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Autore: Acinorev    04/10/2018    3 recensioni
Torino.
La città magica. La città della grandiosa Gran Madre illuminata, dell’onnipresente Mole Antonelliana e del maestoso Castello del Valentino. La città dei famigerati Murazzi, del Po notturno e scrosciante, di Piazza Castello e le sue fontane, del rinomato ed affascinante Museo Egizio. La città dei chiclets, della formicolante Piazza Vittorio, della discussa Juventus.
La città di Jun e del suo amore verso poche, indiscutibili cose. La città di un appartamento vivace e di una bambina che lo colora di vita. La città di Arianna e dei fiori con i quali racconta le sue giornate. La città del cambiamento incessante, delle storie che evolvono senza fine, delle esistenze che si intrecciano inaspettatamente, della vita che va avanti.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo uno - Via Pietro Bernini, 27
 
 

«Io voglio andare da papà!»
Arianna sbuffò facendo sporgere un braccio dal divano. «Io vorrei un miliardo di Euro, invece. E un po’ di silenzio» bofonchiò, strofinandosi la fronte con una mano.
«Voglio andare da papà! Voglio andare da papà! Voglio andare da papà!» Sofia aveva iniziato a correre intorno al tavolo al centro del piccolo salotto, cantilenando le stesse parole che si ostinava a ripetere da più di mezz’ora. In momenti simili, Arianna si pentiva amaramente di averle insegnato a parlare.
«Di questo passo Minou perderà la testa» commentò Arianna, osservando il povero pupazzo a forma di gatto che sbatteva contro ogni spigolo si trovasse sulla strada della sua proprietaria.
Sofia si strinse al petto Minou con fare protettivo e pentito, ma non interruppe il suo capriccio. «Voglio andare da papà! Voglio andare da papà!»
Arianna alzò gli occhi al cielo e si mise a sedere con un sospiro profondo ed insofferente. Lanciò uno sguardo ricco di sconforto alla superficie del tavolo ricoperta da pastelli, pennarelli e fogli scarabocchiati in un tentativo di sfogo artistico, allo zainetto aperto ed abbandonato in un angolo della stanza, alle scarpe lasciate sull’orlo della porta ed ai resti di una merendina appoggiati su uno dei mobili. Sofia aveva decisamente preso da suo padre: l’ordine non rientrava nelle sue prerogative e probabilmente nemmeno nel suo vocabolario.
Quando Arianna si alzò dal divano, Sofia si arrestò e spalancò gli occhi color nocciola. «Andiamo da papà?» Domandò speranzosa aprendo le labbra rosee in un sorriso raggiante, che lasciava scoperta una finestrella infantile tra i denti.
«Quante volte devo dirtelo?» Rispose Arianna, appoggiando le mani sui propri fianchi. «Papà sarà a casa tra poco, probabilmente a quest’ora sta già uscendo.»
Sofia si imbronciò e sbatté un piede a terra, facendo rimbalzare la frangetta sulla sua fronte. «Ma io voglio vederlo adesso
«Continua a comportarti così, signorina, e non otterrai un bel niente» la minacciò Arianna, puntandole un dito contro con poca serietà. Ormai si era arresa quasi del tutto all’indole capricciosa di quella minuscola peste.
Sofia assottigliò gli occhi, gonfiò le guance paffute ed inspirò a fondo: sostenne per pochi istanti lo sguardo di Arianna, poi riprese a correre intorno al tavolo ripetendo incessantemente la sua pretesa.
L’altra serrò le palpebre, fece per aprire la bocca ed urlare per la frustrazione, ma la suoneria del suo cellulare la riscosse dalle sue intenzioni.
«Ehi, papà…» rispose velocemente, sollevata. Si sedette di nuovo sul divano, giusto in tempo per rimproverare Sofia: nell’impeto della sua corsa aveva fatto vacillare un tavolino all’angolo della stanza rischiando di mandare in frantumi il vaso di girasoli.
«Ciao, fiorellino. Come stai?»
Lei sospirò ancora, assistendo allibita al terremoto che Sofia stava ricreando. «Be’, potrebbe essere un tranquillo lunedì pomeriggio, ma qualcuno, qui, ha deciso di rendere le cose un po’ più complicate» spiegò, lanciando un’occhiataccia alla bambina che le era appena sfrecciata davanti.
«La piccolina ti sta dando problemi? Dio mio, ma quanto urla?»
«Sono solo capricci: vuole a tutti i costi andare a prendere Jun a lavoro, quindi pensa di poter vincere portandomi all’esasperazione.»
Manuele rise dall’altra parte del telefono, con la sua voce bassa e piena: l’accento toscano la macchiava anche dopo tutti quegli anni. «E scommetto che ci sta riuscendo!»
Arianna scosse la testa per nascondere un sorriso di conferma.
«A proposito, ti ho chiamato proprio per parlare di Jun» continuò lui.
«Di Jun? Grazie, papà: è sempre bello essere al centro dei tuoi pensieri» scherzò, ammonendo a bassa voce Sofia: non aveva smesso di correre per il salotto, ovviamente, ma aveva iniziato a mangiare un’altra merendina lasciando briciole a terra ad ogni passo veloce.
«Lo so, fiorellino, ma tua madre non mi ha lasciato scelta: vuole assolutamente che io ti ricordi di ricordare a Jun di venire a cena da noi, una di queste sere. Ovviamente anche con te e la piccola. E lo specifico perché, giuro su Dio, quella donna sembra pensare più a Jun che a suo marito, quindi vorrei mettere le cose ben in chiaro.»
«Papà, il pensiero che mamma si riferisse ad una cena romantica tra lei e Jun ha sfiorato solo te, puoi stare tranquillo» lo rassicurò, corrugando la fronte a quell’immagine sgradevole. «E poi perché ha chiesto a te di ricordare a me di ricordare a Jun della cena? Non è da lei: mi sarei aspettata di più l’ennesima chiamata o l’ennesima visita a sorpresa.»
«Perché le hai attaccato il telefono in faccia già diverse volte, per questa storia…»
«Questo è vero. E non pensa che lo farei anche con te?»
«Tu non attaccheresti mai il telefono in faccia al tuo papà.»
Arianna alzò un sopracciglio. «E anche questo è vero» ammise divertita. «Comunque puoi dire alla mamma che Jun si ricorda dell’invito a cena e che verrà quando ne avrà la possibilità: e questa risposta vale anche per le altre mille volte in cui mamma ne chiederà una, intesi?»
«Intesi, intesi. Allora io adesso torno ad occuparmi del negozio, oggi pomeriggio c’è un bel da fare» precisò Manuele, con un tono evidentemente soddisfatto e fiero, un tono che non mancava mai di intenerire la sua unica figlia.
«Chiamai se hai bisogno, mi raccomando.»
«Non preoccuparti. Piuttosto… porta la piccola peste da suo padre o non smetterà più di urlare. E dalle un bacio da parte mia!»
«Sarà fatto. Ciao, papà!»
Arianna ripose il telefono in tasca, inspirò a fondo, osservò per qualche secondo quel minuto corpicino in grado di generare un tale disordine e si appellò a tutta la pazienza che le restava, ma non riuscì a resistere oltre. «E va bene, va bene!» Esclamò, in modo da sovrastare la voce squillante di Sofia. L’altra si fermò dalla parte opposta del tavolo con un’espressione furba dipinta sul volto. Attimi di incantevole sollievo per i timpani stanchi di Arianna.
Sofia spalancò gli occhi, la sua indole improvvisamente sazia. «Andiamo?» Squittì, stringendosi nelle spalle per l’eccitazione.
Arianna sbuffò e si passò una mano tra i capelli. «Andiamo, . Ma sai quali sono le regole: prima si deve riordinare tutto questo casino.»
Sofia saltellò sul posto in preda all’impazienza, prima di correre ad abbracciarla.
 
Messaggio inviato: ore 17.55
A: Sushi
“Primo: ti costa tanto lavare due diavolo di piatti?!?!? Giuro che è l’ultima volta che lo faccio al posto tuo, idiota di uno scansafatiche! Secondo: aspetta lì, Sofia ha deciso di venirti a prendere! Terzo: ho visto che hai comprato le gallette che mi piacciono e ti amo tanto ♥♥♥♥”
 
Messaggio in arrivo: ore 18.01
Da: Sushi
“Bipolare.”
 

♦ ♦ ♦  
 

Jun era appoggiato con la schiena magra al muro del palazzo. Era intento ad osservare la strada trafficata di fronte a sé, la Torino caotica dell’ora di punta. Le braccia incrociate al petto ed i capelli disordinati sulla fronte.
Arianna lo stava ancora osservando assicurandosi che fosse lui, mentre Sofia aveva già lasciato la sua mano per correre nella sua direzione. «Papà! Papà!» Gridò con un ampio sorriso sul volto.
«Sofia, aspetta!» Esclamò l’altra spontaneamente, con l’innato timore di perderla di vista da un momento all’altro. Ma l’attimo dopo la bambina era già saltata tra le braccia di Jun, sprofondando il viso nell’incavo del suo collo e facendo sorridere Arianna di tenerezza.
Si avvicinò loro senza affrettarsi, regalando ad entrambi quei pochi secondi di intimità ed il tempo di ritrovarsi dopo una giornata passata lontani. «Non mi saluti?» Esordì quando si trovò a pochi passi di distanza, cercando l’attenzione di Jun.
Lui si voltò – Sofia che gli stringeva la mano e che lo guardava adorante, in attesa anche solo di un movimento o di una parola da cui dipendere – e sorrise appena, gli occhi a mandorla spenti dalla stanchezza. «Ciao» mormorò, sporgendosi in avanti per baciarle delicatamente una guancia.
«Sembri esausto» commentò Arianna scompigliandogli i capelli e cercando di sdrammatizzare, mentre nascondeva il velo di preoccupazione che si era insinuato in lei.
Sofia strattonò piano il maglioncino primaverile del padre. «Papà, mi prendi in braccio?»
Lui sospirò. «Vieni qui» sussurrò subito dopo, prendendola tra le braccia e baciandole i capelli corvini tanto simili ai suoi. «Cos’hai combinato oggi? Hai fatto la brava?» Domandò, guardando Arianna con una punta di divertimento e di sospetto: conosceva bene sua figlia e le sue aspettative non volavano mai troppo in alto.
Arianna alzò gli occhi al cielo in risposta: entrambi sapevano che comportarsi bene non rientrava nei canoni di Sofia.
«All’asilo la maestra ci ha fatto colorare tante cose: Mattia mi rubava i colori. Vero che non si devono rubare i colori, papà?» L’innocenza e la purezza che trasudavano dal suo tono di voce potevano essere ingannevoli per chiunque.
«È vero, sì» confermò Jun.
«Sai cos’altro non si deve fare, papà?» Si intromise Arianna, mentre Sofia preparava la sua recita. A quattro anni sapeva già come affrontare determinate situazioni. «Tirare i capelli a chi ruba i colori. Dico bene?»
Jun trattenne una risata, fulminato dallo sguardo di Arianna. Si schiarì la voce e guardò Sofia, che aveva già sfoderato le sue armi migliori: occhi da cerbiatto umidi e labbra imbronciate. «Hai tirato i capelli a Mattia?» Domandò con tono allibito, ma forse vagamente fiero.
«Oh, no» rispose Arianna al suo posto, assumendo un’aria ingenua. «Ha tirato i capelli a Mattia e a Stefania.»
Jun sbatté le palpebre e resse il gioco, mostrandosi sconcertato. «Sofia
La bambina si rattristò fin quasi a versare qualche lacrima di coccodrillo. «Ma erano i miei colori, quelli che mi hai regalato tu!» Borbottò come scusa.
Arianna si morse un labbro per non sorridere. «Ruffiana…» sussurrò tra sé e sé.
«Sofia, non mi interessa. Non si tirano i capelli degli altri bambini, per nessun motivo. Cosa penserebbe di te Minou?»
Sofia si mostrò turbata da quello scenario, Arianna si avvicinò all’orecchio di Jun. «“Cosa penserebbe Minou?” Sul serio? Sei tu suo padre, non il pupazzo.»
Jun si voltò verso di lei, lasciando che la figlia si accoccolasse sul suo petto in preda allo sconforto. «Sì, be’, a quanto pare il pupazzo ha più autorità di me.»
Entrambi sorrisero arrendevoli, camminando fianco a fianco lungo il marciapiede poco affollato. La brezza primaverile rendeva piacevole quella passeggiata fino a casa, si respirava aria di intimità e pace.
«Vuoi darla un po’ a me?» Propose Arianna dopo qualche minuto, notando come Jun avesse rallentato il passo. Sofia si stava addormentando contro di lui.
Jun scosse la testa. «Siamo quasi arrivati» rispose.
Lei non insistette oltre, sapeva bene quando arrendersi di fronte al suo istinto paterno. Ammirava la sua forza d’animo, la sua infinita lealtà nei confronti di Sofia, il suo impegno ed il suo amore.
«Cosa vuoi mangiare per cena?» Domandò allora, volendo viziarlo per quanto poteva.
«Qualsiasi cosa» rispose Jun, pensieroso. «Anzi, qualsiasi cosa tu sappia cucinare bene» aggiunse scherzando.
Arianna gli diede una spallata giocosa. «Proprio divertente, signor “Non so scaldare del latte”.»
«È successo anni fa.»
«Ma è stato un momento indimenticabile» civettò Arianna, prendendolo a braccetto e stringendosi a lui con una risata.
«Ed io che dopo una giornata tanto lunga pensavo di ricevere una bella accoglienza…» sospirò lui, melodrammatico.
«Piuttosto, a proposito di cose indimenticabili… Ricordi che stasera è la sera, vero?»
Jun smise di camminare, forse anche di respirare: guardò Arianna con lo sconforto ad incupire i suoi lineamenti giapponesi. Probabilmente sperava si trattasse di uno scherzo, ma la verità lo colpì dritto alla bocca dello stomaco
: come da tradizione, il lunedì sera Sofia era viziata dalla possibilità di scegliere un film Disney da guardare e di ricrearne le scene con l’aiuto di Jun ed Arianna. Se quel teatro improvvisato ed infantile la entusiasmava oltre ogni limite, tutt’altro effetto aveva sugli altri due, che per evitare di esserne costanti vittime avevano cercato di limitare le occasioni a disposizione.
«Che vita di stenti…» borbottò sconsolato, riprendendo a camminare e facendo ridere Arianna.
 

♦ ♦ ♦  

Era tarda sera. La camera da letto era illuminata esclusivamente dal televisore appoggiato sul comò di fronte al letto, che dipingeva qualsiasi spigolo o linea di quel solito bagliore elettronico in grado di stancare gli occhi. Mentre Timon e Pumba incontravano Simba – Sofia non si era accontentata di guardare “La bella e la bestia”, piagnucolando e pregando fino ad ottenere la vittoria - in sottofondo si poteva udire il lavorare stanco della vecchia lavatrice nell’angolo del bagno. Arianna era accovacciata nel letto, con il cuscino appallottolato sotto la testa ed il corpo per metà fuori dalle coperte non molto pesanti. A dividerla da Jun, quasi nella sua stessa posizione, il corpo minuto e caldo della bambina.
Si accorsero che si era addormentata quando la sua voce non tentò di cantare l’Hakuna Matata che le piaceva tanto, ma che non riusciva mai a ricordare parola per parola.
«È crollata» commentò Jun, osservandola per qualche istante con gli occhi che solo ad un padre sono concessi.
«Non capisco come faccia a resistere così a lungo, iperattiva com’è» aggiunse Arianna, scostandole dal viso la frangetta in disordine: così addormentata, con le guance arrossate dal tepore di chi le voleva bene, con le labbra socchiuse ed i respiri lenti, era di una dolcezza che le scaldava il cuore.
«Questo è perché non le hai voluto dare l’abitudine di dormire un po’ nel pomeriggio» la accusò Jun, puntando il gomito sul materasso ed appoggiando il volto sulla sua mano. La guardava dispettoso, nonostante le borse sotto gli occhi stanchi. I lineamenti del suo viso erano ancora più definiti dal gioco di luci ed ombre creato dal televisore.
«Oh, credimi, l’avrei lasciata dormire tutto il tempo del mondo, se solo avesse voluto farlo almeno una volta: non si lascia persuadere molto facilmente, lo sai meglio di me» si giustificò lei. Ci aveva provato, eccome se ci aveva provato, ma ogni volta che si era sdraiata accanto a Sofia nella speranza di farla addormentare aveva fallito miseramente.
«Mi stai dicendo che dall’alto dei tuoi venticinque anni ti sei lasciata sconfiggere da nemmeno mezzo metro d’altezza?» La prese in giro Jun, stuzzicandola di proposito.
«Parli proprio tu? Devo ricordarti tutti i vizi che lei hai concesso, padre snaturato?»
«Viziare i propri figli è il compito di un padre» ribatté lui con supponenza.
Arianna alzò gli occhi al cielo e sospirò. «Certo, l’importante è esserne convinti.»
Per qualche minuto nessuno parlò: non che si fossero concentrati sul cartone animato ancora in corso, probabilmente entrambi si erano solo persi nei propri pensieri.
«Com’è andata stamattina in negozio?» Domandò Jun, passandosi una mano tra i capelli corvini disordinati. Sofia ne aveva ereditato il colore e la morbidezza.
Arianna fissava la televisione senza prestare attenzione alle immagini. «Non bene, ma nemmeno male. Papà non ha fatto altro che agitarsi per tutto il tempo.»
«Me lo immagino» sorrise amaramente. «Mi dispiace.»
Lei non rispose, non le andava di parlarne. «Mi ha detto di dirti che mamma ti sta ancora aspettando per cena» aggiunse con aria divertita. «Immagino che non potrai sfuggirle ancora per molto.»
Jun si mosse nel letto in accordo ai movimenti inconsci di Sofia. «Sfuggirle? Non ho nessun problema con tua madre, sai che mi piace.»
Arianna alzò il viso per guardarlo negli occhi castani. «Ma so anche che non ti piacciono molto le riunioni di famiglia» puntualizzò con un sorriso.
«Prometto che domani la chiamerò.»
«Scommetto dieci euro che non lo farai.»
«Affare fatto.»
Jun si alzò per andare in bagno, vestito solo dei suoi orrendi boxer a fantasia floreale e dell’ennesimo, altrettanto orrendo paio di calzettoni sportivi arrotolati alle caviglie. Arianna si ripropose di farglieli scomparire, prima o poi.
«È lunedì la riunione all’asilo, vero?» Domandò lui, tornando a letto ma restando fuori dalle coperte. Sfiorò il viso di Sofia con le mani affusolate.
«Sì, lunedì mattina» sbadigliò Arianna. «Riesci ad andarci?»
«Salterò le lezioni, non voglio mancare un’altra volta: già mi immagino i pettegolezzi di quelle arpie delle altre mamme.»
«Non dovresti farti questi problemi. Loro sono le prime ad andare sole, senza i rispettivi compagni.»
«Appunto: non voglio che pensino che io sia come i loro compagni» scherzò, ma continuando a guardare Sofia in modo più serio.
Arianna decise di non infierire, lasciandogli quel momento di fierezza paterna: «E va bene, ma fammi sapere se cambi idea, così mi organizzo con il negozio. Tra poco avrai gli esami, saltare tutte queste lezioni forse non è il massimo». Si sentì in colpa per quelle parole subito dopo: Jun lavorava come commesso in un negozio di ferramenta vicino casa, ma usava buona parte dei soldi per mantenere i propri studi all’Università di Economia di Torino. Voleva assicurarsi un futuro migliore, voleva assicurarlo a Sofia. E se qualche volta saltava delle lezioni, lo faceva solo per la troppa stanchezza o per impegni che riguardavano sua figlia.
«Scusa…» mormorò Arianna, prima ancora che lui potesse avere una qualsiasi reazione. «Sai che sono solo preoccupata.»
Jun allungò una mano verso il suo capo, le accarezzò i capelli con quel fare impacciato che lo caratterizzava. «Non ce n’è bisogno, Anna.»
La notifica di un messaggio li distrasse da quel discorso. Jun si sporse verso il comodino al suo fianco e raccolse il suo telefono.
«Chi ti scrive a quest’ora?» Curiosò Arianna. «Di nuovo la Vodafone che cerca di fregarti soldi per l’ennesima volta?»
Lui non rispose, intento a scrivere qualcosa e a litigare con lo schermo touch al quale non si sarebbe mai abituato. Arianna spiò la sua espressione, insospettita.
«No, peggio…» annunciò Jun, lasciando cadere il telefono sul proprio grembo e schiarendosi la voce per fingere indifferenza. «È una ragazza.»
Arianna spalancò gli occhi. «Una ragazza?»
«Una ragazza.»
«Una… ragazza
Jun si voltò verso di lei, frustrato. «Sì, Anna, una ragazza. Hai presente?» Rispose ironicamente.
Arianna abbozzò un sorriso confuso. «Certo che ho presente, idiota. Ma da come l’hai detto non sembra una semplice ragazza. Insomma, state… state uscendo? Vi state vedendo?»
Sofia si mosse tra di loro, entrambi decisero implicitamente di abbassare la voce.
Jun tornò con lo sguardo sul televisore, si morse le labbra carnose. «Dovremmo vederci domani» disse soltanto, riservato come sempre.
«Non mi hai detto niente» fu la sola cosa che Arianna riuscì a rispondere. Era frastornata.
«Be’, non c’è ancora niente da dire.»
Qualche istante in silenzio.
«E… sì, insomma, come vi siete conosciuti? Dio, Jun, esci con una e non me lo dici!»
«Non guardarmi così! Si tratta solo di un appuntamento.»
«Un appuntamento che non hai da… anni
«Sì, grazie. Grazie per averlo specificato.»
Arianna sbatté le palpebre, in stato di shock. «Sto ancora aspettando i dettagli.»
Jun sospirò sonoramente, incrociando le braccia sul petto magro. «Cosa dovrei dirti? È una cliente del ferramenta. Abbiamo parlato, era carina e… una cosa tira l’altra. Andiamo, non devo mica spiegartele io, certe cose.»
«E domani dove andrete?» Indagò lei, insoddisfatta delle scarse informazioni ottenute. «Devo stare con Sofi?»
«Devo ancora decidere e no, non devi stare con Sofia: ci pensano i miei.»
Dopo lunghi secondi senza parole, Arianna sentì il bisogno di commentare ancora la notizia inaspettata. «Hai un appuntamento
Jun afferrò il cuscino e ci affondò il viso per nascondersi, forse pentendosi di aver aperto bocca. «Non devi andare a casa? Avanti, è tardi: domani mattina devi andare al negozio.»
«Dio, se solo non sapessi che sarebbe completamente inutile, starei qui a farti domande impiccione ancora per molto, molto tempo» rise, sbucando fuori dalle coperte e mettendosi seduta.
«Grazie al Cielo lo sai.»
«Ma non pensare che domani avrai lo stesso trattamento» lo ammonì, puntandogli un dito contro e raccogliendo la giacca dalla sedia lì accanto.
«Infatti domani conto di starti alla larga» rispose lui con ovvietà.
«E credi di poterlo fare a lungo?» Lo provocò Arianna, lasciando un leggero bacio sulla guancia di Sofia ed un bacio più divertito su quella di Jun.
«Buonanotte» la liquidò lui, fintamente infastidito.
Arianna uscì dalla stanza con ancora un sorriso sulle labbra, incapace di realizzare quella svolta nella vita di Jun. Recuperò la borsa abbandonata in cucina ed uscì dall’appartamento per dirigersi al suo, dall’altra parte del pianerottolo.
 
Messaggio inviato: ore 23.43
A: Sushi
“Un appuntamento!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!»
 
Messaggio in arrivo: ore 23.44
Da: Sushi
“Mettiti a dormire.”

 





 


Ehm... Buonasera!!
Se vi state chiedendo se io, oltre ad essere risorta dopo un tot di tempo, sia anche completamente impazzita ad uscirmene così con un'altra storia, vi posso assicurare che sì... sono completamente ed irrimediabilmente impazzita!! Non so cosa mi sia preso oggi, mi è solo tornata un'irrefrenabile voglia di scrivere e pubblicare qualcosa di nuovo! Il punto è che, come ben sapete, ultimamente sono poco affidabile per quanto riguarda i nuovi progetti, per cui niente... spero di non essermi imbarcata nell'ennesimo fallimento hhaahah
Ma risate isteriche a parte: questa storia in realtà bazzica nella mia immaginazione da qualche anno ed è un pallino fisso che ho sempre pensato di approfondire, prima o poi! L'ho ripresa in mano et voilà! Spero davvero che vi abbia incuriosito un minimo :) Prometto di impegnarmi seriamente nella sua realizzazione, per cui abbiate pietà di me nel caso di eventuali crisi esistenziali da scrittrice folle.
L'ambientazione è (per la prima volta!) tuuuutta italiana, nella mia bella Torino: nonostante ciò, saranno menzionati posti realmente esistenti e posti inventati (come la via in cui abitano i nostri protagonisti - totalmente a caso). Che ve ne pare dei personaggi? È stato un assaggino, ma di dinamiche non ne mancheranno! Per ora sono curiosa di conoscere le vostre prime impressioni :)
Dopo tutto questo tempo mi rendo conto di essere un po' arrugginita quando si tratta di scrivere spazi autrice sensati e decenti, per cui ringrazio chi avrà la voglia e la pazienza di seguirmi, vi abbraccio tutti ♥♥♥

Potete trovarmi su
 facebook !
PS: se qualcuno volesse offrirsi per la realizzazione di un banner, sarebbe il TOP!

Grazie ancora!
Un bacione,
Vero.

 


       
    
  
  
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