Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Lady1990    14/09/2018    3 recensioni
[OMEGAVERSE]
Questa one shot è legata alla long "Cuore di cristallo", di cui si consiglia la lettura per un'adeguata comprensione. Ulteriori dettagli all'interno.
Dal testo:
La parola “shock” non si avvicinava neanche lontanamente al suo stato emotivo, quel freddo mattino di inizio dicembre. Seduto in bilico sulla sponda del letto, con un test di gravidanza positivo in mano, Ari contemplò seriamente l’idea di procurarsi un passaporto falso e rifugiarsi su un’isola deserta.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Mpreg, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ma guarda chi si rivede! No, non sono morta, ero solo molto impegnata per i fatti miei ^__^
Finalmente ecco a voi la os Mpreg che avevo promesso (è Mpreg! Leggete tutti gli avvertimenti e le note, please, e se non fa per voi chiudete subito la pagina). È la mia prima opera a rating giallo, ora che ci faccio caso… wow.
 
Adesso bisogna dire alcune cose (ATTENSCION PLIZ!):
- La oneshot è legata alla mia long “Cuore di cristallo” e occorre leggerla per capire questa
- Verranno trattate le seguenti tematiche: depressione (non in modo dettagliato), aborto (viene discusso en passant come un’opzione), abusi e violenza domestica (relativi al passato di Ari e, anche quelli, vengono appena menzionati in generale, non nel dettaglio)
- Si tratta di una Mpreg, ergo ci saranno descrizioni di una gravidanza maschile (se non vi piace, non leggete)
- La scena del parto è così breve che non vale nemmeno la pena di dire “menzionata”, perché finisce prima che uno se ne renda conto (non sono scesa nei dettagli perché non possiedo un’esperienza diretta e, onestamente, mi terrorizza T__T spero di non offendere nessuna mamma)
- Ci sarà una scena (pure questa brevissima) in cui sarà presente la male lactation (lattazione maschile), poiché nel mio omegaverse gli omega maschi sono in grado di produrre latte, ma non in grandi quantità come succede con le donne (non spuntano tette da nessuna parte, giusto per chiarire)
- In sostanza, preparatevi a un po’ di angst (perché Ari = angst) seguito da una cospicua dose di fluff!
 
Mi pare di aver detto tutto. Sono più 30 pagine di Word. L’ho riletta almeno quattro volte, ma se notate errori o qualcosa che mi è sfuggito, segnalatemelo!
Vi lascio alla lettura! (magari fatemi anche sapere che ne pensate, così, tanto per… giuro che non mordo)
 
 
 



 

La parola “shock” non si avvicinava neanche lontanamente al suo stato emotivo, quel freddo mattino di inizio dicembre. Seduto in bilico sulla sponda del letto, con un test di gravidanza positivo in mano, Ari contemplò seriamente l’idea di procurarsi un passaporto falso e rifugiarsi su un’isola deserta.
Quando Nicholas era andato in calore, appena due settimane prima, Ari non aveva preso alcuna precauzione ed era solo colpa sua. Non gli aveva proprio attraversato la mente l’idea che potesse accadere. Se non si fosse dimenticato di assumere gli anticoncezionali, ora non sarebbe immerso nei guai fino al collo. Perché sì, una gravidanza in quel momento era un bel guaio.
Passato il calore, non aveva messo Nicholas al corrente della possibilità, preferendo aspettare un po’ e avere conferma con il test. Perché, per quanto il suo istinto non lo avesse mai tradito, una cosa del genere necessitava di prove tangibili e inoppugnabili.
Stando a Patel, la loro alta compatibilità rendeva Ari più ricettivo al suo seme, quindi non c’era da stupirsi se esso attecchiva alla prima occasione. Il dottore gli aveva poi consigliato di attendere due settimane per dare tempo all’organismo di produrre le sostanze tipiche della gravidanza. Se davvero il calore era risultato nel concepimento, un test dell’urina lo avrebbe confermato senza fallo.
Il bastoncino bianco e rosa, il cui display mostrava due linee orizzontali, scivolò dalle sue dita tremanti e cadde sul cuscino. Il battito cardiaco accelerò, sudore freddo gli imperlò la fronte e il respiro si fece corto. I polmoni si contrassero, la gola si restrinse. L’attacco di panico incombeva su di lui, sarebbe bastato poco per sentirselo piombare addosso.
Era una catastrofe di proporzioni epiche. Non dubitava che Nicholas sarebbe stato estasiato. Anzi, era sicuro che tutta la famiglia Wright avrebbe gioito alla notizia. Era lui il problema. O meglio, tutti i progetti che, se avesse scelto di tenere il bambino, avrebbe dovuto accantonare, forse per sempre.
La casa era vuota, il silenzio opprimente. Da un lato avrebbe voluto una spalla su cui piangere, dall’altro era grato che non ci fosse nessuno ad assistere al patetico spettacolo.
Pallido come un fantasma, si alzò e barcollò fino alla cabina-armadio. Ci si barricò dentro, al buio, avvolto in un bozzolo di coperte e negazione. Rimase lì per ore, immerso masochisticamente in fantasticherie cupe, rimuginando con sconcertante ostinazione sui sogni infranti e il terrificante futuro che si stagliava innanzi a sé.
Giurò che non sarebbe uscito dal quel fottuto armadio finché qualcuno non gli avesse detto che gli unicorni esistevano davvero.
“Certo che esistono, amore!” esclamò con allegria forzata Nicholas, due ore dopo, dalla camera da letto, le mani premute sulle ante dell’armadio come se fosse indeciso se spingere o meno, “Solo perché nessuno li ha mai visti, non significa che non siano reali. Coraggio, apri, cucciolo.”
Era rincasato giusto da pochi minuti dopo un’intensa giornata in azienda, che gli aveva risucchiato via gran parte dell’essenza vitale. Tutto si sarebbe aspettato, fuorché scoprire che il compagno era determinato a piantare radici nell’armadio a causa dello shock.
Nicholas aveva appreso la magnifica notizia solo dopo aver recuperato il test abbandonato sul cuscino, la prima cosa fuori posto che aveva notato quando aveva messo piede in camera. Niente avrebbe potuto rivaleggiare con il sorriso radioso che era sbocciato sulle sue labbra. Peccato che Ari non sembrasse propenso a condividere la sua felicità.
“Credi negli unicorni?!” sbottò Ari, affacciandosi sospettoso dalla fessura tra le ante.
“Sì! E loro credono in noi.”
“Tu menti.”
“Ti ricordo che possiedo una copertina rosa con gli unicorni.”
“Ah.”
“Dai, esci.”
Ari richiuse le ante con uno scatto secco e riprese a tremare nel suo bozzolo, gli occhi spiritati fissi nel vuoto.
“No… il mondo esterno è pieno di realtà da affrontare, verità con cui fare i conti… persone…”
“Ma ci sono io! Sul serio non vuoi vedermi mai più?”
Il ragazzo si morse un labbro, gli occhi umidi di lacrime. Ad un tratto, la sua piccola e tenebrosa tana non sembrava più tanto accogliente senza il suo compagno. Strisciò verso le ante, le socchiuse di nuovo e sbirciò dalla fessura, scontrandosi con la faccia stupidamente attraente di Nicholas.
“Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate.”
“Non sei per nulla inquietante.”
“Perché la notte è oscura e piena di terrori.”
Nicholas si morse la lingua per non ridere. Il suo cuore implose sotto la violenta ondata di tenerezza che lo stritolò alla vista degli occhioni grandi, innocenti e spaventati del suo omega. Si intrufolò nell’armadio, si accucciò davanti ad Ari e lo trasse a sé con gentilezza.
Lo cullò per almeno un’ora, sussurrandogli dolci paroline tra baci e carezze. Non lo incoraggiò più a uscire, dandogli piuttosto la possibilità di calmarsi lì dove si sentiva al sicuro. Benché la reazione di Ari stesse facendo risuonare migliaia di campanelli d’allarme nel suo cervello, si impose di non tradire il turbamento e, piuttosto, concentrarsi per emanare feromoni calmanti.
“Ari, va tutto bene. Va tutto bene.”
Ari affondò il viso nell’incavo del collo di Nicholas ed inspirò a fondo, avvertendo la tensione nei muscoli sciogliersi via via che il profumo muschiato del compagno gli invadeva le narici.
Si strinsero l’uno all’altro finché non fu più possibile discernere i rispettivi odori, ormai così mischiati da essere divenuti un’unica fragranza. Quando abbandonarono l’armadio, l’ora di cena era passata da un pezzo.
Ari era esausto, affamato e ancora sottosopra a causa dell’attacco di panico, ma si sentiva pure rinfrancato dalla presenza del suo alfa. Cadde in un sonno profondo non appena toccò il letto. Nicholas gli rimboccò le coperte, lo baciò sulla fronte e rimase a vegliare sino all’alba, il cuore colmo di amore e speranza.
Il mattino seguente si destarono al suono della sveglia di Ari. Dopo essersi scambiati un’occhiata eloquente e qualche significativo grugnito, entrambi decisero di restare esattamente dove erano, al diavolo il lavoro e lo studio. Per un giorno il mondo sarebbe sopravvissuto senza di loro.
Nicholas si alzò solo per andare in bagno a farsi una doccia e portare la colazione a letto ad Ari, che l’accettò con gratitudine. Le sue membra erano pesanti, intorpidite, come se avesse corso una maratona. Bevve il succo d’arancia che Nicholas gli offrì e spilluzzicò il suo toast, mentre l’alfa divorò in una manciata di bocconi la sua mela e cinque toast con burro e marmellata di mirtilli. Quando finì il caffè, posò la tazza sul comodino insieme al bicchiere di Ari e lo guardò.
“Come ti senti?”
“Stanco.”
“Mi riferisco alla gravidanza.”
Ari fece spallucce, attento a non incrociare mai lo sguardo penetrante del compagno.
“Se c’è qualcosa che non va, non tenerlo dentro.”
“Sono ancora scombussolato. Tu come fai ad essere così calmo?”
“In realtà, sono terrorizzato, ma so nasconderlo meglio.” abbozzò un sorriso e si sporse a baciarlo sulle labbra, “Che dici, chiamiamo i miei? Oppure vuoi aspettare?”
“Che senso avrebbe?”
“Non lo so. La scelta è tua.”
“Via il dente, via il dolore.”
“D’accordo.”
Nel primo pomeriggio, dopo aver discusso a oltranza su chi dovesse chiamare, riferirono la lieta novella alla famiglia. Come preventivato, gli Wright non persero tempo a fiondarsi da loro per festeggiare la coppia.
Samuel era compiaciuto, Inès era sorridente, Phedra commossa, Susan emozionata, Ophelia esaltata e tutti gli altri un tripudio di “Oh mio Dio, com’è successo?”, a cui Nicholas rispose con diverse versioni di “Volete che vi faccia un disegnino?”.
Ari passò la serata a roteare gli occhi o a sclerare in preda al panico all’udire i racconti di Susan, su cui Ophelia ricamò storie horror assai avvincenti e incredibilmente vivide. Era certo che avrebbe avuto incubi per mesi.
“Non ascoltarla, Ari.” disse Susan, mentre lanciava occhiatacce a Ophelia, “Ti darò il numero della mia dottoressa. È stata fantastica con me. Se vuoi, ti fornirò anche i libri che mi ha consigliato. Ormai a me non servono più, li ho imparati a memoria. Sono certa che li troverai illuminanti. E non preoccuparti, okay? Per qualunque cosa, sono a tua disposizione, come anche Phedra e Inès.”
“Grazie, Susan, lo apprezzo molto. Non nego di essere atterrito. Tutto questo è… beh, nuovo. Fatico ancora a crederci.”
“La prima gravidanza è sempre uno shock, ma andrà tutto bene. Hai il nostro supporto, ricordalo. E hai pure un alfa molto innamorato che non vede l’ora di viziarti come un principino.” sorrise ammiccante.
Ari si sporse dal divano e osservò Nicholas gesticolare animatamente in cucina, immerso in una fitta conversazione con Samuel. La sua espressione era raggiante, gli brillavano gli occhi e le sue guance avevano assunto un colorito roseo. Per un attimo, Ari avvertì una stretta al cuore: raramente aveva visto Nicholas tanto emozionato.
Serrò le labbra per fermare il loro tremolio e si impose la calma. Doveva smetterla con i pensieri negativi. Nicholas era stato perfetto in ogni momento della loro relazione e Ari si era ripromesso che lo avrebbe ripagato della sua pazienza e gentilezza al meglio delle proprie possibilità. Quindi non avrebbe permesso alla paura di vincere, non stavolta.
Quella notte, dopo che gli ospiti se ne furono andati, fecero l’amore a lungo, lentamente, ogni tocco gentile e calibrato. Nicholas fu attento, premuroso, talmente delicato che Ari non percepì altro che piacere. Prese d’assalto le sue labbra e non le mollò più per tutta la durata dell’amplesso, ingoiando le sue grida e i suoi gemiti come reverenza.
Sdraiati tra le coltri sfatte, sazi e col respiro affannato, continuarono a baciarsi finché il sonno non li reclamò. L’ultima cosa che Ari sentì prima di addormentarsi fu la mano di Nicholas premuta sul suo ventre piatto e il suo respiro caldo sulla ghiandola.
Il giorno dopo, l’alfa uscì presto per andare in ufficio, mentre Ari rimase a impigrirsi sul divano. Non aveva lezioni fino al pomeriggio. Tuttavia, un paio d’ore più tardi stava morendo di noia. Fu allora che ricordò di non aver ancora detto nulla a Owen. Afferrò il cellulare e lo chiamò, sperando che non stesse lavorando.
“Pronto?” rispose Owen con voce impastata.
“Hey. Ti ho svegliato?”
“Sì.”
“Era l’ora.”
“Mi aspettavo delle scuse.”
“Sono incinto.”
“Che cosa?!”
“Sono incinto.”
“Cosa?!”
“Sono incinto!”
“Ho sentito, non sono sordo!”
“Allora perché me lo hai fatto ripetere?”
“Oh mio Dio, Ari… Oh. Mio. Dio.”
“Già.”
“Diventerò zio!”
“Tra tutte le cose che potevi dire, scegli questa? E poi parliamone. Per la posizione di zio c’è una lunga lista d’attesa.”
“Io sarò il preferito. Cazzo, Ari, sei incinto!” esclamò incredulo, “Oddio… lo sei davvero?”
“Sì, Owen.”
“Tu sei incinto.”
“Vogliamo ripeterlo ancora?”
“Sei incinto!”
“Bene, ora cambiamo argomento.”
“Non ti sento entusiasta…”
“Beh… sono ancora sottosopra, tutto qui. L’ho scoperto ieri.”
“Nicholas lo sa?”
“No, ho intenzione di mantenerlo segreto.”
“Ari!”
“Certo che lo sa, scemo! Non potrei nascondergli una cosa simile.”
“Ma se potessi…?”
“No.” sospirò, “Non glielo nasconderei.”
“Ari, cosa c’è?”
“Nulla. È che… è terrificante sapere che una vita sta crescendo dentro di me. Suppongo che dovrò cominciare ad abituarmi all’idea. Non avrei mai pensato che succedesse così presto. Insomma, con tutti i problemi e i casini che io e Nicholas abbiamo passato, non so se è il momento giusto.”
“Stai dicendo che non lo vuoi?”
“Non ho detto che non lo voglio.”
“Ma lo stai pensando.”
“Io non…” si bloccò e si strofinò gli occhi con le dita, in un vano tentativo di scacciare le lacrime, “Noi vogliamo questo bambino. Nicholas lo vuole, gli Wright lo vogliono, tutti lo vogliono. Vedessi com’erano felici ieri, quando sono venuti a trovarci. Soprattutto Nicholas. Sembrava emanare luce dall’interno. E poi, con tutti i sacrifici che ha fatto per me e le battaglie che ha combattuto al mio fianco – battaglie non sue, che avrebbe benissimo potuto evitare – si merita un premio…”
“Ari, stop. Non devi volere un bambino solo perché lo vogliono gli altri. È il tuo bambino, la tua gravidanza. Sei tu che lo dovrai portare in grembo per nove mesi, che dovrai soffrire le nausee e le caviglie gonfie e il cambio di guardaroba. Sei tu che dovrai partorirlo. La scelta spetta a te.”
“Owen, ti ringrazio, ma non-”
“Se hai paura di deludere Nicholas, sei uno stupido. Quel gigante d’alfa ti ama alla follia, stravede per te. Potresti essere verde, grasso e brufoloso e continuerebbe a scrivere poesie sulla tua perfezione. E da quel che ho avuto modo di capire, è una persona comprensiva. Sono sicuro che, se gli parlerai, accetterà la tua decisione. Se tu ne sei convinto, ovvio.”
Ari singhiozzò. Si portò la mano libera sul collo, là dove spiccava il Morso del legame, e delineò con i polpastrelli i segni dei denti di Nicholas. Il gesto lo tranquillizzò appena, ma le lacrime non cessarono di rigargli le guance.
“Non so cosa fare! Ho paura, Owen.”
“Non devi averne, perché non sei solo. Sei circondato da persone che ti amano e che farebbero di tutto pur di vederti felice. Se non vuoi un bambino adesso, okay! Non vuol dire che non ci saranno altre occasioni. Prenditi del tempo per decidere, senza fretta.”
“Okay.”
“Vuoi che ci parli io con Nicholas?”
“No! No, per favore. Voglio che questa conversazione rimanga tra noi.”
“Ti conosce, Ari, capirà subito che qualcosa non va.”
“Mi inventerò una scusa. Non voglio procurargli altro stress, ne ha già abbastanza in ufficio.”
“D’accordo. Non è una buona idea, sappi che disapprovo, ma per ora farò come vuoi. Però, non appena ti vedrò precipitare nell’abisso, non esiterò a contattarlo.”
“Non succederà. Sono più forte rispetto a quando ci siamo conosciuti.”
“Va bene. Se vorrai discuterne ancora, o se vorrai semplicemente sfogarti, chiamami. Okay?”
“Sì. Grazie.”
“A che servono i migliori amici?”
“Ora devo andare. Ci sentiamo presto.”
“A presto, scricciolo. Passa da Starbucks uno di questi giorni.”
“Certo. Ciao.”
Riattaccò sentendosi al contempo più leggero e più in colpa. La chiacchierata gli aveva tolto un peso dallo stomaco, ma in compenso glielo aveva adagiato sulle spalle, raddoppiato di dimensioni.
Non voleva parlare con Nicholas solo perché si aggrappava ancora alla speranza che quella fosse una stupida fase d’incertezza. D’altronde, era più che legittimo. Aveva scoperto giusto ieri di essere incinto! Si meritava almeno una settimana per digerire la notizia. Non potevano pretendere che improvvisasse balletti e seminasse sorrisi a destra e a manca di punto in bianco. E se era una fase, come credeva, sarebbe stato da egoisti caricare Nicholas di ulteriori ansie.
Quando sedettero insieme a cena, quella sera, Ari fece del suo meglio per non tradire il tumulto interiore. Chiese a Nicholas della sua giornata, gli raccontò brevemente la sua e, dopo aver lavato i piatti, si raggomitolarono uno sopra l’altro sul divano per guardare un film.
Petto contro schiena, con le braccia avvolte attorno al busto di Ari, Nicholas depositò distrattamente casti baci sui suoi capelli e sul suo collo, beandosi della nota dolce che aveva assunto il suo odore. Ari si era convinto di aver fatto un ottimo lavoro a celare il turbamento, almeno finché Nicholas non adagiò una mano sul suo ventre in una carezza possessiva. L’omega si irrigidì.
“Non vedo l’ora che sia qui.” alitò Nicholas a pochi centimetri dal suo orecchio, disegnando ghirigori sotto la sua maglia, “Per tutto il giorno non ho fatto che pensare al futuro, a te, a noi, a come la nostra vita cambierà tra pochi mesi. Rebecca mi ha dato il tormento quando mi ha beccato per la terza volta di fila a fissare il vuoto con un sorriso ebete. A proposito, si congratula e dice che ti spedirà presto un cesto regalo.”
“Ringraziala.” gracchiò teso Ari.
Nicholas interruppe le carezze e si sporse da sopra la sua spalla per guardarlo in faccia.
“Qualcosa non va?” domandò e annusò la sua ghiandola, improvvisamente corrucciato.
“Sono solo stanco.”
“Emani lo stesso odore che di solito annuncia un attacco di panico.”
Nicholas lo girò con fermezza verso di sé e gli incorniciò il viso con le mani.
“Sto bene.” borbottò Ari, cercando di scansarsi, “Penso solo a come reagiranno all’università quando scopriranno che… insomma, non mi piace trovarmi sotto i riflettori.”
“Tranquillo, andrà tutto bene. Avranno qualcosa su cui spettegolare per un paio di settimane, poi accadrà qualcos’altro e si dimenticheranno di te.”
Ari storse le labbra in una smorfia.
“C’è altro?” indagò Nicholas.
“È che ci sono delle cose fuori posto!” sbottò spazientito, “E quando se ne accorgeranno, sarò io ad essere divorato vivo, non tu.”
“Cose fuori posto? Che intendi?”
“Beh, non siamo sposati, tanto per dirne una.”
Nicholas sbuffò divertito: “Ari, esistono un sacco di coppie che decidono di avere figli senza essere sposate. E poi il matrimonio è solo una formalità, ciò che davvero conta è essere legati. Io e te siamo legati, sfoggi il mio morso sulla ghiandola e tutti ormai sanno che sei mio. Che differenza fa se siamo sposati o meno?”
“A me non importa, sono gli altri che punteranno il dito e giudicheranno.”
“Hey, guardami.” gli sollevò il mento e lo costrinse a sostenere il suo sguardo, “Ricordi cosa ci siamo promessi tempo fa?”
Ari si imbronciò.
“Che non avremmo badato alle chiacchiere di estranei, perché non li conosciamo e loro non ci conoscono, quindi le loro opinioni sulla nostra vita non valgono la pena di venire ascoltate.” recitò mugugnando.
“Esatto. Tu continuerai a frequentare i corsi finché lo vorrai e condurrai la tua vita come meglio credi. Vivere in funzione di gente a cui non importa nulla di te porta solo stress. Fregatene.”
“Facile per te, che sei un Absolute Alpha. Ti basta un’occhiataccia per costringere tutta la popolazione in ginocchio.”
“Sono il tuo Absolute Alpha.” scherzò Nicholas, “E questo alfa adesso vorrebbe farti un bagno nella vasca, con i saponi che fanno le bollicine, e dopo ci terrebbe a farti un bel massaggio per aiutarti a sciogliere la tensione.”
“Se proprio insisti.”
“Ti imploro, dammi il permesso di farlo.”
“Uhm. Solo perché sono generoso.” dichiarò Ari, fingendosi riluttante, “E bada che siano le bollicine del flacone viola. Quello rosso non mi piace, ha un profumo troppo forte.”
“A stare con Ophelia sei diventato snob.”
“Sono un membro dell’aristocrazia, ora. Essere snob è un requisito fondamentale. E poi ho un talento innato. Sembra quasi che abbia scoperto la mia vocazione.”
Ari squittì sorpreso quando Nicholas lo issò tra le braccia e lo trasportò come una sposina al piano di sopra.
“Confesso che quando fai lo snob mi ecciti.” gli bisbigliò all’orecchio.
“Ti eccito anche quando mangio i cracker, non ci vuole molto a risvegliare la tua libido. Non che mi lamenti. Ora zitto e coccolami.”
“Agli ordini, vostra grazia.”
 
Durante le settimane successive, Ari frequentò l’università come se nulla fosse. Fece sempre in modo di spruzzarsi addosso una doppia dose di deodorante per mascherare l’odore della gravidanza, onde evitare attenzioni indesiderate e gossip. Sebbene non fossero ancora forti, gli ormoni che Ari sprigionava potevano essere colti persino dal naso alfa più inesperto, poiché il loro fiuto era programmato per individuarli all’istante, nonostante fossero nascosti sotto strati e strati di odori diversi. La strategia parve funzionare. Ari, però, sapeva che la pace non sarebbe durata a lungo.
Passò da Starbucks a trovare Owen e i due amici chiacchierarono del più e del meno. Il beta tentò solo una volta di portare il discorso sulla conversazione che avevano avuto per telefono, ma Ari lo sedò e cambiò argomento, lanciando un segnale chiaro. Owen non insisté, anche se era palese che fosse combattuto.
Dal canto suo, Nicholas cominciò a lavorare di più, spesso rimanendo in ufficio fino a notte fonda. Il suo piano era portarsi avanti con il lavoro per i prossimi quattro mesi, cosicché avrebbe potuto prenderne almeno cinque di ferie per stare accanto ad Ari sia durante l’ultima e più difficile fase della gravidanza sia per qualche settimana dopo la nascita del bambino, senza che ci fossero ripercussioni gravi in azienda.  
Non fu facile adattarsi alla nuova routine. Nicholas si consolò alla prospettiva di dedicarsi totalmente ad Ari da marzo in poi, benché mancassero mesi. Avrebbe voluto spostare in avanti le lancette e saltare quel periodo, per arrivare direttamente alla data prefissata per l’inizio delle sue ferie. Gli mancava l’intimità, o semplicemente trascorrere ore a scherzare con Ari su qualsiasi argomento venisse loro in mente. Non gli piaceva rimanere lontano così tanto, i suoi istinti di alfa si ribellavano all’idea di lasciarlo solo. Eppure, non c’era altra soluzione.
Ad Ari pesava la solitudine, ma al contempo era contento di non avere l’alfa intorno, così non avrebbe dovuto stressarsi per fingere che andasse tutto bene. Più volte la sua maschera rischiò di sgretolarsi, specialmente quando Nicholas lo abbracciava stretto mentre dormiva, una mano adagiata sul ventre e la bocca premuta sulla ghiandola. Stava diventando sempre più difficile mantenere il controllo sulle proprie emozioni.
Quando l’università venne chiusa per le feste, Ari era indeciso se provare sollievo o angoscia. Da un lato, ringraziò ogni divinità che conosceva per quella tregua dalle occhiate incuriosite degli studenti, soprattutto gli alfa, che avevano iniziato a sniffare nella sua direzione più spesso; dall’altro, le feste significavano più tempo con Nicholas, quindi più stress. Avrebbe dovuto dar fondo a tutte le sue doti recitative e pregare che non si accorgesse del suo malessere, che aumentava giorno dopo giorno.
Il tempo passava troppo in fretta, se lo sentiva scivolare via dalle dita come sapone. Presto la finestra d’azione si sarebbe chiusa e non avrebbe avuto altra scelta che portare a termine la gravidanza. Non sapeva per quale motivo stesse esitando. Era bloccato, in bilico su un filo. La ragione gli suggeriva di compiere la scelta più logica e abortire; il cuore lo supplicava di non lasciarsi sfuggire quella possibilità.
Ari era consapevole di dover parlare con Nicholas, sedersi con lui e metterlo al corrente delle proprie paure, ma non voleva infrangere la bolla di beatitudine che circondava l’alfa ogni volta che lo abbracciava e inalava il suo odore.
La lotta interiore lo stremava, rendendolo irrequieto, scorbutico e cupo. L’insonnia non aiutava, come neanche la carenza di appetito. Tuttavia, si sforzò di mangiare e fingere di dormire per non preoccuparlo.
Ciò che Ari non immaginava era che Nicholas aveva già notato il suo stato d’animo. Se l’odore da solo non fosse stato un indizio sufficiente, bastava vedere come sorrideva o come parlava, quasi che un veleno lo stesse logorando dall’interno.
L’alfa ne aveva discusso in privato col dottor Patel per telefono, pensando che fosse uno dei sintomi che accompagnavano la gravidanza. Il dottore, invece, gli aveva consigliato di tenere d’occhio Ari, perché i comportamenti che gli aveva descritto indicavano una depressione ai primi stadi. Nicholas non doveva forzarlo a parlare, ma era importante che gli stesse vicino e lo distraesse con diverse attività, preferibilmente all’aperto. Niente sesso, quanto piuttosto carezze e casta venerazione, per far sentire l’omega desiderato, amato e protetto.
Nicholas si impegnò nel suo compito come più poté, ma era difficile destreggiarsi tra ufficio e casa, dal momento che il carico di lavoro sembrava continuare a ingigantirsi di giorno in giorno. Se avesse seguitato ancora, sarebbe finito sepolto sotto le pile di documenti e e-mail. Per fortuna Rebecca lo aiutava, facendo persino gli straordinari al suo fianco per preservare la sua salute.
“Non dormi abbastanza, Nic.” gli disse una sera, mentre mangiavano cibo cinese in ufficio, “Torni a casa giusto per una doccia, un cambio d’abiti e tre ore di sonno. Non va bene e lo sai. Di questo passo, ti verrà un infarto.”
Rebecca aveva ragione. Nicholas era letteralmente esausto. Non si era mai sentito tanto spompato in vita sua, nemmeno quando frequentava il college e faceva le ore piccole durante la sessione d’esami. Il suo fisico era forte, poteva resistere più a lungo di molti altri, ma anche lui aveva dei limiti.
“Devo arrivare a marzo, Rebecca. Non manca molto.”
“È comunque troppo. Pensa a cosa accadrebbe ad Ari se dovesse capitarti qualcosa.”
“Non mi capiterà niente. Avanti, finiamo qui, così posso tornarmene a casa.”
 
Il Natale era ormai vicino e la casa era stata addobbata a festa. Owen e Ophelia avevano unito le forze per esaudire ogni capriccio di Ari, compreso rimpiazzare l’abete con uno finto, perché l’omega non sopportava l’odore di resina e le foglie sul tappeto. Il risultato finale avrebbe provocato una crisi isterica a un arredatore d'interni, ma l'importante era che Ari fosse soddisfatto.
Nicholas ormai lavorava almeno sedici ore al giorno. Ari cercava di non farci caso, ma l’assenza del suo compagno si faceva sentire sempre di più. Non diede voce ai suoi pensieri, ostinandosi a imbastire scuse, anche se non avere Nicholas accanto stava erodendo la sua precaria stabilità mentale.
Non passò molto prima che Rebecca contattasse Ophelia, che a sua volta avvertì Samuel del problema.
Nicholas ricevette una visita mattutina dal padre, che irruppe in ufficio con un’espressione talmente minacciosa da far gelare sul posto chiunque si trovasse sul suo cammino. Nicholas non batté ciglio, ascoltando annoiato i suoi rimproveri senza smettere di battere i polpastrelli sulla tastiera, gli occhi fissi sull’e-mail che stava scrivendo.
Dopo una predica di almeno mezzora, Nicholas si spazientì e iniziò a replicare. Difese la sua decisione con le stesse argomentazioni che ripeteva da settimane, solo per sentirsi accusare di stare trascurando il suo omega incinto e mettendo a rischio la sua salute.
“Sei pallido, hai due occhiaie che sembri un panda!” sbraitò Samuel, “Quanto pensi di resistere, eh?! Sei un uomo, non un dio.”
“Sono amministratore delegato di questa azienda, se ben ricordi! Non posso mollare tutto di punto in bianco. Credi che mi piaccia lavorare così tanto? Lo faccio solo per permettermi di andare in ferie quando Ari davvero ne avrà bisogno. Per ora è ancora autonomo, sa badare a se stesso.”
“Non si tratta di saper badare a se stesso, ma del suo stato emotivo! Ari è forte e indipendente, te lo concedo, ma dimentichi il suo passato? Dimentichi l’incubo che viveva fino a qualche mese fa? Pensi che sia stato tutto risolto? Per traumi come il suo ci vogliono anni prima di superarli! E non ti sto dicendo di mollare, ma di rallentare. I tuoi ritmi ti porteranno a un infarto! E allora cosa farai?”
Anche se il senso di colpa lo schiacciava, Nicholas proseguì imperterrito a negare.
“Non posso rallentare, papà. Ci sono troppe questioni che richiedono la mia attenzione. Devo mettere tutto in ordine prima delle ferie, lo devo ai miei dipendenti e all’azienda che la nostra famiglia a costruito.”
“Al diavolo l’azienda! La famiglia è più importante. Ari è alla sua prima gravidanza e ha bisogno del suo compagno. Questi momenti non te li restituirà nessuno.”
“Senti, non mi va di litigare. Sono impegnato. Se vuoi parlare, fissa un appuntamento con la mia segretaria.”
“Come osi?! Sono tuo padre!”
Nicholas sbatté i pugni sulla scrivania e scattò in piedi.
“Non ho tempo per te, okay?! Non ho tempo! Ci sono troppe cose… devo leggere dei documenti, fare alcune telefonate… il contratto con… il contratto…”
Venne colto da un improvviso capogiro. La sua testa si fece leggera, il sangue defluì dal cervello e i contorni del mondo sfocarono ai margini del suo campo visivo.
Samuel lo afferrò prima che crollasse sul pavimento. Lo trascinò verso il divano e lo fece stendere, toccandogli la fronte per sentire la temperatura.
“Nic? Mi senti?”
Rebecca entrò in ufficio in quel momento con l’ennesimo plico di fogli tra le braccia. Non appena registrò la scena, fu lesta a richiudere la porta, ma poi restò impietrita sulla soglia.
“Rebecca, chiama l’ospedale.” ordinò Samuel, mentre osservava allarmato il volto cadaverico del figlio.
Nicholas era a malapena cosciente.
“Sì, signore.”
“Maledizione, figliolo.” sibilò l’alfa tra i denti, per poi scostare il ciuffo dalla fronte di Nicholas e allentargli la cravatta, “Aspetta che lo venga a sapere tua madre…”
 
Nicholas si svegliò intorno all’ora di cena, confuso e stanco. Sua madre era seduta accanto al letto, intenta a leggere una rivista. Sul comodino c’era una lampada accesa, nell’aria l’odore sterile del disinfettante.
“Mamma.”
Inès sussultò. Chiuse la rivista e gli strinse subito la mano con apprensione.
“Come ti senti?”
“Sono stato meglio. Cos’è successo?”
“Sei svenuto. I medici ti hanno somministrato delle vitamine e hanno detto che puoi tornare a casa oggi stesso, a patto che prometti di seguire una dieta specifica e dei ritmi più sani.” gli scoccò un’occhiata ammonitrice, “Tuo padre è livido di rabbia.”
Nicholas fece una smorfia e fissò il soffitto con aria vacua.
“Ari?”
“Non gli abbiamo detto niente, pensa che tu stia ancora lavorando. Non volevamo fornirgli altre fonti di stress. Ophelia è con lui.”
Inès sospirò. Si massaggiò gli occhi con due dita, incurante del trucco, e si sedette sulla sponda del letto. Il pallore di Nicholas non le piaceva, né le occhiaie scure e le vene rosse che, come ragnatele, si diramavano in tutta la sclera, attorno all’iride azzurra.
“Sai di essere stato stupido. Devi delle scuse a molte persone.”
“Non l’ho fatto per me!”
“Non mi interessa. Onestamente, non so nemmeno come ti sia venuta in mente l’idea di ucciderti di lavoro per guadagnarti le ferie. C’erano altre opzioni, sai?”
“E quali?” sbottò scocciato.
“Per esempio, avresti potuto lavorare solo mezza giornata fino alla data del parto, così da dividere equamente il tuo tempo tra ufficio e casa. Poi Rebecca e tuo padre ti avrebbero coperto per i primi tre mesi dopo la nascita del bambino, come già pianificavano di fare. Una volta trascorso quel periodo, avresti ricominciato a lavorare a tempo pieno, ma non più delle classiche otto ore quotidiane, con il weekend libero.”
In effetti, vista così, Nicholas dovette ammettere di essere stato stupido.
“Dici sempre ad Ari che non è solo, che ha un’intera famiglia pronta a sostenerlo in qualsiasi momento.” continuò Inès, “Eppure, alla fine sei tu a comportarti come se fossi completamente solo, come se prenderti cura di Ari fosse una tua esclusiva prerogativa. Come se non avessi una famiglia alle spalle. È Ari l’orfano, ma tra voi due è quello che chiama più spesso. Tu ti atteggi da orfano quando non lo sei. Ti fai in quattro, ti trascuri, sei convinto che tutto ricada su di te, e ti sbagli. Guarda come ti sei ridotto. Domani è la Vigilia e dopodomani il compleanno di Ari. Come avevi intenzione di festeggiare, mh? Non riesci a stare in piedi! So che la tua posizione è carica di responsabilità, ma al mondo esistono cose più importanti. Ari e il bambino, per citarne un paio.”
Nicholas si strofinò la faccia e grugnì: “Ho combinato un casino.”
“Sono contenta che tu ne sia cosciente.” rispose Inès in tono secco, “Ora ti dirò cosa farai: io e tuo padre ti riaccompagneremo a casa e ceneremo con voi. Cucinerò io, mentre tu ed Ari vi siederete sul divano per riprendere confidenza l’uno con l’altro. Tu gli dirai che hai deciso di concederti un po’ di tempo per rilassarti e stare insieme a lui, e che, quando tornerai in ufficio, sarà solo per mezza giornata, dato che ti sei già occupato delle faccende più pressanti. Dopodiché, lo convincerai a mettere in pausa la sua carriera universitaria: non solo perché lo stress non fa bene al bambino, ma anche per evitare che la sua depressione peggiori a causa della lontananza dal suo compagno.”
Nicholas boccheggiò sorpreso.
“Come sai che…?”
“Più chiaro di così! E mi delude che tu non ne abbia parlato con noi. Anzi, hai pure avuto il coraggio di continuare ad ammazzarti di lavoro in un momento tanto delicato per Ari. Se sapevi della sua condizione, perché non gli sei rimasto accanto? Perché non gli hai offerto supporto?” lo rimproverò aspramente.
“Aspettavo che fosse lui a sbottonarsi… non volevo fargli pressioni.” ammise mesto.
“Conosci anche il motivo?”
“Presumo che abbia a che fare con tutto, in realtà: la gravidanza inaspettata, la paura di venire giudicato dagli altri studenti, l’incertezza derivante dal non sapere cosa gli riserverà il futuro…” fece spallucce, “Quando ha fatto il test, gli è venuto un attacco di panico. Ne ho discusso con Patel e lui mi ha consigliato di tenerlo d’occhio e non lasciarlo mai solo per troppo tempo.”
“Ah!”
“C’erano Ophelia e Owen a tenergli compagnia, non era solo!”
“Non è di loro che ha bisogno, razza di scemo!” esclamò e gli tirò uno schiaffetto sulla nuca, non tanto forte da fargli male, ma abbastanza per fargli entrare un po’ di sale nel cervello.
“Scusa.”
“E non è a me che devi chiedere scusa! Dio, a volte sei più ritardato di un orologio scarico. Da oggi le cose cambieranno, ci siamo capiti? E sappi che io e Phedra verremo a trovarvi ogni singolo giorno per vedere come state.”
“Ma-”
“Non è negoziabile. Hai perso il diritto di dire la tua opinione quando sei entrato in questa clinica.” lo rimbeccò severa, poi sospirò sconsolata e si alzò, “Vado a chiamare il medico per sentire quando ti dimetteranno. Non muoverti.”
Due ore dopo, Nicholas, Inès e Samuel arrivarono a casa del primo, in tempo per la cena. Ophelia era seduta sul divano, mentre Ari era disteso a pancia in giù sul pavimento.
“Salvatemi.” li supplicò non appena si affacciarono in salotto.
“Che è successo?” domandò Inès.
“Ophelia mi ha costretto a guardare Casa Blanca. Una noia mortale.”
“Eretico! È un capolavoro!” protestò Ophelia oltraggiata.
“Ophelia, vieni, aiutami a preparare la cena.”
“Perché?”
“Vieni e basta. Nic, tu rilassati, pensiamo a tutto noi.”
Ophelia la raggiunse. Non appena le fu vicina, scoccò alla madre un’occhiata stranita. Lei scosse debolmente il capo e la sospinse via. Samuel uscì per qualche minuto a fare delle telefonate.
Nicholas crollò sui cuscini ad occhi chiusi, la nuca poggiata sullo schienale e le braccia abbandonate lungo i fianchi. Avrebbe tanto voluto saltare la cena e dormire per almeno due giorni di fila, ma il dottore era stato chiaro quando gli aveva consegnato la nuova dieta, reiterando fino alla nausea quanto fosse fondamentale assumere una determinata quantità di calorie in un preciso numero di pasti.
Ari non si mosse dal pavimento. Non si voltò nemmeno a guardarlo, né lo salutò. Il silenzio fece più male di una pugnalata al petto. Questo, più di ogni altra cosa, mise in luce quanto il loro rapporto si fosse rovinato in quelle poche settimane. Nicholas si ripromise di parlargli, magari il mattino seguente, con la mente fresca e riposata.
 
L’indomani, il primo a svegliarsi fu Nicholas. A dispetto dalla stanchezza che gli appesantiva le membra, le sue sinapsi si attivarono come se dovessero lavorare a pieno ritmo similmente ai giorni precedenti.
Ari dormiva sereno. Il suo viso era disteso, pacifico. Sembrava che nel suo sonno profondo non ci fosse spazio per ciò che lo tormentava durante la veglia. A vederlo così rilassato, Nicholas avvertì una parte della tensione evaporare.
Attento a non disturbarlo, andò in bagno e poi scese in cucina a preparare la colazione. Sua madre gli aveva lasciato gli avanzi della cena in frigo, con tanto di post-it in cui gli ordinava di mangiarli a pranzo assieme ad Ari.
Ingoiò velocemente le vitamine che gli erano state prescritte e nascose di nuovo il flacone nello sportello più alto della credenza, dietro i sacchetti di caffè in polvere che Ari non maneggiava mai. Quindi si versò del succo di frutta in un bicchiere – il dottore aveva vietato categoricamente la caffeina – e scelse un paio di frutti per farsi una macedonia. Per Ari, invece, preparò i soliti toast e versò anche lui del succo di frutta.
L’omega lo raggiunse dopo una mezzora, i capelli spettinati, l’aria da zombie e il pigiama spiegazzato. Nicholas lo trovò adorabile e dovette violentarsi per non prenderlo tra le braccia e riempirlo di baci. Normalmente lo avrebbe fatto, ma un’insolita sensazione di disagio lo frenò.
“Buongiorno. Fame?”
Ari grugnì e si sedette a tavola per spilluzzicare il toast, ancora intontito dal sonno.
Dopo colazione, Nicholas lavò le stoviglie, fingendo di non notare il modo rigido in cui si muoveva il compagno, come se cercasse una via d’uscita. Lasciò che tornasse in camera e finì di pulire la cucina. Una volta fatto, raccolse tutto il coraggio che aveva e salì le scale, consapevole che la conversazione che lo attendeva non sarebbe stata piacevole.
Ari si era infilato di nuovo sotto le coperte, la testa sotterrata per metà dal cuscino. Nicholas montò sul letto e, dopo essersi sdraiato accanto a lui, picchiettò con un dito sulla sua spalla.
“Ari?”
“Mh.”
“Vieni fuori, dobbiamo parlare.”
“No, non dobbiamo.”
“Ti prego. Vorrei scusarmi.”
Al che il ragazzo si affacciò fuori dal bozzolo, confuso.
“Mi dispiace di averti trascurato nelle ultime settimane. Il lavoro mi ha risucchiato.”
“Tranquillo, so che sei impegnato. Devi dirigere un impero, mica fare il barista sfaticato come Owen.”
“Comunque sia, ho in programma di rallentare il ritmo. Sarò a casa per le feste e poi lavorerò part-time fino alla data del parto. Dopo il parto, metterò tutto in pausa per almeno tre mesi per aiutarti con il bambino.”
“Che cosa stai dicendo?” boccheggiò incredulo.
“Mio padre e Rebecca si occuperanno delle cose che non riuscirò a fare.” concluse Nicholas, elencando i punti in tono piatto, come se stesse leggendo la lista della spesa.
“Non devi farlo per me… non voglio obbligarti a-”
“Lo faccio anche per me. Sono sfinito, Ari. Non avrei resistito ancora a lungo. Inoltre, voglio assisterti come posso durante la gravidanza. Avrei desiderato farlo sin dall’inizio, ma ho represso i miei istinti per colpa di uno stupido piano che avevo in mente.”
“Che piano?”
“Lavorare il più possibile fino al tuo quarto mese e poi prendermene cinque di ferie per stare con te ventiquattro ore su ventiquattro.”
“È un piano stupido.”
Nicholas ridacchiò: “Già. Ma ora dimmi di te. Come stai?”
“Incinto.”
“A-ha. Dai, sul serio.”
Ari scrollò una spalla. L’alfa lo trafisse con un’occhiata intensa, che lo fece rimescolare da capo a piedi, oltre a realizzare che forse non era stato così bravo a mascherare il suo malessere come credeva.
Nicholas lo imprigionò tra le braccia, avvinghiandosi a lui modello koala, e lo obbligò a guardarlo dritto negli occhi.
“Ari, cosa c’è che non va?”
“Perché me lo chiedi?”
“Stai accusando i primi sintomi della depressione.” rivelò senza mezzi termini, optando per la franchezza, perché se ci avesse girato intorno avrebbero passato le successive ore a discutere, “Sono stato un pessimo compagno e un pessimo alfa per te, e non sai quanto mi dispiace. Sono mortificato, deluso da me stesso. Sapevo che non stavi bene, eppure ti ho lasciato solo. Ma adesso sono qui e, se me lo permetti, vorrei aiutarti. Farò qualsiasi cosa mi chiederai.”
“Non è niente, Nicholas. Ti ho già detto ciò che mi preoccupa. È solo una fase, passerà.”
“Non minimizzare, per favore.”
“E tu non ingigantire!” sbottò, facendo sussultare Nicholas, “Scusa. Mi dispiace. Sono un po’ stressato.”
“Perché sei stressato?”
“Ti si è incantato il disco? Ti ho già risposto.”
Nicholas accostò i loro visi, strofinò il naso contro il suo e depositò un leggero bacio sull’angolo della sua bocca.
“La verità, omega. Pensavo ti fidassi di me. Tra noi non dovrebbero esserci segreti. Se c’è qualche problema, parliamone. Magari possiamo risolverlo insieme.”
Ari sospirò e roteò gli occhi: “Ti ho detto che non è niente.”
“È tutto fuorché niente. È colpa mia?”
“Che? No, non è colpa tua!”
“Allora, dimmelo. Lo stress a cui ti sottoponi non fa bene al bambino.”
“Senti chi parla. Quand’è che hai dormito più di quattro ore di fila?”
“Non cambiare argomento. E non sono io quello incinto, non ho una piccola vita nel mio ventre che dipende dalla mia salute psicofisica.”
Ari percepì la furia montare all’improvviso, simile a un branco di cani rabbiosi tenuti a digiuno per mesi, che non desiderano altro che sbranare.
“Vuoi sapere cosa c’è che non va?” sibilò velenoso.
Nicholas assunse un’espressione granitica e lo inchiodò lì dov’era con il suo sguardo di ghiaccio.
“Sì.”
“Tutto!” sbottò, provando a divincolarsi dall’abbraccio soffocante dell’alfa.
“Spiegati.”
“Non era previsto! Niente di tutto questo era previsto! Non dovevo restare incinto così presto, avevamo deciso di aspettare! E non siamo nemmeno sposati! Non siamo pronti. Questo genere di cose vanno programmate, serve organizzazione, un’agenda, qualcosa! Non possono accadere di punto di bianco!”
Nicholas venne investito dal ricordo della sera in cui avevano scoperto che Ari era in dolce attesa. Rammentò la sua reazione, come si era trincerato nell’armadio, tremante e spaventato. Aveva accantonato l’episodio, etichettandolo come uno shock momentaneo, e aveva pure zittito Ari quando lui aveva provato a spiegargli come si sentiva. Il senso di colpa lo schiacciò come un macigno.
“Intendi dire che… non vuoi il bambino?”
“Non sto dicendo che non lo voglio. Dico solo che… che mi ha colto alla sprovvista! Siamo troppo giovani. Io sono troppo giovane. Avevo dei progetti, dei sogni… e quando il bambino arriverà, so che non sarà facile. Tu hai già un lavoro, una posizione garantita. Io non ho niente oltre al diploma del liceo. Non voglio diventare uno di quegli omega che stanno a casa a badare ai figli mentre l’alfa lavora per tutti, va contro ogni mio principio! Questa gravidanza ha avuto un pessimo tempismo. Mi sta scombussolando… ci cambierà la vita, capisci? E io non… io non voglio che qualcuno abbia un tale potere sulla mia. Mi rifiuto di accettarlo.” dichiarò con enfasi.
Nicholas allentò la presa quel tanto da permettergli di mettersi seduto. Poi lo imitò e lo osservò seguitare a sfogarsi. Gli occhi di Ari erano lucidi, la sua voce rotta e, di sicuro, presto il suo viso sarebbe stato fradicio di lacrime. Era evidente che avesse accumulato emozioni negative, perciò era necessario che prima se ne liberasse. Fatto ciò, avrebbero potuto parlare con calma.
“Ho sofferto per la maggior parte della mia vita, soffocato da un padre alcolizzato e abbandonato da una madre depressa. Lui mi controllava alla stregua di un sadico carceriere, non potevo nemmeno respirare se non mi dava il permesso, mentre per lei non esistevo. Poi sono morti e finalmente mi sono sentito libero. Solo, ma libero. Non è durato molto, perché poco dopo sei arrivato tu, e c’è stato l’incubo dell’imprinting, la mia quasi morte, il Legame forzato, il fiasco con la psichiatra e la diatriba con i due studenti all’università…”
Ari singhiozzò e si aggrappò alle coperte, tentando di non iperventilare e finire vittima di un attacco di panico. Serrò le palpebre, tirò su col naso e si concentrò sulla respirazione. Quando riacquisì un minimo di contegno, proseguì.
“Non sono riuscito a godermi che una briciola di libertà, una misera manciata di mesi in più di vent’anni di esistenza. E okay, non mi pento di essermi legato a te, anche se non è stata una mia scelta. Ti amo e ti amerò per sempre. Però devi capire che sono troppo giovane! Ho solo ventuno anni, Nicholas. Ho traumi, cicatrici, soffro di attacchi di panico, picchi di ansia, terrori notturni. Come potrei essere un bravo genitore? Come potrei esserlo, quando non ho altro che modelli deludenti a cui ispirarmi?”
Strinse il lenzuolo fino a farsi sbiancare le nocche e deglutì, rifiutando di guardare in faccia il compagno per timore di vedere i suoi lineamenti deformati da tacite accuse, rabbia e disprezzo.
“Credevo che con l’università avrei finalmente cominciato a compiere i primi passi verso qualcosa di concreto, così da ottenere l’indipendenza che ho sempre agognato. Invece, sono di nuovo costretto ad accettare delle catene, a rinunciare ai miei sogni per la felicità di qualcun altro. Non ho già fatto abbastanza sacrifici?! Perché io? Perché non posso vivere con spensieratezza come tutti gli altri, fare viaggi, visitare musei, lontane città, praticare sport estremi o che ne so? Perché deve esserci sempre qualcosa a tirarmi giù, come una fottuta palla di piombo legata ai piedi?”
Ari ammutolì e attese con trepidazione il verdetto del suo alfa. Si aspettava di sentirsi urlare contro, persino di incassare un paio di schiaffi, non certo un tenero bacio sulla fronte.
“Ti amo, Ari.” bisbigliò Nicholas, ad occhi chiusi per fermare le lacrime, la bocca a contatto con la pelle sudata e scossa dai brividi del compagno, “Qualsiasi cosa deciderai di fare, io sarò al tuo fianco. Questo, la gravidanza, non è un test. Se non vuoi procedere, puoi ancora interromperla. Io non te ne farò una colpa, nessuno oserà dirti nulla. Sappiamo cosa hai passato, io più di tutti. Ti amo con o senza bambino. È te che voglio, cicatrici e traumi compresi. È vero, il nostro Legame è stato anticonvenzionale, ma ci siamo già passati, lo abbiamo accettato. Non farlo diventare un pretesto per languire nel tuo brodo di rimpianti. Non ti ho mai tarpato le ali, e mai lo farò. Sarò sempre accanto a te, a spronarti e fornirti i mezzi di cui hai bisogno per spiccare il volo. Vuoi fare un viaggio? Dimmi quando e dove. Vuoi praticare sport estremi? Dimmi quali. Sono qui con te e per te. Per sempre.”
Gli stampò un bacio sulla guancia umida e un altro sulla bocca socchiusa. Poi lo guardò negli occhi sbarrati, ferito dalla luce incredula e totalmente spiazzata che vide riflessa in essi.
“Che cosa ti sorprende? Perché fai quella faccia?”
“Sei talmente meraviglioso che mi mancano le parole…” balbettò con un filo di voce, “Non capisco come tu possa accettare di discutere di un eventuale… di un…”
Non riusciva ad articolare quella parola. Il sapore amaro della bile gli esplose in gola, mischiandosi a quello salato delle lacrime.
“La scelta spetta a te, Ari. Qualunque essa sia, prometto che non ti volterò mai le spalle. Se non ti senti pronto, va bene, non c’è fretta. Non è che se non facciamo un figlio adesso, non avremo altre occasioni. E non devi volerlo solo perché io lo voglio, o perché credi di dover esaudire le aspettative di coloro che ti stanno intorno. Nessuno ti costringe.”
Il discorso di Nicholas riecheggiava incredibilmente quello di Owen.  Però, al contrario di quando glielo aveva rivolto il beta, stavolta centrò il bersaglio e si intrufolò nella testa di Ari, scuotendolo dall’interno.
“Non so cosa fare… ho paura… mi sento un peso, inadeguato…”
“Mi dispiace, Ari. Non è mai stata mia intenzione farti sentire in trappola. Ma credimi quando ti dico che sono più certo che sarai un padre perfetto per il nostro bambino.”
Il ragazzo era rigido e pallido. Sembrava uno spettro. Se non fosse stato per i suoi occhi, che brillavano nell’oscurità della camera, Nicholas si sarebbe preoccupato.
“Cosa stai pensando?”
“Hai detto…”
“Sì?”
“Hai detto ‘il nostro bambino’.”
“Sì, perché lo è. Non è tuo e non è mio. È nostro, lo abbiamo fatto insieme.”
“Nostro…” mormorò assente e, per la prima volta, poggiò la mano sul ventre piatto, pervaso da un’emozione tanto intensa da strappargli fiato.
“Ari? Cosa c’è?”
Ari rimase in silenzio per un paio di minuti. Quando tornò a guardare il compagno, percepì distintamente il cambiamento. Il cuore rallentò i battiti forsennati, il sudore si asciugò e il tremore che gli scuoteva le membra svanì. Una nuova chiarezza dissipò la nebbia di panico che gli aveva ottenebrato la mente, restituendogli la lucidità. All’improvviso, tutte le lamentele che aveva espresso persero significato, come se l’asse del mondo si fosse spostata, mutando le sue priorità. E sì, continuava ad essere spaventoso, eppure, in qualche modo che faticava a comprendere, era anche okay.
Sorrise mesto. Accarezzò con dolcezza una guancia di Nicholas e lo baciò piano sulla bocca. Il gesto era casto, ma al contempo saturo di un’intimità disarmante.
“Posso farcela. Possiamo farcela. Insieme. È nostro. È okay.”
Nicholas non riuscì più a trattenere i singhiozzi. Avvolse Ari in un abbraccio e lui lo lasciò piangere nell’incavo del collo senza commentare.
“Grazie, alfa. Non sapevo di avere bisogno di sentire le parole che mi hai detto.” sussurrò, mentre disegnava ghirigori sulla sua nuca, “Grazie. Ti amo.”
Da allora, Ari accettò la gravidanza come la possibilità che era, e non come l’ostacolo che pensava che fosse. E, soprattutto, realizzò davvero quanto era amato. A tratti non si sentiva degno di Nicholas, ma non poteva esimersi dal ringraziare lo stesso la sua buona stella per aver posto un alfa come lui sul suo cammino.
 
Per la Vigilia vennero invitati a villa Wright. La cena fu abbondante, ricca di risate e chiacchiere mondane, che scaldarono il cuore ad Ari. Phedra fu la sua ombra per la maggior parte della serata.
Prima dello scambio dei regali, l’anziana lo prese da parte per sapere come stava.
“Meglio. Ho parlato con Nicholas e…” lasciò la frase in sospeso, un timido sorriso a curvargli le labbra.
“Sono contenta. Ero molto preoccupata.”
“Non è tutto risolto, ci vorrà del tempo, ma non sono solo.”
“No, non lo sei.”
Phedra lo abbracciò stretto e gli depose un bacio sulla fronte.
Nicholas si schiarì la gola per richiamare la loro attenzione: “Nonna, posso rubarti Ari per qualche minuto?”
Il ragazzo lanciò al compagno un’occhiata incuriosita.
“Certo, caro.” rispose Phedra e sospinse Ari verso di lui.
Nicholas gli afferrò delicatamente una mano e ne baciò il dorso come un gentiluomo d’altri tempi. Poi gli sorrise e con un cenno del capo gli indicò il patio.
“Vieni con me? Vorrei farti vedere una cosa.”
Ari si fece condurre fuori, lungo il sentiero che portava al giardino d’inverno. Entrarono e Nicholas richiuse la porta alle spalle. Le lanterne appese ai muri di vetro erano state accese e la loro luce calda ammantava la vegetazione di un alone soffuso.
“Sai, qui è dove il mio bisnonno chiese a mia nonna di sposarlo, così come mio nonno ha fatto con mia nonna e mio padre con mia madre.”
Ari inspirò e trattenne il fiato, gli occhi sbarrati. Si lasciò circondare i fianchi dalle braccia del suo alfa e lo fissò dal basso con aria spiazzata, avvertendo un calore che non aveva nulla a che fare con la temperatura esterna pizzicargli le guance. Era certo di essere avvampato come un semaforo.
“È una specie di tradizione di famiglia.” continuò Nicholas, per poi piegarsi a baciarlo sulle labbra socchiuse, “Si dice che questo posto sia talmente intriso di buoni propositi e speranze che coloro che si dichiarano qui sono destinati a trascorrere una lunga vita insieme, piena di successi e amore.”
“Nicholas…”
L’uomo si staccò per estrarre dalla tasca dei pantaloni una scatoletta di velluto blu.
“Ari Jensen.” pronunciò solenne.
Ari deglutì.
“Il nostro viaggio è iniziato da poco, eppure abbiamo già dovuto affrontare numerosi ostacoli. Il percorso che ci ha condotti fino a qui è stato difficile, siamo stati messi alla prova, ma alla fine ne siamo usciti vincitori.” gli accarezzò una guancia in punta di dita e sorrise, “Sin dal primo momento in cui sei entrato nella mia vita, ho capito che non ci sarebbe stato nessun altro. E nonostante i problemi, non ho mai dubitato che un giorno avrei visto riflesso nei tuoi occhi lo stesso sentimento che provo per te. Da solo sono imperfetto; con te sono completo. Non so come ci riesci, ma mi rendi felice semplicemente con la tua presenza. La felicità, come è noto, è inebriante, il miglior tipo di droga che esista. Perciò ho l’intenzione di lottare ogni giorno, per il resto della mia vita, per conservarla, nutrirla e prendermene cura. Se non ti avessi conosciuto, non avrei mai scoperto che sapore ha.”
Aprì la scatolina con un due dita e la pose davanti ad Ari. Mantenne lo sguardo puntato sul suo viso, perché non voleva perdersi neanche una singola espressione. Vide i suoi occhi farsi lucidi e sentì il suo corpo rabbrividire.
“Se me ne concederai l’onore, vorrei passare ciò che rimane del mio tempo su questa terra a ricambiare il dono che mi hai fatto. E so che è sdolcinato, ma vorrei davvero che tu fossi la prima cosa che vedo al mattino e l’ultima prima di addormentarmi. Perché solo tu mi dai un senso, uno scopo.”
Allora si inginocchiò e offrì l’anello ad Ari, che adesso stava singhiozzando senza alcun pudore.
“Vuoi sposarmi?”
“S-sei sicuro?!” esclamò balbettando, a metà tra l’esaltato e il disperato, incapace di vedere oltre il velo di lacrime che gli offuscava gli occhi.
“Se non lo fossi, non te lo starei chiedendo.” rispose paziente Nicholas.
“E se poi ci ripensi e ti accorgi che non ti piaccio più?”
“Impossibile.”
“E se ti stufi del mio taglio di capelli?”
“Mi piacciono i tuoi capelli.”
“E se scopri di detestare il mio gusto nell’arredamento?”
“Lo detesto già, ma ti amo lo stesso.”
“Il mio gusto è eccellente.” dichiarò in un lampo di lucidità.
“No, Ari, è pessimo. Gli interior designer di tutto il mondo piangerebbero sangue se solo vedessero in che stato è il nostro salotto.”
“Non capisci nulla! Bene. Vorrà dire che passerò il resto della vita a cercare di convincerti, non vedo alternative. Ma guarda te…”
Nicholas sgranò gli occhi. Osservò col cuore in gola Ari prendere l’anello dalla scatolina e infilarselo all’anulare senza tante cerimonie, incurante della figura da pesce lesso che stava facendo. I diamanti rifulsero come stelle sotto il riverbero della luce delle lanterne.
“Hey! Era compito mio infilartelo al dito!” sbottò offeso, non appena si fu destato dallo shock.
“Sei lento.”
“Non hai alcun rispetto per l’atmosfera romantica?!”
Ari lo zittì con un bacio appassionato e Nicholas lo perdonò all’istante.
“Ti amo, alfa.”
In quel momento, un vociare concitato infranse la loro bolla, riportandoli alla realtà. Udirono i parenti scambiarsi gli auguri di buon Natale e lo schiamazzo esagitato dei bambini, che chiedevano di aprire i regali.
Quando Nicholas estrasse il cellulare dalla tasca, si accorse che era appena scoccata la mezzanotte. Si alzò, sollevò di slancio Ari e lo issò a un metro da terra, sorridendogli dal basso.
“Buon compleanno, cucciolo.”
Ari scoppiò in una risata leggera. Per Nicholas non c’era suono più bello al mondo.
 
Col passare dei giorni, il comportamento di Ari mutò da un estremo all’altro. Ad un tratto, sembrava non riuscire più a reprimere l’istinto omega, come aveva fatto per settimane: che Nicholas stesse ai fornelli, o di fronte al lavandino a lavarsi i denti o sul divano a leggere un libro, non gli scollava gli occhi di dosso. Pareva quasi lo perforasse con dei fari a raggi X. E quando Nicholas lo notava, Ari si illuminava d’immenso e lo scalava come una montagna per esigere la sua dose di coccole. Era più appiccicoso di una sanguisuga.
A Nicholas non dispiaceva affatto, beninteso, ma era anche parecchio stranito. Per levarsi i dubbi, chiamò il dottor Patel. Questi lo rassicurò, dicendogli che era una questione di ormoni. Ora che il peggio pareva passato, l’istinto di Ari si era dato da solo la missione di riportare la bilancia in equilibrio. Non sarebbe durato a lungo, ma bisognava aspettare che facesse il suo corso.
Esattamente la settimana successiva, il periodo idilliaco giunse al termine, poiché cominciarono le nausee mattutine. E quelle pomeridiane, seguite dalle serali e dalle notturne. Casa Wright si trasformò da un giorno all’altro in una cabina d’aereo, con sacchetti per il vomito infilati in qualsiasi anfratto immaginabile e non e bombolette d’ossigeno per eventuali attacchi di panico.
Per non morire di ansia mentre era in ufficio, Nicholas comprò ad Ari un piccolo telecomando che si collegava al suo cellulare: gli bastava premere il pulsantone rosso perché l’alfa accorresse più veloce della luce. Vani furono i tentativi di Nicholas di spiegargli che non era un giocattolo, che Ari non poteva premere il pulsantone quando si annoiava o sperimentarci fingendosi l’agente 007. Dopo quattro giorni, Nicholas glielo confiscò. In compenso, gli regalò un nuovo telefono.
Nicholas fece del suo meglio per essere presente. Spesso trascorreva ore intere a venerare Ari come un dio, sperando di cancellare il ricordo del suo errore e fare ammenda. L’unica nota negativa sul registro era che, appena Ari cominciava a parlargli di gelato alla fragola con olive e rosmarino o barbabietola intinta di senape e miele, Nicholas sbroccava e si trincerava in bagno per i successivi venti minuti. Spesso Ari lo ritrovò rannicchiato in un angolo buio della loro camera da letto, con le ginocchia strette al petto e la testa nascosta tra le braccia, intento a dondolarsi sui talloni. A quanto pareva, aveva lo stomaco delicato.
Il sostegno ricevuto da Susan e Phedra gli fornì la leva necessaria per vincere tutte le discussioni in merito alla sua nuova dieta, riuscendo nell’arduo compito di ammutolire Nicholas e le sue opinioni stupidamente ragionevoli. Perché le due donne sapevano cosa si provasse a svegliarsi nel bel mezzo della notte con una tale voglia di pollo fritto che avresti azzannato chiunque pur di averlo cinque minuti fa. Loro sapevano cosa volesse dire commuoversi per un documentario sui cuccioli di foca, un minuto più tardi sguinzagliare la propria furia omicida sul tuo alfa per una piuma che aveva osato affacciarsi dalla federa del cuscino, e infine scoppiare a ridere per una scemenza a caso, per poi esigere una sessione di coccole. Tutto nell’arco di mezz’ora. Loro capivano, loro non lo facevano sentire come uno squilibrato.
Quando ripresero i corsi, sebbene la sua condizione non fosse ancora evidente, Ari si scontrò nuovamente con la realtà. Il suo odore lo tradì non appena varcò la soglia dell’università, col risultato che si attirò addosso parecchie occhiate e domande. In un paio di giorni, quasi tutti i professori lo convocarono nei loro uffici per consegnargli del lavoro che avrebbe potuto svolgere tranquillamente da casa, immaginando che Ari avrebbe presto chiesto al rettore una sospensione dagli studi al fine di non accumulare stress.
Sino ad allora non ci aveva pensato, ma poi ritenne meglio fare esattamente così, poiché non avrebbe retto i compagni impiccioni o i loro goffi tentativi di aiuto ancora per molto. Aveva già un alfa protettivo a casa, non gliene servivano altri cento all’università.
Non appena lo mise al corrente, Nicholas stappò lo Champagne e brindò da solo alla saggezza di Ari, il quale poi lo minacciò di evirazione se si fosse azzardato a fargli pesare di nuovo il fatto che non poteva più consumare alcool.
Nicholas si prodigò a dimostrargli quanto fosse dispiaciuto su ogni superficie piana in ogni stanza della casa. Ari gli elargì il perdono reale con principesca grazia, tramite grugniti e mugugni degni di un uomo delle caverne, perché non aveva più la forza di parlare.
 
La prima visita alla clinica, a fine gennaio, mostrò che era tutto nella norma. I gemelli erano in perfetta salute.
“Gemelli?!” sbottò Ari, gli occhi fuori dalle orbite.
“Sì! Congratulazioni!” trillò la dottoressa.
Se Nicholas non avesse avuto una presa salda sulla sua spalla, Ari si sarebbe lanciato su di lei e le avrebbe squarciato la gola a morsi. 
“Due eredi.” disse Nicholas con aria sognante e orgogliosa, “Un’altra generazione di Wright. La mia progenie.”
“Visto che sei così entusiasta, perché non facciamo uno scambio di corpi?”
“Diventerai tondo e morbido, ancora più bello…” borbottò in tono assente.
“Nicholas.”
“E i piccoli cresceranno al sicuro nel tuo grembo, nella loro soffice culla, al caldo, mentre tu diventerai l’apoteosi della perfezione…”
“Ehm-ehm.” tossì la dottoressa, sfoggiando un leggero rossore sulle guance.
“Mi scusi, è nato così.” spiegò Ari, “A volte penso che il criceto che dimora nel suo cervello si faccia le canne.”
“Tondo… morbido…” ripeté l’alfa, totalmente ipnotizzato dal lieve rigonfiamento sul ventre del compagno.
Ari e la dottoressa rotearono gli occhi.
La visita mise anche in evidenza la dimensione dei feti, più grossi rispetto al normale. La dottoressa gli spiegò che quello sviluppo si riscontrava esclusivamente negli alfa, perciò, senza dubbio, i gemelli appartenevano a quella dinamica. Poi consigliò ad Ari di mangiare più frutta e verdura, lavati bene, e rinnovò l’ordine di non compiere sforzi eccessivi. Un po’ di ginnastica per sciogliere i muscoli era consigliata, ma non doveva esagerare. Inoltre, gli suggerì di non allarmarsi se avesse avvertito il bisogno di andare in bagno farsi assai più frequente, perché i bambini adesso si trovavano sopra la vescica. Ari non poteva ancora sentirli muovere, però la dottoressa lo rassicurò che entro un paio di settimane, al massimo un mese, sarebbe accaduto.
Alla fine, dopo che Ari si fu rivestito, la dottoressa stampò delle copie della risonanza e cerchiò con un pennarello le due macchioline grigie sulla foto, indicando con A un gemello e con B il secondo.
“Non appena il signor Jensen entrerà nel secondo trimestre, se lo desiderate, potremo scoprire il sesso dei bambini. Avete già pensato ai nomi?” indagò emozionata.
“No.” bofonchiò assente Ari, scioccato alla vista delle due macchioline che sguazzavano nella sua pancia.
Nicholas, riavutosi dalla trance, si chinò oltre la sua spalla per osservare anche lui la foto.
“Mi somigliano.” dichiarò gonfiando il petto.
Ari sospirò sconsolato.
Tornati a casa, l’omega andò in camera si mise di profilo davanti allo specchio. Il compagno lo trovò così, corrucciato e a torso nudo, intento ad osservarsi con cipiglio critico. I capelli castani erano cresciuti e ora gli arrivavano alle scapole, il viso era più rotondo e la pelle più serica. Ormai non badava più alle cicatrici che gli costellavano il corpo, erano parte di Ari e le amava come amava tutto di lui.
Il suo cuore si riempì di un’emozione tanto intensa da fargli temere che sarebbe scoppiato. Lo abbracciò da dietro e incatenò i loro sguardi nello specchio.
“Sei bellissimo.”
“Non entro più nei pantaloni.” si lamentò Ari.
“Te ne comprerò altri.”
“Diventerò sempre più grosso…”
“Sempre più perfetto.” lo corresse Nicholas, mentre strusciava l’erezione sulla parte bassa della sua schiena, “Non riesco a descriverti come mi fai sentire. Ti amo. Ti amo più della vita stessa.”
Quel pomeriggio fecero l’amore con dolcezza, senza alcuna fretta. L’alfa si impegnò a dimostrargli quanto lo trovasse attraente, eccitante, quanto gli fosse grato per il dono che gli aveva fatto. quando gli baciò l’anello, mentre lo guardava negli occhi, Ari si commosse così tanto che non si accorse nemmeno quando riversò il frutto del suo piacere sulle lenzuola. Incolpò gli ormoni e Nicholas finse di crederci.
 
A parte i piccoli shock causati dalle insane voglie di strano cibo – una volta, Ari comandò che gli comprasse della carne di serpente, da cucinare con le lenticchie e una spruzzata di limone – Nicholas si impose la sacra missione di viziarlo. In sostanza, Ari non poteva più alzare un dito se prima il compagno non gli dava il via libera. Se fosse dipeso da Nicholas, Ari sarebbe rimasto a riposo nel letto per tutta la durata della gravidanza.
Tuoni, fulmini, saette, bombe nucleari e i quattro cavalieri dell’Apocalisse si abbatterono sulla villa e dintorni quando, un giorno, beccò Ari a piegarsi sotto l’acquaio per recuperare il detersivo dei piatti. Tra l’altro, bisognava specificare che la confezione di suddetto detersivo era mezza vuota e grande poco più del palmo della sua mano. Ma no, per Nicholas quello equivaleva a “sforzo” e la dottoressa aveva detto “niente sforzi”, perciò Ari doveva mettersi seduto tranquillo da qualche parte a fare la bambolina compiacente.
“Va bene. Vorrà dire che andrò a guardare quel commovente documentario sui delfini che ho registra-”
“NO!”
In poco tempo, divenne evidente che gli istinti da alfa di Nicholas erano andati in tilt. Non lasciava mai Ari solo per troppo tempo, aleggiava intorno a lui come una presenza costante – o un avvoltoio che vola in circolo sopra la preda – e cercava in tutti i modi di soddisfarlo e farlo sentire apprezzato.
Ari gli era grato, in certa misura, se non fosse che spesso doveva cacciarlo dal bagno per fare pipì in santa pace.
“Ma se perdi l’equilibrio e caschi?” gli domandava ansioso Nicholas.
“Se non la smetti, chiamo Ophelia.”
Ophelia, infatti, era l’unica che riusciva a far ragionare il fratello. Cioè, era l’unica che riusciva a distrarlo il necessario per concedere ad Ari la possibilità di svincolarsi dalle grinfie del compagno iperprotettivo e tornare a respirare per qualche ora. La strategia adottata da Ophelia si rivelava sempre a prova di bomba: scatenava apposta accesi litigi sulle cose più stupide e lo teneva così occupato, magari sfinendolo abbastanza da convincerlo a stendersi per ricaricare le energie spese. Mentre Nicholas riposava, Ari ne approfittava per studiare, uscire con la stessa Ophelia o dedicarsi a qualche faccenda in casa.
“Non fraintendermi, mi piace il suo lato protettivo.” diceva alla donna, attento a non farsi sentire dall’interessato, “Però a volte lo trovo soffocante. Mi guarda come se avesse paura che mi frantumassi da un momento all’altro.”
“Mio fratello è fatto così, Ari. È un Absolute Alpha, i suoi istinti lavorano al doppio del ritmo rispetto a un alfa normale. E poi presto sarà padre, è nella sua natura assicurarsi che tu e i piccoli stiate bene. Questo può irritarti, lo capisco, ma non fargliene una colpa.”
“Lo so, lo so. Mi dispiace coinvolgerti.”
“Oh, a me non dispiace affatto, è divertente. Tormentare mio fratello è uno dei miei passatempi preferiti.”
“Sei una sadica.”
“Dimmi qualcosa che non so.”
 
Il tempo passò e giunse marzo. Era una tiepida giornata primaverile. Sabato, per l’esattezza. Un leggero venticello faceva stormire le fronde degli alberi, gli uccellini cinguettavano allegri sui rami, le rondini sorvolavano il cielo terso in rotta verso i loro nidi. L’aria era satura del profumo dei fiori, la natura un tripudio di colori che cantavano inni alla vita. L’armonia regnava sovrana e niente avrebbe potuto distruggerla.
Il rumore dello sciacquone che veniva tirato, accompagnato da un grugnito e un’imprecazione, squarciarono la placida quiete del mattino.
“Odio la mia vita…” si lamentò Ari, che, pallido come uno spettro, se ne stava inginocchiato di fronte alla tavoletta del cesso.
Era uno spettacolo così miserabile che, per una frazione di attimo, Nicholas provò pietà. Poi, però, si ricordò il motivo per cui il suo adorabile compagno era ridotto in quello stato e un sorriso ebete rimpiazzò subito l’espressione preoccupata.
“Odio anche te. È tutta colpa tua. Sei stato tu a farmi questo.” sibilò pieno di risentimento l’omega, senza accennare a lasciare il suo nuovo posto preferito, “Odio il sole. Odio quei fottuti uccellini del cazzo! Odio la pizza! Quando finirà? Le nausee dovevano smettere al secondo trimestre…” si lamentò.
Nicholas si accoccolò vicino a lui sul pavimento e prese a disegnare ampi cerchi con la mano sulla sua schiena. Mentre gli stampava teneri baci sulla nuca e si drogava del suo odore dolce, emise bassi versi gutturali per esternare il suo compiacimento. I suoi sensi, pregni del nuovo profumo che il corpo di Ari sprigionava a ondate intossicanti, nemmeno registrarono l’effluvio di vomito o il sudore acre sui vestiti.
Era un alfa felice.
“Voglio il cioccolato. No, anzi, voglio la marmellata di mirtilli. No, aspetta! Ci sono! Cetriolini sottaceto inzuppati nella marmellata di mirtilli!”
Nicholas si piegò fulmineo sul water, le spalle scosse da conati.
“Bleah, che schifo!”
Ari si alzò con aria sconfitta, fuggì dal bagno e andò a procacciarsi il cibo da solo, visto che l’immensamente capace alfa che lo aveva messo incinto non sapeva reggere le sue voglie. Che essere inutile. Avrebbe dovuto liberarsi di lui e adottare un Owen. Ecco, lui sì che sapeva soddisfare il suo nuovo palato, e non si ritraeva mai sfoggiando smorfie di disgusto.
Stava sbocconcellando i suoi cetriolini nel silenzio della cucina, quando il campanello suonò. Sbirciò oltre le tendine delle finestre. Non appena vide che era Owen, scrollò una spalla e restò seduto, con lo sguardo fisso nel vuoto e le guance gonfie di cetriolini.
“Ari, so che sei lì, ti sento masticare! Apri! Porto doni!”
“Che genere di doni?”
“Cinque barattoli di cetriolini, due barrette di cioccolato amaro, una fornitura per un mese di tè allo zenzero e la mia fantastica limonata.”
“Puoi entrare, è aperto.”
“Ah.”
Owen lo raggiunse in cucina e posò le buste sul tavolo. Si astenne dal fare commenti sulla colazione di Ari e su quanto fosse aumentato di circonferenza, perché un uomo saggio sa quando è meglio tacere. Si irrigidì un po’ quando udì i passi di Nicholas lungo il corridoio.
“Owen. Qual buon vento.” lo salutò freddo, affiancandosi a lui per sbirciare dentro le buste.
“Nicholas.”
Il loro rapporto non era affatto teso come nei primi tempi. Anzi, l’amicizia che era sbocciata tra loro sulla base delle disgrazie di Ari rivaleggiava con quella tra l’omega e il beta. Quindi quel teatrino era una pura messinscena a cui ormai non credeva più nessuno.
“Vedo che hai fatto la spesa. Dove sono le mie bistecche?”
“Non sono la tua domestica. Queste cose sono per Ari.”
Un colpo di tosse li distolse dal battibecco. Si focalizzarono immediatamente su Ari e lo videro piegato in due sul tavolo con una mano premuta sulla bocca.
Owen contorse i lineamenti del viso in una smorfia compassionevole.
“Ancora nausea?”
“Non so chi sia il mentecatto che le ha chiamate ‘nausee mattutine’, ma giuro che lo troverò e lo ucciderò.” grugnì il ragazzo, “Nicholas, diglielo che mi assalgono a tutte le ore del giorno e della notte.”
“Davvero?” chiese Owen all’alfa.
Nicholas annuì grave, gli occhi ancora puntati sulla figura prona del compagno.
“Avrebbero dovuto terminare ormai. Sono preoccupato. Non riesce a digerire nulla. Ha perso due chili.”
“Mia madre mi ha consigliato il tè allo zenzero. Secondo lei, fa miracoli.” disse il biondo e, come se fosse a casa sua, si mise subito a prepararlo.
Pochi minuti dopo, Ari stringeva tra le mani una tazza di tè. La annusò circospetto, poi provò a berne un sorso. Il gorgoglio allo stomaco si placò. Fissò stupefatto Owen e promise a se stesso che gli avrebbe dedicato un monumento. No, lo avrebbe sposato!
“Sposami.”
“Owen, vattene.” ringhiò Nicholas.
Il beta scoppiò a ridere, per niente intimorito dall’occhiata omicida che Nicholas gli stava rivolgendo. Appena notò che Ari aveva finito il tè, aprì la bocca per chiedergli come andassero le cose in generale. Tuttavia, non ne ebbe modo, perché l’omega si alzò e marciò verso il divano, dove si spaparanzò come un gatto.
“Ari?” lo chiamò esitante Owen, “Stai bene?”
“Fottiti.”
“Non darti pena a parlarci, oggi.” sbuffò Nicholas, “Di recente, è entrato in quella fase composta da commenti acidi, cupi silenzi, scatti d’ira e scenate alla ‘Tu non mi capisci! Sei un insensibile!’.”
“L’adolescenza?”
“Sì.”
“Sono incinto!” berciò Ari dal salotto.
“Pure quello.” si corresse Nicholas.
“Tu non puoi capire!”
“Appunto.”
“Se mi capissi, allora mi capiresti!”
“Eh…”
“Mi sento una balena spiaggiata!”
Nicholas roteò gli occhi esasperato. Owen si morse un labbro per non scoppiare a ridere.
“Owen, ti va di guardare Il Re Leone insieme a me?” domandò Ari.
Il biondo impallidì e balbettò: “Ho un impegno improrogabile, è meglio che vada, ciao.”
“Codardo!”
Nicholas lo accompagnò alla porta e lo ringraziò per la spesa. Dopo averlo salutato, raggiunse Ari e si sedette sul bracciolo del divano per squadrarlo dall’alto con un’aria a metà tra l’intenerito e il disperato.
Ari lo scrutò dalla sua posizione supina con un piccolo sorriso innocente e gli occhioni spalancati.
“Se penso che sei così già quando i bambini sono lunghi cinque millimetri e somigliano a gamberetti geneticamente modificati, avverto il terrore gelarmi le ossa alla prospettiva di trascorrere al tuo fianco i prossimi mesi.” gli disse con affetto.
Il sorriso di Ari si ampliò e si mise a fare le fusa.
“Voglio le coccole.”
 
Lo shock successivo venne scatenato da un leggero aumento di massa intorno ai capezzoli. Lo si poteva notare soltanto se si aguzzava lo sguardo, ma per Ari fu come ricevere uno schiaffo. Nicholas era fuori di sé dalla gioia.
La dottoressa lo tranquillizzò dicendogli che avrebbe preso al massimo una taglia, non di più. I maschi omega non sviluppavano un seno, ma ciò non sarebbe stato un ostacolo all’allattamento. Anche se la quantità di latte prodotta dai maschi era assai inferiore a quella prodotta da una femmina, ne avrebbe avuto abbastanza per lo svezzamento nei primi tre mesi. Dopodiché, avrebbe dovuto passare al latte in polvere.
Da quel momento, le oscenità che Nicholas si lasciava sfuggire durante il sesso divennero qualcosa di talmente imbarazzante che Ari non vide altro modo di farlo tacere, se non baciarlo fino a strappargli il fiato dai polmoni.
Inoltre, l’alfa scoprì di possedere una vera e propria ossessione per i capezzoli di Ari. Non passava giorno in cui non lo spogliasse solo per rimirarli con espressione ebete. Siccome dolevano un po’, Ari gli proibì di toccarli per un paio di settimane. Nicholas ne fu affranto.
 
Dall’ecografia alla fine del quarto mese risultò che i gemelli erano un maschio e una femmina, entrambi alfa. La famiglia Wright celebrò la notizia in pompa magna. Persino i giornali dedicarono un piccolo trafiletto ai nascituri.
Owen e Ophelia impazzirono. Fu in quel periodo che si avvicinarono, uniti dalla comune febbre da shopping compulsivo che li travolse non appena appresero il sesso dei bambini. Non era raro vederli uscire insieme per fare razzia di completini, tutine, peluche, cuffiette e scarpine per neonati nelle più costose boutique della città. Se qualcuno glielo domandava, negavano che vi fosse più di una semplice amicizia, ma ad Ari non sfuggirono le occhiate interessate di Owen. Non era altrettanto certo di Ophelia, perché quella femmina alfa era sempre esuberante, quindi era difficile capire se ricambiasse.
Dato che adesso i bambini erano in grado di sentire, Nicholas inaugurò una nuova tradizione: ogni sera, prima di andare a dormire, si accoccolava accanto ad Ari e, con le mani adagiate gentilmente sul ventre, sussurrava ai suoi figli quanto li amasse e fosse impaziente di conoscerli. La scenetta era così toccante che Ari non pianse. Se i suoi occhi si inumidivano era colpa di un granello di polvere o degli ormoni.
Fu proprio durante una di quelle sere che decisero i nomi: Richard e Giselle. D’accordo, Nicholas aveva segnato almeno un’altra quindicina di possibili nomi, ma Ari pose il veto sulla maggior parte di essi.
“Voglio usarli tutti. Dobbiamo fare tanti bambini quanti sono i nomi che mi piacciono.” dichiarò l’alfa.
Ari lo trafisse con un’occhiata raggelante e scandì: “Scordatelo.”
Nicholas non tornò più sull’argomento. Uomo saggio.
Fu quando l’omega li percepì muoversi per la prima volta che realizzò davvero cosa stava succedendo. Sino ad allora, la consapevolezza di essere incinto era stata lì, presente e tangibile giorno dopo giorno, ma non si era mai soffermato a rifletterci veramente. Quando, però, sentì la pressione, simile a due colpetti, il peso della realtà piombò su di lui con la forza di una frana.
Al ritorno dal lavoro, Nicholas lo trovò in bagno, seduto sulla tavoletta del water con le guance rigate di lacrime e le braccia avvolte in modo protettivo attorno alla pancia.
“Ari! Che c’è?!” chiese allarmato, inginocchiandosi di fronte a lui.
Sebbene i suoi istinti gli gridassero di abbracciarlo e trasmettergli conforto, esitò. Non sapeva più come Ari avrebbe accolto il prossimo tentativo di contatto fisico, gli sbalzi d’umore lo rendevano imprevedibile e non voleva provocargli inutile stress.
“Mi stavo lavando i denti…” singhiozzò Ari, “E poi li ho sentiti… li ho sentiti, alfa. Proprio qui.”
Gli prese una mano e la poggiò sul lato sinistro del ventre. Nicholas attese col fiato sospeso. Poi, all’improvviso, un calcetto. Inspirò rumorosamente e non fece nulla per nascondere la commozione.
“È reale… oddio, è reale!” esclamò l’omega in lacrime, “Cosa farò? Presto saranno qui, non siamo pronti!”
“Certo che lo siamo, amore. La cameretta è arredata, l’armadio è pieno dei loro corredi, i miei ci hanno regalato una fornitura a vita di pannolini, Owen e Ophelia si sono sdati con i giocattoli. Tutti ci stanno dando il loro supporto, non siamo soli.” lo rassicurò pacato.
“E se… e se non fossi adatto a fare il genitore? E se non fossi capace di prendermi cura di-”
Nicholas lo zittì con un bacio.
“Sarai fantastico. Non ho dubbi. Ti fidi di me?”
Ari annuì.
“Allora credimi quando ti dico che sarai un padre meraviglioso. Sai come lo so?”
Ari scosse il capo, rifiutandosi di guardarlo negli occhi.
“Tu sai bene, più di chiunque altro, cosa sia l’abuso, la solitudine e la crudeltà. Ne porti i segni sulla tua pelle e nel tuo cuore. Sai cos’è il dolore, la paura, l’angoscia. Ma le tue esperienze ti aiuteranno ad essere ciò che Goffred non è mai stato. Proprio perché hai sofferto, so che farai in modo che mai accada lo stesso ai nostri figli. Sarai esattamente l’opposto dei tuoi genitori, perché tu, al contrario di loro, ami Richard e Giselle. Li ami così tanto che temi di deluderli già da ora.”
L’omega scoppiò a piangere più forte. Nicholas strinse a sé il suo corpo tremante e lo baciò sul collo, affondando di nuovo i denti nella cicatrice del morso per ancorarlo.
“Condivido le tue insicurezze e il tuo spavento. Anch’io sono terrorizzato. La paura di sbagliare, di non riuscire ad essere il padre che voglio essere mi provoca spesso incubi. Ma poi realizzo che nessuno è nato con un manuale incorporato su come diventare bravi genitori. Tutti hanno imparato attraverso tentativi ed errori. Non sei solo, Ari. E non dimenticare mai ciò che sto per dirti.” gli sollevò il viso umido e lo obbligò a fissarlo negli occhi, “Sei amato. Sei circondato da persone che ti vogliono bene e hanno a cuore la tua felicità. Ti amiamo più di quanto le parole possano esprimere. Io ti amo più di me stesso. Ti amo e ti amerò sempre. Sono orgoglioso di te, della persona che sei e dei traguardi che hai raggiunto. E ti sono immensamente grato per avermi scelto come tuo compagno, per avermi donato il tuo cuore e benedetto con due splendidi figli. Non ho mai dato nulla per scontato e non lo farò mai. Sei la mia felicità.”
Ari tirò su col naso e singhiozzò. Poi abbozzò un lieve sorriso.
“Ti sarai stufato di sentirmi piagnucolare. Ti chiedo scusa, so che non è facile nemmeno per te. Ti prometto che farò del mio meglio, sarò il compagno che meriti e il padre di cui i nostri figli hanno bisogno.”
Nicholas gli baciò la punta del naso e glielo sfregò con il proprio in un gesto saturo di tenerezza.
“Sii solo te stesso. Il tuo amore ti renderà un padre perfetto. Il resto verrà da sé.” gli sorrise, scostandogli una ciocca castana dalla fronte, “Andrà tutto bene. Se hai dubbi o domande, Susan, mia madre e mia nonna sono a tua completa disposizione.”
“Okay.” sospirò esausto, “Puoi portarmi a letto? Ho sonno.”
Nicholas gli rimboccò le coperte e si stese al suo fianco. Lo osservò dormire per un paio d’ore, fino a quando non fu costretto a svegliarlo per la cena. Gliela servì a letto per non farlo alzare.
Mangiarono raggomitolati nelle coperte e parlarono a lungo dei progetti futuri, scambiandosi idee, baci e sorrisi complici.
Quando il sonno reclamò Ari, il ragazzo finalmente comprese quanto fosse fortunato ad avere Nicholas. Già lo sapeva, ma averne l’ulteriore conferma mise a tacere la vocina cattiva nel cervello. Lui e Nicholas erano una squadra. Finché avesse prestato ascolto al suo cuore, sarebbe andato tutto bene.
 
Alla fine del quinto mese, Ari era pronto a prendersi una vacanza dal proprio corpo. Non tanto perché doveva andare in bagno ogni dieci minuti, quanto perché i gemelli non cessavano un attimo di muoversi e scalciare. Non gli davano tregua nemmeno durante la notte. A nulla servivano il cuscino tra le gambe o lo yoga, i dolori alla schiena e alle gambe lo tormentavano con insistenza.
Nicholas prese a fargli dei massaggi con oli profumati e a spalmargli creme antismagliature sulla pancia e sui fianchi, ma i muscoli ricominciavano a dolere dopo appena un’ora dal trattamento.
Inès, messa al corrente, lo accompagnò a una Spa che offriva molti comfort e servizi per le persone incinte. Lo staff risultò preparato e, il pomeriggio, persino un’ostetrica si unì al team, mostrandogli le varie posizioni da assumere a seconda delle esigenze. Gli suggerì di iscriversi a un corso pre-parto e lo riempì di opuscoli, dicendogli che sarebbe stata ben lieta di seguirlo.
Ari ancora non sapeva se avrebbe scelto il parto naturale o il cesareo. La dottoressa propendeva più per il secondo e, onestamente, anche lui ci stava facendo un pensierino. Essendo di costituzione fragile, partorire due gemelli alfa sarebbe costato al suo corpo uno sforzo notevole. Per evitare complicazioni, era meglio il cesareo.
A sei mesi era l’incarnazione di una piccola mongolfiera. Per Nicholas era una mongolfiera “decisamente carina e scopabile”, come si impegnò a ribadire in più posizioni per svariate notti di seguito, ma Ari faticava ancora a scendere a patti con i cambiamenti del suo corpo. Non poteva indossare nulla senza sentirsi ridicolo e ormai non riusciva più a vedersi i piedi o legarsi le scarpe. Era snervante. Non gli piaceva vedersi sottrarre l’autonomia, anche se farsi coccolare da Nicholas non era poi così male.
“Sono brutto e grasso.” singhiozzò davanti allo specchio.
“Sei tondo e morbido.” lo corresse Nicholas, abbracciandolo da dietro.
“Ho preso quattordici chili!”
“Quando ti guardo mi viene duro, quindi di cosa ti preoccupi?”
“Sembro una scultura di Botero!”
“Sei il ritratto della fertilità! I chili in più sono una normalissima conseguenza della gravidanza, Ari. Come te, tanti altri sono passati dalle stesse tappe che stai passando tu. Ti ricordi Susan? Fidati di me, sei bellissimo. Così tondo… morbido… perché io ti ho riempito del mio seme e ti ho fecondato…”
“Oddio, non dire mai più quella parola! E spostati, ho caldo! Nicholas, no. No. Perché mi stai spogliando?! Nicholas!”
“Hai un odore così buono… voglio leccarti dappertutto.”
“Sei un maniaco!”
Una settimana dopo, dopo aver valutato scrupolosamente i pro e i contro, Nicholas approvò il cesareo. In fondo, non gli interessava come avveniva, la sua unica preoccupazione era far nascere i gemelli in sicurezza, senza mettere in pericolo il compagno.
Così, l’appuntamento venne fissato a due settimane prima della fine del nono mese. Ari sarebbe comunque stato ricoverato all’ottavo, nel caso in cui Richard e Giselle avessero deciso di venire al mondo prima. La dottoressa spiegò che era una cosa comune nei parti gemellari di alfa. Data la loro considerevole dimensione, lo spazio disponibile si riduceva più velocemente, portando alla prematura rottura delle acque.
Nonostante il disagio e i dolori, Ari si godette i massaggi ai piedi, le coccole, le colazioni a letto, le dichiarazioni di amore eterno e tutte le più infinitesimali attenzioni del suo alfa, il quale non mancò mai di rispondere a qualsiasi sua necessità. Compreso l’aumento della libido.
Se non fosse stato certo che era impossibile durante la gravidanza, Ari avrebbe pensato di essere entrato in una fase di calore perenne. Davvero, era sconcertante. Nicholas era compiaciuto come un gatto che ha conquistato la tanto agognata ciotola di latte, il petto gonfio d’orgoglio e un ghigno predatorio sulle labbra. Ari era solo stremato. Non importava quanto fosse spossato o se stesse facendo altre cose: vampate di eccitazione lo coglievano persino mentre dormiva.
Non era raro che si svegliasse con le cosce fradice nel bel mezzo nel cuore della notte, in preda a una voglia di alfa incontenibile. Allora spintonava Nicholas per destarlo e ordinargli di prendere in mano la situazione, cosa che lui faceva con enorme piacere ogni singola volta.
“Sono in paradiso…” bofonchiava beato Nicholas, conficcato in profondità nel canale pulsante del suo omega.
“Zitto e scopami!”
“Viziato.”
“E di chi è la colpa?”
“Touché.”
 
Al settimo mese, un po’ prima rispetto alla norma, Ari iniziò a produrre ingenti quantità di latte. Era indecente. Non poteva più farsi vedere in pubblico finché era in quello stato. Aveva perso il conto di quante magliette doveva mettere a lavare ogni giorno.
Durante l’ennesima discussione con Nicholas, perse del tutto la pazienza.
“Non devo preoccuparmi?! Cosa ne sai, tu! Sei forse incinto? Chiama la dottoressa.”
“Oppure potrei non chiamarla e…”
L’alfa occhieggiò i capezzoli con espressione famelica.
“Nicholas, no.”
“Nicholas, sì.”
“No.”
“Sì.”
“Nicholas!”
“Ari!”
“Non ci provare.”
“Ma posso aiutarti! È per questo che sono qui, amore. Non mi dispiace affatto, te lo garantisco. Ci penso io.”
Senza perdere tempo, spogliò Ari in due secondi netti e lo sollecitò a sdraiarsi sul letto, con la schiena sorretta dai cuscini. Lo baciò con ardore sul collo e sulla bocca, nel tentativo di azzerare le sue rimostranze. Montandogli sopra, a cavalcioni sulle sue gambe, mentre con una mano gli accarezzava il ventre gonfio, con l’altra prese a massaggiargli il petto, applicando giusto una lieve pressione attorno ai capezzoli.
“Alfaaaa!”
“Hai un odore fantastico.”
“Quando cianciavi di voler bere il mio latte, pensavo fosse solo una fantasia buttata lì durante il sesso, un’altra delle tue strane fisse. Non che fossi serio!”
“Sono serissimo. Prego, rilassati e lascia fare a me.”
Sorprendentemente, Ari lo trovò abbastanza erotico da farsi persuadere a spingersi oltre le carezze caste. La sensazione di sollievo al sentire la pressione dolorosa che lo abbandonava, risucchiata dalla bocca vorace del suo compagno, ne valeva la pena.
L’espressione beata di Nicholas, sommata alla vista delle labbra sporche di latte, in qualche modo suscitarono in Ari reazioni a dir poco imbarazzanti, ma allo stesso tempo enormemente apprezzate dall’alfa.
“È perché la tua natura ti dice che stai facendo un ottimo lavoro nel provvedere a me. L’omega in te sa che mi sta rendendo tanto felice.” gli spiegò Nicholas non appena vide il turbamento sul suo viso, “Non c’è niente di cui vergognarsi. Io mi eccito a succhiare il tuo latte, tu ti ecciti a sentirtelo succhiare da me. Tante altre coppie lo fanno.”
“Perché ho la netta impressione che tu stia dicendo un mare di cazzate affinché ti dia il permesso di continuare a farlo?”
“È solo un’impressione.”
Tuttavia, la situazione divenne presto insostenibile, perché Nicholas non poteva restare a casa tutto il giorno per occuparsi di lui, aveva una compagnia farmaceutica da mandare avanti. Con sua grande umiliazione, Ari dovette cominciare a indossare il reggiseno disegnato apposta per gli omega maschi, con un’imbottitura speciale che non causava irritazione ai capezzoli e raccoglieva le perdite di latte senza macchiare la stoffa. Poi, dopo aver messo a lavare l’imbottitura, tornava tutto come nuovo. Almeno risparmiò alle magliette ulteriori lavaggi.
 
Giunti all’ottavo mese, Ari venne ricoverato alla clinica. Le contrazioni di Braxton Hicks si erano fatte più frequenti e insopportabili, come il mal di schiena. I cuscini un po’ lo aiutavano, ma il peso dei gemelli seguitava a crescere, tanto che non fu più in grado di alzarsi dal letto senza che qualcuno lo aiutasse. Era umiliante. Per fortuna, la data fissata per il cesareo arrivò presto.
In corridoio c’erano tutti, gli Wright e Owen. Il beta era l’unico con due palloncini, uno blu e uno rosa, e un cappellino ridicolo. Il ghigno sulle labbra di Ophelia era lo stesso che esibiva ogniqualvolta uno dei suoi scherzi aveva successo.
“Owen, cosa diavolo sono quelli? E come ti sei conciato?”
“Ophelia ha detto che sarebbe stato un pensiero carino…”
“Perché la ascolti ancora?”
Il beta si guardò intorno per appurare che Ophelia non fosse nei paraggi a origliare. Poi si chinò su Ari, che era sdraiato nel letto d’ospedale con la tipica camicia bianca a pallini azzurri, e gli scoccò un sorriso ebete.
“Ha gli occhi più belli che abbia mai visto.”
Ari roteò i suoi e ordinò a Nicholas di trovare un vaso per i palloncini.
Poco dopo, due infermiere vennero a prepararlo per l’intervento. Salutò la famiglia e il miglior amico e si allontanò sul lettino spinto dalle infermiere, la mano destra intrecciata a quella del compagno.
Nicholas entrò in sala operatoria con Ari, perché non lo avrebbe mai lasciato solo in un momento tanto importante. Gli tenne la mano per tutto il tempo, lo sguardo che si alternava tra il suo viso e la pancia, come se seguisse una partita di ping-pong. Intorno a loro, l’équipe di medici si muoveva con professionalità.
Siccome la tensione minacciava di sopraffarlo, Nicholas ruppe il silenzio e prese a fare la telecronaca dell’intervento ad Ari, che non poteva vedere cosa stesse succedendo a causa della tendina tirata sul torace, come una sorta di separé. In più, pompato di anestetici com’era, vantava una lucidità mentale degna di un’ameba.
“Ti stanno aprendo col bisturi!” sussurrò concitato, stritolando la mano dell’omega in una morsa d’acciaio, “Ora ti dilatano con uno stranissimo arnese!”
“Non lo voglio sapere! Mi verrà un trauma che durerà da qui all’eternità!” sbottò Ari, la voce strascicata come quella di un ubriaco.
“Stanno tirando fuori il primo!”
“Sta’ zitto!”
“Sei adorabile con questa cuffietta azzurra. Molto chic.”
“Ti odio.”
“Oh. Mio. Dio.”
“Che c’è?!”
“È nato Richard…” balbettò Nicholas, sbiancando di botto.
“Non svenire… non ti azzarda-”
Il tonfo sordo che seguì provocò lo squittio sorpreso di un’infermiera e le occhiate sussiegose del resto dell’équipe.
“Qualcuno porti via l’alfa svenuto.” ordinò il medico.
“Sì, dottore. Urgh! Mi servirà una mano, pesa un quintale.”
“Signor Jensen?” lo chiamò sottovoce un’altra infermiera, “Ecco qui il suo primogenito.”
Appena Ari scorse il fagottino, si dimenticò di Nicholas e il suo cuore smise di battere. Trattenne il fiato per svariati secondi. Poi, quando Richard vagì, un’emozione tanto forte da scuoterlo nel profondo dell’anima lo travolse con la violenza di un fiume in piena. In quel preciso istante, Ari fu certo di essersi innamorato.
Richard aveva un ciuffetto di capelli scuri e la carnagione di Nicholas. Ari sarebbe rimasto a contemplarlo per ore, ma presto venne portato via di nuovo dall’infermiera per essere lavato, pesato e messo nella culla.
Giselle nacque venti minuti dopo. Aveva i capelli color platino e l’incarnato pallido di Ari. Anche lei venne ripulita, avvolta in una copertina azzurra come il fratello e posta con estrema delicatezza nella culla.
Ari poteva vederli dal letto, sebbene solo di profilo. Erano bellissimi, la sintesi perfetta di lui e Nicholas. Il suo cuore si divise in due e ciascuna metà cantò una segreta melodia per ognuno dei suoi figli, colmandogli il petto di soffice calore e speranza.
Era padre.








 
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Lady1990