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Autore: _happy_04    06/10/2018    1 recensioni
[ MaeIso | angst | 2677 parole ]
In una notte più buia che mai, non sempre c'è bisogno della Stella Polare per trovare la propria via.
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Sul momento, era riuscito a risponderle per le rime, ma adesso sentiva il peso di queste parole sovrastarlo, appollaiarsi sulle sue spalle e sussurragli all'orecchio. Davvero nella vita non sarebbe mai riuscito a fare niente di meglio? Possibile che non avesse altre qualità? 
E se così non fosse stato? Questo era tutto ciò che era? 
Che altro significato poteva avere la sua vita? 
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Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hiroto Maehara, Yuma Isogai
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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- when will you save me? -



Qual è il senso della mia esistenza?
Maehara non si era mai domandato questo tipo di cose. Era sempre stato una persona spensierata, impegnata solo a vivere il momento. Eppure, trovandosi lì, in mezzo alla strada, con come unica fonte di compagnia il lampione malfunzionante che lampeggiava sopra la sua testa, quella domanda si era materializzata nella sua mente.
La cosa che più odiava era che, per quanto cercasse di far scorrere i pensieri nella sua testa, non riusciva a trovare una risposta.
Era stato cacciato di casa dalla terza ragazza nel giro di una settimana – non che questo fosse il punto della situazione. La sua vita funzionava così, in fondo: ogni sera usciva, andava da qualche parte, incontrava una bella ragazza e, nei casi più fortunati, qualcuna che viveva da sola insisteva anche perché rimanesse a casa sua per qualche notte. Forse sognavano il principe azzurro, forse pensavano che quel tipo dai capelli biondi e lo sguardo ammiccante non avesse bisogno di un cavallo bianco per essere tale.
Baggianate.
Maehara non aveva mai creduto nel per sempre, nell'amore vero a prima vista. Non è che ingannasse le ragazze con cui stava, tutt'altro; però per conquistarlo bastava l'entusiasmo, lo sguardo. Era quello che gli faceva perdere la testa, inebriandolo. Se lei non voleva, lui non la forzava, ma era un evento raro – negli ambienti che frequentava di solito era abbastanza difficile trovare persone che si preoccupassero di questo aspetto.
Ciononostante, anche quando la ragazza di turno decideva di volerlo portare a casa con sé non durava a lungo. A nessuna piacevano le sue tendenze a cambiare partner praticamente di notte in notte.
Così, trovarsi sul marciapiede nel bel mezzo della notte non era una condizione nuova per lui. Il più delle volte, prendeva una camera in un albergo, o si faceva ospitare da qualche amico.
Insomma, normalmente non si sarebbe disperato. Eppure, per la prima volta, tra le tante cose che aveva sputato la ragazza di turno, gli era caduto addosso qualcosa che gli aveva veramente colpito a morte il cuore.
Non sarai mai buono a nient'altro che raccattare stupide galline in giro per i locali”, queste le sue esatte parole.
Sul momento, era riuscito a risponderle per le rime, ma adesso sentiva il peso di queste parole sovrastarlo, appollaiarsi sulle sue spalle e sussurragli all'orecchio. Davvero nella vita non sarebbe mai riuscito a fare niente di meglio? Possibile che non avesse altre qualità?
E se così non fosse stato? Questo era tutto ciò che era?
Che altro significato poteva avere la sua vita?
Era vuoto. Nient'altro che un bel guscio, tenuto a lucido sull'esterno ma cavo e incurato all'interno.
Questi pensieri, queste domande, si facevano largo nella sua mente, impedendogli di pensare logicamente.
Oltretutto, non aveva idea di dove andare, non sapeva quale fosse l'albergo più vicino né aveva amici lì intorno. Cominciava a sentire il freddo penetrargli nelle ossa, le gambe lo reggevano a malapena.
Si sedette per terra, le mani nelle tasche, appoggiando la schiena al lampione dietro di lui e stringendo a sé quanto più possibile le gambe, sperando di rimanere solo con i propri pensieri, senza dover accogliere anche il gelo.
Probabilmente, se lo avesse visto ancora lì davanti, la ragazza avrebbe lasciato il calduccio della sua casa per lanciargli una pantofola, accompagnata da gentili epiteti, ma onestamente a lui non importava. Gli bastava rimanere accanto a quel lampione, solo e in silenzio.
A trovarlo, però, non fu lei. Dopo qualche minuto, sentì una voce maschile svegliarlo – non si era reso conto di essersi appisolato, ma a quanto pareva la scomoda posizione non gli aveva impedito di soddisfare quel bisogno di recuperare le forze.
«Hey, che ci fai lì? Va tutto bene?»
Maehara alzò gli occhi leggermente cisposi per il sonno, sbattendo le palpebre nel tentativo di riconoscere qualcosa. Nonostante i colori fossero distorti dalla sua percezione visiva e dalla sporca luce gialla del lampione, riuscì a distinguere due grandi occhi luminosi e dei capelli castani, in realtà abbastanza lunghi per appartenere a un ragazzo. Era appena chinato verso di lui, e gli tendeva la mano libera dalle buste.
«Uh… Tutto ok… Grazie.» mugolò, per quanto la sua voce sembrava non rispondere pienamente ai comandi. Solo allora, piuttosto, si rese conto di come dovesse vederlo il ragazzo – una sottospecie di ubriacone probabilmente in fase di smaltimento della sbornia, addormentatosi in mezzo alla strada perché incapace di tornare a casa.
Avvampò nel realizzare, scattando in piedi e cercando di ignorare la storta alla caviglia che per pochissimo aveva evitato. «Davvero, sto bene. Non ero ubriaco. Sono solo, uhm… appena diventato senza casa. Suppongo.»
L'altro aveva aggrottato la fronte nell'ascoltarlo. Probabilmente, se prima era confuso, ora non aveva davvero idea di che pensare.
Bel lavoro, Maehara.
«Quindi…» Il moro lo guardò, evidentemente non comprendendo a fondo la questione. «Se ho capito bene, eri là sotto perché non hai un posto dove andare?»
“Come sembra tragica detta così.”
«Già. Già, precisamente. A proposito, sapresti per caso indicarmi l'albergo più vicino? Sto congelando.» borbottò, stringendosi nel cappotto.
L'altro rifletté per un attimo, indicando una viuzza buia. «Mh… Mi sa che è parecchio lontano da qui. Se sei a piedi, anche prendendo quella scorciatoia non ci metterai meno di tre quarti d'ora.»
«Oh, fantastico. Grazie mille.» Il ragazzo afferrò la valigia, ancora sullo scalino davanti alla porta, e fece per avviarsi. Non gli piaceva l'idea di restare così tanto ancora al freddo, ma era sempre meglio che dormire sotto a un lurido lampione su chissà quali ricordi lasciati in passato da qualche stupido cane.
«Oh… Aspetta!»
Maehara si fermò di nuovo, ingoiando un’imprecazione. Non avrebbe voluto rimanere lì fermo un attimo di più, ma dopo che quel ragazzo si era comportato così gentilmente con uno sconosciuto come lui non poteva ignorarlo e mandarlo a quel paese a quella maniera. «Cosa c’è?»
Quello sistemò appena la bretella del borsone che portava a tracolla, imbarazzato. «Se vuoi, puoi stare un po’ da me. Voglio dire, il mio appartamento è a cinque minuti da qui, e ora è un po’ tardi per vagare per la città. E poi, non pensare che me ne stia approfittando… ma in effetti mi farebbe comodo qualcuno con cui dividere il pagamento dell’affitto.» ridacchiò alla fine, grattandosi la nuca.
C’è un che di adorabile, nel suo atteggiamento.
Il biondo alzò le sopracciglia per un attimo, quanto mai perplesso da quelle parole. Non gli era mai capitato che un ragazzo gli proponesse di condividere l’appartamento in quelle condizioni, e soprattutto non gli capitava spesso di incontrare quel tipo di ragazzo.
Sembrava terribilmente genuino, sincero, al limite dell’ingenuità. Se si fosse trovato nella sua stessa situazione, di certo non avrebbe messo la propria abitazione a disposizione di un tipo trovato sul ciglio della strada, eppure lui lo aveva appena fatto.
La cosa peggiore era che Maehara non si sentiva impaurito dall’accettare. Non sapeva di preciso perché, ma istintivamente sentiva di non doversi preoccupare.
Nessuno dei due aveva alcun motivo per fidarsi così ciecamente dell’altro – ciascuno di loro due, in fondo, agli occhi dell’altro sarebbe potuto apparire come un ladro, un malintenzionato, ma in qualche modo non c’era questo tipo di tensione. Tutt’altro; anzi, per qualche motivo non riusciva affatto a percepirlo come una cattiva persona, non riusciva a sentirsi diffidente.
Sollevò un angolo della bocca. «Affare fatto. Del resto, se c’è qualcosa in cui posso aiutarti è quella.»
 
Maehara lasciò che un leggero soffio scivolasse sulla superficie del latte al cioccolato nella sua tazza, sentendo il suo odore dolce penetrare nelle sue narici. Erano secoli che non beveva una tazza di quel liquido, tanto da aver quasi dimenticato quanto gli piacesse da ragazzino.
Anche se, probabilmente, avrebbe gradito qualsiasi cosa, ora che si era fatto una bella doccia e aveva infilato il suo maglione più caldo. Oltretutto, l’appartamento, per quanto le dimensioni non fossero stratosferiche, aveva una temperatura decisamente confortevole, anche se mai piacevole quanto il suo (a quanto pareva) nuovo coinquilino.
«Sono felice che tu abbia gradito il latte con il Nesquik. È una cosa veloce, ma sono dell’opinione che non c’è nulla di meglio la sera.» commentò il ragazzo, sedendosi davanti a lui con la propria tazza. Yuuma Isogai, questo il suo nome, era una persona gentile e intelligente, con l’unico difetto di essere fin troppo perfetto. Dentro casa, si era legato la parte superiore dei capelli in un codino, e indossava un maglione dall’aria economica ma che pareva più caldo di un piumone.
Maehara assentì semplicemente, ma doveva ammettere che la soddisfazione che gli ispirava quella fumante bevanda marrone non era neanche equiparabile a quella dei drink e degli alcolici serviti nei locali la notte.
«Quindi, mi stavi spiegando prima…» Alzò lo sguardo sui due letti, entrambi perfettamente in ordine – se non lo avesse saputo, avrebbe giurato che nessuno dei due fosse mai stato usato. «Hai preso questo appartamento per l’inizio dei corsi, giusto? E cosa studi?»
«Economia.» Isogai bevve un sorso dalla sua tazza. «Sono cresciuto in una famiglia essenzialmente povera, quindi è un tema che mi interessa, e mi piacerebbe entrare nel campo del Fair Trade Business.»
«Capisco. Quanti eravate in famiglia? Hai tutta l’aria del fratellone.» scherzò Maehara, con una risata.
Si pentì quasi subito di aver aperto bocca, nel vedere l’ombra che per un istante aveva attraversato il suo viso. Persino quando lui ridacchiò, avvertì un velo di tristezza posarsi sulle sue parole. «In effetti sì, ho due fratellini. Nostro padre è morto da dieci anni, ormai, quindi siamo in quattro, e tocca a me occuparmi di portare avanti la famiglia.»
Il biondo si limitò ad annuire, muto. Aveva l’impressione che un “mi dispiace” sarebbe potuto sembrare quanto mai stupido da dire, in una situazione del genere, come una frase già fatta, vuota.
«E, invece, non lo so…» Il moro si sistemò un piede sotto la gamba, probabilmente attaccando un nuovo discorso nel tentativo di rompere l’imbarazzo. «Parlami un po’ di te. Per esempio, come sei finito di preciso in quella situazione.»
Il ragazzo si mordicchiò un labbro, sporco di cioccolato. Era sempre stato restio a parlare di sé, a esporsi, più che mai in quel momento, in cui tutto sembrava starsi ribaltando.
Ciononostante, istintivamente, senza freni, prese a raccontare, a spiegare della vita che conduceva, a descrivere i bar, le ragazze, gli amici, a dare voce a quello che provava, fino ad arrivare alle ultime parole della ragazza. Non appena aveva aperto bocca, la storia era uscita come in un fiume, quasi in quel latte ci fosse qualche droga, qualche siero della verità.
Più tempo passavano insieme, più aveva l’impressione di appartenere a pianeti completamente diversi. Isogai era una persona ferma, decisa, costante; aveva un obiettivo, dei sogni, delle aspirazioni.
Lui, invece… Non aveva idea di che farsene della propria vita. Non è che sguazzasse nel denaro, ma aveva abbastanza soldi per andare avanti senza troppe preoccupazioni. Aveva una famiglia, dei genitori, che se avesse voluto avrebbe potuto chiamare ogni giorno. Aveva tutto, tranne una meta. Camminava, sempre sullo stesso sentiero, guardando il paesaggio, godendosi ogni passo, ma non sapeva dove sarebbe arrivato, se sarebbe arrivato. Chi lo sapeva, avrebbe potuto trovarsi in questa patetica situazione per tutta la vita, sarebbe arrivato alla fine ancora come un guscio vuoto.
Si bloccò, e prese un respiro profondo. Aggrottò la fronte, trattenendo un “wow” di sorpresa. Tutta quella confusione – la aveva tenuta dentro per chissà quanto tempo, non ammettendo quella sensazione di impotenza neanche a se stesso. Eppure, quella notte, a mezzanotte passata, in un appartamento in cui non era mai stato prima, aveva confessato tutto a un tipo incontrato solo da un’ora, senza filtri né bugie. In qualche modo, Isogai si era trasformato in uno scoglio a cui aggrapparsi in quella tempesta, grazie al quale resistere alle onde, impedir loro di tirarlo sul fondo.
Era tutto così assurdo.
Alzò gli occhi sul ragazzo davanti a lui. isogai lo aveva ascoltato in silenzio dall’inizio del suo discorso, senza giudicarlo né guardarlo male. Era semplicemente rimasto lì, a raccogliere i pezzi che lasciava cadere, a provare ad avviare la ricostruzione del puzzle del suo cuore.
Anche quando Maehara si fermò, restò per qualche istante in silenzio, a riflettere. Poi, piano, aprì le labbra, formulando lentamente le sue parole. «La tua famiglia… sa di questa situazione?»
Il ragazzo lasciò andare una risata amara. «Sai, quando sei l’ultimo di tre fratelli e l’unico ancora scapolo… come dire, non è che passi in secondo piano, ma di certo le figlie con i nipotini hanno la precedenza. Sono loro, in fondo, che hanno più bisogno dei genitori.»
«Però, sai, Maehara…» Isogai strinse le dita sul manico della tazza, come se non fosse esattamente sicuro di poter porre la domanda nel modo giusto. «Penso che dovresti riprendere a studiare. Sai, iscriverti ad un’università, o…»
Qualcosa scattò nel suo cervello. Non riuscì a trattenersi dal tirare un pugno sul tavolo, e si ritrovò ad alzare la voce. «Pensi per caso che non ci abbia pensato? Pensi che non lo avrei fatto, se avessi saputo che cosa studiare di preciso? Eh?»
Davvero, non era sua intenzione. Isogai era stato gentilissimo con lui, più di chiunque altro avesse incontrato nella sua vita. Gli aveva offerto un tetto quando non ne aveva uno, lo aveva aiutato, e tutto senza neanche conoscerlo. Era una persona bellissima, sia dentro che fuori, e Maehara gli era infinitamente riconoscente. Tuttavia, quelle parole gli avevano fatto saltare i nervi. Non riusciva neanche a contare le volte in cui era rimasto steso nel letto a pensare e a chiedersi cosa avrebbe potuto fare di buono, quale avrebbe potuto essere il suo scopo nella vita, ma non ci era mai riuscito. Quella domanda non voleva forse dire che in realtà Isogai non aveva capito un bel niente di lui? Che si era illuso di valere qualcosa ai suoi occhi?
«Lasciami finire la frase, almeno!» Maehara si ammutolì, davanti all’espressione autoritaria e severa che l’altro aveva assunto per un attimo. Altro che Fair Trade Business, lui sì che sarebbe un professore perfetto.
Il moro tirò un sospiro, ricomponendosi. «Quello che volevo dire,» riprese, recuperando un tono tranquillo. «è che qualcosa che puoi fare c’è di certo. Voglio dire, se vuoi posso aiutarti a rifletterci, ma troverai di sicuro qualcosa che sia affine al tuo carattere, ai tuoi gusti. Capisci che intendo?»
«Non è esattamente quello che ho detto, che non trovo nulla?»
«In realtà, no. Voglio dire, ti sei mai davvero informato sui diversi corsi, su tutti gli sbocchi lavorativi e tutto il resto?»
Maehara aprì la bocca per parlare, ma effettivamente la risposta era negativa. La verità era che la sua conoscenza in merito era alquanto ristretta, e se pure avesse dovuto fare un elenco di professioni che gli fossero mai venute in mente probabilmente avrebbe potuto contare sulle dita di una mano.
Doveva avere un’espressione comica, perché Isogai scoppiò a ridere. Persino la sua risata era piacevole, come un vento che dissipa la nebbia.
E poi, è così carina quella fossetta che gli si forma sulla guancia destra.
«Vedi? Ti darò una mano io. Raccoglierò qualche informazione tra i miei compagni di corso, i professori, sai, questo tipo di persone. Troveremo qualcosa che ti appassionerà, ne sono sicuro!» dichiarò, con un sorriso.
Davvero, era così dannatamente gentile, naturale – così puro. Il suo cervello gli diceva di mostrargli la sua gratitudine, di dire anche un semplice “grazie”, ma la sua lingua non rispondeva ai comandi. Tutto quello che riuscì a fare fu seguirlo con gli occhi, come in trance, mentre andava a posare nel lavabo la sua tazza e tornava al tavolo, appoggiando il mento sulla mano e ridacchiare un «Cosa c’è? Ti sei scottato la lingua?»
Maehara rise appena alla battuta, ma la sua testa sembrava concentrata su altro.
Lui non aveva mai creduto nel per sempre né nell’amore a prima vista, e questo era appurato. Anzi, con tutte le passioni passeggere che si erano susseguite nella sua vita aveva cominciato anche a stentare a credere che per lui un vero amore ci fosse.
Per la prima volta, però, forse avrebbe potuto dare una chance, al vero amore.



------ Angolo dell'autrice
Ma salve!!
Anche stavolta MaeIso, ma qualcosa di più serio.
E anche stavolta qualcosa che non interesserà a nessuno. Urrà!
Va beh, scherzi a parte.
Questa è probbilmente una delle storie più "mature"" che abbia mai scritto - non a caso è la prima a rating giallo. L'idea mi è venuta grazie alla canzone Los Angeles, dei blink-182 (mi sono recentemente fissata con il loro album California, yay), e di chi poteva trattarsi se non della mia principale OTP del periodo?
Eee raga non lo so, ammetto che inizialmente ero perplessa se pubblicarla o meno, ma il mio fantastico beta reader mi ha dato l'ok (leggasi "ha sclerato malissimo"), quindi eccovela qui.
Niente, penso di aver finito; spero che appreziate la storia, e ricordate che le recensioni sono sempre gradite!
Bacioni,
Happy.
   
 
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