Serie TV > Supergirl
Segui la storia  |       
Autore: Ghen    15/10/2018    8 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
~
Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
29. Come Orihime sull'altra sponda del fiume


Quando Lena arrivò ai pressi della Luthor Corp, nei parcheggi dove lasciò l'auto nel posto riservato a lei, il suo assistente Winn le venne incontro subito. Appena la vide sbandierò le braccia, alzando una cartellina di fogli colorata. «Signori-», gli mancò il fiato, «Signorina Luthor». Arrivato al suo fianco ansimò e continuò: «È arrivata la signora Gand! Circa sette minuti fa! Mi aveva chiesto di avvertirla se l'avessi vista e sì, ve-veramente ho provato a contattarla anche al cellulare ma non ha risposto, e pensando fosse importante sono rimasto qui fuori ad aspettarla per-per dirglielo il prima possibile». Dopo averle passato la cartellina, batté i denti e si fregò le braccia infreddolite: era rimasto fuori con la sola camicia. La vide sfogliare i fogli all'interno della cartellina, mentre la porta dell'azienda si apriva e li faceva passare. «Ah, quasi dimenticavo: la cercava Kara, emh… è arrivata qui sui dieci minuti fa e l'ho accompagnata al tavolo degli stuzzichini per ingannare l'attesa».
«Hai fatto bene», rispose freddamente, «Adesso vai, a momenti diamo inizio all'asta».
«Sì». Lui annuì e sparì, per poi tornare rapido in qualche secondo. «Sua madre mi ha chiesto di lei, è arrivata proprio poco…», assottigliò gli occhi e smise di parlare quando vide lei ingigantirli.
«Lascia che se la sbrighi da sola per qualsiasi cosa le venga in mente, pensiamo all'asta».
«Subito, signorina».
Non ebbe il tempo di parlare con Kara all'auditorium, che salutò distante e la vide andarsi a sedere insieme a sua sorella Alex e Maggie Sawyer. Nel ritrovare i suoi occhi sentì un peso enorme all'altezza della bocca dello stomaco, intuendo che sarebbe rimasto lì fino al momento in cui le avrebbe detto che, dopotutto, sarebbe stato meglio tenere ancora per loro quella relazione perché non era pronta a rivelarsi alle loro madri. Era l'unica scappatoia che le veniva in mente. E poteva funzionare. Come poteva dirle che Lillian l'aveva presa da parte per chiederle di rivedere le sue precedenti relazioni in modo che capisse di doverla lasciare? A dispetto di ciò che immaginava sua madre, lei ci teneva veramente alla loro nuova famiglia e non voleva che Kara pensasse tanto male di Lillian. In fondo, seppure sottovalutasse i suoi sentimenti per lei, in modo poco ortodosso quella donna sembrava volerla proteggere. La vide entrare mano nella mano con Eliza e andarsi a sedere accanto ad alcuni abituali compratori. Forse, pensò Lena, da Luthor sua madre si sentiva davvero in colpa per ciò che era successo alla famiglia di Kara molti anni prima.
Inquadrò Rhea Gand in un attimo prima di accostarsi al leggio sul palco e dare inizio all'asta con il discorso di apertura. Le era venuto bene; nonostante avesse la voce un poco più bassa del normale, era riuscita a restare professionale e tutti applaudirono. Vide i giornalisti scattare foto, riprendere qualche scena, suo fratello Lex entrare e andarsi a sedere distante da tutti, perfino Maxwell Lord era presente, bisbigliando e sorridendo accanto a dei conoscenti, e Rhea Gand, più attenta a fare bella impressione, a mostrarsi membro attivo della comunità e a portare in alto il mento, che ai primi pezzi dell'asta che venivano presentati dal giudice in microfono, disposto da un lato accanto a Lena. Con i primi venti minuti di vendita, pensò che avessero già recuperato una buona somma per l'ospedale pediatrico designato, ma aspettava il pezzo forte. Fino a quel momento, la signora Gand si era fatta immortalare dalle telecamere mentre alzava la sua paletta con il numero, ma era certa che a vedere il quadretto, se ciò che aveva detto il profilo misterioso era vero, si sarebbe finalmente comportata come una vera acquirente. Ebbe ragione, poiché quando il giudice presentò il quadro con le parole scelte con cura da Lena e Winn il giorno prima, la ragazza la scorse agitarsi, sistemarsi bene sulla sedia come avesse avuto le puntine e tenere d'occhio il palco con la bava alla bocca. Gli addetti lo portarono in visione, liberandolo dal panno nuovo che avevano messo a proteggerlo. La televisione al centro del palco lo mostrò a tutti e Rhea Gand, con grande soddisfazione delle ragazze, fu la prima ad alzare la paletta e a urlare una cifra ancor prima che il giudice potesse annunciare il prezzo di partenza. L'uomo guardò Lena per avere un via libera che non si fece attendere, vedendola annuire. Altri alzarono le palette e, presto, il quadretto diventò l'oggetto più richiesto. Il tempo a disposizione stava per finire, ma Lena sussurrò al giudice di continuare, in modo che la cifra potesse aumentare. Era un azzardo, ma se la donna desiderava davvero il quadretto come lasciava pensare, non se lo sarebbe lasciato sfuggire a qualunque prezzo e Lena ne sarebbe stata un po' più soddisfatta.
«Uh, glielo sta facendo sudare», bisbigliò Alex in mezzo a Kara e Maggie.
La ragazza diede l'ordine di chiudere e, abbozzando un sorriso, vide Rhea Gand sospirare e abbassare la paletta, metterla in terra e dire qualcosa alla vicina di posto, prima di allontanarsi.
L'asta si concluse una decina di minuti dopo, accorciando il tempo degli ultimi oggetti in vendita. Pian piano l'auditorium si svuotò, lasciando i compratori e pochi altri. I primi si misero in fila per il pagamento e la consegna e Lena si spostò, godendosi lo spettacolo di una Rhea Gand, là in mezzo, con lo sguardo emozionato.
«Bella asta», suo fratello la sorprese alle spalle e lei si toccò il petto. «Un peccato che non sia riuscito ad aggiudicarmi niente. Brava. Mi chiedevo solo se avessi un qualche problema con la moglie del senatore Gand: mi pare di aver notato che l'oggetto fosse ormai suo già molto prima che lo lasciassi dichiarare venduto».
«Ha soldi, se lo può permettere», rispose con voce roca, senza guardarlo negli occhi. «I bambini all'ospedale pediatrico ne hanno più bisogno di lei. E tu? Credevo fossi tornato a Metropolis».
«No, mi sto godendo un po' di meritata vacanza», accennò un sorriso. Notò che era strana, ma non ci diede troppo peso finché non vide arrivare Kara in compagnia di Alex e la fidanzata di quest'ultima, notandola alzare le spalle, muoversi in preda all'ansia come se avesse voluto scappare e non poterlo fare, e infine grattarsi sotto la nuca. Era incredibilmente nervosa.
«L'asta è andata a buon fine», dichiarò Kara con energia, alzando le mani a pugno. Le abbassò quando sua sorella la spinse. «Vo-Voglio dire che è stata una bellissima asta, la prima… in effetti… a cui abbia mai assistito». Scambiò un sorriso con Lena ma notò che aveva qualcosa che non andava. «Posso rubarti un momento?», le domandò, congiungendo le mani.
Sfortunatamente lo sguardo di Lena planò dietro Kara, a pochi metri da loro, dove Lillian ed Eliza parlavano con alcune persone. Vide sua madre alzarle gli occhi e si gelò. «Non posso, ho davvero tanto da fare adesso, Winn mi sta aspettando» le rivolse lo sguardo appena e si mosse, per poi fare un passo indietro e riprovarci: «Ci vediamo dopo, va bene?».
Kara annuì lentamente, aggrottando le sopracciglia. Chiese che cosa le fosse preso, ma nessuno poteva risponderle. A parte forse Lex, che seguì lo sguardo di sua sorella. Quando Lillian fu sul punto di tornare in villa, andò a recuperare la giacca sua e di Eliza lasciate in portineria e lui non mancò di seguirla.
«Oh, sei qui», sorrise lei, avvicinandolo. «Considerando che sei ancora a National City, cosa ne pensi se vieni a cena e resti a dormire? C'è ancora la tua vecchia camera, non l'ha toccata nessuno, lo sai».
«Tu sei…», abbassò gli occhi e abbozzò un sorriso, prima di guardarla e farle capire che era davvero serio, «incredibile».
«Di cosa parli?».
«Del fatto che non riesci mai a farti gli affari tuoi», disse a labbra strette e la donna attenuò il suo sorriso, capendo a cosa si riferiva. «Non sei contenta finché non riesci a mettere bocca a tutto ciò che ti circonda». Prese passo per tornare indietro, ma si affrettò ad aggiungere una cosa importante: «Ah! Non disturbarti: ho prenotato in albergo, naturalmente».

Il profilo misterioso aveva avuto ragione e si era rivelato molto utile e cruciale nella loro operazione microspia in casa Gand. Le ragazze, di nuovo in dormitorio al campus, accesero la ricetrasmittente e la sentirono, il giorno dopo, parlare con il marito e appendere il quadretto al muro accanto agli altri della stessa collezione.
«A me non piace», sentirono parlare Mike Gand, «È uguale agli altri; solo il colore cambia».
«Ecco perché non sei un critico d'arte, figlio mio: non capisci niente. Adesso vai», la sentirono strillare, probabilmente troppo vicina alla microspia.
«Uff, non so cosa fare… Volevo invitare Kara a passare l'ultimo dell'anno insieme ma mi ha detto che è occupata! L'avrei inviata come amico, non capisco veramente che cosa devo fare con lei. Questa cosa dell'amicizia non sta per niente funzionando».
Kara abbassò gli occhi, imbarazzata, mentre Alex le passò una mano su una spalla per appoggiarla e Lena strinse le dita con le sue, dall'altro lato.
«Lo so io cosa devi fare: dimenticarla. Quante volte devo ripeterlo affinché ti entri in testa? Il mare è pieno di pesci e tu sei un ottimo partito».
«A te, Kara non è mai piaciuta».
«E avevo le mie ragioni. Vedi che non è riuscita a fare altro che rovinarti».
Tutto si zittì. Udirono dei passi allontanarsi e solo allora la voce di Rhea, ancora tanto vicina alla microspia. Probabilmente doveva stare ammirando il quadro. «Quella stupida ragazzina… Lo ha plagiato, non pensa ad altro come un babbeo».
«Non saprei… probabilmente siamo stati troppo duri in questa storia», parlò il senatore.
«Da che parte stai?», domandò la donna. «Stupida lei e stupida la Luthor. Ti sei perso il suo spettacolino ieri all'asta: dovevi vedere come ha dilatato i tempi quando ha capito che ero interessata al quadro. Chissà poi come sia riuscita ad averlo da Lord… almeno una cosa giusta l'ha fatta».
Sembrava soddisfatta di riavere il quadretto con lei e poco importava che pensasse che Lena aveva calcato la mano in modo da farle spendere più soldi, ora sapevano che era solo questione di tempo perché riuscissero ad ottenere da lei o da lui informazioni importanti di qualunque genere, o che magari confessassero. Erano colpevoli e non c'era alcun dubbio; bastava solo che facessero una mossa sbagliata. Maggie e Alex si offrirono di tenere la ricetrasmittente per prime, registrando e salvando le cose più utili che riuscivano ad ascoltare.
«Ehi», Kara si avvicinò a Lena, intanto che le altre due ritiravano il materiale e lo conservavano con cura all'interno di una borsa. «Allora, per stasera? Tutto okay?». Sapeva che Lena aveva dormito in albergo con Lex la notte prima, ma non le aveva detto altro.
«Sì, certo». Le sorrise, prendendole una mano e iniziando a toccarla delicatamente. I suoi occhi chiari erano tristi però, e bassi. Sfuggenti.
Kara sollevò la mano sinistra libera per accarezzarle una guancia fresca, forzando la ragazza a guardarla. «Ricordi che ti avevo chiesto di non tagliarmi fuori dalla tua testa? Che succede? Se qualcosa non va, puoi parlarmene».
Lena annuì appena e le regalò un altro sorriso, più sincero. «Ne parleremo questa sera, va bene».
«Va bene». Poggiò le labbra sulle sue che, dietro di loro, Alex rumoreggiò con la gola, così si voltarono.
«Noi ce ne andiamo. Vi avremmo invitate a passare la sera con noi, ma pare abbiate altri programmi in mente, quindi…».

Era il trentuno dicembre, l'ultimo dell'anno; una giornata fredda ma poco nuvolosa, perfetta per i fuochi d'artificio. Lena andò in villa per prepararsi per uscire e fu felice di non incrociare Lillian prima che anche loro uscissero. Mentre Kara si preparava in dormitorio, Megan le parlava dell'uscita che l'aspettava col signor Jonzz, che sarebbe passato a breve a prenderla fuori dal cancello per andare al ristorante. Kara era contenta per lei, ma non riusciva a non pensare alla strana aria intorno a Lena. Credeva che con il discorso alla viglia di Natale le cose si sarebbero rasserenate tra loro, invece nonostante fossero passati dei giorni ricominciava a sentire il senso pesante di malinconia contro la bocca dello stomaco: stava per succedere qualcosa.
Uscirono fuori ai pressi del cancello e si strinsero alle loro giacche: le temperatura si stava abbassando. A un certo punto, Kara socchiuse gli occhi e si accigliò, guardandosi intorno. Sentiva che c'era qualcosa di strano e diede un'occhiata dove poteva, scorgendo una coppietta che usciva dal parco davanti al campus.
«Cosa c'è?», le chiese Megan, iniziando a controllare anche lei.
«Non lo so… Sento come se…», scrollò le spalle, «Niente, lascia perdere». Come se qualcuno le stesse osservando.
Jonzz arrivò a breve e Megan salì in auto, scambiando un bacio con lui. Dovevano cercare di non farsi notare, ma in fondo era buio. «Kara», la richiamò l'uomo, «Perché non aspetti dentro il cancello?».
«Non si preoccupi, starà arrivando».
Per fortuna era così, poiché quella strana sensazione cominciava a darle realmente fastidio. Probabilmente si sbagliava però, perché non c'era nessuno.
Lena passò a prenderla con un taxi. Era vestita con un lungo abito da sera, scollato e con spacco alto fin su una coscia, nero. I capelli lisci, tenuti da un lato lungo la spalla. Il bracciale immancabile sul polso. Gli occhi verde acqua risaltati dal mascara; le labbra rosse e lucide, oh, erano da bacio. Da bacio immediato. Appena Kara entrò all'interno del taxi e chiuse la portiera, soffocò il saluto di Lena con le proprie labbra sulle sue e la vettura partì.
«Scusa, sei… No, voglio dire, tu mi devi chiedere scusa, sei troppo… troppo e», arrossì, parlando piano, «e non riesco a resisterti». La vide tirare un sorriso soddisfatto.
«Benissimo, allora… Obiettivo raggiunto, perché non devi proprio resistermi». Si avvicinò e le morse l'orecchio sinistro, lasciandole l'alito caldo e un bacio bollente, tanto che Kara trattenne il respiro e socchiuse gli occhi, sentendo il suo corpo farsi di gelatina e accaldarsi. «E comunque… potrei dire lo stesso di te», le sollevò un boccolo biondo, raggomitolandolo con le dita.
Kara indossava un abito da sera più corto, le arrivava alle ginocchia e aveva una fascia in vita, rosa pesca e aperto sulla schiena. Si era lasciata i capelli sciolti e aveva dato volume ai boccoli, tenuti indietro solo da due forcine rosa per lato. Aveva un trucco leggero, le guance rosate, il rossetto color carne. Il ciondolo della collana risaltava orgoglioso sulla base del collo. Kara rise, le prese il viso con una mano e la baciò. Sembrava normale. Lena sembrava se stessa ora e la cosa la rendeva felice.
Con sua sorpresa, il taxi le portò in stazione e salirono, chiuse bene nei loro giacconi, nello scomparto privato della metro che le avrebbe portate a Metropolis entro ora di cena. Erano sole e avevano un po' di tempo, così Lena le spiegò che avrebbe voluto tenere ancora per loro la relazione. Era assurdo se pensava che stavano viaggiando come coppia verso un'altra città, che non avevano modo di nascondersi da sguardi indiscreti qualora ce ne sarebbero stati, e forse proprio questo non convinse Kara, come se volesse il piede in due scarpe, ma Lena si attenne a quella versione delle cose. Non poteva certo dire di non esserne delusa.
«Cominciavo a pensare che potevamo comportarci come tutte le coppie normali», le confidò Kara, abbassando lo sguardo. «Perché ti sei tirata indietro adesso?».
Lena deglutì e anche lei rivolse altrove il suo sguardo, in cerca di una risposta. Aveva preparato quella sera settimane fa e pensava che per allora ne avrebbero già parlato con le loro madri e che tutto sarebbe andato bene, e adesso… Di certo l'ultima cosa che voleva era chiedere a Kara di comportarsi in pubblico con lei come un'amica, o una sorella. «Non credo di essere pronta. Pensavo di esserlo, ma ora che siamo così vicine…». Ansimò e Kara le strinse una mano.
«Va bene», la baciò sul capo, «Possiamo aspettare».
Lena le sorrise e la baciò, stavolta sulle labbra. Arrivando a Metropolis videro che stavano già lanciando i primi fuochi di prova e si incantarono, davanti al grande finestrino.
Non ci fu bisogno di dirglielo: mossa dalle parole di Lena, Kara si comportò di conseguenza e da quando lasciarono la metro cercò di attenersi al copione delle due amiche che andavano a festeggiare insieme l'arrivo del nuovo anno. Chiamarono un taxi e si fermarono ai pressi di un grande ristorante che Kara non conosceva, ma era di lusso, lo capì presto: era un palazzo alto, adornato di colonne e archi, le automobili lasciate ai parcheggiatori costose e i clienti erano tutti vestiti eleganti. Salirono le scale e Kara si girò, fermando anche Lena.
«Hai visto qualcosa?».
«No», mugugnò. «No, non è niente». Erano seguite? All'improvviso il dubbio: e se fossero stati dei paparazzi? Avevano scoperto la loro relazione e stavano scattando delle foto? Kara deglutì e decise di proseguire: non avrebbe rovinato quella serata con qualche paranoia.
Una delle due ragazze fuori dalle tre porte automatiche d'ingresso diede loro le benvenute. Quando entrarono, ad accoglierle fu un'immensa sala circolare: in mezzo, come un grosso pilastro, c'era un acquario alto almeno tre metri fino al soffitto con all'interno pesci tropicali di ogni colore e forma; c'erano piccoli alberi di Natale ovunque e addobbi natalizi come cordoni dorati e argentati, vischio; intorno c'erano piccoli tavolini circondati da divani e poltrone, tutto pieno. Sia sul soffitto che sul pavimento, lucido, grandi disegni circolari che incantarono Kara. L'aria era calda, le luci gialle e le pareti arancio, che davano un'aria accogliente. Più avanti c'erano due ascensori e dopo aver lasciato i giacconi a un ragazzo che li portò dietro una porta e diede loro un cartellino, Lena la guidò per andare a prenderne uno. Le chiese se era mai stata lì, ma come poteva? Non sapeva neppure della sua esistenza. Ammise che lei c'era stata una volta sola, con suo padre quando era bambina e che le era rimasto impresso. L'ascensore le portò al primo piano: lassù l'aria era diversa, le pareti erano bianco panna e c'era anche lì un grande acquario, stavolta rettangolare, che occupava il centro della sala. Si avvicinarono dai ragazzi che lavoravano dietro al banco e Kara si perse nel guardarsi attorno, negli gli immensi vetri invece delle pareti, al grande via vai di clienti, ai tavoli tutti accanto ai vetri, occupati. Per un attimo si chiese se ci sarebbe stato un tavolo anche per loro. Ora sapeva perché Lena aveva scelto quel posto, se non altro: spararono altri fuochi d'artificio e attraverso i vetri si videro d'incanto; tutti gli ospiti si affacciarono e subito applaudirono.
«Dobbiamo attendere, dieci minuti al massimo», le sussurrò Lena mentre si allontanavano dal banco e un ragazzo, vestito elegante con tanto di papillon dorato, servì loro un vassoio con due bicchieri di champagne. C'erano altri divani e poltrone, probabilmente adibiti per le attese, ma anche quelli erano pieni.
«Mi stupisce una cosa», ridacchiò Kara incuriosita, sorseggiando poi dal suo bicchiere a coppa. «Soffri di vertigini e qui è pieno di vetri».
«I vetri non possono aprirsi e fintanto che non ci vado troppo vicino…».
Risero. Avrebbero voluto scambiarsi un bacio, ma sapevano di non poterlo fare.
«Kara? Kara Danvers?». Quella voce, oh, Kara la conosceva particolarmente bene e le salirono i brividi seppure in quel ristorante ci fosse caldo. Si voltò a destra e si sorprese nel vedere Siobhan Smythe seduta su uno di quel divanetti scuri con un gruppo di altri ragazzi e ragazze, bicchiere di champagne alla mano. Chiese scusa al suo gruppo e le raggiunse, ma per poco non cascò su una poltrona, cercando di non far cadere il contenuto del suo bicchiere. «Ah, lo sapevo che quel confetto rosa dovevi essere tu! E c'è anche Lena Luthor. Perché la cosa non mi sorprende?».
«Perché siamo sorelle e passiamo molto tempo insieme?», rispose prontamente Kara.
«Sì, chiamalo come ti pare», buttò un pesante sorso. «Vi inviterei ad intrattenervi con me e i miei amici ma…», incurvò le labbra, «Loro sono diversi dal tipo di gente che frequentate. O meglio che frequenti tu e Lena Luthor è costretta a farlo per te», aggiunse velocemente, spalancando una mano.
Lei alzò un sopracciglio. «Che sorpresa! Pare abbiano più di quindici anni».
Siobhan sbiancò mentre Kara tratteneva una risata. Fortunatamente, alcune risa lontane le permisero di non ribattere, intanto che tutte e tre e altre persone in sala si voltavano. «Ah, i due generali insieme».
Il generale Lane stringeva la mano di un uomo e rideva a voce così alta da disturbare le persone in sala. Era rosso, probabilmente già brillo. Accanto a lui, una donna in abito elegante.
«Quello è il generale Lane e al suo fianco sua moglie, Ella», esclamò Lena in modo che Kara potesse riconoscerli. L'uomo indossava un completo militare. «I genitori di Lois Lane».
«L'altro invece è Adrian Zod, conosciuto semplicemente come Dru Zod», continuò Siobhan, «anche detto il Generale per i suoi modi di fare autoritari. Se non avesse l'età che ha, personalmente, lo troverei un tipo piuttosto affascinante. È insieme alla famiglia, come vedo». Intorno all'uomo sui sessanta che stringeva la mano al generale Lane c'era una donna, di sicuro la moglie, in compagnia di una ragazza con in braccio un bambino, un ragazzo e un altro più giovane.
«Lavorava per la polizia di Metropolis, da qualche mese è il capitano della polizia a National City», precisò Lena.
Non sapeva perché, ma Kara ebbe una brutta sensazione. E, nondimeno, quella di essere osservata si era fatta più forte. Si guardò indietro: non sapeva cosa pensava di notare, era pieno di gente ma nessuno badava a loro. Si voltò di nuovo e diede un nuovo sguardo ai generali, quando all'improvviso sentì una presenza dietro di lei e scattò d'istinto: afferrò un braccio, spinse il povero cameriere all'indietro che cadde, facendo volare il vassoio vuoto. Kara lo acchiappò a un palmo dalla testa di Siobhan, che iniziò a urlare. La ragazza deglutì e si accorse che la sala si era ammutolita, tutti fermi per assistere alla scena. Anche i due generali. «Scu… Scusate».
Lena formò un sorriso e batté le mani una volta sola. «Sembrava un ragno».
Le persone in sala risero e persero interesse, intanto che Kara dava una mano al cameriere per aiutarlo ad alzarsi e ridargli il vassoio.
«Per… Per fortuna era vuoto», sussurrò lei e lui la guardò duro, strappandoglielo di mani. Lo vide sfregarsi un braccio mentre si allontanava, così adocchiò Zod e Lane che la osservavano. Il secondo fece un cenno con la testa e Lena ricambiò.
Siobhan aveva ancora il fiatone. «Per poco non mi uccidevi, cosa», starnazzò, toccandosi il petto. «Ti credi un ninja, forse? Cos'era quello? Meglio che me ne torni a sedere, prima che ti venga in mente un'altra mossa di karate da sfogare su di me». Si allontanò e ritornò dal suo gruppo di amici, cominciando a parlottare e indicarla.
Una donna, anche lei con papillon dorato, chiese alle due di seguirla poiché il loro tavolo era pronto. Kara tirò un sospirò di sollievo poiché, stavolta, sapeva di essere osservata per davvero.
«Che cos'era quello?», le domandò Lena in un bisbiglio, raggiungendo un ascensore a pochi passi dalla donna col papillon.
«Che cosa?».
«Il tentato camericidio», abbozzò una risata.
«Ah… emh. Mi sentivo un po'… sotto pressione».
«Intendi da Siobhan Smythe?».
Kara ridacchiò. «Hai visto la faccia quando ha saltato il vassoio? Adesso sa che non deve esagerare nel farmi arrabbiare».
Lena tentò di restare seria, infine rise anche lei. «Si è messa a urlare e si sono girati tutti».
Risero insieme ed entrarono in ascensore. Questo le portò all'ultimo piano e, quando le porte si aprirono, Kara non poté credere ai suoi occhi. La ragazza col papillon sorrideva soddisfatta davanti alla sua incredulità. Quella non era una sala come la precedente, affatto: c'era un solo tavolino e intorno a esso un vasto giardino, pieno di fiori, erba, stradine da percorrere, con tanto di laghetto con carpe koi attraversato da un piccolissimo ponte rosso di legno. A fianco all'ascensore, c'era anche un tenero Alberello di Natale. Ma ciò che stupiva di più Kara era il soffitto: perché se in quel piano le finestre erano solo poco più grandi del normale, il soffitto non esisteva, era un vetro tenuto da una fine struttura che scendeva sul muro. Alzò lo sguardo in alto e indicò le stelle, catturata da quando fosse meraviglioso ed enorme il cielo. La donna andò a spostare le sedie pronte per per loro e lasciò i menù, ricordando a Lena che per chiamarla le bastava schiacciare il bottone sul telecomando lasciato sul tavolino, così riprese l'ascensore.
«È immenso». Kara alzò le braccia e rise divertita, iniziando a girare in tondo tanto da farla sbandare e Lena la accolse tra le sue braccia.
«Ma non mi dire, ragazza dallo spazio», sorrise.
Kara si rimise dritta e l'avvolse al collo con le braccia, catturando le sue labbra con le proprie. Si separarono solo per riprendere fiato e, intanto che chiusero gli occhi, si lasciarono andare, premendo sull'altra il proprio corpo, bocca contro bocca, lingua su lingua. Kara le portò le mani sui capelli e Lena contro i fianchi, tastandole la schiena nuda, premendo i polpastrelli con passione.
«A-Andiamo a mangiare, adesso», le disse poi lei, mettendosi a ridere da sola, «Intendo del cibo».
Kara arrossì e abbassò la testa, portandole via un altro veloce bacio. E il cibo, lì, era davvero squisito. Dopo aver letto il menù, chiamarono la cameriera col tasto del piccolo telecomando e dopo una decina di minuti, il tempo concesso alla cucina di preparare i primi, arrivarono più uomini abbelliti coi papillon dorati coi carrelli per la cena. Mangiarono con gusto, parlando delle partite di lacrosse che sarebbero riprese presto a gennaio, il lavoro di Lena alla Luthor Corp, quello di Kara che si sarebbe di nuovo ritrovata a dover a che fare con Siobhan, di Lex che in quei giorni si stava godendo National City, infine del loro piano, di Rhea Gand, il senatore e il loro figlio, Mike.
«Se dovesse confessare…».
«Sapremo che è stata lei, ma…», Lena scosse la testa e incurvò le labbra: Kara sapeva cosa intendeva dire.
«Non potremo usarlo come prova perché sarebbero registrazioni prese con una palese violazione della privacy», si portò le braccia sul petto, pensandoci. «Finiremmo in un mare di guai, Maggie ci ha avvertito. Lei stessa passerebbe un mare di guai solo perché ci sta aiutando».
Lena annuì, versandosi da bere. «Potremmo usare una confessione come un'altra qualsiasi informazione: contro di lei, in un altro modo, magari spingendola a confessare in altra sede. Quello che più dobbiamo sperare di ricevere sono punti deboli».
Kara prese un bel respiro, ripensando, anche solo per un attimo, a Mike. «La cosa lo ferirà… So che Mike è un po' tonto e tutto il resto, ma non sa davvero chi sono i suoi genitori e non si merita di ricevere una botta come quella. Non so come potrebbe reagire».
«Purtroppo non possiamo fare in altro modo».
Kara concordò, seppure a malincuore. «Allora…», riguardò il cielo e mal nascose un sorriso alla sua ragazza, coprendosi con la forchetta, «se già con le finestre dei piani sotto non ti potevi avvicinare, cosa ne pensi di questo cielo stellato?».
Lena ingurgitò un boccone, socchiudendo gli occhi e restando più impassibile che riusciva. «Mi concentro sui muri e cerco di non pensarci. Il senso di vuoto è un po' come le vertigini e diciamo che da piccola me lo ricordavo più divertente».
Kara rise e così Lena con lei, arricciando il naso.
«Ma sapevo che a te sarebbe piaciuto».
Kara arrossì, fissandola.
Si guardarono per un lungo tempo, mentre Lena ripensava alle parole di sua madre e queste la ferivano ancora, riportando la sua mente a una cena con Jack, in un altro ristorante, l'anno in cui morì suo padre. Lui che le stringeva una mano, lei che gli sorrideva come se lui potesse davvero essere tutto il suo mondo. Lo aveva amato davvero e ora amava Kara. Lo aveva lasciato e non aveva sentito niente. Stava male per suo padre e il ragazzo con cui pensava avrebbe vissuto accanto una vita si era rivelato per quello che era: un amore a tempo determinato. Lo aveva amato, ma si era accorta di stare con lui solo per abitudine, tanto che stava con altre relazioni a tempo determinato, con delle ragazze, in cui si sentiva bene. Che sua madre avesse ragione, in fondo? Le sue precedenti relazioni erano un cercare un appiglio, un rifugio, un corpo caldo che la facesse sentire non abbandonata? Capì con la morte di suo padre che non aveva bisogno di loro e di un rapporto forzato, che voleva vivere e farlo amando davvero. Ma se non fosse affatto cambiata? Se la relazione con Kara fosse la sua ricaduta? Poteva permettersi di spezzarle il cuore?
I fuochi d'artificio interruppero i suoi pensieri e vide Kara alzarsi e guardare il cielo con un sorriso. «Oh, non ci credo, guarda».
Lena alzò lo sguardo e vide i lampi luminosi, gli scoppi, il cielo coperto da mille luci di ogni colore.
La ragazza si avvicinò e la prese, portandola con lei sui ciottoli del giardino, sdraiandosi a terra. La tenne vicina a sé, con un braccio intorno al collo. «In questo modo. Se ti gira la testa, puoi chiudere gli occhi e stringerti a me». Poi rise da sola. «Spero non entri qualcuno proprio ora».
«No, è perfetto. Anche loro si saranno fermati a guardarli. Buon anno nuovo, Kara».
«Buon anno nuovo anche a te». Si baciarono, illuminate da tanti colori.
Era il primo gennaio e le due ragazze pensarono che l'anno era iniziato nel migliore dei modi, con i loro corpi stretti, i fuochi d'artificio e la pancia piena. Se non fosse per quell'orribile groviglio all'altezza della bocca dello stomaco che sentiva Kara, e per quell'orribile pensiero nella testa di Lena che le diceva di lasciarla.

I fuochi durarono oltre un'ora e mezza. Le ragazze si fecero un giro per il giardino e i camerieri passarono a prendere i piatti sporchi e poi a portare il dolce. Mentre camminavano a piedi per raggiungere l'albergo a poco da lì, i fuochi ricominciarono, anche se non con la stessa frequenza.
«Sono bellissimi», disse Kara, di nuovo col naso all'insù.
«Vero. Peccato solo che oscurino le stelle: questa notte anche loro sono bellissime», sorrise, osservandone alcune.
«Si vedono meglio d'estate», la rassicurò Kara. Era sul punto di prenderle la mano, così vicina che sfiorava la sua, ma all'ultimo pensò che non sarebbe stato giusto e cambiò idea. «Alcune si incontrano solo d'estate».
«Di cosa parli?».
Kara le camminò davanti, facendo dei passi all'indietro, estraendo un sorriso. «Conosci la storia delle stelle Altair e Vega?». In verità, non ascoltò la sua risposta e continuò a parlare: «Me l'aveva raccontata…», prese una breve pausa, bagnandosi il labbro inferiore e riprendendo il suo sorriso, «mia zia, quando ero piccola. Secondo un'antica leggenda, sulle sponde del Fiume Celeste, che rappresenta la Via Lattea, viveva un imperatore del cielo, padre di Orihime, che rappresenta la stella Vega. Orihime cuciva stoffa e abiti per le divinità. Poiché lei non faceva che lavorare e non aveva tempo per l'amore, suo padre le scelse un marito: Hikoboshi, un pastore che faceva pascolare i buoi attraverso le sponde del Fiume Celeste. Rappresenta la stella Altair». Kara ritornò al suo fianco e non diede più peso ai fuochi d'artificio nel cielo, aspettando che il rumore finisse solo per continuare a raccontare.
Lena la guardò incantata, anche lei senza dar peso ai fuochi che ormai non erano altro che un chiassoso contrattempo.
«I due si innamorarono a prima vista», sorrise Kara. «Da quel punto in avanti, Hikoboshi e Orihime passarono tutto il loro tempo assieme, dimenticando i reciproci lavori, ogni cosa», la guardò, annuendo. «Le divinità non avevano più abiti e i buoi di Hikoboshi vagavano per il cielo senza controllo. Il padre di Orihime, che era l'imperatore, non poteva permettere che i due dimenticassero i loro doveri per stare insieme, così li punì». Si fermò quando si fermò anche Lena, ai pressi di un palazzo. «Lui li separò e condannò a restare ai due lati del Fiume Celeste, in modo che potessero tornare ai propri compiti. Orihime chiaramente era distrutta e suo padre si intenerì, concedendo ai due sposi di potersi vedere, ma solo una volta all'anno, il settimo giorno del settimo mese». Arrossì quando scorse lo sguardo di Lena rapito dal suo.
«Da allora, il settimo giorno del settimo mese, uno stormo di gazze crea un ponte con le loro ali e Orihime può raggiungere il suo amato Hikoboshi sull'altra sponda del Fiume Celeste».
Arrossì ancor di più, sentiva le orecchie bollenti. «Perché non mi hai fermata se conoscevi la storia?».
«Perché lo hai raccontato meglio di qualsiasi versione io ricordassi», le sorrise, portando le mani sui suoi capelli, disponendoglieli meglio sulle spalle. «Il settimo giorno del settimo mese lunare del calendario lunisolare, cade ad agosto».
«Dovremmo vedere le stelle insieme, in estate».
«Approvo».
Kara si guardò di nuovo intorno prima di seguire Lena nell'hotel, con ancora addosso quella strana sensazione. Non era passata, nonostante avesse fatto finta di niente. Qualcuno le stava seguendo? Si sforzò per non sbuffare, per poi girarsi e guardare Lena, bellissima, che la aspettava davanti al portone. S'incantò. Era così affascinante, con una strana aria stanca sugli occhi, i capelli che si erano fatti un poco mossi per come si erano sdraiate sui ciottoli, le guance arrossate, le labbra schiuse, lo spacco vertiginoso del vestito sotto il giaccone. Quella coscia che sgusciava arrogante dal vestito era una tentazione.
«Vieni?».
Kara si voltò ancora solo una volta, poi la seguì.
L'hotel era enorme e lussuoso e, dopo essersi presentate, le accompagnarono nella loro camera prenotata. Erano in alto e anche da quel balcone si vedevano chiaramente i fuochi d'artificio e, a intervallo, le stelle. Uscirono fuori solo per poco. Lena parve volersi accoccolare tra le sue braccia ma cambiare idea all'improvviso, rendendo Kara confusa.
«Vorrei farti una domanda e… vorrei che mi rispondessi sinceramente», propose, osservandola aprire la bocca con sorpresa. «S-Stai pensando di lasciarmi?».
La sua voce era all'improvviso chiusa e Lena deglutì, rimanendo immobile, poggiandosi al corrimano. Sapeva che ci stava mettendo troppo a rispondere e più tempo ci impiegava, più Kara avrebbe pensato al peggio. Ma cosa poteva dire? La verità qual era? «I-Io… Cosa?», abbozzò un sorriso, «Perché mi fai questa domanda?».
Kara abbassò gli occhi. «Non hai… Non hai risposto».
Tornò dentro e Lena si fece forza, seguendola, chiudendo la portafinestra. Le prese un braccio e, quando Kara si voltò, questa le si gettò addosso, baciandola e togliendole il respiro. «Kara…».
«Shh», scosse la testa, «Non fa niente, era una domanda stupida». La baciò ancora. «Non devi rispondere a una domanda stupida».
La vide alzare le spalle e delineare un sorriso, prima di baciarla di nuovo. Eppure era così triste.
Perché doveva lasciare Kara? Non poteva capire se ciò che provava era amore vero stando con lei? Che Kara, a suo modo, la stesse rendendo dipendente da lei? Dal suo calore, dal suo corpo, dai suoi baci, ma anche soprattutto dalla sua voce, dal suo sorriso, dai suoi occhi decisi, dal suo carattere tenero e forte allo stesso tempo. Forse doveva davvero lasciarla per arrivare a capire se fosse un amore a tempo determinato o no. Forse doveva davvero lasciarla perché, se lo era, più aspettava a farlo e più avrebbe lasciato una voragine tra loro impossibile da colmare. E aveva tristemente ragione sua madre: Kara non se ne sarebbe andata, era di famiglia, e avrebbe vissuto forzatamente con lei al suo fianco sapendo che qualcosa tra loro era rotto e impossibile da aggiustare. L'amava e per questo doveva lasciarla: perché non poteva sopportare l'idea della possibilità di farle tanto del male. Ma come poteva farlo? Come poteva, ora, che tanto si volevano? Perché era così difficile? Perché, seppure senza dirle nulla, Kara era riuscita a capirlo?
Le loro lingue si ritrovarono subito, i loro respiri strozzati, la frenesia di un'amore, chissà, destinato a spegnersi. Kara si separò per prima e, con il fiatone, continuando a fissarla e camminando all'indietro, si portò fino alla porta del bagno. Così le fece cenno di seguirla e Lena obbedì.
Non dissero più una parola, attente a non rovinare quel momento.
Kara le passò una mano sulla coscia che l'aveva tentata tanto ardentemente per tutta la sera, stringendo forte, poi accarezzando fin su alle natiche, mentre i loro sguardi erano vicini e Lena le sfilò gli occhiali, poggiandoli su un mobile, per poi affondare la bocca nella sua. I loro respiri si fecero pesanti e caldi, intanto che Kara le stringeva la pelle, attenta a non osare troppo. Lena le passò le mani sui capelli e si distanziò il tanto per vederla negli occhi: brillavano, erano lucidi.
Avrebbe dovuto interrompere ciò che stava per succedere; doveva, davvero. Le ricordò quella notte una settimana prima, alla vigilia di Natale, quando era lei quella tanto presa da Kara: allora, lei, aveva fermato tutto finché non si fossero chiarite. Ma ora, che si trovavano a situazioni inverse, lei non ci riusciva. Non sarebbe riuscita a dire no a Kara, a dire no a quello che stavano per fare, conscia che, probabilmente, sarebbe stata l'ultima volta.
Kara riuscì a slacciarle il vestito e le strinse i fianchi, spogliandola, alitandole sulla schiena calda, che baciò. Lena saltò il vestito sul pavimento e slacciò quello di Kara; le tirò giù la chiusura e le baciò il collo, la prima spalla liberata, il braccio, per poi salire lo sguardo e cercarla ancora nei suoi occhi, cercare il suo desiderio, la sua voglia. Si baciarono con impeto e Lena le tirò il vestito che era rimasto in vita, portandole poi le mani sul seno, e la bocca, slacciandole il reggiseno. Le baciò il collo; immerse il viso sui suoi capelli e Kara portò indietro la testa, prendendo grossi bocconi d'aria. Quest'ultima la circondò con le braccia, la strinse a sé; con la mano destra le carezzò il collo e con la sinistra i capelli disordinati.
Sentirono di nuovo i fuochi d'artificio, ma erano ormai solo un sottofondo lontano da ciò che stavano vivendo nei corpi e nella mente.
Si sfiorarono, si accarezzarono, si baciarono e leccarono con bramosia, finendo di spogliarsi ed entrando sotto la doccia. Lena aprì l'acqua e Kara si tirò indietro i capelli, lasciando che l'acqua le scivolasse addosso. Lena fu subito su di lei, portando la bocca sui suoi seni, facendola gemere piano e appoggiare alla parete di vetro fredda. Portò le mani sui suoi polsi e glieli strinse, alzandole le braccia, aprendole le gambe con una coscia, sfiorarle il suo punto più sensibile. Lena la lasciò andare appena Kara si mosse, prendendole il viso in una carezza e baciandola, e con l'altra mano stringerle i capelli. Fu allora Kara a spingerla alla parete opposta, così ghiacciata che Lena ansimò, ma si lasciò guidare da lei tanto sicura e ferma, mentre esplorava il suo corpo con le mani e con la bocca, inchinandosi lentamente, spalancandole le gambe e poggiando la sua lingua laddove Lena era bollente. Kara sentì il suo corpo vibrare sopra di lei e le strinse le cosce; era sua.
Come doveva essersi sentito l'imperatore a dividere due cuori tanto innamorati? Orihime era sua figlia e la stava strappando alla sua felicità.
Lillian era convinta di aver fatto la cosa giusta a parlarne con Lena in modo che potesse pensare alla sua relazione con Kara e romperla ora, prima che fosse troppo tardi. Così come l'imperatore aveva dovuto pensare agli Déi che non avevano più abiti e ai buoi di Hikoboshi lasciati al loro destino, anche Lillian aveva pensato a tante cose, da quel giorno di Natale quando aveva scoperto che le due avevano una relazione: che fossero sorellastre era importante, non voleva che le ragazze, dopo una brutta rottura, minassero l'armonia familiare; ma ciò che la tormentava davvero era molto altro. Kara era ancora quella bambina che, tanti anni fa, era il centro di discorsi e litigi durati giorni tra lei e Lionel, tra loro e il resto del gruppo, con Rhea Gand che batteva pugni sul tavolo e incitava il resto di loro a rapirla per farla pagare alla madre. Kara era ancora quella bambina per cui la zia, che era diventata una di loro, aveva rischiato la libertà solo per salvarla da persone come lei. Kara era ancora quella bambina per cui Lionel aveva messo in discussione tutto e in pericolo la sua vita, che alla fine aveva perso. Seppure lei e Lionel avevano deciso di andarsene, lasciando ciò che avevano aiutato a costruire in mano ad altri, nessuno poteva correggere il passato e i Luthor sarebbero sempre stati colpevoli. E gli El le vittime. Lillian non riusciva ad accettare che una Luthor, sangue del sangue di Lionel, del padre di Lionel, uno dei tre fondatori dell'organizzazione, potesse intrattenere una relazione sentimentale e sessuale con una delle loro vittime. C'era qualcosa di profondamente sbagliato. Da Luthor, da colpevoli, avrebbero dovuto avere il dovere di proteggere quella ragazza. Lena, che non era capace di avere relazioni durature, le avrebbe solo fatto del male e, da Luthor, sarebbe stata di nuovo colpevole. Non poteva permettere che accadesse.
Ancora non sapeva per qualche scherzo del destino si fosse innamorata di Eliza che aveva adottato quella bambina, ma era perlomeno chiaro che avrebbe dovuto vegliare su di lei. Lionel lo avrebbe voluto.
L'imperatore voleva solo fare la cosa più giusta per un fine più grande.
Non aveva messo in conto che Lena, già adesso, si sentiva carnefice invece di vittima, colpevole, perché lasciare ora Kara era probabilmente già troppo tardi. Il peso della voragine che avrebbe creato tra loro le stava premendo il petto come un pesante masso, quello stesso petto che ospitava il cuore che, impazzito, batteva ora di felicità.
Si asciugarono e Lena la spinse sul letto. Kara era lì, per lei, nuda e perfetta. I suoi capelli erano spighe di grano bagnate, spettinate, le scendevano sulle spalle e sul lenzuolo color arancio, come i raggi del sole. Il suo sguardo era attento e la scrutava con attenzione, la voleva. Le sue braccia erano tese, forti, che reggevano il peso del busto orientato verso lei. I suoi seni ancora turgidi, le gambe semiaperte, che l'aspettavano. Lena si chinò sul materasso e salì a gattoni disponendosi in mezzo alle sue cosce, accarezzandole, così si baciarono. Un fuoco d'artificio illuminò la stanza di blu, poi di verde, ma loro non si lasciarono neanche per un attimo, invece si baciarono ancora, si guardarono e, nel momento in cui una mano di Lena andò a stuzzicarle il punto desiderato tra le gambe, Kara la accolse, prendendo fiato.

«Rhea Gand è rimasta a parlare al telefono come una vecchia comare dell'asta alla Luthor Corp per ben due ore, Kara. Il primo dell'anno. Due ore. Renditi conto di questa persona che a Capodanno, invece di… non so, fare qualsiasi cosa, si ritrova a pensare a Lena e all'asta. Non ha davvero altri pensieri per la testa?».
Kara era al cellulare sdraiata sul suo lettino del campus, ascoltando gli aggiornamenti di Alex sulla microspia. Era passato qualche giorno da Capodanno e a quanto sembrava, mentre loro passavano la giornata facendo festa con amici e relazioni, Rhea Gand parlava al telefono con un'amica del più e del meno. Rise. «Chiediti se era messa peggio lei che parlava al telefono o tu e Maggie che ascoltavate lei al telefono invece di divertirvi».
Alex ridacchiò. «Sempre lei, sorellina: Maggie ed io ci stavamo divertendo un mondo a sentire come minacciava Lena inventando parole sempre nuove. Ne aveva qualcuna anche per Maxwell Lord. È stato istruttivo. Intanto Jamie giocava con gli altri bambini, non che avessimo molto altro da fare. Mai accettare inviti da altri genitori». Alex la sentì ridere e la lasciò, dicendole che presto si sarebbero riviste per scrivere al profilo misterioso e ringraziarlo per la dritta. Chiuse la chiamata e nascose il cellulare in tasca, cambiando totalmente espressione. Accigliandosi, si spostò dal corridoio ed entrò nella sala più grande della sede del D.A.O., dove tre uomini stavano l'uno a fianco all'altro, aspettando il suo arrivo. Dispose le mani sui fianchi e guardò con affronto quegli agenti uno per uno. «Mia sorella-poteva-scoprirvi», esclamò con cadenza e loro non mossero ciglio. «Lei si accorge di queste cose, potevate renderla sospettosa e se è sospettosa trae conclusioni affrettate e parte in quarta verso chissà dove. Seguirla è stata un'incoscienza. Chi vi ha autorizzati a farlo?». Neanche il tempo di porre la domanda che una voce roca interruppe l'interrogatorio, affermando di essere stato lui. Alex guardò John Jonzz con un misto di delusione e incredulità. «Perché mi fa questo? Eravamo d'accordo che io avrei controllato Kara, questi uomini-».
Lui la interruppe: «Questi uomini», con un gesto del capo li congedò e si dispose accanto a lei, prendendola per le spalle in modo che lo seguisse fuori dalla sala, «stavano provando a vegliare su tua sorella. Le cose sono cambiate adesso che avete messo una microspia in casa di quella donna. Non basta più tenerla sott'occhio come una brava sorella maggiore, bisogna agire e tenerla sotto stretta sorveglianza in modo che, se quella donna dovesse trovare la microspia, non provi a farle del male».
Alex si passò le mani sul viso, provando a ragionare. «Lei se ne accorge, John; sono pronta a giurare che se ne sia accorta! Non me ne ha parlato, ma so com'è fatta. Cosa pensi che farà quando capirà che qualcuno la pedina?».
«Per ora non lo so e non mi interessa, è della sua incolumità che parlo», aggrottò la fronte, fermo nella sua decisione.
«Va bene, allora…», bisbigliò scuotendo un poco la testa, con fare stanco e decisamente sconfitto, «Posso almeno decidere io chi la seguirà e come? Devo… Devo poter stare tranquilla che non faccia pazzie senza che io lo sappia».
Lui annuì un poco, acconsentendo. «Va bene. Ma comportati da agente, non da sorella», le consigliò indicandola, intanto che si allontanava.
Alex sospirò e scosse la testa; poi prese di nuovo il cellulare, sentendolo vibrare. «Lena?», rispose al telefono. «Sì, organizziamo. Ci ritroviamo al dormitorio del campus di Kara, Megan è fuori».


***

 

Si ritrovarono lì il giorno dopo, come avevano deciso. Lena tirò fuori dalla borsa il portatile e se lo portò sulle gambe, sedendo sul letto di Kara, intanto che le altre due si mettevano al suo fianco. Così cliccò sull'ara messaggi nera e sospirò, prima di scrivere una risposta.
«Ricorda: lo verifichiamo come fonte affidabile, non per questo realmente degno di fiducia», precisò Alex sul suo lato destro.
«Decisamente non mi fido di lui», ingigantì gli occhi Kara, dal suo lato sinistro.
Z: Sei una fonte utile, volevo ringraziarti per la soffiata.
La risposta arrivò a breve. X: Ho i miei assi nella manica. Allora ho guadagnato la tua fiducia?
Z: Andiamo per gradi.
X: In fondo sono io che faccio un favore a te, cosa vuoi che ci guadagni? Scrivimi se hai deciso.
Le ragazze ci pensarono un po', non proprio convinte che in fondo non ci guadagnasse nulla, non avendo proprio idea di chi fosse. Una brava persona senza secondi fini, d'altronde, avrebbe parlato con la polizia anni fa, se avesse voluto aiutare veramente. Ci avrebbero pensato a lungo prima di scrivergli ancora.
Alex decise di andarsene presto, doveva passare a prendere Jamie dalla babysitter dato che Maggie ne avrebbe avute per le lunghe a lavoro, così le salutò e le due restarono a fissare il portatile per un po', in completo silenzio.
«Sembra come che se la sia presa», Lena parlò per prima e alzò un sopracciglio, spegnendo il laptop.
«Alex?».
«Il profilo misterioso». Sistemò il portatile in borsa e Kara aggrottò la fronte.
«Non m'importa», brontolò quest'ultima. «Ci ha aiutato con il quadro, ma non sappiamo niente di lui. O lei. Vedi?». Scrollò le spalle e la fece sorridere, ma il qualcosa che non andava era ancora lì, pendeva sulle loro teste come la spada di Damocle. «Allora… adesso me ne parlerai?», disse dopo aver preso fiato. L'avrebbe lasciata. Lena l'avrebbe lasciata e Kara lo sapeva che era solo questione di tempo. Lo sapeva da un po' ed era arrivato il momento di affrontarlo.
Lena restò seria e non mosse un muscolo. Era il momento. Era il momento e tutto di lei non era pronto.
«Io pensavo…», iniziò, quasi senza voce, «se non fosse il caso di prenderci una pausa». Era riuscita a dirlo e si sentiva ferita lei per prima, non osava pensare a come stesse Kara, quando già spalancò gli occhi e si portò un po' indietro.
«… pausa?».
«Ho bisogno di pensare ad alcune cose e-».
Lei la interruppe: «E-E non puoi farlo stando insieme? N-Non riesco a capire cosa-». Deglutì e sapeva di avere gli occhi lucidi, mentre il cuore le batteva furioso, tanto forte da faticare a tenere alta la concentrazione su cosa le stava dicendo Lena. «Lo sapevo. Lo sapevo che… che… che mi avresti lasciata», sussurrò con la voce strozzata. Lena tentò di avvicinarsi e lei si tirò indietro. «Ma…». No. No. Non riusciva ad affrontarlo, no. La gola le si era asciugata e le gambe, oh, le gambe stavano per cederle. Forse tremava. No. Era orribile. Perché glielo stava facendo dopo tutto quello che c'era stato tra loro? Eppure… Accidenti, eppure quella era davvero la risposta a tutto: dal groviglio alla bocca dello stomaco, alla malinconia e le lacrime, e infine all'averci ripensato e non volerlo dire alle loro madri. Lena si stava tirando indietro; magari era stata bene, e forse… no, era sicura che lei l'aveva amata davvero, ma si era resa conto che erano sorellastre, che presto ci sarebbe stato il matrimonio, che le loro vite sarebbero state complicate. Troppo complicate. Oppure, come si era ritrovata a pensare altre volte, si era semplicemente stancata di lei. Stancata di lei dopo tutto ciò che era successo, perfino dopo la notte che avevano trascorso all'ultimo dell'anno.
«No!», si affrettò a dire Lena. Oh, no, no, no, no, non sarebbe riuscita a lasciarla davvero. Non voleva lasciarla. Ora lo capiva più che mai. «Vorrei del tempo, questo non significa che-».
«Mi ami». Kara si tirò indietro ancora un altro po', trattenendo a stento le lacrime.
Lena lo vide, lo vide allora il momento in cui il cuore di Kara si spezzò. Capì di aver sbagliato, che era davvero già troppo tardi. Aveva sbagliato i conti e forse li aveva sbagliati da sempre, flirtando con lei per gioco e lasciando che si avvicinassero tanto. Le fece del male e, con il suo cuore che si spezzava, anche il suo non resse più. Il petto le faceva male, come un mostro che la graffiava dall'interno e faticava a respirare.
«Perché hai lasciato che succedesse?», le chiese allora, quando la prima lacrima le solcò una guancia. «Ti ho chiesto se volevi lasciarmi e-e tu non hai risposto, non hai obiettato quando ti ho detto che era una domanda stupida e hai lasciato… hai lasciato che mi perdessi ancora in te, che andassimo a letto insieme, tu-», si morse un labbro e Lena spalancò gli occhi terrorizzati.
«No! Ti giuro, Kara, non è come stai pensando, non lo farei mai».
«Lo hai fatto!», le gridò, «Però lo hai fatto».
«Voglio capire di più della nostra relazione, non- ti prego, Kara, non pensare che non ti ami veramente, non voglio lascia-».
Fu allora Kara a interromperla, con sguardo duro. «Allora sono io a volerti lasciare».
«Cosa?».
«Mi s-sento presa in giro in questo momento e… voglio essere lasciata sola». Strinse gli occhi chiusi e Lena restò pietrificata davanti a lei, senza sapere cosa fare.
«Kara…», le sussurrò, «Ti prego, devi ascoltarmi».
«Ho detto sola».
«Ti prego…».
«Vattene!», gridò e spalancò gli occhi, tanto azzurri e freddi che Lena s'intimorì.
Lei deglutì forzando la gola che le bruciava e, trattenendo gli occhi pesanti di lacrime aprì la porta, guardò per l'ultima volta Kara, ma lei non si mosse, non le disse di tornare indietro, non le disse di fermarsi, non le chiese di raggiungerla, così richiuse dietro di lei e la sentì piangere.
Aveva sbagliato fin da subito e creato un danno irreparabile tra loro. Si irrigidì e strinse forte i pugni e gli occhi, rigando il viso di grosse lacrime. Singhiozzò e si portò una mano contro la bocca, appoggiandosi alla porta, cercando di reggersi e ignorare le ragazze che passavano per il corridoio e avevano iniziato a guardarla. Il suo corpo si stava contraendo dal dolore, non riusciva a resistergli, era troppo forte.
Ora lo sapeva. Sapeva come si era sentita Orihime sull'altra sponda del fiume.




























***

Cosa odono le mie orecchie? Riesco a sentirlo, è un rumore lontano. Sono… applausi? No, forse… cuori che si spezzano. Ops.
Eeeemh, il mio dovere mi impone di chiedervi come vi è sembrato questo capitolo, ma ho sinceramente un po' paura delle vostre risposte :P Continuerò come se niente fosse, divento seria: vi aspettavate che sarebbe andata a finire in questo modo? Le motivazioni di Lillian, il racconto delle stelle Altair/Hikoboshi e Vega/Orihime e il loro paragone, Capodanno?
E, oltre alla loro… rottura, c'è dell'altro! La microspia è finalmente in casa Gand insieme al quadretto: riusciranno a scoprire qualcosa di importante? Cosa ne faranno delle informazioni? A quanto pare John, prevedendo la pericolosità della microspia in quella casa, ha fatto pedinare Kara. Anche se ad Alex l'idea non è piaciuta. Nel locale a Metropolis, Kara e Lena non hanno incontrato solo Siobhan: ci sono due generali in città! È finalmente svelata l'identità del Generale nominato da Rhea Gand capitoli addietro? Ve lo aspettavate?
Riguardo quest'ultimo ho piccole note da fare:
- Ho cambiato il suo nome per forza di cose: Dru diventa un soprannome, mentre Adrian, che mi sembrava il più adatto, il suo nome di battesimo
- Conosco poco questo personaggio, quindi l'ho caratterizzato con le informazioni in mio possesso e delle ricerche al pc; spero possiate comunque gradire questa mia versione di Dru Zod
- Cercando in rete, ho capito che il Generale aveva famiglia, ma non ho trovato nomi né quanti parenti avesse, quindi me li sono inventata, ahah

E ora vi saluto, ma prima vi dico una cosa (e spero nessuno abbia gettato il pc fuori dalla finestra: mi riferisco a te, Celian ;)): non amo l'amaro, opto sempre per il dolce. Questa è una rottura ma ehi, la fan fiction non è finita!
Il prossimo capitolo, puntuale come un orologio svizzero qui lunedì 22, si intitola Dipendenza da lei. Sarà uno dei capitoli più lunghi che abbia mai scritto ma a dispetto di questo e lo scorso non era possibile tagliarlo. Alla prossima :)



   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supergirl / Vai alla pagina dell'autore: Ghen