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Autore: Freaky_Frix    24/09/2018    1 recensioni
Posto questo racconto breve sperando che metta i brividi e che serva da monito a chi, come l'autrice, dona la propria fiducia agli altri incondizionatamente.
A volte essere cauti è il mezzo migliore per sviluppare relazioni sociali durature.
E solide.
Genere: Dark, Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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MELMA
«È uscito allo scoperto.»
«… Davvero?»
«Sì! Avevo ragione su tutto, anzi … Di più.»
«Domani mi devi dire tutto.»
«Contaci.»
*********
 
Il bar del campus, il centro nevralgico della vita sociale universitaria, non è molto frequentato a quest’ora e in questo periodo dell’anno. Risultato: quasi tutti i tavolini fuori sono vuoti. Qualche intrepido è seduto all’interno del bar, intrattenuto dalla musica e dai baristi.
Lui è seduto a uno dei tavolini di legno a ridosso della vetrina del bar, su un alto sgabello, intento a rollarsi una sigaretta. Da lontano riesci a vedere gli occhi scavati da nottata insonne e lo sguardo mezzo perso nel vuoto, di chi non vuole credere a una brutta notizia ma non può fare niente per trasformarla in una buona.
Sospiri internamente, avvicinandoti con metà faccia affondata nella sciarpa, mentre la condensa ti appanna gli occhiali. Ti siedi sullo sgabello di fronte al suo, poggi la borsa sul tavolino e tiri fuori anche tu tutto l’occorrente per rollare.
Ti accendi la sigaretta, pronta ad ascoltare tutto, per filo e per segno. Ma lui continua a tacere. Ti osserva in silenzio, come se volesse trasmetterti tutto tramite il suo sguardo.
«Sei distrutto» constati, cauta.
Sai già perfettamente, dal modo in cui il suo sguardo asserisce e la sua bocca si contrae quasi impercettibilmente, che la spaccatura che si è aperta ieri notte sarà difficile da riempire.
Lui mantiene il silenzio ancora per qualche secondo, poi afferma:
«So chi è veramente, adesso».
Corrughi leggermente le sopracciglia, preoccupata.
Allora c’era davvero qualcosa che non andava pensi, ripercorrendo gli atteggiamenti freddi e distaccati nei tuoi confronti, che negli ultimi mesi si erano accavallati gli uni sugli altri. Un nugolo di domande inizia a formarsi nella tua mente, ma la voce di Pietro ti riporta al presente.
«Abbiamo avuto una lunga conversazione.  All’inizio era come sempre, ma appena ho iniziato ad accusarlo è cambiato in un istante».
«Cambiato… Come?»
«Beh, era chiaro che non sapesse che pesci prendere, quindi all’inizio è stato zitto.  Poi, d’un tratto ha iniziato a piangere.  Ma si vedeva lontano un chilometro che erano lacrime finte.»
«E poi?»
Massimiliano ti guarda. Poi prende un bel respiro.
«Poi lo ha fatto.  Lì, di fronte a me.»
Sgrani gli occhi, incredula.
Non può averlo fatto.
«Mi ha detto di avere dei problemi, che soffriva di insonnia e che aveva le allucinazioni.  Ti rendi conto? Mi aveva quasi convinto, ma poi ha raccontato un dettaglio che non ho mai rivelato a nessuno, e lì l’ho beccato sul serio.»
Non sai cosa rispondere. Per colmare il silenzio, ti metti a preparare un’altra sigaretta, e Max ti segue, probabilmente per allontanare i pensieri intrusivi. Tu invece continui a ripercorrere tutto, a cercare disperatamente un particolare, un dettaglio che possa scagionarlo da un’accusa del genere. Ma non la trovi.
Max ha ragione.
Accendi la sigaretta evitando il suo sguardo penetrante, cercando di mettere ordine nei tuoi pensieri, ma troppe domande e supposizioni si fanno strada.
«Che facciamo adesso?» chiedi, puntando gli occhi sulla brace della sigaretta.
«Lo voglio morto» sibila Massimiliano, gettando via con rabbia il mozzicone.
Finalmente lo guardi negli occhi.
«Non se ne parla». Scandisci bene le parole, lapidaria.
«Ma ti rendi lontanamente conto di cosa mi ha fatto?!»
Annuisci, lentamente, spegnendo il tuo mozzicone contro il tacco dell’anfibio.
«Lo capisco, ma non voglio violenza in questa storia.  Penso che dovremmo escogitare un modo per liberarci di lui, tutto qui.»
«E la morte non è un metodo abbastanza allettante per te?» chiede Massimiliano. Il balenio che passa attraverso i suoi occhi ti dice che non sta scherzando neanche un po’. E la cosa ti spaventa.
«Le uniche conseguenze che scaturiranno da questa storia colpiranno lui, non noi, Max. Non lo uccideremo. E poi, non sappiamo nemmeno quale potrebbe essere il suo punto vitale!»
«Beh, di sicuro non può vivere senza testa, no?»
Ti scappa un sorrisetto, ma non ti smuovi. Nessuno morirà.
«Per un momento ero sicuro di aver risvegliato la tua parte sadica» è il commento di Massimiliano, che si alza, prende lo zaino e ti porge la mano.
«Dove mi porti?»
«Ho bisogno di staccare un po’. Vieni con me?»
***********
 
Il silenzio causa domande. Le domande causano risposte. Le risposte causano reazioni. Così, quando decidiamo di rivelare alle altre la verità, lo facciamo singolarmente. Dopo l’iniziale incredulità, però, emerge una sorta di furia collettiva nei confronti di chi li ha derubati.
Già, proprio così: derubati.
E sì, loro.
Li ascolto, li invito a mantenere la calma, proprio come ho fatto con Massimiliano, che è di nuovo convinto che ucciderlo sia l’unica cosa giusta da fare.
Non mentirò: più volte gli ho dato mentalmente ragione, ma…
La sofferenza può diventare imperitura, se somministrata nella giusta maniera.
Così, tutti al corrente della situazione, ci mettiamo a ragionare, a pianificare: come si fa soffrire un essere che affida la sua sopravvivenza unicamente a quella degli altri?
Beh… Lo si priva degli altri.
Riusciamo bene in quello che facciamo: lo isoliamo, lo scherniamo, lo esponiamo a quello che lui è per noi: un ignotus troppo torbido e infido in cui immergersi.
La nostra strategia dà i suoi frutti all’improvviso, quasi impercettibilmente: con l’inizio del secondo semestre la sua massiccia mole si assottiglia, fin quasi a diventare trasparente. È a questo punto che abbiamo l’ultima, decisiva conferma della nostra assurda (ma ben fondata) teoria.
Ci sono giorni in cui la sua sagoma è quasi del tutto vuota, e in questi periodi di secca non si fa vedere da nessuno, si rinchiude nella sua tana buia e ci resta; ci sono anche giorni, però, in cui torna alla riscossa, con la sfida nello sguardo, alla ricerca di altre vittime da prosciugare. Ma, con il passare delle settimane, il suo carisma e la sua volatile influenza diventano per lui inutili, costringendolo a ritagliarsi una sedia in fondo all’aula, in un’armoniosa continuità con l’intonaco.
Il vuoto intorno. L’ultima fase della nostra articolata eppure così semplice vendetta: allontanare da lui tutte le possibili vittime, salvandole, e allo stesso tempo farlo morire di fame, privato delle numerose identità in prestito che avrebbe potuto facilmente aggiungere alla sua collezione. Dopotutto, si sa, raccontare sempre la solita bugia a lungo andare fa perdere di credibilità un individuo.
E la credibilità è tutto per quelli come lui.
**********
 
Sono passati tre mesi. Per la prima volta Massimiliano ci invita da lui. Per la prima volta in mesi siamo tutti lì, vicini a quella che ormai chiamiamo la tana. Così vicina, eppure allo stesso tempo dimenticata in una dimensione spazio-tempo fatta appositamente per lei. E per il suo insulso abitante.
Quasi non ci facciamo caso. Per tutta la sera andiamo avanti tranquilli, a parlare e a divertirci. Poi, improvvisamente, di nuovo punto e daccapo. Insulti. Insulti. Insulti. Ancora insulti. Poi, il silenzio. Un breve scoppio di risa. Poi un rumore indefinito, lontano. Oltre la soglia della tana. Guardiamo tutti in quella direzione, dritto in fondo al corridoio, dove il legno della porta contribuisce a creare una sorta di oscurità macabra e al contempo misteriosa.
Per un attimo penso che non c’è niente di macabro o di misterioso in tutto quello che abbiamo fatto da gennaio: che abbiamo reagito esageratamente a un individuo che, al posto di condividere affetto e amicizia, rubava esperienze altrui per accorparle alle sue e crearci una maschera sociale. Sì, potrebbe essere così semplice. Ma non lo è. E quel rumore quasi inudibile ci dona una meritata soddisfazione.
 *********
 
Sono passati sei mesi ormai. L’estate è arrivata, il secondo semestre è finito. Sono in panciolle sul letto di Massimiliano, tra un paio di giorni torno a casa, dai miei. Lui è in cucina, aveva sete. Dalla finestra della sua stanza entra la luce di un sole che parte anche lui, verso destinazioni più esotiche. È tutto immerso in una pacifica quiete: l’unico rumore che si sente, oltre a quello distante delle macchine che percorrono il senso unico del paesino, è quello delle mosche che s’intrufolano in casa in cerca di guai.
Sto quasi per cedere al sonno quando Massimiliano si affaccia dal corridoio stravolto.
«Devi venire a vedere.»
Lo guardo, stranita. Non l’ho mai visto in questo stato. Mi alzo pigramente e lo seguo in corridoio. Proprio dove si trova la porta della sua stanza noto qualcosa di anomalo.
Max mi prende per il braccio e mi trascina vicino a lui, proprio di fronte alla porta.
«Ma che diavolo…?» mormoro.
«Non lo so, ma è meglio parlare piano» dice Max, «perché quella roba si muove.»
Nel dirlo, quello che sembrava essere solo liquido nero (e anche abbastanza puzzolente) si muove, inizia ad arrampicarsi su per la porta come una radice, o un rampicante.
Indietreggio istintivamente, percorsa da una forte inquietudine. Ricordo tutti i discorsi sulla magia, sull’occulto, e penso che potrebbe aver fatto una sorta di rito voodoo.
Per dimostrare di essere altro oltre a una semplice imitazione.
Per ingannarci. Definitivamente.
Massimiliano sembra immobilizzato, non si muove di un millimetro. Sembra che neanche respiri.
«Andiamo via» mormoro, e mi accorgo con disappunto che mi trema la voce.
«No, aspetta.  Voglio vedere» è la replica di Massimiliano.
Deglutisco, fissando lo sguardo sulla nuca di Max. Perché è così difficile essere coraggiosi?
I miei pensieri vengono interrotti dalla porta della camera, che improvvisamente scompare, viene avvolta dal nero.
Il respiro mi si fa ancora più corto: qualunque cosa abbia fatto, ora siamo di fronte ad un abisso. Solo io e Massimiliano, di lui non c’è traccia.
«Andiamo via» ripeto, questa volta fermamente.
Lui alza l’altra mano, invitandomi al silenzio. Il silenzio è tutto quello che resta in casa, ormai. Non riesco nemmeno a sentire il battito del mio cuore, sono pietrificata.
I tentacoli neri, a quel punto, iniziano a diramarsi sulle pareti del corridoio, dirigendosi verso di noi.
Ho i piedi piantati a terra, come un albero, ma tutto quello che vorrei è scappare via. Lontano. Massimiliano, qualche centimetro davanti a me, continua a restare impassibile.
Per un attimo penso che sia morto, come in un film horror. Ma quando provo a divincolarmi, lo sento stringere più forte la mano.
«Non avevo capito appieno» mi dice, senza guardarmi.
«Cosa?»
«Lui» mi risponde.
Continuo a non capire. Tutto quello che faccio è spostare lo sguardo dalla sua nuca al nero liquame che continua ad allungarsi su per le pareti. Ormai ci ha quasi circondati, e temo che da un momento all’altro inizierà a colarci addosso. Scaccio il pensiero, disgustata. Improvvisamente un rumore cupo, simile a un barrito, ma molto più sinistro e lento, si propaga dalla massa nera.
«Pensavo che fosse una persona, come me e te, che aveva praticato un qualche rituale per poter essere qualcun altro, per non essere più insignificante» urla Massimiliano.
«Sì, lo ricordo!» esclamo.
 «Beh, a quanto pare mi sbagliavo!»
«Che vuoi dire?!»
«Che lui non è mai stato una persona!  Lui non è mai stato Mario!   Chissà da quanto tempo Mario non esiste più!»
Resto sbigottita.
«Come sarebbe a dire?!»
Massimiliano prende fiato, lo vedo muovere ritmicamente le spalle. Sta cercando di calmarsi, probabilmente, di rimettere a posto le idee.
«Pensavo che Mario si fosse appropriato dei miei ricordi, e di quelli delle altre, tramite qualche strano potere o rituale, per non vivere nell’anonimato, visto che era la cosa che odiava di più.   Ma questo non è un rituale.  Questo non è un potere.  E, soprattutto, questo non è Mario.  Dev’essere qualcos’altro, un essere sconosciuto che vive nutrendosi dell’identità degli altri.   Prima prende i ricordi, le esperienze passate.  Poi gli atteggiamenti.  E, infine, il volto.»
«Come fai ad esserne sicuro?» gli chiedo, cercando di sovrastare il rumore, che si fa sempre più forte.
«Pensaci, è così evidente!  Ha iniziato raccontando esperienze simili alle mie.  Poi ha iniziato a imitare i miei comportamenti nei tuoi confronti e in quelli delle altre.  Aveva iniziato anche a farsi crescere la barba!»  Nel dirlo, si tocca la sua, come a provarlo.
«Quindi mi stai dicendo che se gliene avessimo dato l’opportunità, sarebbe diventato te?!»
Max annuisce.
«Credo che, se una persona non interagisce con lui, non può completare la trasformazione, altrimenti a quest’ora io sarei scomparso nel nulla già un pezzo!»
Quest’ultimo pensiero mi terrorizza più di tutti gli altri. Scomparire nel nulla. Sostituiti da una melma nera, viva e, a quanto pare, dotata di intelletto. Infatti, appena Max finisce di esporre la sua nuova (ma non meno strampalata) teoria, il greve barrito si trasforma in uno stridio abbastanza acuto, simile al verso delle aquile, ma pedante e continuo.
«Bene, ora che lo sappiamo possiamo andare via!» quasi imploro.
«No!   Non puoi sapere cosa succederebbe se gli dessimo le spalle!   Potrebbe inglobare entrambi, e in quel caso nessuno saprà mai niente!»
Deglutisco. Allora cosa dovremmo fare esattamente? Stare qui immobili ad aspettare?
Aspettare cosa, poi?
E, di punto in bianco, accade quello che temo dall’inizio: i tentacoli, che hanno ricoperto quasi interamente le pareti che ci circondano, si alzano dal pavimento e quasi sembrano volerci toccare.
«Non.  Muoverti.» sibila Max, e io obbedisco, senza dire una parola.
I tentacoli, ora più simili a periscopi impazziti, ci sondano il viso, il corpo, a pochi millimetri di distanza. Poi, come se qualcosa avesse calpestato i loro filamenti poggiati sul pavimento, sobbalzano sincronicamente, si appiattiscono di nuovo, e lo stridio cessa.
Sempre più confusa, apro la bocca per fare l’ennesima domanda. Non faccio in tempo a emettere suono: come aspirata via, quella melma esce di botto dalla finestra della camera, lasciandoci con un rumore simile allo stappo di una bottiglia, e materia nera, ormai morta, penzolante da mobili e pareti. Il corridoio si illumina di botto, però, ed è in quel momento che realizzo che è finita. Che ci ha lasciati in pace.
Per sempre.
*********
Sarebbe stato bello se fosse stato per sempre, no?
**********
 
Sono passati due giorni, che abbiamo passato a pulire la casa, a eliminare i residui. Massimiliano voleva conservarne un campione, ma ho provveduto a eliminarlo prima che potesse nasconderlo.
Siamo alla stazione. Emilia, una delle nostre amiche, è in partenza, e siamo andati alla stazione per salutarla. Si trasferisce a Bologna l’anno prossimo. L’ha deciso improvvisamente, di seguire il suo ragazzo lì.
"Due anni senza di lui, agonia totale" aveva detto. La osserviamo salire sul treno, sedersi lato finestrino. Inizia a salutarci prima ancora che il treno parta.
«Tipico di Emilia» dico, sospirando. «Infinite moine.»
«Tanto è l’ultima volta» mi dice Massimiliano, dandomi un buffetto sulla spalla. Sorrido, inizio a stuzzicarlo.
Quando sentiamo il treno partire sul serio, ci giriamo entrambi un’ultima volta a salutare Emilia.
 
 
 
Ma al suo posto ci saluta Mario.
   
 
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