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Autore: Ellery    13/09/2018    2 recensioni
Francia, Marzo 1942 - Un piccolo caccia della Royal Air Force viene abbattuto nella campagna francese, lungo il Fronte Occidentale. Per i due piloti non c'è alcuna speranza: catturati da una brigata tedesca, torturati per informazioni su una importante azione militare degli Alleati. Allo spietato capitano Weilman si contrappone il Maggiore Erwin Smith, altrettanto desideroso di ottenere informazioni; almen fino a che qualcosa non scatterà nella mente del giovane ufficiale, portando alla luce vecchi debiti e promesse.
Aveva cercato in tutti i modi di tenere su l’aereo, tirando al massimo la cloche, sterzando ripetutamente per non costringere il piccolo caccia allo stallo, ma era stato tutto inutile: le ali non riuscivano a catturare correttamente l’aria, trapassate come erano, mentre dal motore usciva una scia di fumo nero.
La ff, a più capitoli, si propone di partecipare alla Challenge AU indetta sul forum da Donnie TZ. Prompt: Historical AU! IIWW = seconda guerra mondiale.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Farlan, Church, Hanji, Zoe, Irvin, Smith
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza
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36. Due lettere



Marzo 1942. Repubblica di Vichy. Base Alleata di Limoges.


Erwin chiuse il libro quando colse i passi famigliari fermarsi oltre la soglia della propria cella. Lo sguardo azzurro si staccò pigramente dalla copertina rossa, dove il nome di un autore russo capeggiava sopra il disegno di un vecchio cannone settecentesco. Quanti giorni erano passati dall’ultima visita? Aveva quasi perso il conto. Non fosse stato per le visite quotidiane degli infermieri, per controllare lo stato della gamba ferita, non si sarebbe nemmeno accorto del trascorrere del tempo.

«Buongiorno, Mike.» salutò, muovendo un cenno distratto.

«Ce l’abbiamo fatta!» la voce dell’amico era frizzante, colma di soddisfazione e orgoglio «L’Operazione Chariot ha funzionato! È andato tutto secondo i piani. Abbiamo distrutto il bacino di Saint-Nazare e… i Tedeschi si sono ritirati, abbandonando le ultime postazioni. Abbiamo vinto ed è merito tuo!»

Scosse il capo, storcendo velocemente la punta del naso:
«No. Avevamo un accordo, rammenti? Quell’idea non è stata mia, ma tua. Mi avevi promesso che avresti mantenuto il segreto e…»

«L’ho fatto, ma… non è giusto, Erwin. IL successo dell’Operazione potrebbe essere il tuo lasciapassare per la libertà. Vuoi finire in un campo di prigionia? È questo che desideri? Non rimarrai a lungo qui alla base, lo sai! Ti trasferiranno, non appena capiranno che non hanno più bisogno di te. Ossia… tra non molto.»

«Hanno già deciso dove mi manderanno?»

«No, ma ho sentito Pixis che ne parlava ieri sera con il generale Zackley.» Mike batté un pugno contro le sbarre di ferro, facendole risuonare amaramente. Delle scaglie di vernice e ruggine rimasero appiccicate contro il palmo della sua mano. «Perché non mi stai ascoltando?! Sembra che la cosa non ti importi!»

«Perdonami.» Erwin scosse mestamente le spalle, affinando un leggero sorriso distratto «Mi interessa la tua opinione, invece. Solo…»

«“Solo” cosa?»

Come poteva spiegarlo? Mike avrebbe capito? O gli avrebbe dato del pazzo? La seconda scelta era la più probabile. Al momento, la possibilità d’essere internato in un campo non gli era poi così sgradevole; al contrario, riusciva a vederla come l’ inevitabile punizione per i propri crimini. Per aver tramato, tradito e distrutto per anni. Per essere stato cieco e sordo agli avvertimenti; per essere rimasto inerme, come un fantoccio, mentre la sua Germania rovinava verso la guerra e la sconfitta; un burattino pericoloso da manovrare, capace di uccidere con uno schiocco di dita già madide di sangue e sudore. Era la giusta via per espiare i propri peccati, per lavare almeno in parte la propria coscienza; per attendere la fine della guerra, nella speranza di poter rinascere un giorno come un uomo nuovo, capace di guardarsi allo specchio e di sorridersi al mattino, senza più scorgere invisibili gocce scarlatte scorrere dai suoi occhi lungo le guance e fino al mento.

«Va bene così, Mike. Non darti troppa pena per me; ho spedito così tanta gente all’altro mondo, che l’idea di marcire in una cella per i prossimi… due? tre anni?... non mi fa poi così paura. Chi sono io per sottrarmi al giudizio degli uomini? Non sfuggirò né al loro, né a quello di Dio. E se questi dovesse venire a chiedermi il conto, sarò ben lieto di riceverlo.»

«Ne parli come se morire fosse una benedizione.»

«Tu non lo penseresti, se avessi perso tutto? Cosa mi è rimasto, ormai? Ho tradito il mio Paese, la fiducia dei miei uomini e quella delle persone che hanno cercato di aiutarmi e sostenermi. Ho giocato con le vite dei compagni e degli amici, che nonostante tutto si ostinano ancora a restarmi accanto. Perché lo fate? Hanji ha perso il suo lavoro, Levi la vita. Nile ha rischiato la sua carriera e tu e Nanaba la vostra serenità. Perché?»

«Perché crediamo in te… e forse tu dovresti fare lo stesso.»

Erwin scosse mestamente il capo, raccogliendo l’eredità di quelle parole. Era davvero così? Bastava ritrovare la fiducia in sé per potersi riscattare? Non era un mezzo troppo semplice e sbrigativo? Sollevò lo sguardo, tornando a fissare Mike. Sapeva che l’amico non avrebbe compreso fino in fondo: Mike era sempre stato un tipo pratico, alla mano e sbrigativo. Difficilmente si soffermava a riflettere sui sentimenti e sulle reazioni che ogni singolo gesto poteva scatenare. Era una persona semplice e genuina, che per lui si sarebbe buttata senza indugio tra le fiamme dell’inferno. Meritava davvero un amico come Mike? No, come non aveva meritato la tenacia di Hanji, la pazienza silenziosa di Moblit, l’altruismo incondizionato di Petra e Auruo, l’appoggio di Nile, dei signori Jaeger e di tutti quelli che aveva incrociato in quello strano viaggio. Come aveva ricambiato il loro aiuto? Solo trascinandosi appresso sventure e maledizioni.

«Non è così facile.» rispose infine, abbandonandosi ad un mesto sospiro «Vorrei solo potermi isolare dal mondo, mettere una toppa ad ogni mio errore e cercare di andare avanti.»

«E pensi che restare chiuso in una prigione ti aiuterà?»

«Un po’ di esilio non ha mai fatto male a nessuno.»

Vide l’altro stringere le spalle a quell’ironia ed allontanarsi dalle sbarre; Mike gli rivolse un cenno silenzioso e prese nuovamente ad incamminarsi nello stretto corridoio.

«Aspetta!» si slanciò immediatamente contro le sbarre, ignorando il protestare della gamba a quel movimento improvviso. Le sue dita si strinsero contro il ferro arrugginito «Devo chiederti un ultimo favore, prima che tu vada. Ho bisogno di parlare con una persona.» le dita della destra tesero un foglio spiegazzato e macchiato «Sai dove posso trovarla? Credo sia un’infermiera o qualcosa del genere…»

Mike scosse mestamente il capo:
«Io no, ma forse Zackley lo saprà.»
 

***
 

Il turno nell’ospedale da campo era terminato. Avrebbe voluto solo buttarsi su una branda e dormire, ma una sentinella era corsa ad avvertirla: alle celle era richiesta la sua presenza. Un prigioniero che si era sentito poco bene? No, affatto. A quanto pareva, doveva trattarsi di una faccenda personale.

Isabel si legò frettolosamente i capelli in due codini, camminando lesta lungo il corridoio. Aveva chiesto al soldato un paio di sbrigative informazioni. Chi la cercava? Il maggiore Erwin Smith. Quel nome l’aveva colpita; era piuttosto famoso, legato a terribili avvenimenti. Cosa poteva volere da lei? La guardia non lo sapeva, aveva solo ricevuto istruzioni per accompagnarla.

La ragazza si fermò davanti alla porta indicata, spiando incuriosita la figura oltre le sbarre. Sembrava una persona normale, troppo intenta a leggere un vecchio libro per curarsi del resto del mondo. I capelli biondi erano opachi e spettinati e lungo le guance era comparso un accenno di barba disordinata. Gli occhi, cerchiati da un velo di stanchezza, si erano scostati dalle pagine per posarsi su di lei; le iridi erano di un colore intenso, delle stesse tonalità del cielo quando tocca la superficie del mare. Erano insolite, ma profonde e difficili da sondare; celavano lampi irrequieti che, a tratti, emergevano spontaneamente, quasi a sottolineare l’animo turbato che alloggiava quel corpo atletico ed allenato.

«Maggiore Smith?»chiese appena, mentre la sua attenzione si fissava sulla gamba sinistra dell’uomo, trascinata a passi zoppicanti «Siete ferito?»

«È sotto controllo, non ti preoccupare. Possiamo darci del tu?»

Isabel annuì tendendo una mano oltre le sbarre e ricevendo una stretta leggera, delicata.
«Mi cercavi, maggiore?»

«Sì. Sei Isabel… Magnolia, giusto? Hai un cognome insolito.»

«Mio padre era italiano.»

«Mi dispiace non avere una sedia da offrirti.»

Scosse il capo, affinando un piccolo sorriso di incoraggiamento. Il maggiore Smith non era affatto come se l’era immaginato! Pensava fosse un uomo burbero, freddo e distaccato; invece, sembrava una persona gentile e premurosa, desiderosa di metterla a suo agio anche in quelle strane circostanze. Come potevano dei modi tanto raffinati celare lo spirito marcio di un assassino senza scrupoli?

«Perché volevi vedermi?» tornò a chiedere e dalle sbarre si vide passare un foglio piegato in più parti, macchiato  di sangue, polvere e umidità «Cos’è?» cercò di svolgerlo, ma le dita del maggiore si chiusero immediatamente sulle proprie.

«Non qui, ti prego. Leggilo quando sarai sola.»

«Che cosa c’è scritto?»

«Non lo so. Ho promesso a Levi che te l’avrei consegnata.»

«è sua?»

«No, è di Farlan.»

«Perché me la stai dando tu? Perché non sono loro a… portarmela?» sentì la propria voce incrinarsi pericolosamente, mentre le palpebre si facevano pesanti e pungenti. Colse un nodo serrarle la gola e le lacrime sgorgare incontrollate lungo le guance. Conosceva la risposta, ma non voleva nemmeno considerarla. Dove erano Levi e Farlan? Perché non erano lì ad abbracciarla, a ridere delle loro disavventure, a tirarle i codini ed arruffarle gli spettinati ciuffi ramati? «Dove sono?»

Quella domanda riecheggiò nel silenzio. Vide il maggiore scuotere piano il capo ed indietreggiare:
«Mi dispiace.»

Si slanciò contro le sbarre stringendole sino a far sbiancare le nocche:
«Dove sono?!» ripeté, il tono spezzato, mentre la rabbia e l’incredulità continuavano a dipingerle smorfie sul viso «Dove?! Perché non sono qui? Dimmi che stanno bene, maggiore! Dimmi che sono dispersi da qualche parte, in Francia, in Germania… dimmi che sono tornati in Inghilterra o che sono in volo per l’America.»

«Sono precipitati vicino ad Arras. Li abbiamo catturati lì e… Farlan è deceduto dopo qualche giorno di prigionia, per le ferite riportate nello schianto.»

Erwin la vide accasciarsi a terra e stringere la lettera al petto ormai scosso dai singhiozzi. Non aggiunse altro. Perché raccontarle la verità? Perché dirle che Farlan era stato torturato a morte da un capitano sadico; che Levi aveva mentito per proteggere l’amico e, inconsapevolmente, aveva peggiorato la situazione. Non aveva senso aggravare le sue sofferenze.

«Levi è…» riprese, cercano velocemente le parole adatte «L’ho aiutato a scappare, a raggiungere Limoges. È rimasto ucciso in un conflitto a fuoco poco lontano da Le Blanch. Mi dispiace molto.» la osservò dall’alto. Non era rimasto nulla dell’infermiera che lo aveva accolto con un sorriso; non vi era altro che un corpo minuto, rannicchiato su sé stesso e scosso dalla disperazione. «Hanno sempre pensato a te, fino alla fine.»

La vide alzarsi poco dopo e tergersi gli occhi col dorso della mancina. Isabel gli rivolse un mezzo inchino, senza aggiungere altro. Con la lettera stretta al cuore, si avviò verso l’uscita, accompagnata dal passo incerto e dai singhiozzi che ancora sbocciavano incontrollati dalle labbra piegate.
 

***
 

Cara Isabel,

se stai leggendo questa lettera, è probabile che io non ci sia più. Che sia disperso o morto da qualche parte, in Francia o in Germania. Ti prego, quindi, di perdonarmi: non ho altro modo per farti giungere queste parole che, credimi!, avrei voluto poterti dire di persona.

Ci sono molte cose che avrei voluto scriverti, ma mi è concesso solo lo spazio di un foglio e non voglio sprecarlo. Tu e Levi siete la mia famiglia. Ho amato lui come un amico prima, come un fratello poi; ho amato te come una amica, ma non come una sorella; ho sperato che potessi essere qualcosa di più, che potessi diventare per me la persona con cui condividere tutto. Quella accanto a cui ti svegli al mattino, rigirandoti tra le coperte in un freddo mattino di dicembre; che a Natale ti regala orribili maglioni e che addobba la casa con fiocchi di neve ritagliati dalla carta. La ragazza che a Gennaio accende il caminetto per riscaldare le stanze e far asciugare il bucato; che a Febbraio gioca con la neve e a primavera corre tra i prati in fiore. Colei in estate ruba le ciliegie dall’orto del vicino... perché il tuo albero non ne produce e tu ne sei troppo goloso. Sei la persona che avrei voluto accanto a me ogni giorno, ora o minuto. A cui avrei voluto donare tutto me stesso, senza condizioni: con i miei difetti, le mie paure e le poche qualità che mi competono.

Ho spesso sognato di costruire una casa in riva al mare. In Normandia, magari, affacciata sulle malinconiche acque del nord. Oppure lungo la costa, vicino a Marsiglia! Lì dove l’estate è più calda e il sole sorride spesso. Sarebbe stata perfetta per te. Una piccola abitazione con un orto e un modesto frutteto. Avremmo avuto un cane, due gatti e… una splendida figlia, con i tuoi stessi capelli rossi e gli occhi color del cielo.

Riesco quasi a vederla mentre con le manine ti stringe l’indice per chiedere attenzioni; mentre ti porge una vecchia bambola da rattoppare.
Riesco a vederti dipingere all’ombra di un fico nodoso, scrivere poesie appoggiata agli scogli o cucinare qualche calda zuppa accanto ad un accogliente focolare.
Riesco a vederti invecchiare accanto a me. I tuoi capelli rossi tingersi di fili argentati, con piccole rughe a contornare lo sguardo verde ed avvizzire le labbra carnose. Le mani callose intente a cucire, ancora una volta, una bambola sgualcita per le nipotine. Riesco a vederti ed a trovarti splendida in ogni singolo istante.

E avrei voluto esserci anche io, in queste immagini. Avrei voluto scorgermi vicino a te. Invece, ora… non vedo me stesso, ma un altro uomo. Un giovane forte, simpatico e protettivo. Non riesco a notarne il viso, ma sento che ti sta rendendo felice. Ti sogno ridere, viaggiare e scoprire il mondo ed affacciarti alla vita con qualcuno che non sono io. Perché il mio cammino si ferma qui, Isabel. Non posso più darti nulla: non posso realizzare i tuoi sogni, né i miei. Posso solo guardarti andare avanti, da lontano; guardarti e sperare che tu possa essere felice con chiunque sceglierai di avere accanto.

Ho chiesto a Levi di consegnarti questa lettera e di non leggerla per nessun motivo. So che non lo farà; quando lo vedrai, dagli un abbraccio da parte mia e ringrazialo. Forse, non avrò avuto modo neppure di salutarlo come si deve. Lascio a te questo compito, so che lo assolverai.

Ho finito lo spazio che mi era concesso. Avrei voluto dirti tutto questo di persona, ma sarebbe stato forse più difficile e complicato. Ho affidato i miei sentimenti all’inchiostro, perché so che non mi tradirà; che leggerai queste parole, forse macchiate di sangue e polvere, e che le conserverai.

Non piangere, Isabel. Io sarò sempre con te… almeno finché lo vorrai.
 
Tuo,
Farlan
 

***
 

Ciao,

So che una lettera non dovrebbe iniziare così, ma non sono mai stato bravo a scrivere. Non so nemmeno perché lo stia facendo. Forse, è solo per via di un brutto presentimento. È tutta notte che mi tormenta e non so se dargli ascolto o meno. Nel dubbio, preferisco lasciarti qualche riga. Sei uscito di fretta poco fa e, malgrado la tua giacca, sento ancora freddo e non riesco a riprendere sonno. Mi sono addormentato e svegliato almeno una mezza dozzina di volte, da quando te ne sei andato. Sono tentato di seguirti, ma fuori si congela e non voglio lasciare il flebile calore di queste coperte.

Parlavo di un presentimento, poco fa. Non so se sia giusto o meno… forse è solo un po’ di tensione, di ansia per quello che ci aspetta; quando arriveremo a Limoges andrà tutto meglio, lo so. Se ci arriveremo. Non so, non chiedermi il perché, ma è come se lo percepissi dentro: sono destinato a crepare in Francia, temo. Non riesco a scollarmi di dosso questa sensazione, mi dispiace. È questa che mi ha spinto a scriverti… perché ci sono cose che vorrei dirti e forse non avrò modo di farlo. Se sopravvivremo a tutto questo, brucerò la lettera e troverò il modo di fartele capire comunque; viceversa, spero leggerai queste mie parole quando sarai al sicuro, lontano da tutto: dalla guerra, da Weimann, dai nazisti, dagli alleati… che la leggerai quando sarai solo con te stesso, in pace.

Ripensavo al nostro viaggio… mi sembra così strano pensare che sia vicino alla fine. Cosa accadrà “dopo”? Ammettiamo di riuscire ad arrivare nella Repubblica di Vichy. Che succederà, una volta che avremo recapitato il messaggio? Le nostre strade si divideranno o rimarremo ancora insieme, come due vecchi amici giunti alla fine di una curiosa avventura. Ci separeremo o troveremo qualcosa d’altro per cui lottare? Ci inventeremo una crociata contro i mulini a vento, magari… Qualcosa di più leggero che salvare il mondo, comunque, mi andrebbe bene.

Sinceramente, sono preoccupato… e forse non avrei mai dovuto chiederti di accompagnarti. Anzi, avrei dovuto obbligarti a rimanere ad Arras. Ti ho messo in un mare di guai, senza quasi rendermene conto. Hai perso tutto: la tua brillante carriera, i tuoi amici, gli uomini fedeli e pronti a seguirti. Non so perché l’ho fatto… ma so perché tu hai acconsentito. Ricordo quanto mi hai confessato, in quella vecchia casa di Lachelle. Solo lì ho iniziato a vedere l’abisso che ti porti dentro, scavato dal dolore e dai rimpianti. Il tuo debito con Kenny non c’entrava nulla… è stato solo l’appiglio giusto, la spinta che ti ha permesso di lasciare tutto e cercare un riscatto a cui anelavi da parecchio. E l’hai trovato, credimi.

Ti ostini a dipingerti come un mostro, come un assassino senza scrupoli né rimorsi; come una persona infima, abbietta e che non merita nulla. Beh, non è così. Ti puoi fidare di me, Erwin. Non ti direi mai una cazzata, non in questo frangente! Vorrei solo che tu potessi leggerti con gli occhi di chi ti ha davvero conosciuto. Perché in questo viaggio… ho visto cosa celava realmente quella divisa che iniziava a starti stretta. Sotto la scorza fredda e calcolatrice, c’è un animo gentile che non in molti hanno la fortuna di poter scorgere; e io sono stato tra questi. Per poco, d’accordo… ma l’ho visto.

So come sei fatto: daresti la vita per ciò in cui credi; la daresti per me, per Mike, per il tuo amico poliziotto e per molti altri. Se fossi sicuro che la tua morte servisse a risolvere questo conflitto, non esiteresti. Eppure, nonostante il peso enorme che ti porti dentro, sai perché non l’hai ancora affrontata? Perché sai di servire ancora… in qualche modo, che forse non ti è chiaro, ma occorri a questo mondo disastrato. Nel tuo piccolo, in modo distaccato e distante o quasi in sordina… ma servi e lo sappiamo entrambi. Perché puoi fare ancora la differenza, con qualche piano pericoloso o qualche idea ben assestata.  Perché, in fondo, non sei altro che un essere umano che vuol fare la cosa giusta; e la cosa giusta, per te, è guardare avanti.

È questo che ho notato, osservandoti in questi lunghi giorni. Non un mostro, ma una persona spezzata, alla continua ricerca di un modo per rialzarsi dal fango in cui è caduta. Ti senti sporco, lo so. Me lo hai detto, me lo hai fatto capire… ogni tuo gesto tradisce questa voglia di poter rinascere; ebbene, fallo! Nessuno ti trattiene, se non te stesso. Non voltarti verso il passato, ma continua a camminare. Non permettere che quanto accaduto getti le tenebre sul tuo futuro. Non rimproverarti come se fossi un pazzo criminale… non lo sei! Guardati con i miei occhi: sei una persona coraggiosa, altruista, intelligente e che ha ancora tanto da prendere. La vita ti ha tolto molto, è ora che tu le chieda il conto! Non permettere alla tua ombra di offuscarti nuovamente. Tutti abbiamo le nostre croci, chi più e chi meno… la tua è solo più pesante di quella di molti altri, ma le tue spalle sono più solide. Non lasciare che tutto questo ti schiacci.
Risorgi! So che puoi farlo…


Ricordi quella sera a Parigi? Mi hai detto che non hai mai pensato ad una famiglia tua; che non saresti un buon marito, perché non sei una brava persona; che non ti meritavi nulla.
Ti sbagli!

Lo meriti più di chiunque altro. Ti meriti la pace, la serenità, qualcuno che ti ami e che ti resti accanto. Per cui – ti prego! – quando tutta questa storia sarà finito, guardati attorno e scegli con chi stare. Trova una brava ragazza che ti ami, che ti cucini le frittelle a colazione, che profumi la casa di lavanda e che ti accolga senza timori o ripensamenti. Sposala (magari scegliendo delle bomboniere migliori di quelle di Nile!), amala e scoprila. Camminate insieme e guardate verso l’orizzonte della vostra vita, dove i figli ed i nipoti vi attendono a braccia aperte. Stringila con una mano e con l’altra sfiora le dita di un vecchio amico, che allora non sarà più con te.
Vivi!
Attraversa Parigi in primavera, quando gli alberi lungo Les Champs Elysées si tingono di piccoli fiori; respira il profumo delle
madeleine appena sfornate e osserva i pittori dipingere la Senna in tutte le sue sfumature. Visita Londra, con il suo cielo grigio e le piogge che incessanti martellano le spalle degli incauti visitatori privi d’ombrello. Dicono che Barcellona sia stupenda, che sia sempre estate… e che in Italia ci siano così tante meraviglie da scoprire che non basta una vita intera per vederle.
E quando tutto sarà finito,
torna a Berlino a testa alta, da vincitore. Guarda la tua adorata Germania con gli occhi di chi l’ha salvata.
 
Vivi, ti prego! Spicca il volo e liberati!
 

Levi
 

Le dita robuste scivolarono un’ultima volta sulla calligrafia affilata. L’inchiostro si era leggermente stinto dove il sangue e la pioggia lo avevano martellato; vi erano anche delle piccole gocce nuove ad inumidire la carta. Erwin le asciugò velocemente con i polpastrelli, prima di piegare il foglio e riporlo in una tasca.

Sollevò l’attenzione al corridoio vicino. Un soldato era fermo a pochi passi dalle sbarre:
«Maggiore Smith?» la voce tremante si addiceva a quella figura segaligna, avvolta da una divisa troppo larga per le spalle ossute e le gambe magre.

«Sì?»

«Vengo a comunicarmi la decisione del comandante Zackley. Ha disposto il vostro trasferimento presso il campo di prigionia di Ussel. Partirete domani stesso.»

«D’accordo.»

«Obiezioni, signore?»

«Nessuna.»

Il giovane mosse un cenno del capo, ritirandosi poco dopo.
Rimasto solo, Erwin  volse lo sguardo al cielo, appena visibile oltre la stretta finestra. Un acquazzone si stava abbattendo sulla base.
Sorrise piano al notare le pesanti lacrime scivolare dalle nuvole; ne osservò il colore grigio con una punta di nostalgia e di affetto.

Non mi dispiace la pioggia perché… quando pioverà, ti ricorderai di me.



 

Angolino: imperdonabile ritardo nell'aggiornare, ma... se questo capitolo ha finalmente lasciato la mia testa e il mio computer, è merito di Eva Amato. è stata la risposta ad un mio vecchissimo messaggio che mi ha dato la spinta di continuare e aggiornare. Mi rammarico solo per il tempo perso, per non essere riuscita a gestire prima questo capitolo, ma... meglio tardi che mai, dice il proverbio. Vorrei davvero riuscire a finire questa ff. In fondo, ci sono affezionata e - benché sia solo un ammasso di parole apparse sullo schermo di un pc - mi ha regalato molto.
Quindi, se siete giunti fin qui, perdonate l'enorme ritardo, se potete! <3 Al solito, se avete commenti o pareri, sarò felicissima di leggerli.
Grazie,

E'ry
  
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