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Autore: ChiiCat92    02/10/2018    0 recensioni
"Stare con Riku gli piaceva.
Stare con Riku gli 'piaceva'.
Riku era il suo migliore amico.
Riku era il suo 'migliore amico'.
Le parole erano le stesse, sempre le stesse, martellanti e acute come un fischio, eppure rotolavano sulla lingua, quando se le ripeteva davanti allo specchio, in modo così diverso.
Poteva la stessa parola cambiare significato a seconda di come la pronunciava?"
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Riku, Sora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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02/10/2018

 

Cliché

 

 

Riku aveva un bel sorriso, perché era raro vederlo sorridere.

Con Sora, Riku sorrideva di più, più spesso, più intensamente. Gli occhi acquamarina si accendevano di una dolcezza insolita, morbida, dolce.

Sora indugiava spesso nel pensiero che quei sorrisi fossero merito suo. Fantasticava spesso sulle sua labbra quando si tendevano verso l'alto. Strani pensieri si facevano largo nel marasma agitato della sua mente per mostrarsi a lui in tutto il loro confusionario splendore.

Stare con Riku gli piaceva.

Stare con Riku gli piaceva.

Riku era il suo migliore amico.

Riku era il suo migliore amico.

Le parole erano le stesse, sempre le stesse, martellanti e acute come un fischio, eppure rotolavano sulla lingua, quando se le ripeteva davanti allo specchio, in modo così diverso.

Poteva la stessa parola cambiare significato a seconda di come la pronunciava?

Forse a cambiare non erano le parole, ma lui.

« Sora? » il ragazzino alzò di scatto la testa al richiamo, come un cucciolo che risponde ben volentieri alla voce del padrone. Quanto tempo era rimasto immerso nei suoi pensieri mentre intorno a lui il mondo continuava a girare?

Pian piano mise a fuoco la strada, il sole nel cielo terso, il peso dello zaino sulle spalle, i suoni allegri dei ragazzi che erano appena usciti da scuola. E poi lui, Riku. Quando uscivano da scuola la prima cosa che faceva era allentare il cravattino, che teneva sempre rigidamente stretto intorno al collo per non avere un'aria sciatta. Sempre così perfetto, il suo Riku, sempre così attento.

« Sì? » riuscì a biascicare, con svariati secondo di ritardo, come se il cervello non fosse collegato alla lingua.

Riku sorrise, scuotendo la testa. Una vampata di calore salì, piacevole e densa, lungo la schiena di Sora, che non poté fare a meno di ricambiare.

« Non hai ascoltato una parola, vero? »

Se in una cosa Sora era bravo era arrossire, in maniera dimessa, imbarazzata eppure consapevole: una cosa che faceva impazzire Riku.

Si trattenne dal ridere solo perché erano in pubblico, portando una mano davanti alla bocca per contenere la risata. Alla luce del giorno i capelli argentei sembravano bianchi come perle esposte in vetrina.

Sora sentì il cuore perdere un battito.

« Non l'ho fatto apposta! » provò debolmente a difendersi, un pigolio rosso fuoco, uscito da labbra gonfie di vergogna.

« Ci mancherebbe! » ribatté Riku. Nell'ultimo anno era cresciuto quel tanto che bastava per superare Sora, così da dominarlo dall'altro, con spalle che andavano ad allargarsi, inseguendo l'età adulta, e l'espressione matura. « Hai sempre la testa tra le nuvole. Si può sapere a cosa stavi pensando? »

A te.” sussurrò, indecente, la voce nella mente di Sora, che però volse altrove lo sguardo. Dritto davanti a sé, lungo la strada verso casa.

« Niente di che. » fu invece la sua risposta, portandosi dietro l'orecchio un ciuffo di capelli castani. Lo faceva sempre quand'era nervoso, quello che non sapeva era che Riku conosceva a memoria tutti quei piccoli movimento.

« Niente di che. » ripeté l'albino, un mezzo sorriso sulle labbra. « Non sembra “niente di che”. Ma magari sbaglio. »

Più vicino, si fece più vicino, solo per un attimo, di qualche centimetro, tanto da toccare la spalla di Sora.

Lui batté le palpebre più velocemente, si trattenne dal voltarsi verso di lui.

« Vieni a casa mia? » chiese, a tradimento, prima che la mente, o il buon senso, potessero impedirgli di dirlo. « Per fare i compiti insieme? » aggiunse, a mo' di giustificazione.

Riku lo osservò come si osservano le cose preziose, quelle che non si possono toccare ma solo guardare da lontano. L'avrebbe rotto se solo si fosse avvicinato troppo, perché Sora, così come il cristallo, era troppo fragile.

« Sì, perché no. » con una scrollata di spalle prima di infilare le mani in tasca. Lontane da ogni tentazione, dove dovevano stare.

Sora sentì il suo cuore emettere un sospiro felice, e andò dietro all'amico trotterellando allegro.

Lontano, lungo l'orizzonte, il mare si abbatteva sulla spiaggia, e le isole minori affioravano dall'acqua alte fino a tagliare il cielo. L'odore della salsedine portato dal vento faceva frusciare i vestiti, asciugava il sudore sulla schiena. Solo qualche altra settimana: l'estate era vicina.

Da qualche parte, tra le viuzze della città, una cicala cominciò a cantare, accompagnando il passo dei ragazzi verso casa.

Chi era potuto scappare in fretta dal sole aveva trovato rifugio a casa, dentro un bar, o all'ombra di un pensilina, le strade si erano svuotate, mentre l'asfalto tremolava per il calore.

Sora ondeggiava da un piede all'altro, come ubriaco, stanco ma felice. Felice per cosa, poi? Per il sole, per il lungo pomeriggio ozioso che li aspettava, per Riku. Solo per Riku.

« Riku... » chiamò all'improvviso, senza guardarlo, neanche quando l'amico si volse, perché altrimenti non sarebbe riuscito ad andare avanti. « ...stavo pensando... » quegli occhi, quegli occhi del colore del mare. Gli venne un brivido, si morse le labbra. Non riusciva ad andare avanti neanche senza guardarlo.

Si fermò, la testa bassa, fissa sulle scarpe, sul pantalone a righe azzurre della divisa scolastica che gli stava ridicolmente troppo grande, sulla camicia bianca spiegazzata e macchiata di penna, sul cravattino dal nodo storto. Sentì sapore di sangue in bocca: aveva morso troppo forte.

« Tutto bene? » provò, preoccupato, Riku, avvicinandosi a lui quel tanto che bastava per essere troppo vicino.

Sora trattenne il fiato, strinse i pugni, il cuore gli esplodeva in petto.

Adesso, lo devi fare adesso. Adesso!”

« Riku! » troppo forte, emise un verso frustrato. « Riku. » tentò ancora. Perché la lingua si attorcigliava in bocca? « Tu mi piaci. »

La cicala smise di cantare, il vento di soffiare, persino il sole si fermò, diventando un po' più freddo. Il mondo poteva andare in frantumi da un momento all'altro, Sora poté sentire le crepe sotto i piedi.

Riku rimase in silenzio, il volto come una maschera priva di espressioni. Cosa pensava? Cosa provava? Perché non era mai in grado di capirlo?!

Poi si sporse, lentamente, o fu solo la sua distorta percezione delle cose a farlo sembrare così lento. Quando si poggiarono sulle sue, rapide ma sicure, Sora capì di non poter più fare a meno di quelle labbra.

Dopo quel bacio, un sorriso. A Sora tutto fu chiaro: i sorrisi di Riku erano davvero sempre stati merito suo.

   
 
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