lacrime; eri davanti a noi, ma distante anni luce. Non potevo afferrarti, non potevo fare nulla, tranne pentirmi per la voragine che ti stava risucchiando e che io non riuscivo minimamente a far regredire!”

Lo guardo in silenzio, non sapendo come reagire per consolarlo e, di nuovo, questo muro di ghiaccio che avverto tra noi, tra me e il mondo, tra me e gli altri, eretto per autodifesa senza che la volontà ci potesse mettere becco, soffoca le mie parole in gola, impedendogli di uscire. E’ straziante avere l’universo da dire e non poterlo fare, nonostante ciò che è successo tra noi. Camus stava per morire e sono riuscita a salvarlo, riportandolo, come promesso, al calore della vita, al tepore del sole e al presente. Da adesso in poi, si meriterebbe ogni bene, per tutto quello che ha passato, ed entrambi ci meriteremmo di godere della vicinanza reciproca dopo tutti questi anni di separazione. Lo so, l’ho sempre saputo, o forse… credevo di saperlo, poiché, malgrado questo, io non ho fatto altro che fuggire, procurandogli un dolore intenso e ingiustificato dopo tutto quello che aveva già passato. Non deve accadere mai più… mai più, che io perda di vista le persone al mio fianco, il mondo reale per le ombre del passato; un passato che non esiste più, mentre io ancora vivo. Qui. Insieme agli altri.

“Camus...”

“Perdonami, sto continuando a tergiversare… in verità volevo semplicemente chiederti scusa per il mio modo di fare di prima. Non sapevi… non sapevi della pericolosità delle correnti, né della morte di Isaac, poiché è un ricordo che, a forza, ho sempre cercato di seppellire dentro di me, tentando di far tacere l’urlo straziante che, di volta in volta, sento provenire ancora da lui, che mi rimprovera di non essere stato all’altezza delle sue aspettative. - mi interrompe, sempre girato di spalle – Ma tu sei la mia sorellina, Marta! Voglio… voglio, con tutto il cuore, raccontarti di me, della mia vita in questi anni, di quello che per me è stato diventare Cavaliere e poi Maestro. Sei il mio bene più prezioso, non posso, né voglio, nasconderti più niente!”

“Ne vuoi parlare ora? Di Isaac, intendo”

“Sì, io...”

E tuttavia tace, il petto ansante, come a voler celare un grosso singhiozzo dentro di sé. Questo fatto mi porta direttamente a comprendere l’enorme peso che mio fratello racchiude dentro di sé, il bene che voleva ad Isaac, discepolo prediletto, e ancora di più è chiara una cosa: Camus dell’Acquario, diventato Cavaliere d’Oro da fanciullo, e Maestro a soli 13 anni, non ha mai pianto per il giovane allievo perso tra i flutti; non poteva in alcun modo piangere, non con l’altro allievo da crescere.

“Camus, io… sono con te, lo sai. Qualunque cosa tu voglia, o non voglia, dirmi, qualunque emozione tu voglia esprimere, io la accoglierò con il massimo della dolcezza, poiché questa è l’epoca in cui ho scelto di stare” gli sussurro con voce soave, stringendogli la mano.

Camus mi osserva, silente, un poco sollevato, nell'espressione del viso, nel avvertirmi finalmente presente accanto a lui, non in un altro luogo.

“Sì, lo so che non avrei ragione per dirti queste cose. Per un mese intero mi sono allontanata da voi, da tutti, al punto di rifiutare qualsiasi ravvicinamento"

"Stavi comprensibilmente soffrendo..." tenta di rassicurarmi lui, con voce fioca.

"Sì, io… io non riuscivo proprio a guardarvi, non riuscivo a ripartire, perché il tempo, in me, si era fermato per sempre, o almeno così credevo… - ironizzo, arrossendo un poco – Ma ti ho scelto, sai, Cam? Proprio tu, che sei la persona più importante della mia vita! Non importa se non sia rimasto nulla di Dègel in te, ma sei tu, Camus il Cavaliere d’Oro dell’Acquario, ed io ho scelto proprio Camus, nessun altro!"

“Marta… - mi chiama lui, raschiandosi la gola e fissando il suo sguardo nel mio, ora limpidamente caldo – So che non mi abbandonerai, non l’hai mai fatto, neppure quando la situazione era disperata ed io ero tanto, tanto, lontano e stremato, mentre sprofondavo in quel nero di petrolio che mi soffocava, occludendomi tutti i pori della pelle. Neanche lì mi hai lasciato, stringendo la mia mano con forza e riportandomi in superficie. So perfettamente che hai scelto di rimanere al mio fianco, salvando la mia anima, eppure… eppure..." esita a corto di parole.

"Eppure?"

"Ho... avuto anche io... paura di perderti, piccola..."

Il suo tono di voce incrina qualcosa dentro me, ancora una volta, quasi mi si spezza il respiro, le sue emozioni si confondono con le mie, e la sensazione di vuoto, di perdita si fa largo in me.

“Non succederà più, te lo prometto! Perdonami… perdonami per essere stata così distante in questo mese. Ne hai passate tante, troppe, eppure io, come una mammalucca, mi sono fatta abbattere dalle avversità, dimenticandomi, per un attimo, che è il fatto di averti al mio fianco ad avermi spinto ad andare avanti e diventare sempre più forte!”

“Va bene così, Marta… ciò che hai passato è normale. Spero solo che, col tempo, questo tremendo dolore che provi si possa attenuare. Io, Michela, Francesca, Sonia e Milo, anche se non siamo Dégel e Cardia, per te ci saremo sempre. Non possiamo riempire la voragine che ti han lasciato loro due, ma ti vogliamo comunque bene, cerca di non dimenticarlo mai!” mi rassicura lui, stringendomi contro il suo petto e socchiudendo gli occhi per assaporare meglio quel contatto ritrovato. Gli sorrido di rimando, affondando il mio viso contro di lui, tornando a respirare a pieni polmoni.

"Fratellino..."

"Fai parte della mia famiglia, ne sei... il basamento portante, ricordalo sempre, piccola mia!"

Annuisco, emozionata. Poco dopo, forse imbarazzandosi, si stacca leggermente, scompigliandomi i capelli con affetto e regalandomi un altro sorriso intenerito, prima di darmi le spalle:

“E ora vai a lavarti le mani e a mettere su tavola, che ho preso del pesce fresco. Sai, Francesca mi aveva riferito che ne vai matta, così, già che ci siamo, durante la cena, mi spieghi anche cosa ti sia saltato in mente per buttarti nell'acqua a -1 grado come se niente fosse!” esclama, indicandomi la direzione del bagno e apprestandosi a dirigersi in cucina.

 

 

* * *

 

 

“…Poseidone, hai detto, il dio dei Mari?”

“Sì, è stato lui a chiamarmi lì, doveva parlarmi di una particolare questione sul Mago!”

“Comprendo, tuttavia… Poseidone è già stato sconfitto da Atena in quest’epoca, cosa vuole ordunque da noi, in questo momento?! Ha già ottenuto… ciò che cercava!” ribatte mio fratello, davvero preoccupato dopo la mia rivelazione.

Non gli ho nemmeno rivelato del potere dell’acqua di cui andava parlando il dio, però i suoi muscoli sono già tesi e rigidi, chiaro segno di un turbamento interiore.

Siamo seduti sul letto di Camus, dopo una cena leggera e sfiziosa al tempo stesso che è stata in grado di farmi tornare l’appetito. Mio fratello cucina benissimo, soprattutto il pesce, come se fosse un pescatore provetto. Ho ampiamente avuto modo di degustare le sua abilità ai fornelli, sapere che potrò continuare a farlo, da ora in avanti, mi provoca una gioia dolce e luminosa.

E tuttavia ora come non mai avverto nuovamente quel malessere strano in lui, lo sguardo perso a osservare le ombre del passato e gli occhi tristi, come il peso delle gocce di acqua piovana sulle foglie che appesantiscono la sua struttura e che, malgrado questo, non riescono a scivolare a terra.

“Camus, tutto bene?” gli chiedo, prendendogli delicatamente la mano tra le mie per accarezzargli il palmo. Camus si riscuote improvvisamente, trasalendo non poco e scrollando in fretta e furia la testa nel tentativo di rimuovere per sempre qualcosa di fin troppo doloroso e che tuttavia ha attecchito in profondità.

“Marta, non sono stato completamente sincero con te... - mi dice lui, distante. Faccio per rispondergli che non sarebbe neanche una grossa novità, ma lui continua, desideroso di parlare – Mi sto riferendo ad Isaac… non è vero che è morto in quelle acque, in verità lui… è finito tra le schiere di Poseidone, dopo quel fatto”.

Un singulto mi sfugge dalle labbra, mentre i pensieri per la testa iniziano a vorticare. Ora ha anche senso ciò che mi ha detto Poseidone, quindi il Kraken a cui si riferiva, lo scambio a cui ha fatto cenno… si trattava dell’allievo perduto di Camus!

“Poseidone ha accennato qualcosa, su Isaac, ha detto che è stato uno dei più valenti guerrieri delle sue schiere, determinato e inflessibile contro tutto ciò che ostacolava il suo ideale di giustizia. Sembrava… contento di lui!” asserisco tiepidamente, sapendo perfettamente di star calpestando un suolo delicato.

Camus mi fissa per alcuni secondi, un misto tra la prostrazione e lo stupore, poi torna a fissare il pavimento, perso nei ricordi.

“Sì… era esattamente così il mio ometto! Caparbio e un poco incosciente, ma deciso nelle sue scelte, tanto da avere ben chiaro il suo ideale da seguire. Voleva diventare un perfetto Cavaliere di Atena, dedito alla giustizia e intransigente nei confronti del nemico. E’ stato… il mio migliore allievo!” mi spiega lui, con una punta di orgoglio.

Non fiato, in attesa che prosegua, perché so che lo farà, con i suoi tempi. Così infatti avviene. Per prima cosa, mi racconta che Hyoga e Isaac non sono stati i suoi unici discepoli, altri sono venuti prima di loro, morti o dispersi nel giro di pochissimo… e, del resto, la Siberia Orientale non perdona. Però su questo argomento, gli altri discepoli, è comunque molto vago, sembra quasi che non ne voglia parlare. Rispetto questo suo volere senza porrre ulteriori quesiti.

Poi mi narra di Isaac, della sua straordinaria attitudine alla fatica, ai suoi ideali già da Cavaliere, malgrado la giovane età, e dell’anno che han passato soli lui e il piccolo prima dell’arrivo di Hyoga, personalità del tutto agli antipodi se paragonata a quella di Isaac.

“Sai, Hyoga ha perso la madre in un incidente navale qui vicino. E’ sprofondata negli abissi, permettendo al suo corpo di non essere corrotto dalla decomposizione. Il sogno di Hyoga è sempre stato quello di recuperare il suo cadavere. Per farlo, credo che qualcuno gli abbia accennato dei Cavalieri di Atena e lui si è fissato di diventare tale per… sua madre… - prosegue nella sua storia Camus, non riuscendo a trattenere uno sbuffo contrariato, e contrariato è il suo sguardo – Gli ho sempre detto che era una motivazione sciocca e lo rimproveravo, al punto di vietargli di nominare sua madre se non strettamente necessario. Era puerile, non avrebbe mai potuto diventare Cavaliere di Atena con quella mentalità, sarebbe morto prima, questo è quello che pensavo. La pietra grezza, se non elaborata, rimane una roccia comune; allo stesso tempo un potenziale non allenato diventa, oltre che inutile, un peso insostenibile, come l’abbandonarsi ai ricordi passati. Ne ero consapevole, glielo dissi, ma lui continuò per la sua strada ad inseguire il suo sogno. Sarebbe stato quindi Isaac ad ereditare l’armatura del Cigno, ne ero sempre più certo, ma parallelamente vedevo l’enorme potenzialità in Hyoga, non potevo arrendermi all’idea che quel ragazzo non sarebbe mai riuscito a sprigionare la sua reale forza per via dei suoi stupidi sentimentalismi!”

Continuo ad ascoltarlo con attenzione, mentre le immagini del sogno di ieri notte si rifanno strada in me. Anche quello, quindi, era un ricordo reale appartenente a mio fratello, posso ancora percepire come mio l’immenso attrito provato quando Hyoga, per parlare della creatura leggendaria che rappresenta l’aurora, aveva tirato fuori la sua Mama, pur sapendo del divieto del maestro.

“E tuttavia, come spesso accade, qualcun altro ha scelto al posto mio chi sarebbe stato il vero possessore dell’armatura del Cigno. Che sia stata la casualità, il destino, o Poseidone stesso, non mi interessa. Per me… sono semplicemente state le decisioni sconsiderate di Hyoga e la conseguente reazione di Isaac a decretare le cose così come sono andate!”

Rabbrividisco istantaneamente nell'avvertire il cambio di tono di Camus, ora così aspro e provato. Ha smesso di fare la voce fuori campo per entrare prepotentemente nel racconto, la sua foga inaudita, la sua rabbia a stento malcelata, ha rotto gli argini, infischiandosene degli anni passati.

E, per la prima volta nitidamente, mi rendo conto che Camus dell’Acquario ha rigettato per tutta una vita questi sentimenti per non coinvolgere ancora di più l’amato Hyoga, per non gravare su di lui più di quanto egli non gravi su sé stesso. Camus dell’Acquario ha rifiutato per una vita questi sentimenti, esercitando l’autocontrollo e il raziocinio, ma la verità è che tutto questo mondo è ancora dentro di lui e sta implodendo, non avendo ancora mai trovato una valvola di sfogo da dove uscire.

“Quel giorno… io non ero presente in Siberia, perché ero stato chiamato dal Grande Sacerdote che, come ti abbiamo già raccontato, era l’usurpatore Saga, ma noi non lo sapevamo… - prosegue, rammaricato, schiarendosi la voce – Se solo… se solo fossi stato qui, le cose avrebbero forse potuto andare meglio...”

“In questo caso non avresti potuto, Camus, sei Cavalieri d’Oro, sei stato richiamato al Tempio, non potevi sapere...” lo provo a rassicurare, conoscendo anche fin troppo bene la sua abitudine a colpevolizzarsi.

“Non importa… ho valutato erroneamente l’attaccamento di Hyoga a sua madre, non dandogli il giusto peso e la conseguente gravità. E’ stato un mio preciso errore di valutazione – sospira, lo sguardo sfuggente in direzione del buio fuori incorniciato dalla finestra – Quel giorno Hyoga si reputò abbastanza forte per spaccare il ghiaccio e raggiungere sua madre… una grossa parte di lui voleva stare con lei per sempre, capisci? Voleva il suicidio… ed io non lo capii pienamente prima di allora, neanche Isaac, del resto, ma quel ragazzo… quel ragazzo, una volta che vide ciò che aveva fatto Hyoga, così desideroso di raggiungere sua madre e carpito successivamente dai flutti marini prima di poter arrivare al vascello, decise in un lampo: si buttò a sua volta nel gelido Mare della Siberia dell’Est per salvare il compagno e amico. Le correnti marine però… erano davvero troppo forti, persino per lui...”

Capisco in un istante, arrivando anche a comprendere l’origine di quell'immenso cratere in cui mi ero tuffata per parlare con Poseidone. Un singulto sfugge dalle mie labbra: quella piccola particella di cosmo, ricca del desiderio di salvare qualcuno di caro al proprio cuore, brilla ancora, seppur fievolmente, ed io l’ho percepita totalmente.

“Isaac… si è sacrificato per Hyoga ed è finito nel regno di Poseidone, vero? L’immensa spaccatura del ghiaccio, rotta dall'interno, è opera sua, è così?! Deve avere… deve avere usato tutte le sue energie per salvare l’amico, poiché forse… forse, con quella corrente, salvaguardarsi entrambi era impossibile. Isaac scelse Hyoga…”

Camus annuisce meccanicamente, le labbra tremanti che non emettono alcun suono e le palpebre contratte, istintivamente chiuse a volersi trattenere con tutte le forze. Fratellino, tu… non ce la puoi fare, sei al limite, vero?

“Io, ad Atene, avvertii l’immenso cosmo di Isaac esplodere in mille frammenti e disperdersi nell'infinito, per poi svanire completamente. Mi precipitai sul luogo del fatto, ma vi trovai solo Hyoga, riverso in stato di incoscienza e in gravi condizioni di ipotermia. Fu allora che realizzai quanto accaduto. Cercai, con il cosmo, sopra e sotto il mare, alla ricerca dell’allievo perduto, per alcuni, disperati, secondi, ebbi anche la percezione di sentirlo pulsare in qualche luogo, ma poi svanì, nel nulla… - biascica, tremando sempre più in maniera incontrollata – Hyoga giaceva sul terreno ghiacciato della Siberia, un minuto di più e sarebbe morto, quindi… presi anche io la mia decisione, scelsi Hyoga, abbandonando inequivocabilmente Isaac al suo destino. Non potevo… non potevo in alcun modo farlo morire lì, il suo soffio vitale era così labile, le membra già rigide… Portai Hyoga nell’isba e abbandonai così le ricerche di Isaac, non percependolo più. Chissà… forse… forse se avessi ottusamente continuato a cercarlo… forse si sarebbe salvato, invece lo delusi, IO, lo delusi, lui che, sopra ogni altra cosa, desiderava essere all'altezza delle mie aspettative...”

“Se ti fossi intestardito a cercarlo, difficilmente lo avresti trovato, e Hyoga sarebbe morto senza le cure necessarie. In questi casi, è difficile prendere la decisione migliore e, spesso, la scelta non è comunque scevra da rimpianti… Hai fatto bene, Cam… non potevi raggiungere Isaac in ogni caso e hai salvato Hyoga, guarda come è cresciuto ora, quel ragazzo… il merito è stato tuo! Posso solo immaginare quanto sia stato doloroso, però davvero tu devi essere orgoglioso di te stesso!” lo provo a rincuorare, cercando di afferrargli una mano, che trovo gelida.

“Marta io… l’ho perduto! L’ho abbandonato al suo destino, portando conseguentemente Poseidone a impossessarsi di lui con le sue grinfie, lui, che desiderava così tanto diventare un Cavaliere di Atena, lui che non ha abbandonato Hyoga nel momento del bisogno, e che è stato invece abbandonato da me, che ero come un padre per lui. Questo non potrà mai essere cancellato, e… e...” si comincia ad agitare Camus, ormai pressato da quei continui sentimenti che a forza vogliono fuoriuscire.

“Ohi! Ohi! Fratellino, guardami… - gli prendo a forza il volto, costringendolo a fissarmi – Perché Isaac si è unito a Poseidone? Che ragioni aveva? Era perché si è sentito abbandonato da te, o cosa? Un motivo ci deve essere e inoltre… è Hyoga che ti ha raccontato questo? E’ Hyoga che l’ha affrontato? Tu lo pensavi morto, e invece…”

“Sì, lo credevo morto e Hyoga mi ha riferito questo solo a posteriori, spiegandomi le motivazioni. E’ stato Hyoga ad ucciderlo, come avrebbe fatto un qualsiasi Cavaliere di Atena davanti a un nemico dell’umanità, ma non mi va… non mi va di raccontarti anche questo ora"

"Va bene, non ti devi sforzare se non te la senti"

"N-non so perché abbia tradito i miei insegnamenti, non so perché si sia unito a... Poseidone... non so, davvero non so!"

"E' stato forse plagiato?"

"NO, IMPOSSIBILE! - il suo tono sale fino a quasi strozzarsi, mi spaventa la sua reazione violenta, quasi da farmi chiudere a bozzolo, ma per fortuna è di breve durata - Scusami, Marta, non volevo..." biascica poi, pentendosi subito dopo.

“Va tutto bene… - taglio corto io, capendo che parlarne oltre potrebbe solo farlo soffrire di più, nel mentre mi allontano di un poco, permettendo al suo viso di girarsi in direzione opposta nell'estremo tentativo abituale di nascondere i suoi sentimenti – Camus… coricati un po’ sul letto, sei stremato...” gli consiglio, non sfuggendo al mio sguardo i suoi occhi lucidi. Le lacrime gli imperlano le palpebre, ma non c’è verso di farle scendere.

“Marta…” si volta verso di me, l’espressione di un bambino che sta sperimentando il suo primo lutto.

“No, niente ‘sto bene’ o altre cazzate varie, eh… mi hai rivelato questo enorme peso che ti affligge, ora, come minimo, ti farò compagnia tutta la notte, sappilo!” ribatto, cercando di sorridere raggiante. Non posso certo lasciarlo solo, men che meno in un simile momento e in un luogo denso di ricordi come questo.

Camus inaspettatamente ridacchia tiepidamente, dandomi una occhiata ricca di affetto.

“Che ti succede? Sembri un po’ Milo, quando, da piccolo, avevo paura di qualcosa e me lo ritrovavo abbarbicato nel letto. Rifiutava di andarsene, fintanto che sul mio viso persisteva a rimanere una espressione così triste!” afferma lui, sdraiandosi sul letto senza smettere di guardarmi.

Poco dopo lo seguo a ruota, posizionandomi proprio davanti a lui in modo di essere fronte a fronte, così vicini l’uno all'altro. Lui si rannicchia su sé stesso, piegando le braccia davanti al petto, gesto che mi spinge a passargli una mano tra i capelli per poi stringerlo in un abbraccio.

“Va tutto bene, Cam, sono qui! Immagino… immagino che tu ti sia tenuto tutto dentro pure allora. D'altronde, come potevi lasciarti abbattere quando Hyoga dipendeva da te? Come potevi arrabbiarti con lui, quando già lui avrebbe voluto espiare le sue colpe con la morte? Come potevi… piangere, quando già Hyoga, con ogni probabilità, lo avrà fatto nei giorni successivi all'incidente? - chiedo retoricamente, abbracciandolo con delicatezza e affondando il mio viso nella sua folta chioma. Uno spasmo fuoriesce, tumefatto, da lui – Già… ti sarai tenuto tutto dentro, DOVEVI tenerti tutto dentro, e quel peso si è inasprito senza mai abbandonarti, riaffiorando a forza nei momenti meno adeguati. Per quante volte hai rigettato indietro le lacrime, Camus? Ma ora sei qui… puoi farlo finalmente, se ne senti il bisogno, nessuno lo potrà vedere, ed io non lo racconterò di certo. Fallo, fratellino, manifesta il lutto che ti sei portato dietro per il tuo allievo prediletto, senza più alcuna esitazione!”

“Come fai… come fai a leggere così bene nel mio cuore, piccola mia? Riesci... riesci, così agevolmente, a rassicurarmi con poche, semplici, parole. Come puoi... come puoi accarezzare, con così tanta dolcezza, la mia anima? Non ho fatto nulla per meritarti, eppure... eppure sei qui, vicino a me, perché hai scelto di rimanere qui, a combattere al mio fianco..." biascica lui, in tono rotto ma senza lacrime.

"E' così, io...ho scelto te, non ho rimpianti!"

"Eppure abbiamo lo stesso potere, ma tu... tu riesci proprio a... leggermi...dentro!"

Non ribatto ma lo stringo ancora con più forza a me, socchiudendo gli occhi, Camus si lascia coccolare ancora un po’, inspirando ed espirando profondamente nel tentativo di darsi un contegno, ma lo sento palpitare, di nuovo, prima di sforzarsi di continuare a parlare.

"Mi chiamava... papà... negli ultimi mesi, il mio Isaac, ed io... io n-non ero in grado di ricambiare a voce quella parola, che pure mi emozionava tantissimo, n-non ci riuscivo e... non glielo ho mai detto ma... era lo stesso per me, era mio... figlio! - prova a spiegarmi con sempre maggiori difficoltà, ormai quasi del tutto incapace a trattenersi - Non glielo ho mai detto, Marta... quanto lui fosse importante e speciale p-per me, n-non mi perdonerà mai per questo, n-non..."

"Ma lui lo sapeva di certo, Camus! Le tue emozioni si vedono nei tuoi occhi, nei tuoi gesti, anche se hai così difficoltà ad esprimerli!" continuo con voce di miele, lisciandogli i capelli per provare a tranquillizzarlo. Lui singhiozza, una volta ancora, prima di aumentare la stretta su di me per sentirmi tangibile vicina a lui.

"Stai tranquillo, piccolo... il dolore che provi dimostra la tua straordinaria umanità, non sei debole, Cam! Ma hai resistito fin troppo, rifiutandoti di cedere e ora hai bisogno di dare un minimo di sfogo alle emozioni che ti sei portato dietro per tutti questi anni!" sussurro, posandogli un bacio trai capelli. Lui annuisce ancora debolmente, prima di prendere un profondo respiro e continuare.

“Io… avrei davvero voluto continuare a crescere quei due ragazzi, lo desideravo con tutto il cuore e gli volevo bene… Ora non ho che Hyoga, della vecchia guardia, e sono orgoglioso di lui, ma non sai cosa darei per incontrare ancora una volta Isaac e dirgli cosa è stato lui per me... - continua, con estrema fatica, trattenendosi ormai a stento, prima di aggiungere un'altra cosa - ” Mi... mi manca così tanto, piccola mia... a parole non riescono a spiegare l'enorme voragine che percepisco dentro di me nel non averlo più qui... ed è stata tutta colpa mia!"

“Vorrei rassicurarti e dirti che tutto questo passerà e che starai presto meglio, ma so che è impossibile... Quando perdiamo delle persone care, non sarà mai come prima, lo percepirai sempre questo vuoto dentro di te, ma puoi lasciarlo sfiatare qualche volta - gli confesso, desiderando che non si senta solo in questo momento così delicato - Però, Cam, se il vuoto non può essere riparato, qualcosa invece puoi fare per il senso di colpa, tu non c'entri in alcun modo, Isaac ha reagito così, per salvare Hyoga, perché aveva un maestro meraviglioso e dal cuore grande come te, che gli ha insegnato ad amare in un modo del tutto speciale, io... ne sono convinta! Non hai nulla di cui rimproverarti... hai reso uomini due giovani ragazzi, sei stato eccezionale, fratellino! Io... sono fiera di te, ed orgogliosa sopra ogni dire di essere tua sorella!” gli sussurro ancora, tremando con forza. Anche il suo corpo palpita senza potersi fermarsi.

Avverto maggiormente le sue emozioni, come se fossero le mie, è davvero difficile resistere, non cedere, perché tutto ciò che lui sta provando passa attraverso me, ma non posso assolutamente piangere, è lui ad aver bisogno di un sostegno!

"Marta?" mi chiama lui, accarezzandomi la schiena, sentendomi tremare, fortunatamente, però, per come siamo posizionati, non riesce a scorgere il mio viso.

"Stai tranquillo, va tutto bene..."

"N-no... stai vibrando e hai la voce ovattata, quasi come se stessi piangendo, cosa..?"

"V-va tutto bene, Cam, davvero, ho... ho preso solo un po' di freddo - mi affretto a nascondere il mio coinvolgimento, ripotandolo sotto il controllo della ragione - Chiudi gli occhi e riposa, sei molto stanco..." aggiungo, baciandogli brevemente la nuca.

Camus annuisce ancora, rimanendo avvolto tra le mie braccia, il viso nascosto contro il mio petto. Minuti passano e lo avverto ancora irrequieto e tremante, come un gattino tutto bagnato. So che la mia vicinanza gli fa piacere, lo posso ben avvertire, e faccio di tutto per farlo sentire al sicuro. Finalmente dopo un altro po' il suo corpo si placa, stremato, forse, dall'aver trattenuto per troppo tempo quei sentimenti. Le sue dita stringono ancora con forza il mio corpo, trattengono il tessuto del mio peplo come se fossi l'ultimo appiglio.

Infine lo sento cedere, il respiro si fa via via sempre più profondo, i muscoli si sciolgono, nonostante quelli delle braccia mi trattengano sempre con un cipiglio di disperazione. Lo continuo ad accarezzare sulla schiena, avvertendo il leggero tessuto della maglia leggermente sollevata sul bordo dei pantaloni. Mi permetto di sfiorargli appena la pelle tiepida, ben sapendo quanto non gli piaccia essere toccato lì.

Così come si è messo, non posso vedere direttamente il suo volto, ma lo credo finalmente addormentato, almeno fino a quando, per scorgergli il viso, non mi sposto di un poco, consentendo così a lui di aggiungere ancora poche, impastate, parole.

“Marta… grazie! Mi hai salvato… in tutti i modi in cui un uomo può essere salvato...”

Mi immobilizzo all'istante, mentre il significato di quelle parole, calde come non mai, si fa largo in me, riscaldandomi il cuore.

 

Ci riuscirai... ci riuscirai in qualche modo, perché ne sei in grado! Io sarò al tuo fianco; sotto un’altra forma, è vero, ma ti basterà aprire gli occhi per vedermi, ti basterà alzare il braccio per toccarmi, e sarò lì, sempre e comunque!

 

Automaticamente sorrido, guardando con dolcezza il suo viso ormai addormentato, le lacrime che infine hanno trovato la propria strada, fermandosi tra le gote e il solco del naso, immote. Gliele asciugo con i pollici, passandogli le dita sul volto ancora un poco sofferente per spazzare via del tutto quella spietata tristezza che lo ha accompagnato per tanti, troppi, anni. Forse secoli…

“Avevi ragione, Dégel, come sempre! Non hai mai lasciato il mio fianco!” mormoro al vuoto, nello stesso momento in cui anche le mie, di lacrime, trovano la via, appannandomi la vista. Questa volta non le trattengo, lasciandogli libero accesso a solcare la mia pelle.

Ritorno a scrutare il volto di mio fratello, che sta respirando profondamente per via del sonno, non smettendo di accarezzargli la fronte e i lunghi capelli. Le braccia, ora piegate in maniere più naturale, ricordano timidamente un gatto addormentato appallottolato nella sua cesta, le ginocchia verso l'addome, come se volesse proteggere quella zona.

Quanta forza e quanta delicatezza, in un unico individuo! Camus appare, molto spesso, come i ghiacci perenni della banchisa che non si sciolgono mai e che per millenni sono rimasti indenni, lasciando ostinatamente che il tempo passato non li scalfisse minimamente. Eppure, persino in quell'immenso mare di neve compattata dalla pressione, un singolo fiocco languisce in una mano, dopo una breve agonia. Camus non è altro che uno di quei fiocchi, invincibile e determinato, con una volontà ferrea, ma, in fondo, delicato ed effimero come uno di essi.

Sorrido tra me e me, avvicinando le mie labbra alla fronte, prima di regalargli un leggero bacio: "Dormi, Camus, lo meriti... sei al sicuro adesso!" bisbiglio, quasi come una ninnananna.

Voleva davvero bene ad Isaac, si percepisce nitidamente, quanto vorrei... quanto vorrei che si potessero riabbracciare, in qualche modo! Sospiro, nell'impossibilità di poter agire per farlo stare meglio, nel farlo, torno ad asciugargli il volto, perché altre due lacrime sono calate dalle palpebre, ormai libere di agire senza il freno della ragione. Io proteggerò questo fiocco di neve, proteggerò il piccolo, grande, tesoro che mi sono scelta, nonostante le motivazioni personalistiche non siano degne di un Cavaliere di Atena, ma io, in fondo... mi reputo forse tale?!? No… eppure sono qui, per difendere le persone a me care e questo mondo meraviglioso in cui mi sono ritrovata a vivere. DEVO stare qui, e VOGLIO! La mia mente torna ad Isaac: davvero sarà morto?! Dove sarà il corpo e, soprattutto, non c'è davvero nessun modo per farli ritrovare? Del resto, già una volta il suo cosmo è scomparso da questa dimensione, eppure non era affatto morto... e se fosse come allora? I miei occhi si illuminano brevemente in una remota speranza.

“Sarò ancora più forte di così, Cam, e... se mai... se mai dovessi ritrovare il tuo Isaac, vivo in qualche modo, farò di tutto affinché voi possiate riabbracciarvi! - affermo con decisione, caparbia e un poco incosciente, esattamente come mi è stato descritto il migliore allievo di mio fratello - Non mi arrenderò per nulla al mondo, poiché io salvaguarderò questo timido fiocco di neve che ho scelto di proteggere. Non temere più nulla, non sei solo, non lo sarai mai più, lo giuro!”

 

 

* * *

 

 

17 settembre 2011, mattina

 

 

Non è ancora spuntata la luce del sole e tutto intorno a me è avvolto da una atmosfera plumbea, sfasata, quasi innaturale. Sono seduta sul ghiaccio e fisso con attenzione un grosso orso polare dall’altra parte della banchisa, probabilmente un maschio, avanzare con passo incalzante mentre scruta i dintorni. Non ne ho mai visto uno in libertà, vederlo gironzolare, padrone incontrastato della tundra, fa un certo effetto. Lentamente mi alzo, l’orso nota il mio movimento, malgrado la distanza, e rimane fisso a guardarmi per dei secondi interminabili. Poi, preferendo la prudenza, si allontana, la mente già concentrata su una possibile caccia.

Sono poco fuori dall’isba, non volendo far preoccupare Camus, ancora placidamente addormentato. Anche io mi sono goduta un leggero sonno al suo fianco, le mani istintivamente intrecciate con le sue per non farlo sentire solo. So perfettamente che, dormendo, non si sarà accorto di nulla, ma è stato come se una vocina mi supplicasse di rimanere lì vicino e rassicurarlo.

Sola, in mezzo alla tundra, il vento freddo che si insinua sotto il peplo, procurandomi un brivido, tuttavia mi sento più viva che mai, quasi rinata. Questi luoghi, in fondo, mi appartengono e, cosa ancora più importante, io appartengo a loro. E’ come se avvertissi il vento, il respiro del posto… proprio ora mi sta sussurrando che il sole sta per sorgere. E infatti, da qualche parte dietro di me, una tenue luce irradia i dintorni, riscaldandomi impercettibilmente la schiena. Il sole sta per nascere, lo avverto, appena sotto l’orizzonte…

Un fruscio dietro alle mie spalle, unito a dei passi ovattati, che assomigliano di più al pattinare sul ghiaccio che non al vero e proprio sprofondare nella neve umida. Proprio al momento giusto, non c’è che dire!

“Marta!”

Chiudo gli occhi e sorrido tra me e me, voltandomi con assoluta flemma verso di lui per poi riaprire le palpebre dopo aver aver compiuto un giro di 180 gradi.

“Camus!” dico solo, con sguardo caldo. Il sole varca solo adesso l’orizzonte, illuminandoci tenuemente prima di rischiare i dintorni bianchi, come tanti brillanti che, a seconda dell’illuminazione, donano una scintilla diversa.

Senza aggiungere altro abbandono la mia apparente compostezza per mettermi a correre nella sua direzione. Giunta a pochi passi da lui lo abbraccio con forza, obbligandolo involontariamente a puntellare i piedi per non perdere l’equilibrio. Non sono necessarie parole per fargli percepire la mia felicità.

“E la prima volta, da quando siamo tornati, che mi sorridi così raggiante… Marta...” esterna il suo pensiero Camus, raddrizzando un poco la testa per permettergli di vedermi meglio. Le sue braccia mi sorreggono con forza, poiché ho i piedi un poco sollevati da terra, ma entrambi non ce ne curiamo più di tanto.

“Anche tu… anche tu sembri più tranquillo ora!” ribatto, stampandogli un leggero bacio sulla guancia destra.

“Così è… grazie a te!” dice solo lui, sorridendo timidamente per poi posarmi a terra, la sua fronte contro la mia, in un gesto che, ormai, è diventato ‘nostro’. Entrambi sorridiamo.

Passano diversi minuti, prima che Camus decida di rompere nuovamente il silenzio, permanendo comunque nel contatto con me, così dolcemente vicino.

“Il Potere della Creazione, Marta… ti ho portato qui per questo, perché volevo parlartene personalmente. – afferma, un leggero disagio nel suo sguardo – Puoi… puoi ascoltarmi, di nuovo?”

“Non c’è neanche da chiederlo, fratellino! Vorrei… vorrei conoscere tutto di te, col tempo, e anche io… anche io ti racconterò di me!” ribatto, ingoiando a vuoto per l’emozione.

“Lo faremo, piccola mia, è una promessa! - mi arruffa i capelli lui, sorridendomi con dolcezza, prima di allontanarsi un poco da me e porgermi la mano – Vieni dunque con me e ti racconterò tutto, non qui, però. Questo posto è ricolmo di ricordi, troppi, soprattutto inerenti al Mondo Segreto del Santuario, il mio potere non c’entra nulla con tutto questo, è all’infuori di me, eppure così indissolubilmente dentro, intessuto nella mia anima. Ho bisogno di essere in un altro luogo!” prova a spiegare, in evidente disagio.

E’ chiaro che si vergogna di questo potere… eppure perché? ‘Potere della Creazione’ suona così dolce alle orecchie, portandomi alla mente qualcosa di magico e misterioso… forse per questo che non c’entra con l’essere Cavaliere?

Automaticamente gli prendo la mano, un poco tremante. Questa cosa qui, questa capacità… in qualche modo deve essere un peso insostenibile per lui!

“Se sei stanca… stavolta avvertimi! - mi avvisa, preparandosi a scattare alla velocità della luce – Non sei abituata a questi climi, per quanto tu sia abile e capace, non c’è nulla di male a fiaccarsi velocemente in questa landa desolata, anzi è perfettamente normale!”

Annuisco con la testa, dimostrando di aver capito, anche se ammettere di essere infreddolita e appesantita in un terreno che dovrebbe essere a me propizio mi scoccia. Camus mi sorride ancora una volta, prima di compiere il balzo nella luce assieme a me. Quando atterriamo, la rigidità ancora più accentuata del clima, mi fa capire di trovarci all’interno della tundra siberiana. Senza più parlare camminiamo nella neve, la sua mano sempre intrecciata con la mia. Il freddo penetra velocemente nelle ossa, irrigidendo le giunture e procurandomi una fitta atroce alla pelle esposta, quasi come se tanti spilli mi perforassero spietatamente. Faccio quindi un cenno a Camus per fargli capire che ho difficoltà, delle grosse difficoltà, lui annuisce e si ferma, aspettando che io mi abitui a questo freddo.

Cercando di non far notare che questo stato, per me, equivale ad una sconfitta, intercetto lo sguardo di mio fratello: malgrado tutto, sono pronta.

Camus annuisce meccanicamente, staccandosi da me di qualche passo e dandomi la schiena.

“In verità neanche io so bene spiegare la vera origine di questo potere, né perché sia in mio possesso fin dall’infanzia… questo voglio che sia chiaro, Marta, perché non te ne ho mai parlato soprattutto per questo. In ogni caso… - si prende una breve, quanto pesante, pausa – Forse è meglio una dimostrazione pratica!” sancisce, voltandosi nella mia direzione e distanziando i due palmi delle mani.

Rimango in trepida attesa, scorgendo la tensione sulla sua faccia, più o meno come una corda di violino. Intanto, tra i due palmi, una luce fioca e fredda diventa sempre più intensa, tremolando con sempre maggior forza. Ne sono irrimediabilmente carpita, associando quella strana manifestazione, non so perché, alla schiusa di un uovo. No ne comprendo bene l’origine, eppure, intuibilmente, è chiaro che si tratti di tutto un altro potere, completamente diverso dall’aria congelante vera e propria. Poco dopo, ancora coinvolta da quello strano fenomeno al punto di non prestare attenzione al resto, comincio a distinguere dei movimenti al suo interno. Sono… dei battiti d’ali?!?

“UAAARHH!!!” incespico nei piedi, quasi cadendo per terra, mentre il volatile, fatto di ghiaccio, spicca il volo per poi posarsi sul mio braccio sinistro. Rimango stupefatta a guardarlo, mentre l’uccellino, un pettirosso per la precisione, si comincia a pulire le ‘piume’, fatte altresì di ghiaccio proprio sul posatoio che si è scelto. Sono francamente sconvolta…

“Il… il pettirosso… è… è vivo?!” balbetto, squadrando Camus come si squadra un prestigiatore bravissimo di cui non si conosce il trucco.

“E’ più corretto dire che è animato...” mormora Camus, fisso sulla sua opera. Non sembra poter discostare l’attenzione dall’uccellino, ho come l’impressione che lo sforzo, per lui, sia più che eccessivo, ma può darsi che sia solo apparenza. Cerco di non dare peso al suo viso apparentemente fattosi pallido, tornando a concentrarmi sullo strano esserino.

“Puoi… puoi creare qualsiasi cosa e dargli vita?” lo interrogo, sempre più sbalordita.

“Posso creare qualsiasi cosa, purché l’abbia concepito la mia mente, sì, ma NON posso dargli vita… - risponde lui, un poco affaticato – Sono un semplice essere umano, Marta… non posso dare la vita da solo!”

“Eppure questo è un prodigio...”

“O una maledizione? Non saprei...”

Rimango in silenzio, non capendo la sua evidente paura. Una cosa così meravigliosa non può essere che una benedizione, non un anatema… come può anche solo considerarsi diabolica? E’ un potere eccelso, è vero, nelle mani sbagliate può distruggere, eppure è così genuinamente bello! Non so, più lo guardo più lo guarderei… questo splendido uccellino, che ha preso vita grazie alla mente di mio fratello… nessun essere umano può osare tanto, Camus sì, perché Camus è speciale, non può che essere così!

“Sai… da piccolo, quando tu eri ancora nella culla, lo usavo spesso per farti sorridere, e tu mi sorridevi con occhi grandi e limpidi… - prosegue Camus, mentre gli occhi vengono attraversati da una scintilla di tenerezza – E’ uno dei pochi ricordi che ho di noi due, io che, manipolando un qualcosa che non sapevo neanche cosa fosse, ti rendevo felice, inventando le forme più curiose e strane possibili. Tuttavia, crescendo, ho cominciato a sforzarmi di tenere a bada questo strano potere, rifiutando di utilizzarlo e cercando di relegarlo in qualche angolo remoto della mia mente, esattamente come facevo con i ricordi...”

“Perché hai soppresso una tale abilità invece di perfezionarla? Perché la nascondi, fratellino? Se puoi fare una cosa simile, sei un essere speciale, più speciale di quanto tu creda!”

Attendo spiegazioni, che tardano ad arrivare. Nello sguardo di Camus, ancora fisso nella sua opera, leggo uno sforzo sovrumano, ma stavolta non nel trovare le parole, ma nel mantenere quell’artificio.

“Perché ciò che creo ha una esistenza instabile...”

Un singulto sfugge dalla mia bocca. Sto cominciando a capire…

“Un secondo! Ciò che crei… non è frutto dell’aria congelata, vero? Voglio dire… non stai rallentando atomi già esistenti, li stai stabilizzando, poiché… poiché li hai creati tu! Non fanno dunque parte del mondo fisico...” esclamo, scandalizzata, comprendendo il tutto.

Camus annuisce, la luce fioca del luogo gli rischiara il viso, risaltando la fronte imperlata di sudore. Si sta davvero affaticando tantissimo, dovrei fermarlo, in qualche modo.

“E’ così, Marta! Ho… ho una paura atroce di questo potere!” biascica, il viso tirato.

Poi succede… la massa ghiacciata raggiunge il suo punto critico, crepandosi irrimediabilmente lungo l’ala sinistra fino alla coda, automaticamente compio un salto indietro, distruggendo d’impulso, con la mano destra, l’esistenza creata da mio fratello. Non un sussulto, non un urlo, a riprova che non si trattava di una cosa viva, tuttavia ne sono talmente dispiaciuta del mio gesto che sento pizzicarmi gli occhi: io ho disintegrato ciò che mio fratello aveva creato… perché? Perché ho agito così? Io non…

“Ugh...”

“Fratellino!”

Quasi in sincronia, Camus crolla a terra, cadendo in ginocchio e ansimando. Senza pensare oltre alla mia nefasta opera, corro a soccorrerlo per sincerarmi delle sue condizioni.

“Hai agito bene, Marta, anf… l’instabilità di quella creazione stava raggiungendo livelli critici, un solo secondo in più e...”

“Ma cosa stai dicendo, ora? Sei stremato, Camus, lo sforzo necessario per mantenere nel mondo fisico l’uccellino è stato troppo elevato, solo un mese fa eri in bilico tra la vita e la morte, ed io… io ho distrutto la tua...”

“Ti ho detto che hai fatto bene, anf, peste! - mi rincuora di nuovo lui, vezzeggiandomi il viso e arruffandomi i capelli – Ne ho perso il controllo, per cui andava distrutto e tu lo hai fatto, grazie!” ribatte lui, stringendomi a sé con il braccio destro. Automaticamente ricambio la stretta, spaventata dal suo continuo affanno.

“Camus… perché il Mago vuole questo potere? Lo sai?” gli chiedo, nascondendo il mio viso nell’incavo della spalla destra.

“Non lo so… ma ho delle supposizioni a riguardo...” inizia a dirmi, ma la sua voce mi appare distante, quasi oltre l’orizzonte degli eventi. Meccanicamente mi stacco leggermente da lui, avvertendo come innaturale il mio corpo e tutto ciò che sta intorno. Tanto per cominciare… il vento, che fino a poco fa sferzava i capelli, come può essere del tutto scomparso?

“Io penso che… il Potere della Creazione e l’aria congelante siano molto diversi come poteri, quasi… opposti!” continua lui, cercando di darsi un contegno.

Torno a concentrarmi sul suo viso, sebbene la sensazione di vuoto, in un mondo che dovrebbe essere pieno, si fa strada lungo di me. Uno squarcio dentro la struttura spazio-temporale… è come se lo percepissi, ma… come è potuto succede? E soprattutto: è possibile che Camus non se ne sia ancora accorto?

“Il fulcro dell’aria congelante… è lo Zero Assoluto, la temperatura minima raggiungibile, ma soltanto in teoria… in essa infatti il moto degli atomi è zero e ciò non è possibile in Fisica, lo sappiamo anche fin troppo bene. Tuttavia… raggiunto questo confine e, superato, in qualche modo, il varco, ciò che attende questa dimensione essenzialmente temporale, non può essere altro che la paralisi totale della struttura medesima della dimensione, ovvero il tempo stesso...”

“Q-questo significa che...”

“Sì, se qualcuno dovesse superare il confine fisico, varcando lo Zero Assoluto in maniera stabile e duratura, la struttura non avrebbe più senso di esistere e crollerebbe inequivocabilmente, perché avrebbe luogo un paradosso che farebbe collassare l’intera dimensione pertinente. Per questo motivo, persino chi possiede pienamente lo Zero Assoluto, come Hyoga, tende a non usarlo se non in casi strettamente necessari e indispensabili, se così non fosse, l’intero ecosistema della Terra ne risentirebbe!”

“Fratellino… cosa c’entra questo con il potere della Creazione?” gli chiedo, sempre più inquieta, ripensando che anche Dégel, ad Atlantide, aveva ragiunto lo Zero assoluto.

Camus mi scocca una occhiata grave, delle sue, di quelle che racchiudono una verità sconvolgente.

“Esistono innumerevoli multiuniversi oltre al nostro… ora, è vero che secondo alcuni il tempo, come concetto oggettivo, non esiste, ma rimane comunque il fatto che qualunque cosa creata ha un inizio e una fine. Poniamo ordunque il fatto che in uno di questi universi sia venerato come dio un Demiurgo giusto e puro, e poniamo sempre il caso che questo mondo, per qualche ragione, cada per effetto di un paradosso temporale… - si prende una breve pausa, tremando ulteriormente – Ne crollerebbe il tempo e il mondo arresterebbe il suo moto, sarebbe quindi una dimensione morta a tutti gli effetti. Ecco, in questo caso, solo una discrepante potrebbe riattivare quel mondo, ed è...”

“IL POTERE DELLA CREAZIONE!” ululo, totalmente sopraffatta da quella rivelazione. No, non può essere così! Significa che...

“E’ solo una teoria, Marta, non ti agitare così per me! E’ che… prima, quando il Mago era dentro il mio corpo, sentivo e vedevo cose che non appartenevano a me, immagini sfocate e instabili, nonché ombre. Al culmine del dolore, io… io ho udito più volte la parola Ipsias che, non so perché, ho abbinato automaticamente al nome del mondo da cui proviene il nostro nemico. Per questo ho pensato a questa eventualità, ma facilmente sono cose dettate solo dalla mia immaginazione, non ansarti!” mi prova a tranquillizzare lui.

No, invece, le ipotesi coincidono! Anche lui sa di Ipsias, glielo deve aver trasmesso inconsciamente il Demiurgo, può significare solo…

 

 

Ehi, Dégel, ma hai ululato qualcosa?!”

Non essere sciocco, Cardia, che ragione avrei di farlo?!”

 

Mi irrigidisco di botto, riconoscendo fin troppo bene quel vocalizzo giovanile e spensierato che può appartenere ad una sola persona. Fremo vistosamente, dirigendo il mio sguardo verso l’orizzonte, dove due figure ammantate si muovono nella neve.

 

Dégel! Sei sicuro che sia questa la direzione? Mi si congeleranno le dita prima di arrivare a Bluegrad!

Zitto e seguimi, Cardia! Per quale motivo credi che la grande Atena mi abbia scelto per questa missione?

Ed io che ne so, pensi che comprenda i piani divini?!?”

 

“Marta… Marta! Cosa ti succede ora? Cosa stai guardando verso l’orizzonte Laggiù non c’è niente, a parte...”

“Bluegrad, lo so...”

Un singulto sfugge alle sue labbra, mentre le sue pupille si dilatano, ricolme di paura.

Aveva ragione… Camus aveva ragione!

 

Lo so che sei cresciuto in questa terra ghiacciata, bella roba, aggiungerei, ma permettimi di avere dei dubbi se non si vede un cencio e tu vai spedito come non so cosa!” si lagna ancora Cardia.

Parlare con te è come dare le perle ai porci, a volte!”

Ma che simpatico...”

 

Nessuno di loro può vederci? Neanche Camus può? Sono solo io… l’unica che può assistere alla loro ultima marcia?

“Marta...”

“Camus… avevi ragione… avevi ragione su tutto!”

“I-io cosa? Mi stai facendo preoccupare!”

“Il tempo… si è fermato...”

 

Ad un certo punto Cardia si volta, non so come e non so nemmeno perché, verso la mia direzione, come se avesse percepito qualcosa. Spalanco le palpebre, tesa, mentre la sua espressione si fa sempre più stranita, corrucciata, poi, improvvisamente le labbra si dischiudono, incommensurabilmente mute davanti all’impossibile.

 

Rimaniamo a fissarci per un tempo indecifrabile, consapevoli di trovarci nello stesso luogo, ma in due epoche diverse.

No, il tempo non si è affatto fermato, si è… annullato! Per brevi istanti, è vero, ma è successo… Il potere di Camus, la sua perdita di controllo... possibile che solo tutto ciò abbia causato questo?!? E’ per questo… che ne ha il terrore?

“E’ una maledizione… è proprio una maledizione!” sussurro, sinceramente sconvolta. Di altro avviso appare invece l’immagine di Cardia davanti a me, ora sorridente e solare come non mai.

 

Sei infine apparsa… lo sapevo! Lo sapevo! Sapevo… che ti avrei rivista!”

Cardia, io...”

E parli anche, a quanto pare… bene, significa che l’ora è giunta, non è vero, Marta?”

Annuisco, gli occhi lucidi.

Perfetto! Non aver alcun timore per me, sai come sono fatto, sai che darò il massimo, non c’è nulla di cui aver paura! E’ la fine che voglio...

Lo so…”

E allora aspettami, ci rivedremo lì, nel futuro!” afferma, occhieggiandomi in maniera buffa, prima di voltarmi le spalle e proseguire per il suo cammino a testa alta.

 

 

Per taluni il tempo non esiste... se così fosse realmente, noi ci ritroveremo sempre in questo dato luogo. SEMPRE!

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Molto bene, era il 2011 quando mi apprestavo a scrivere questa storia, che concludo (finalmente, aggiungerete!) nel 2018.

La storia originale prevedeva ben 4 storie, sì, quindi ce ne sarebbero, in linea teorica altre due, già pienamente concepite dalla mia mente. Non so ancora se le pubblicherò e se sì non so quando, ma dovevo mettere la parola fine su questa.

E’ stata una fantastica avventura! Entrambe le storie, La Guerra Per il Dominio Del Mondo e Sentimenti che Attraversano Il Tempo, sono state revisionate da me tra il 2014 e 2018, sono quindi scritte in maniera diversa rispetto ad allora, anche se la trama non cambia di per sé, se non per alcuni particolari più o meno rilevanti (per esempio ho aggiunto il Potere della Creazione, vero motore mobile degli interessi del nemico). Un’altra cosa che riguarda questa storia è il cambiamento di raiting da giallo ad arancione, non tanto per i contenuti delicati quanto perché, avendo voluto dare registri linguistici più attinenti ai personaggi (a Dégel, per fare un altro esempio, l’ho alzato ulteriormente), Cardia è uscito col triplo delle parolacce e parole del gatto, per cui meglio renderlo arancione, ho pensato. XD

Chiedo scusa per la lunghezza dell’epilogo, ma volevo concludere degnamente questa storia e quindi… l’ho conclusa pienamente come volevo, non lesinando in scrittura (dovrei proprio imparare ad usufruire del dono della sintesi anche nelle mie storie!).

Io ringrazio tutti coloro che mi han seguito in questi anni e, anche se ultimamente il fandom non è molto frequentato, spero che qualcuno trovi gradevole questa storia. Grazie ancora a tutti! :)

P.S.: se qualcuno di voi vorrà rileggere potrebbe trovare errori grammaticali e/o refusi, è perché devo ancora fare pienamente la correzione in quel settore, ma piano piano la farò!

  
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