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Autore: _Bri_    27/10/2018    4 recensioni
Raccolta di One-Shot legate alla long "Di Ghiaccio e Tempesta", completata e disponibile sul mio profilo. Auguro una buona lettura ai vecchi e nuovi lettori.  
1 • Wild
2 • Primo appuntamento
3 • George's Dilemma
4 • La Festa
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, George Weasley, Nuovo personaggio | Coppie: Draco/Astoria, Harry/Ginny, Lucius/Narcissa, Ron/Hermione
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Denti di Soffione

 

 

Wild

 

Il terreno coperto di crepitante neve, cedeva sotto gli scarponi ammorbiditi dal tanto camminare, in cui quei piedi davvero piccini erano ben chiusi.

 

Aveva scelto quelle scarpe in un momento di estrema solennità, in un negozio di attrezzatura tecnica babbana, perché spesso e volentieri i maghi erano troppo pieni di sé, troppo sicuri che con la magia avrebbero potuto risolvere e migliorare qualsiasi cosa e, per questo, non esisteva in tutta Inghilterra un negozio con prodotti “magici” abbastanza validi. Ma i babbani potevano affidarsi solo a loro stessi, al loro corpo che necessitava di essere salvaguardato in ogni modo, perché non ci sarebbe stata magia, pozione od unguento a rimediare repentinamente a qualche infortunio di sorta. Così aveva infilato quelle scarpe, sotto lo sguardo allibito del commesso che guardava quella ragazzina troppo mingherlina, che di certo avrebbe avuto difficoltà persino ad affrontare un sentiero collinare; figuriamoci quando lei, serenamente, confessò al curioso ragazzo babbano che avrebbe presto raggiunto il campo base dell’Annapurna

 

“Che c’è, sei in un gruppo organizzato?”

 

Quello, con una zazzera di capelli ramati che le facevano male allo stomaco, continuava a farle domande ed appunti davvero sconvenienti; era proprio un impiccione: Ma quanti anni hai? Hai mai affrontato un sentiero di montagna? Mamma e papà cosa ne pensano? Ma lei si limitava a camminare avanti e indietro per il corridoio del negozio, spostava il peso sulle punte e poi sui talloni, piegava le ginocchia. Alla fine uscì dal negozio dopo aver risposto giusto alla metà di quelle domande ed in maniera piuttosto vaga, ma quando il babbano aveva visto la montagna di sterline in contanti, utili a pagare scarponi, borraccia, zaino tecnico, impermeabile e due paia di calzoncini da trekking, aveva cucito la bocca ed era passato ad occuparsi del prossimo cliente.

 

Matilda riempì lo zaino quella notte stessa, all’interno di una delle accoglienti stanze del Paiolo Magico. Nessun incantesimo di estensione fu posto su di esso, perché per il momento sentiva, forte, l’esigenza di farcela davvero da sola, per una volta nella vita. Era stato tutto troppo; sentiva, senza reale motivazione, di dover espiare delle colpe che non le appartenevano. Alla fioca luce di una lampada ad olio, con lo zaino riposto in un angolo sicuro della stanza, aveva ricontrollato più volte la mappa che aveva studiato con attenzione sulla quale, con meticolosità maniacale, aveva appuntato i quattro punti di viaggio che l’avrebbero accompagnata per due anni

 

Nepal

 

Sierra Nevada

 

Sud Africa

 

Svezia

 

Aveva ripiegato la mappa con un colpo di bacchetta e, spenta la luce, si era rifugiata sotto le coperte, sicura che avrebbe passato quella notte senza chiudere occhio. Del resto il giorno dopo una passaporta prenotata due mesi prima le avrebbe aperto la strada ad un viaggio lungo e complicato.


A ripensare a quella nottata le veniva da ridere. Ormai era partita da un anno e mezzo e non le mancava che l’ultima tappa, per completare il suo viaggio formativo.


La Sierra Nevada l’aveva messa a dura prova: aveva preso contatti con un’importante studiosa di Magizoologia; una strega d’origini greche, che aveva passato la propria vita a studiare i Jobberknoll, di cui il brullo territorio Statunitense brulicava. Per raggiungerla ed affiancarla nell’osservazione ornitologica, Matilda aveva affrontato lunghi percorsi tortuosi e si era ritrovata più di una volta, durante il corso della prima settimana, a pensare davvero di voler mandare tutto al diavolo e tornarsene alle comodità della sua vita. Quando le scarpe le spaccarono i talloni ed indolenzirono le unghie degli alluci tanto da farle venire le lacrime, Matilda si era fermata e, presa da un raptus di rabbia le aveva sfilate e scagliate via. Fortuna che nessun avventuroso babbano passò di lì in quel momento, altrimenti oltre ad essere scambiata per pazza, avrebbe anche dovuto sostenere una conversazione che non voleva affrontare.

Così, seduta su un masso dolce poco distante dallo stretto e dissestato sentiero che stava seguendo, a piedi scalzi e con le lacrime agli occhi, Matilda cedette alla malinconia ed alla nostalgia di casa.

Nostalgia per i suoi genitori, che non aveva più visto dalla notte della battaglia di Hogwarts, avvenuta ormai più di un anno prima.

Nostalgia per Draco, del quale aveva rifiutato gli incontri, perché non si sentiva ancora pronta ad affrontare lui, tantomeno il germoglio del loro nuovo rapporto, che per il momento doveva, secondo Matilda, riposare ancora sotto la terra per rinforzarsi e fiorire con dignità.

Nostalgia dei suoi amici e della sua famiglia, che comprendeva sia i Weasley che Andromeda ed il piccolo Teddy. Una delle colpe che sentiva di dover sollevare era di certo quella nei confronti dei Weasley; aveva ridotto, con loro, le spiegazioni all’osso, dicendo che doveva partire, che era un’occasione unica e che non avrebbe più esitato. Se Arthur e Molly fecero finta di crederci, Ginny le aveva inviato subito un gufo da Hogwarts, chiedendole spiegazioni. Ma lei non lo poteva di certo dire, che con George le cose non stavano andando come avrebbe sperato; ne parlò con Hermione (che aveva rapito durante una sua uscita ad Hogsmeade) e si confidò con Daphne, che intanto aveva trovato, assieme a Lee, un modesto appartamentino a Diagon Alley. Ma a Ginny proprio non riuscì a dire nulla, perché sapeva che l’avrebbe ferita e che lei avrebbe fatto di tutto per fermarla e convincerla a risolvere le cose nell’imminente.

No. Toccava a lui, parlare con i propri genitori e con la sorella.

Lasciò a George le spiegazioni del caso.

George, la sua altra, enorme, mancanza.

Il vento rigido e tagliante non la risparmiò, in quel drammatico momento. E con quello arrivò l’immagine di George, a torturarla ancora di più. Le mancava da morire, questo era un fatto. Si chiese se non avesse fatto una cosa assurda, scegliendo di lasciarsi la loro relazione alle spalle, per affrontare qualcosa che, con ogni evidenza, era troppo grande per lei. Ma chi si credeva di essere, eh?

Era arrivata, lei: Matilda Malfoy, tremate al suo passaggio! Nessun’avversità l’avrebbe fermata, perché lei avrebbe domato la natura selvaggia conquistando i saperi più remoti delle creature magiche!

Si, come no.

Ridicola, ecco cos’era. Ridicola. Lei, il suo zaino troppo pieno e le sue inutili e scomode scarpe babbane. Era vero, i primi cinque mesi di viaggio erano passati e lei aveva spuntato la tappa nepalese, da cui aveva appreso moltissime cose utili sugli Occamy, aveva conosciuto maghi e streghe eccezionali ed aveva fatto il pieno di serenità approcciando, con animo scoperto, allo spirito meditativo con cui quell’incredibile popolo si affacciava alla vita. Ma appena lasciato il Nepal, Matilda si sentì svuotata e, nuovamente, era crollata in un angusto malessere in cui a malapena riusciva a respirare.

 

La notte passò lentamente, troppo lentamente. Non era più in grado di definire quando era stata l’ultima volta che aveva dormito in pace sette ore di fila; eppure non si diede per vinta, testarda com’era. All’alba del nuovo giorno chiuse la tenda magica, la incastrò sulla cima dello zaino e decise di riprendere il suo cammino.

 

Fu l’incontro con Metrodora a darle una nuova carica d’energia. Matilda la incontrò nella sua riserva dopo tre settimane di cammino; la strega all’apparenza rigida e ostica, dall’accento mediterraneo, si mostrò una donna di grandi qualità. Il fisico minuto ma ben definito era lo specchio di una vita di solitudine emotiva, dedicata in tutto e per tutto alla sua grande passione. Matilda, dopo una ripida salita conclusa al calar del sole, intravide la strega accanto ad un cespuglio di rovi, apparentemente nel nulla cosmico, con le mani poggiate sui fianchi

 

-Voi inglesi! L’unico frangente in cui dimostrate di avere forza è sul campo di Quidditch!- le gridò la donna, che subito le dette le spalle facendole segno di seguirla. Matilda non riuscì a balbettare una singola parola, complice l’estrema stanchezza ed il fatto che quel “saluto” l’aveva davvero colta alla sprovvista. Eppure, una volta dentro la piccola casa di legno situata ai margini del lago Tahoe, la streghetta si sentì subito meglio; Metrodora la nutrì a sufficienza, fornendole una lunga serie di pietanze che lei divorò con l’ingordigia di chi non consuma un pasto decente da settimane. Con tutta quella fame non aveva nemmeno fatto caso all’enorme quantità di monili, libri e pergamene che ingombravano lo spazio, comunque molto accogliente.

Dopo essersi riempita la pancia ed aver ingollato un quarto di retsina, vino greco dall’intenso sapore di resina di pino d’Aleppo, Matilda alzò finalmente gli occhi su Metrodora, sedutale davanti ed intenta ad intrecciare la lunghissima chioma scura in una lunga treccia a spiga. Matilda sospirò davanti a quella scena, ricordando con molta amarezza quel gesto che lei soleva compire quasi ogni giorno, spesso e volentieri per contrastare episodi d’ansia galoppante che tendevano ad attanagliare lo stomaco. Lo sguardo accigliato non sfuggì alla donna, la quale assottigliò gli occhi scuri, increspati da lunghe ciglia nere e contornati da una manciata di rughe, che tutto sommato contribuivano ad aumentare il fascino severo della strega. Le labbra sottili scoccarono assieme ad un brusco movimento della mano, che andò a scacciare l’aria davanti lo sguardo tremolante di Matilda

 

-Dalle tue lettere mi aspettavo molto più entusiasmo, ragazzina. Se nemmeno un mese di cammino ti ha già ridotta in queste condizioni, non oso immaginare come uscirai dai cinque mesi di preparazione nella riserva-

 

Non si aspettava quell’irruenza lì, no davvero. Matilda si ritrovò a pensare che la solitudine fosse una droga potente, dalla dipendenza facile; avrebbe difatti preferito tornare a dormire sul pavimento ruvido dei sentieri montuosi, piuttosto che essere scaraventata in un confronto con quella donna. Nonostante la voglia di ribaltare il tavolo e scappare via, Matilda ingoiò le lacrime e l’amaro, decidendo infine di rispondere che no, non era preoccupata dai mesi che sarebbero seguiti e che mai aveva desiderato tanto portare avanti un obiettivo, ma che era ancora molto provata dagli eventi dell’ultimo anno, di cui comunque non voleva parlare. Metrodora la studiò a lungo, prima di annuire e condurla nella modesta stanza in cui avrebbe dormito: il giorno dopo sarebbe iniziato il suo “addestramento” al nascere del sole, momento migliore, a detta della strega più anziana, per interagire con i Jobberknoll.

Quasi decisa a mollare, ma troppo stanca per prendere davvero in considerazione l’idea, Matilda si abbandonò sul letto a seguito di un lungo bagno ristoratore. L’ultimo pensiero prima di chiudere gli occhi, quella notte, fu rivolto ai pasticci di zucca di Molly Weasley, accoglienti come i suoi caldi abbracci.

Fu il giorno seguente, che Matilda fece la conoscenza di Santiago.   

 

A ripensarci, mentre allungava il passo chiusa in un guscio di goretex, implementato da un incantesimo riscaldante, verso l’ultima meta del suo lungo viaggio, Matilda non riuscì a negarsi un sorriso. Quella era stata una vera iniezione di energia, al tempo della meta nord americana.

 

Dopo una colazione così frugale da ricordarle la permanenza nella casa della vecchia prozia Lucrezia (ancora assurdamente viva e nel pieno delle forze, per quanto ne sapeva), Metrodora l’aveva condotta lungo i margini di quel meraviglioso specchio d’acqua che ricalcava le sagome del territorio montuoso, per poi inoltrarsi fra gli imponenti pini che svettavano verso il cielo ancora tinto di sfumature rosee

 

-Allora ragazzina, cosa sai dei Jobberknoll?-

 

Matilda, che tentava di tenere il passo dell’energica strega, rispose svelta e puntuale, come ai tempi di Hogwarts

 

-Sono piccoli volatili dal piumaggio chiazzato; sono innocui ma molto utili! Difatti le loro piume possono essere utilizzate per potenti pozioni mnemoniche, nonché nella preparazione della veritaserum! La particolarità di questo piccolo uccello magico è che, per tutta la vita, essi non emettono un suono, essenzialmente sono muti: solo in punto di morte, il Jobberknoll pronuncia un verso che racchiude ogni singolo suono che ha registrato nel corso della sua intera esistenza!-

 

-Ehi! Sarà mica un Jobberknoll anche lei? Metro, forse dobbiamo preoccuparci per la piccoletta, visto tutte le parole che è riuscita a pronunciare in un’unica risposta!-

 

Quel tono canzonatorio arrivò alla destra di Matilda, nei pressi di Metrodora. Matilda si guardò intorno con frenesia, piccata da quell’intrusione

 

-Scusa il ritardo, fossi stata sola sai che ci avrei messo la metà del tempo ad arrivare-

 

Accanto ad un’alta torretta di legno, un ragazzo teneva le braccia conserte e guardava, divertito, nella loro direzione

 

-E dire che di solito sono io quello perennemente in ritardo! Allora, tu saresti Matilda?-

 

Sorriso limpido, largo e fastidioso. Carnagione ambrata. Occhi sottili, ma docili e neri come il buio. Una chioma mediamente lunga rasata ai lati e tirata in un codino lucido sopra la nuca.

 

Matilda spiò prima Metrodora, che si era avvicinata al punto di vedetta e poi il mago, che ricambiava incuriosito e divertito quell’occhiataccia

 

-Forza, tutti dentro!- li intimò Metrodora. Il giovane mago si spostò dall’entrata

 

-Prima le signore- disse, allargando un braccio ed accompagnando il movimento con un sorriso molto divertito. Matilda non gli negò un’altra brutta occhiata, prima di seguire con passetti celeri Metrodora arrampicata sulle scale a chiocciola interne alla struttura.

 

Il ragazzo si era presentato come Santiago. A detta di Metrodora lui era il suo assistente da circa cinque anni; l’unica persona con cui la strega aveva assiduamente a che fare nella solitaria riserva dedicata ai Jobberknoll. Matilda aveva ricevuto da quello tutta una serie di informazioni di cui non voleva sapere nulla: di origini miste, Santiago aveva 24 anni, era figlio di una visionaria Cubana e di un mago Washoe, popolo che in tempi antichi aveva popolato il lago Tahoe e di cui pochi reduci costituivano una piccola comunità magica agli argini opposti del lago. Non la finiva più di parlare, quello lì. Matilda aveva risposto, per pura cortesia, solo ad un terzo delle domande che Santiago le aveva posto con viva curiosità. Poi lo mandò al diavolo quando, tutta presa dall’osservazione di un piccolo stormo appollaiato poco distante, Santiago cacciò un urlo alle sue spalle, che aveva fatto volare via gli occhiali incantati che le erano stati forniti da Metrodora (terribilmente simili a quelli spettrocoli che Luna Lovegood soleva indossare)

 

-Finalmente è arrivato il mensile dei Guardiani della Notte! Che figata pazzesca!-

 

Matilda rinforcò gli occhiali che mascherarono lo sgomento indirizzato a Santiago, tutto eccitato  con quella stramba rivista in mano e che sembrava indifferente alle beccate che il gufo gli stava rifilando per farsi dare il compenso.

Santiago era arrivato come un terremoto, nella vita decisamente scombinata di Matilda, così come Metrodora fu un fondamentale ago della bilancia.

 

Socchiuse gli occhi e percepì l’aria gelida insinuarsi sotto la sciarpa atta a coprire buona parte del volto. Da quell’incontro era passato un anno, ma era come non fosse passato un giorno.

 

La conoscenza con Santiago si era assodata pianissimo, con una ritualità assordante e chiassosa, costante come lo scorrere dell’acqua di un magro torrente.

Dal loro primo incontro, ogni singola sera tranne il venerdì, perché come lui aveva specificato il venerdì doveva occuparsi dell’istruzione del fratello minore e degli altri piccoli maghi e streghe della sua comunità, Santiago si presentava alla porta della casa di Metrodora portando con se confusione e vitalità. All’inizio Matilda si mostrò restia a qualsiasi tipo di contatto che non fosse finalizzato allo studio e la cura dei Jobberknoll, ritirandosi nella sua stanza dopo aver consumato il pasto ed aiutato l’ospite nelle faccende domestiche. Eppure, quando si chiudeva la porta alle spalle per immergersi in letture sacrosante e solitarie, le voci dall’atipico accento la massacravano: risate, bisticci, canzoni accompagnate dal ritmico suono della chitarra classica che Santiago portava sempre con sé. Se agli albori di quel rapporto Matilda rifiutava le confidenze, più i giorni passavano, più Metrodora riusciva a strapparle qualche parola. Così le parole sbocconcellate diventarono fiumi in piena che sfondarono le porte dei traumi accumulati: tra un bicchiere di retsina e l’altro, che non mancava mai sulla tavola di Metro, Matilda parlò ai due compagni della seconda Grande Guerra Magica, dei Mangiamorte e della sua famiglia, ponendo l’accento sul suo gemello, da cui aveva preso le distanze in giovanissima età. Raccontò delle torture che i Carrow avevano inferto ai giovani ribelli di Hogwarts, del loro amato Preside che non c’era più e di come Harry Potter aveva sconfitto Tom Riddle. Parlò dei suoi amici e della famiglia ritrovata e poi smembrata. Accennò ai Weasley, senza però scendere in quei dettagli che facevano sanguinare una ferita ancora fresca.

Durante la tiepida sera del trenta Maggio, mentre Santiago accordava la chitarra e Matilda affiancava Metrodora nella preparazione della cena, si ritrovò a nominare, inconsapevolmente e per la prima volta, Fred e George. Era lì, a tagliare dei cavolini di bruxelles ed inevitabilmente si ritrovò a ricordare quell’episodio collocato in un tempo troppo lontano, quando George l’aveva frenata dal saltare alla gola del suo amico Ron. Ne parlò serenamente, tirando via anche una risata, per poi rabbuiarsi all’istante. Santiago smise di manovrare la chitarra e puntò lo sguardo su l’inglese, con i pugni serrati sui margini del lavello di marmo; Metro rilasciò i coltelli con un fugace movimento di bacchetta, prima di poggiare una mano sulla spalla di Matilda

 

-Non devi, se non te la senti-

 

Ma lei scosse con furia la chioma leonina, che aveva deciso di continuare a tagliare sopra le spalle. Rivoli caldi di lacrime salate andarono a perdersi sul fondo del lavello, prima solitarie nella loro discesa, poi torrenziali

 

-Fred era il gemello di George- pigolò, tirandosi via le lacrime con il polso.  Metro e Santiago si scambiarono un’occhiata d’intesa, così la donna accompagnò Matilda a sedersi. Dopo un lungo silenzio inondato dal pianto, trovò la forza di confidare l’ultimo tassello che mancava alla sua storia. Raccontò di quel suo primo grande amore, di come era stata conquistata dalla vitalità e l’energia di George, affermando di aver trovato il coraggio di seguire la sua strada solo a seguito della conoscenza del mago. I due spettatori di quella drammatica confessione capirono al volo quale rapporto aveva legato Fred a Matilda e del perché lei non riuscisse ad accantonare tutto quel dolore. Era passato più di un anno da quella tragica notte che aveva visto vincitore il popolo magico d’Inghilterra, ma che aveva anche portato alla morte di Tonks e Fred, membri della sua vera famiglia.

Per la prima volta non si curarono del tempo che stava trascorrendo; del resto i Jobberknoll avrebbero aspettato. Era decisamente più importante dare spazio alla strana compagna che aveva incontrato il loro cammino, bisognosa di tirare fuori tutto quel dolore.

Arrivò così, anche per Matilda, il tempo di cominciare a guarire davvero.

Festeggiarono i suoi diciannove anni in privato, accompagnati solo dai rumori della radura in cui erano inseriti. Il regalo più grande che quei semi sconosciuti le fecero, fu permetterle di aprirsi a loro e ricambiare con i loro pezzi.

Così Matilda scoprì che Metrodora aveva abbandonato Skyros, la piccola isola greca da cui proveniva, in giovanissima età per seguire il suo maestro in America, ma che a seguito della morte d’avvelenamento del mago, al quale non riuscirono a porre rimedio trovandosi isolati, Metro aveva deciso di rimanere nella Sierra Nevada e dedicare la propria esistenza alla ricerca e la cura di quei particolari volatili, studiati in vita con estrema passione dall’uomo.

Da Santiago ricevette molte più informazioni, essendo spigliato e logorroico per natura: i genitori vivevano nella comunità magica di cui faceva parte, laddove la madre esercitava il suo lavoro di veggente. Aveva un fratello di ben quattordici anni più piccolo, che presto sarebbe entrato ad Ilvermorny, la scuola di Stregoneria in cui aveva studiato anche lui. Matilda e Santiago parlarono a lungo delle diverse scuole e delle case di appartenenza; il mago la prese sufficientemente in giro per aver fatto parte della casa di Salazar, così come Matilda non si risparmiò di urlargli contro che Tuono Alato suonava tanto come una presa in giro, per uno dalle origini nativo americane come le sue.

 

Si sentì arrossire, eppure il freddo del territorio svedese in cui era inserita era un valido deterrente del calore. Lanciò uno sguardo alla guida che le stava facendo strada, che si lamentava di qualcosa nella sua lingua madre. Probabilmente aveva timore di incontrare dei Berretti Rossi, pronti ad attaccare gli avventurieri che percorrevano la breve ma difficoltosa distanza che li separava dalla riserva; per via di incantesimi di protezione molto potenti, infatti, nessuno aveva il permesso di percorrere quel chilometro se non a piedi. Ma a Matilda non importò, persa com’era nei ricordi di una delle ultime sere passate sul lago Tahoe.

 

-E quindi fra tre giorni te ne vai. Devo ammettere che mi mancherai, ragazzina- Metrodora allungò le gambe sul dondolo posto sulla veranda, per dare slancio e movimento. Stavano attendendo l’arrivo di Santiago, che aveva promesso non avrebbe mancato la visita nonostante fosse venerdì. Matilda rabbrividì appena e si strinse nella coperta di lana viola di Metro; fortuna che presto sarebbe sbarcata in Africa e di coperte non avrebbe avuto il bisogno

 

-Sono sicura che non rimpiangerai la mia presenza costante: finalmente potrai tornare alla tua amata solitudine, anche se Santiago continuerà ad assillarti-

 

Metrodora ridacchiò ed allungò una mano per spingere appena la spalla di Matilda

 

-Sai, ho l’impressione che non lo vedrò più così spesso fuori dall’orario “lavorativo”-

 

Matilda la guardò stupita –Come mai dici questo?-

 

-Ah, ragazzina…devo spiegartelo io o ci arrivi da sola? Tiago non è mai stato così tanto presente, prima che arrivassi tu. All’inizio credevo si fosse responsabilizzato un po’, magari per darsi un tono davanti ad un’estranea tanto volenterosa come te…ma poi questa vecchia strega si è resa conto che ci fosse dell’altro-

 

-Tu non sei vecchia!- rispose a caso, Matilda, non capendo comunque bene dove l’altra volesse andare a parare

 

-Ti pensavo più arguta; davvero vuoi farmi credere di non aver capito che ha un debole per i tuoi larghi occhi chiari?-

 

Matilda, imbambolata, fece scoccare la bocca un paio di volte, anche se alcun suono uscì dalle sue labbra, cosa che fece ridere Metro di cuore

 

-Onos! Hai passato troppo tempo con i nostri cari volatili! Oh, è arrivato Tiago-

 

Metro scese dal dondolo lasciando Matilda a boccheggiare ancora un po’, mentre Santiago correva verso di loro trafelato, con i capelli ondulati lasciati sciolti, a coprire la rasatura

 

-El idiota de mi hermano! Era sparito! Proprio oggi!- Ruggì lui, liberando la schiena dalla tracolla della chitarra

 

-Potete smetterla di parlare nelle vostre lingue e tornare all’inglese, per piacere?- protestò Matilda, dalla ritrovata parola. Quando però incontrò lo sguardo di Santiago che, come sempre, aveva in un attimo ritrovato il sorriso, Matilda avvampò. Fortuna che la notte nascose per bene il suo anomalo colorito

 

Metrodora mollò una pacca sulla spalla di Santiago -Finalmente ti riconosco, sei tornato a fare ritardo. Forza andiamo dentro, bisogna festeggiare!-

 

Consumarono la cena irrorando i pasti di vino, seguito da dell’ottimo gin che Matilda si era premurata di reperire il giorno stesso. Sulle note della chitarra di Santiago, i tre passarono buona parte della serata a ridere a perdifiato, spendendosi in racconti di ricordi decisamente imbarazzanti. Scoprirono che Metrodora, in età scolastica, era apparsa sulla copertina de “Le luci di Atene”, indossando un costume all’ultimo grido. Lei specificò più volte che aveva accettato quel servizio fotografico solo per mettersi in tasca un po’ di soldi e che non era mai stata una fanatica, ma quando il naso affilato si fece rosso per il tanto bere, mostrò ai due una copia della rivista che custodiva con gelosia nella libreria inaccessibile agli ospiti, collocata nella sua stanza privata. Era decisamente su di giri, Metro, ma non al punto di non capire quando fosse il momento di filare via. Dichiarò quindi di essere troppo attempata per fare le ore tanto piccole a bere e, per questo, dava loro la buonanotte.

Bastò uno sguardo fra i due rimasti. Matilda si avvolse nella coperta di lana e, infilate le scarpe, saltellò fuori seguita da Santiago.

Sotto la luce delle stelle, incredibilmente vivide vista l’assenza della luna nascosta dal suo manto, Santiago sedette al suo fianco su quel dondolo malandato, ma estremamente accogliente. Prese a suonare una canzone dolce, malinconica, così diversa dalle solite armonie con cui il mago soleva accompagnare le loro serate. Non guardò Matilda, non ancora; gli occhi socchiusi vibravano con le labbra, che lasciavano spazio a quelle parole che la ragazza riconosceva appena

 

“Esto no puede ser no mas que una cancion
Quisiera fuera una declaracion de amor
Romantica sin reparar en formas tales
Que ponga freno a lo que siento ahora a raudales…”
 

 

E poi aprì gli occhi, scontrandosi con quelli grigi di Matilda, che ricambiava con attenzione

 

“Te amo
Te amo
Eternamente te amo
Si me faltaras no voy a morirme
Si he de morir quiero que sea contigo
Mi soledad se siente acompañada
Por eso a veces se que necesito
Tu mano
Tu mano…”
 

 

Lei poggiò il mento sulle ginocchia strette al petto, avvolta in quella calda coperta che le evitò di tremare, se non per l’emozione di sentire la voce argentina di Tiago cantare quei versi con tutta l’emozione che gli era propria

 

“Eternamente tu mano
Cuando te vi sabia que era cierto
Este temor de hallarme descubierto
Tu me desnudas con siete razones
Me abres el pecho siempre que me colmas
De amores…”

 

E mentre quella canzone andava a disperdersi nell’aria umida della notte, un senso di atipica quiete carezzò Matilda con tocco tiepido. Nemmeno si rese conto che la canzone era finita, così come non si accorse che il mago aveva abbandonato la chitarra ai piedi del dondolo e si era fatto incredibilmente vicino. Le labbra abbondanti e morbide si spiegarono in un sorriso accennato, quando si affiancarono a quelle di lei, sfiorate da qualche curva chiara di ricci ribelli. Quelle iridi tanto scure da confondersi alle pupille, si inchiodarono negli occhi di Matilda, all’opposto chiarissimi ed incerti, prima di sfiorarle la bocca con le dita. Quando il tocco della bocca di Santiago prese il posto della solida mano, Matilda apprese il cuore accelerare nel battito.

Non ci aveva mai pensato, a baciare qualcuno che non fosse George. Semplicemente non ne trovava il senso e quindi aveva escluso l’ipotesi.

Ma nel percepire il profumo dei capelli neri confonderle l’olfatto e le labbra, intensamente calde, schiudersi senza esitare, Matilda smise di farsi domande.

I denti fecero spazio ad un bacio più intimo e profondo, che Santiago non permise di interrompere, nemmeno per un momento.

Era impossibile dire che non fosse piacevole, intenso, bello.

Una cosa buona.

 

Rise. Rise nonostante la neve scendeva copiosa su di lei, indolenzita dal camminare su quel sentiero bianco e complicato. Rise nell’afferrare quel ricordo di pura gioia.

 

Fu solo dopo aver regalato tutto il calore di Cuba alle labbra di lei, che Santiago si scostò appena

 

-Non so se l’hai capito, ma io vorrei davvero, che tu non partissi- sussurrò roco sulle bocca, intanto che intrecciava un indice nella spirale di una ciocca chiara. Matilda schiuse gli occhi per permettersi di guardarlo; non sapeva cosa dire, non sapeva cosa fare. Decise di prendersi qualche momento, per riflettere, mentre le carezze di Santiago la coccolavano ed il suo respiro caldo scacciava il freddo.

Ma di parole, Santiago, non ne aveva bisogno; gli bastò sprofondare nei suoi grandi occhi incerti, per capire cosa fosse nascosto nel profondo di quelle ciglia fragili

 

-Ma tu hai un sacco di sospesi, non è vero?-

 

Matilda annuì un po’ esitante

 

-Tiago…io non so cosa fare…non sono molto lucida ultimamente-

 

Sorprendentemente, Santiago scoppiò a ridere, prima di stringere di nuovo il viso di Matilda fra le mani

 

-A dire la verità io lo so, cosa devi fare e sai, Mati, sono sicura lo sappia anche tu. Però permettermi di avere un po’ di motivi per vantarmi di te, quando avrai deciso di finire il tuo viaggio e tornare . Mi farò bastare l’idea di averti strappato un altro bacio e sapere che non ti è dispiaciuto-

 

Quando si rintanò nel letto, fu spontaneo toccarsi la bocca. La sentiva ancora pizzicare, torturata da quei baci che l’avevano scossa tanto. Si sorprese.

Matilda sorrideva.

Intrappolata in un’emozione sensazionale, di rinascita prepotente ma niente affatto dolorosa.

Sorrideva nel pensare a quanto le fosse piaciuto essere vittima del rimorso di ciò che aveva fatto.

Era vero. A tutti gli effetti il legame con George si era interrotto nel momento stesso in cui aveva abbandonato quel letto, la mattina del 21 Novembre. Eppure, a distanza di quasi un anno, la consapevolezza che il pensiero costante di lui l’aveva accompagnata nel corso di quel viaggio completo a metà, la innalzò a nuova vita.

Le labbra di Santiago non erano quelle di George.

Le sue mani, più ferme, non erano quelle di George.

L’odore piacevole di foreste sempreverdi, che la avviluppava ancora con voracità, non era quello più intimo e riconoscibile di George, che lei adorava ricercare in tanti e diversi frangenti.

Di una cosa era certa, pensò mentre ricercava la posizione che avrebbe portato il conforto di un sonno gradevole: per quanto le cose fossero andate nel peggiore dei modi ed il distacco era stato necessario al loro rispettivo processo di guarigione, Matilda sentiva il profondo amore per George scaldarle il cuore.

Ci sarebbe voluto tempo; doveva terminare quel viaggio. Ma da quel momento avrebbe camminato stringendosi alla certezza che non era da quel sentimento potente ed afrodisiaco che era fuggita.

 

Santiago fu un tassello fondamentale per il suo puzzle emotivo e di questo, Matilda gliene sarebbe stata sempre, tacitamente, grata.

 

Il giorno antecedente alla partenza di Matilda, Metrodora spinse i due verso la finestrella della torre di vedetta, con gli occhi che si erano fatti lucidi

 

-Tiago presto! L’incantesimo di registrazione!-

 

Un Jobberknoll che avevano tenuto sott’occhio nell’ultimo mese stava per lasciare quel mondo. In preda all’eccitazione e con mano tremante, Santiago mosse la bacchetta con una mano e tese a Metrodora una particolare ampolla d’alluminio. Recitato l’incantesimo, si fece spazio fra le due donne, delle quale strinse le spalle con le braccia

 

-Ascoltate!-

 

Il volatile, attorniato da una decina di suoi simili, mosse il piumaggio ormai sbiadito. Matilda trattenne un verso di stupore e si strinse a Santiago, imitata da Metro, con lo sguardo fisso sull’uccello che, disperato, innalzò il becco al cielo.

Un suono di incredibile potenza squarciò il silenzio della foresta. Quella scia melodiosa prese forma; lattiginosa e soffice, la coda trasparente originata dal Jobberknoll viaggiò in direzione della torretta, fino ad infilarsi nell’ampollina che Metrodora stringeva nella mano e che con prontezza richiuse, non appena quel lungo e lamentoso suono ebbe fine, assieme all’accasciarsi nel proprio nido del piccolo uccello.

Risa di emozione scoccarono dai tre, che si strinsero in un abbraccio agitato ed euforico, mentre lo stormo di Jobberknoll si innalzava, muto, nel candido cielo riflesso dal lago Tahoe.

Mai avrebbe dimenticato quel canto, che andò a chiudere il cerchio della tappa nord americana.

 

 

-Arrivati!-

 

L’altissimo svedese si fermò e si spostò di lato, lasciando a Matilda la possibilità di scovare l’ingresso della riserva del Grugnocorto Svedese, fra i fiocchi che cadevano fitti e silenziosi. Gli occhi cerulei si velarono di commozione, dinanzi l’imponente cancellata di ferro battuto, spezzata da un portone monolitico sul quale, generati dall’intreccio di cordoli di metallo, i profili di due draghi andavano a fondersi nell’abbraccio dei lunghi colli. La mano ricoperta dal guanto andò a ricercare, nella tasca, quel braccialetto creato con le piume di quel Jobberknoll di cui morte avevano assistito mesi prima, alla riserva di Metro, donatogli da Santiago la mattina della sua partenza per il Sud Africa.

E Matilda, colma di gioia, si lasciò andare alla commozione del momento, perché il suo più grande sogno stava per diventare realtà.

I draghi la stavano aspettando e lei non si sarebbe fatta attendere oltre.

 

 


 

L’Annapurna è una delle maestose cime che va a costituire la catena dell’Himalaya. Situata in Nepal, la cima raggiunge gli 8.091 metri, guadagnandosi il titolo di decimo monte più alto della Terra.

 

In quel piccolo gioiello di “Animali fantastici: dove trovarli” – parlo del libro- la Rowling ci descrive molti animali. Di questi fa pare il Jobberknoll, che non starò qui a descrivere dato che Matilda mi ha, ovviamente, preceduta. Del resto l’appassionata è senz’altro lei.

 

Il lago Tahoe esiste realmente ed è situato proprio nei territori della Sierra Nevada. Anticamente popolato realmente dai Washoe, popolazione di nativi americani.

 

La rivista “I guardiani della Notte” vuole essere un omaggio spassionato ai lettori appassionati de “Le cronache del Ghiaccio e del Fuoco”, o della sua trasposizione serializzatta dalla HBO “Game of Thrones” .

 

Consiglio a chi avrà l’occasione di farlo, di visitare Skyros, splendida e minuscola perla del mare greco. E se potete (se è ancora possibile farlo, ci sono stata troppi anni fa e non sono aggiornata purtroppo) spendeteci un paio di notti in campeggio libero. Lavarsi con l’acqua del pozzo del paese è un’esperienza unica.

 

Santiago (nome che adoro) canta per Matilda la meravigliosa “Yolanda”, canzone cubana di Pablo Milanés.

 

“Quei larghi occhi chiari” è un riferimento a una delle meravigliosi canzoni del grande Faber “Per i tuoi larghi occhi chiari”. Sono sicura che gli appassionati di De Andrè avranno già colto la citazione.

 

 

Dopo questa interminabile e tediosa lista di note (comunque necessaria) eccomi qui. Wild apre ufficialmente la raccolta di Os “Denti di Soffione” legata alla mia long “Di Ghiaccio e Tempesta”. Prima di tutto una piccola specifica in riferimento al titolo. Volevo descrivere da tempo questo viaggio che ha affrontato Matilda Malfoy, il mio oc e protagonista di Ghiaccio; circa un mese fa le mie sinapsi si sono scontrate per bene: ho realizzato che il viaggio di Mati avesse qualcosa a che fare con quello che la protagonista di Wild, splendido film tratto dal libro “Wild – una storia selvaggia di avventura e rinascita” e di cui consiglio caldamente la visione, ha intrapreso. Per questo motivo ho deciso di dedicare a questa prima os un titolo tanto importante.

Come vi avevo promesso sono tornata per colmare un po’ di vuoti lasciati dalla fine della long. Questa è solo la prima di una serie di vicende che vedrà coinvolti, ogni volta, protagonisti diversi legati all’universo di Ghiaccio e al mio headcanon. Matilda apparirà spesso, ma tanti altri personaggi conquisteranno il loro spazio. Non vi nego che scrivere questa prima storia è stato difficile, in quanto riprendere in mano la storia di Matilda, dopo essermi affaticata tanto per chiudere Ghiaccio senza uscirne troppo rotta, si è rivelato complicato. Comunque tantissime storie andranno a riempire questa raccolta che dedico a tutti i lettori della long. Spero davvero che mi sarete vicini anche in questo percorso, seppur più breve del precedente e che riuscirò a farvi apprezzare ogni singola storiella, anche se alcune saranno sicuramente più frivole di altre.

Grazie per essere arrivati al fondo di questa mina che vi ho scagliato e spero davvero che mi farete avere il vostro parere, ci conto molto.

 

Per chi avesse approcciato ora per la prima volta alle dinamiche di Ghiaccio, mi scuso per la confusione, anche se probabilmente avrete abbandonato l’idea di addentrarvi nella lettura leggendo la presentazione, in cui ho specificato il legame imprescindibile con la long. Per chi desiderasse addentrarsi in questo percorso (coraggiosissimi!) potete trovare, sul mio profilo, “Di Ghiaccio e Tempesta” completa nei suoi 40 capitoli e, aimè, ancora in fase di revisione dei primi (all’incirca) 15.

 

A presto, vostra

 

Bri

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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