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Autore: Enchalott    01/10/2018    10 recensioni
Pianeta Namekk. Bulma si sta amaramente pentendo di essere partita con gli amici per cercare le Sfere del Drago originali. Troppi nemici, troppi esseri mostruosi con poteri sovrumani, troppi interessi in gioco. Sola e indifesa, si aggira sul pianeta, cercando di salvare la pelle.
Vegeta desidera le Sfere, desidera vendicarsi di Frieza e desidera sconfiggere Kakarott. Ma deve giocare bene le sue carte e scegliere con cura i suoi eventuali alleati, per evitare di rimetterci la vita.
Che cosa accadrebbe se, diversamente dall'originale, i principe e la scienziata si incontrassero e si parlassero già in quest'occasione?
"Qualcosa le piombò addosso con la rapidità del pensiero, inchiodandola alla roccia con una forza disumana, tappandole la bocca e impedendole qualsiasi reazione. Non ebbe neppure il tempo di trasalire.
“Non un fiato…” ringhiò Vegeta, trattenendola saldamente e continuando a premerle sulle labbra con la mano, il viso a un centimetro dal suo.
Bulma si irrigidì, pensando di essere giunta alla fine dei suoi giorni. Serrò gli occhi, terrorizzata e rassegnata a subire quella sorte terribile.
Non successe nulla."
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Siamo all'ultimo capitolo. Come sempre, quando una storia che scrivo termina, mi sento in tanti modi differenti. ^^ Difficile categorizzare. Ringrazio tutte le persone che hanno letto e lasciato un loro pensiero. A presto, dunque. :*

Il luogo in cui eravamo rimasti

La Terra era come la ricordava, quando mesi prima era approdato con la sua astronave sferica per conquistarla. Viverci, invece, equivaleva ad una sensazione che probabilmente non aveva mai sperimentato. Neppure sul suo pianeta d’origine, dove non si faceva altro che partire e forse sporadicamente tornare, tra una guerra e l’altra, per stilare nuovi progetti di conquista dell’universo.
Quel tempo era lontano. Concluso. Lui stesso era differente. Quando si guardava allo specchio si riconosceva, ma non del tutto: era sempre l’orgoglioso principe dei Saiyan, eppure il suo sguardo era cambiato. Se ne sarebbe accorto anche se lei non glielo avesse fatto così sfacciatamente notare.
Contrasse le sopracciglia a quel flash.
Si era fatto ammazzare da Frieza e l’umiliazione bruciava ancora parecchio. Soprattutto perché era stato Kakarott a sconfiggere l’odiato tiranno, trasformandosi nel leggendario super Saiyan, in barba al suo basso rango. Gli venne in mente l’ipotesi del dispositivo di misurazione del ki malfunzionante e sospirò. Era un’idea strampalata… proprio da lei!
Lui, l’élite, era stato capace solo di piangere per la rabbia e l’onta subita, per poi risvegliare il sopito orgoglio saiyan di quell’idiota, che tutti lì chiamavano Goku, affidandogli la vendetta del suo popolo estinto. E il fatto lo mandava in bestia ogni volta che ci pensava.
Si massacrava di allenamenti e nuovi esercizi ogni giorno, per raggiungere lo stesso esito di Kakarott e per poter finalmente riguadagnare l’onore perduto. Era migliorato, ma era ancora lontano dal livello del suo rivale, così non si era fermato, neppure quando aveva rischiato seriamente di restarci secco per la seconda volta in pochi mesi.
In quell’occasione, l’aveva vista piangere sul serio e si era sentito come quando lei lo aveva abbracciato, nella caverna di Namek. Aveva avuto le medesime reazioni e le aveva riconosciute come parte di sé, sebbene faticasse ad accettarle.
Tutto quel movimento gli faceva bene: si sentiva più forte, più energico, addirittura più tranquillo interiormente. Soprattutto, nella gravity room, riusciva a staccare i pensieri da lei. Da Bulma.
Alla fine, la terrestre lo aveva aspettato sul serio. Roba da non credersi. Anzi, quando il drago Polunga lo aveva trasferito su quel pianeta azzurro, lei lo aveva invitato a casa e l’aveva sempre trattato come un gradito ospite. I loro sguardi si erano incrociati, in mezzo a quella radura erbosa, e lui si era arreso all’evidenza. Altro che prigioniera, gli aveva anche fatto costruire apposta quella stanza per gli allenamenti!
Bulma. Gli aveva fatto presente in maniera indispettita di chiamarla per nome, perché era stanca di sentirsi appellare nei più svariati modi; per contro, lei talvolta usava nei suoi riguardi dei vezzeggiativi che lo facevano saltare come una molla. Insomma, l’insolenza era sempre la stessa. Forse peggiore, ora che vivevano fianco a fianco. Eppure, a lui non creava così tanto fastidio, le sue reazioni aggressive erano più una posa per non darle soddisfazione.
Si guardavano da lontano anche quando erano vicini. Vegeta era certo di sapere il perché. Sarebbe bastata una scintilla e avrebbero ceduto ai sentimenti che provavano. Ma nessuno dei due voleva ammetterli, perché erano entrambi incredibilmente testardi.
Forse la loro unica occasione era andata perduta per sempre in quei pochi centimetri che avevano separato il loro mancato bacio. Ci pensava un po’ troppo spesso, invero, e si dava dell’idiota… e dell’idiota al quadrato perché continuava a rimuginare a lungo l’episodio.
La parola possibilità era rimasta incisa a fondo nell’animo del principe, che se l’era concessa, decidendo di fermarsi sulla Terra. La sua vita era ripartita ed era come mai se l’era figurata. La sua era vita.
Aveva dovuto darle ragione: era stato necessario che si trovasse in una data situazione per conoscere veramente quale sarebbe stata la sua reazione. Ciò che aveva compreso di sé era stato insospettabile fino a quel momento. Tutti i progetti a lungo meditati erano andati a monte e, forse, era stato meglio così. Pensarlo, lo faceva meravigliare non poco.
Le Sfere le aveva prese la ragazza, così come gli aveva garantito; aveva resuscitato tutti i patetici individui che gli aveva nominato su Namek, compreso il suo ragazzo, quello di cui non era più innamorata. Quell’insetto continuava a ronzarle intorno e lei non si decideva a dargli il ben servito definitivo. Non erano affari suoi, in fondo, ma gli era impossibile contenere il nervoso che lo afferrava ogni volta che li vedeva insieme.
Essere geloso di una donna lo disturbava. Non era da lui. Non lo era mai stato. Non riusciva ad essere invidioso neppure di Kakarott, alla fine dei conti. Solo era molto irato per essere finito al secondo posto, senza riuscire, per il momento, a riguadagnare il primo. Dietro ad uno nato con una potenza pari a due, che non apparteneva all’élite. E poi c’era la questione del duello definitivo in sospeso con lui, che lo tormentava parecchio.
Ma con lei… beh era possessivo! Detestava ammetterlo. Quindi le stava lontano e le rispondeva con sufficienza, chiudendosi nella stanza speciale ogni volta che ne aveva l’occasione. Non era battere in ritirata, era togliersi dalla testa certe idee, che non facevano altro che deconcentrarlo dal suo obiettivo principale. Non aveva mai fatto tanta fatica a raggiungerne uno, soprattutto con la mente.
 
Per quel giorno ne aveva abbastanza. Riportò la gravità a zero e uscì.
Percorse il lungo corridoio circolare della Capsule Corporation, tergendosi il sudore con un telo di spugna e sorseggiando una bibita fresca.
Quella serenità non smetteva di sorprenderlo, come se non ne avesse diritto.
Era quasi ora di cena. Bulma cucinava davvero bene, non gli aveva raccontato una fandonia. Tutte le sere mangiavano insieme; qualche volta i genitori di lei erano assenti, così anche durante il pasto si svolgeva il loro tête-à-tête fatto di allusioni e frecciatine. Lui riusciva ancora ad arrossire come un moccioso e lei metteva il broncio, sperando che lui ci cascasse. La verità era che lo spietato principe guerriero faceva talvolta fatica a non sghignazzare di cuore davanti alle sue trovate. E che la donna mostrava un sincero interesse per lui: le sue iridi turchesi non mentivano.
Ma il loro percorso si era come interrotto, quando lui era volato lontano, lasciandola libera. Non era più tornato sull’argomento e anche lei lo aveva evitato. Tuttavia, quell’abbraccio, quella calda vicinanza gli si era marchiata a fuoco nell’anima ed era sicuro che anche lei la ricordasse con la sua stessa emozione.
Vegeta percepì un ki familiare e sollevò lo sguardo solo per mostrare tutto il suo disprezzo. Dalla parte opposta del passaggio stava sopraggiungendo Yamcha, con le mani in tasca e l’espressione abbacchiata. Quando il terrestre lo vide, impallidì ed indugiò, ma non smise di camminare meccanicamente nella sua direzione.
Il Saiyan, dopo avergli lanciato un’occhiata sdegnosa, passò oltre, ignorandolo e continuando per la sua strada.
Yamcha si arrestò poco oltre.
“Ehi, Vegeta…”
Il principe si fermò a sua volta, dandogli le spalle, senza rispondere. Dentro di lui, il ki s’innalzò minaccioso. Come osava rivolgergli la parola?
“Mi ha lasciato” continuò avvilito “Volevo che tu lo sapessi…”
Vegeta accartocciò la lattina vuota con una mano, ma non si voltò e non replicò.
“Me la sono cercata, ho tirato troppo la corda… ma non credo che sia proprio tutta colpa mia, se non mi ha concesso l’ultima chance…” la voce si indurì.
Il Saiyan aggrottò le sopracciglia, immobile, le iridi nerissime che balenavano di luce.
“Ma se io non la merito, tu non sei da meno. Uno come te non dovrebbe neppure condividere la sua aria. Non sei degno di lei, la renderesti infelice e basta…”
Il principe non reagì, ma la collera iniziò pericolosamente a montare. Strinse i pugni, implacabile e silenzioso.
“Odio ammetterlo, ma il punto è…” proseguì il giocatore di baseball “…che lei non mi ha mai guardato come guarda te… non pensare che non me ne sia accorto! E anche tu lo sai bene, non ho alcun dubbio. Sei un essere arrogante e pieno di te, ma con lei fai la stessa cosa...hai il suo stesso sguardo. Non me lo spiego, va al di là di ogni immaginazione. Forse, lo fai apposta a non nasconderlo o forse non sei abbastanza umano per farci caso. So solo che ti detesto immensamente!”
Vegeta sogghignò sottile, fissando il corridoio vuoto davanti a lui.
“Io l’ho persa e non finirò mai di darmi dell’imbecille. Ciononostante, desidero con tutto me stesso che lei sia felice. Perciò, se tu oserai farle del male, se la farai soffrire…” si interruppe e prese fiato “…chiederò a Shen-Long di disintegrarti e disperdere le tue misere ceneri per il cosmo!”
Il Saiyan gettò la lattina nel cestino e riprese a camminare senza voltarsi.
 
Bulma si appoggiò alla ringhiera della terrazza, sollevata. Finalmente, era riuscita a rompere definitivamente quella che non era più neanche una relazione. Aveva impiegato fin troppo a compiere quel passo, ma Yamcha era ritornato in vita da poco e lei non se l’era sentita di troncare con lui tanto brutalmente. Non lo amava più da tempo e non era solita trascinare le situazioni: lo spiraglio che aveva lasciato aperto era per fare in modo che lui non pensasse che lo aveva piantato per colpa di Vegeta.
Il guerriero terrestre aveva i suoi difetti e non era l’uomo per lei, ma sicuramente non era così stupido da non essersi avveduto di come lei si era presa cura del Saiyan.
Quando aveva saputo che aveva offerto ospitalità al principe, si era molto seccato, anche quando Krilin aveva ripetuto il suo discorsetto sul far fronte al pericolo comune. In seguito, si era rassegnato a farsi piacere quella convivenza, ma di conseguenza aveva anche realizzato che tra loro due era finita sul serio.
Vegeta se ne stava per conto suo e certo non era accusabile; si era anche assentato per alcune settimane, facendola preoccupare non poco. Poi, incredibilmente, era tornato e aveva iniziato ad allenarsi con costanza, da alieno cocciuto qual era.
Non si era mai intromesso tra loro e, anche in privato, non le aveva mai rinfacciato nulla, nonostante fosse a conoscenza dei suoi sentimenti per Yamcha. Forse, la spiegazione che gli aveva fornito quell’unica volta nella caverna gli era stata sufficiente. Eppure, i suoi occhi parlavano in sua vece, facendosi rabbiosi e carichi di astio, tutte le volte in cui lei nominava il suo ormai ex. Vibravano di collera trattenuta a stento, severi e terribilmente intensi, come un rimprovero non espresso. O un impasse che lo irritava nel profondo. Avrebbe voluto che si esprimesse, che gridasse, addirittura che la canzonasse per la sua indecisione, invece era rimasto terribilmente lontano.
Ogni volta che erano soli, Bulma ripensava con profonda emozione alle poche ore trascorse insieme con lui su Namek. Inevitabilmente, si sentiva felice e triste allo stesso tempo. Sapeva che il guerriero non avrebbe mai mostrato nulla di sé, ma quando i loro occhi si incrociavano le parole non erano necessarie. Era tentata di gettargli le braccia al collo, come aveva fatto quel giorno lontano, ma il timore di essere respinta, solo per eccesso d’orgoglio, la frenava. Non voleva perderlo. Forse era davvero ancora sua prigioniera.
Una volta gli aveva chiesto, scherzando, se potesse ormai ritenersi libera e lui aveva sollevato il viso, rispondendole di no in un misto di ironia e serietà. Aveva ragione lui. Il vincolo che si era creato tra loro non si poteva spezzare.
Quello stupido si era fatto ammazzare per davvero, nonostante tutto ciò che lei aveva tentato di fargli comprendere! Quando Polunga lo aveva resuscitato, però, le era sembrato diverso: più riflessivo, meno rancoroso e infinitamente più triste. Solo l’idea che Goku fosse ancora più potente di lui lo faceva adirare sul serio, a tutto il resto si mostrava incurante.
Lei sapeva benissimo che non lo era. Cercava di farlo ridere, per la ripicca di farlo sentire umano, e lui rispondeva con delle battute al vetriolo: potevano andare avanti tutta la sera a discutere, a confrontarsi e questo accadeva quasi ogni giorno. Arrabbiarsi con lui, rimproverarlo e ricevere la sua reazione vanamente intimidatoria era come respirare. Non ne poteva più fare a meno. Era quasi come fare l’amore.
Non le era mai accaduto di innamorarsi tanto profondamente di un uomo. Vegeta probabilmente lo aveva compreso, ma aveva il diritto di sentirselo dire. Di replicare. E la sua possibile risposta la spaventava terribilmente: provava la stessa paura di quando era rimasta immobile, nel loro abbraccio, senza riuscire a scovare il coraggio per baciarlo.
Guardò verso il basso e vide Yamcha che si allontanava mogio: gli ci sarebbe voluto un po’ per accettare la sua decisione, anche se di certo non era il tipo da disperarsi, con tutti i flirt che aveva intrattenuto nel contempo.
 
I suoi passi leggeri e inconfondibili la distolsero dalle riflessioni.
Il Saiyan la raggiunse e si sporse a sua volta dalla balconata, accanto a lei, con ancora indosso gli abiti sportivi da allenamento e l’asciugamano di spugna al collo. I suoi occhi d’ossidiana seguirono implacabili, attraverso il giardino, il terrestre che se ne andava.
“L’ho lasciato…”.
“Lo so”.
“Come…?”
“Me l’ha detto lui”.
La ragazza rimase sorpresa: i due non si erano mai rivolti la parola, se non per ribadire la reciproca, radicata antipatia, quindi perché mai Yamcha avrebbe dovuto…
“Mi dispiace. Spero che non abbia dato la colpa al fatto che tu sei qui…”
Vegeta sogghignò.
“Avrebbe dovuto?”
Bulma si voltò dalla sua parte, raddrizzandosi. La domanda era volutamente ambigua.
“No.” rispose ferma.
Il principe la fissò, scostando le mani dalla ringhiera. Fece un passo verso di lei.
“L’avrei ucciso” mormorò.
“Cosa…?”
Bulma lo guardò in quegli occhi decisi, disorientata: nero intenso, rovente, sincero.
“Se tu non mi avessi detto, su Namek, che non provavi più nulla per lui da tempo, io gli avrei spezzato il respiro senza esitazioni”.
“Perché avresti commesso una simile…”
Il principe la prese alla vita e la attirò a sé.
“Mi hai fatto quasi perdere la pazienza, ragazzina. Te la sei presa molto comoda”.
La scienziata gli fece scivolare le mani sulle spalle, con il cuore che rischiava seriamente di balzarle fuori dal petto e il suo calore che le passava attraverso l’abito leggero.
“Vegeta, tu mi stavi…”
Chi! Basta con le domande! Eravamo rimasti…qui?”
Fermi a pochi centimetri, i visi che si sfioravano e i corpi intrecciati l’uno all’altro, come allora.
Si mossero senza più attendere, si raggiunsero come avevano sognato e rimpianto, si unirono in un bacio carico di passione incontenibile, le labbra che si cercavano e si schiudevano in un crescendo di desiderio prorompente.
“Non pensavo che tu ne avessi così tanta…” sussurrò lei, mentre il principe continuava a cingerla con forza e a posare la bocca sulla sua, senza tregua.
“E’ una provocazione?” alitò lui al suo orecchio, inoltrando le dita tra i suoi capelli sciolti e lungo la sua schiena, facendola rabbrividire.
“Sì…” sussurrò, allacciandosi a lui, assimilando il loro contatto, accarezzandogli il volto, sperando che non si accontentasse di quell’abbraccio spasmodico che non celava più nulla, perché a lei non sarebbe bastato.
Lo sentì ridere lievemente e quella vibrazione sottile la attraversò come corrente elettrica. Trasalì, quando si accorse che il suolo era molti metri sotto di loro: il principe aveva spiccato il volo con lentezza, continuando a tenerla tra le braccia, e saliva verso l’alto.
“Sappi che sta funzionando” le disse piano, mentre l’azzurro del cielo li avvolgeva.
“Dove mi stai portando, Saiyan?”
“Esattamente dove siamo”.
I loro piedi toccarono terra in una stanza vuota all’ultimo piano della Capsule Corporation. Bulma lo fissò senza afferrare appieno le sue intenzioni, anche se il suo sguardo su di lei non lasciava dubbi.
“Vegeta, che cosa ci facciamo qui?”
“Il tempo per le domande è scaduto” affermò lui “Togliti quei vestiti…”
Per tutta risposta, la scienziata inarcò un sopracciglio, fingendosi offesa, e gli sfilò l’asciugamano dalle spalle, incollandoglisi addosso, lasciandosi sfiorare l’incavo del collo dalle sue labbra, dal suo respiro tiepido e colmo di desiderio.
“Sarebbe troppo romantico in camera tua?” bisbigliò ridendo.
Lui la ascoltò, divertito e spietato, rivolgergli l’ennesimo interrogativo mentre fremevano di passione in quella camera spoglia e silenziosa.
“Banale, piuttosto” rispose.
Le dita di lei gli percorsero il petto muscoloso, fasciato dall’aderente canottiera blu. Lui se la sfilò velocemente, chiudendola contro la parete e inchiodando gli occhi nei suoi.
Prigioniera per sempre. Prigioniero per sempre. Paradossalmente liberi.
“Quindi, saresti originale nel tuo non essere sdolcinato a favore della rudezza estrema…”
Hah. Sto per strapparteli io…” minacciò lui sogghignando.
La terrestre sorrise maliziosa, sapendo bene che lo avrebbe fatto per davvero.
Vegeta trasse di tasca un oggetto e se lo gettò alle spalle. Poi compì quanto aveva promesso.
La capsula hoi-poi esplose contemporaneamente all’abito di Bulma che scendeva a terra, lacerato. Il vapore si diradò. Lei sgranò gli occhi. Lui la sollevò da terra.
I loro cuori battevano strenuamente uno contro l’altro, mentre si accarezzavano con delicatezza e ardore.
“Dove hai scovato questo letto a due piazze?” gli sussurrò sulle labbra, mentre il principe si liberava dell’ultimo pezzo, dimostrando nuovamente che la moda saiyan non annoverava tra le regole l’indossare biancheria.
“E’ importante?” rispose il guerriero alieno, tenendo tra le braccia la donna che amava, affondando nella sua stretta appassionata e infuocata, ricambiando il suo bacio intenso “Non è mio… né tuo… è nostro”.
Bulma comprese al volo il senso di quell’affermazione e sentì la commozione crescere, mentre si abbandonava all’uomo che sarebbe stato suo in eterno.
 
Avevano fatto l’amore per la prima volta. Perché di quello si trattava e nessun’altra definizione sarebbe stata calzante. Era stato inutile tentare di autoconvincersi per anni che non ne sarebbe mai stato capace, che non avrebbe accettato di farsi toccare per scelta da una donna, che non avrebbe mai desiderato fino a quel punto un’altra creatura. Raccontare a se stesso di non essere umano. Perché lo era: composto di carne, sangue e anima. Perché quell’atto condiviso e intenso gli era stato naturale e aveva voluto che lei lo stringesse e aveva percepito quanto erano profondi i sentimenti per lei.
 
Che cosa faresti, Vejita?
 
Fissò il soffitto nella penombra, le braccia intrecciate dietro la nuca, e si rispose.
L’amore per la seconda volta.
Dopo che lei l’aveva destato dal sogno costituito di chiaroscuri inquietanti e confusi, come quando si era addormentato, sfinito, su Namek. Non aveva esitato. Si era semplicemente girato e l’aveva presa di nuovo tra le braccia, in silenzio. Gli incubi erano divenuti sempre più evanescenti, scomparendo al ritmo dei battiti del cuore di lei, che gli pulsava all’orecchio, mentre prendeva nuovamente sonno e la mente si era affrancata da quel male senza diventare altro. Sempre lui, non più lui. Con lei.
 
Bulma lo osservò con dolcezza e si sollevò su un gomito, avvolta nel lenzuolo stropicciato.
Gli passò le dita tra i capelli corvini e il principe le puntò addosso il suo sguardo penetrante.
“Non mi sbaglio, se sono convinta che tu non possa più sostenere l’impossibilità di tenere a un’altra persona, vero?” dichiarò con un sorriso.
“Pensa quello che vuoi” ribatté lui orgoglioso.
“Va bene, lo farò”.
Chi!”
La ragazza si stiracchiò, appoggiandosi al suo petto nudo. Lo sentì ribollire.
“Che cosa faresti, se ti rivelassi che non accetto che sia stata soltanto questa notte? Che voglio fare ancora l’amore con te…”
Vegeta abbassò le braccia e la bloccò a sé. La guardò negli occhi.
“Ti risponderei che io non sono una sola notte. Sono per sempre. Ma non dirai nulla di tutto ciò, perché stai parlando al principe dei Saiyan”.
“Già…” mormorò la ragazza, sfiorandogli le labbra e ricevendo in cambio il suo bacio incandescente “Per sempre sia…”.
   
 
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