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Autore: Old Fashioned    30/10/2018    17 recensioni
Nel Mondo dell'Amore è tutto molto bello, tutti si vogliono bene, tutti si amano, nessuno offende nessun altro, o se lo fa chiede scusa. Nessuno ha traumi, nessuno ha disagi, nessuno si sente discriminato o prevaricato.
Siamo proprio sicuri?
A scuola, un bambino fa un banale disegno. Per sua sfortuna, e per sfortuna dei suoi genitori, sceglie i colori sbagliati per decorarlo e una volenterosa giovane maestra, molto attenta alle problematiche di disagio familiare, sente il bisogno di consultare in merito la psicologa della scuola. La psicologa rileverà nel disegno elementi disfunzionali e da lì si scatena una concatenazione di eventi e situazioni sempre più gravi e pesanti.
Prima classificata al contest "Racconti al profumo di frutta" indetto da Dollarbaby sul forum di EFP.
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Salve a tutti/e,
e con questo capitolo concludiamo la vicenda del Mondo dell’Amore. Ringrazio tantissimo tutti cloro che sono passati da queste parti, che hanno dato un’occhiata o mi hanno messo in qualche lista e ringrazio con particolare calore tutti quelli che si sono fermati a lasciarmi il loro parere e a darmi innumerevoli spunti di riflessione su questo mondo che è sì distopico, ma non poi tanto lontano da quello che stiamo vivendo adesso.





Capitolo 4

Pronto? Sono Nit, la segretaria dell’avvocatessa.”
Come tutte le volte che riceveva una telefonata dallo studio legale, Richard sentì il cuore saltargli un battito. Scese dall’autobus su cui stava tornando a casa e si fermò in un angolo riparato del marciapiede. “C’è qualcosa di nuovo?” chiese poi con apprensione.
L’avvocatessa rinuncia a difenderti.”
L’uomo sentì il sangue abbandonargli il volto. “Rinuncia a difendermi?” ripeté, quasi sperando che la ragazza gli dicesse che aveva capito male.
Esatto,” disse invece lei.
Ma… ma perché?”
L’avvocatessa non è tenuta a spiegarti il motivo.”
Richard aggrottò le sopracciglia e in tono duro disse: “Voglio vederla.”
Subito Nit replicò: “Non cercare di esercitare la tua aggressività fallica su di me. La telefonata è registrata e se continui con i tuoi atteggiamenti intimidatori ti denuncio.”
Posso sapere almeno perché l’avvocatessa non vuole più seguire il mio caso?” chiese Richard, nel tono più calmo che riuscì a tirare fuori.
Ti ripeto che non è tenuta a dirtelo.”
L’uomo emise un sospiro sconfitto, quindi disse: “Va bene. Quando posso passare a riprendere i soldi e i documenti?”
I documenti ti verranno recapitati per posta, l’avvocatessa non ti vuole in studio.”
E i soldi?”
L’avvocatessa non ti deve restituire niente, l’anticipo che hai lasciato è servito per pagare le prime spese.”
Cosa? Cinquemila arcobaleni per...”
Si accorse che dall’altra parte proveniva solo il segnale di linea libera. Provò a rifare il numero, ma non ebbe alcuna risposta.
Rimase fermo sul marciapiede, con il telefono in mano e la sensazione che il mondo gli fosse appena caduto addosso. Si guardò intorno, ma nessuno faceva caso a lui.
Stavano calando le prime ombre della sera, la gente camminava rapida e intenta. Le vetrine dei negozi proiettavano a terra pennellate di luce multicolore.
Richard rimase per un po’ fermo a guardare i passanti: avevano tutti l’aria di voler tornare a casa prima possibile. Immaginò famiglie felici, pronte a riunirsi intorno al tavolo per il pasto serale. Immaginò profumi di cucina e suono di risate.
Affondò le mani nelle tasche e arretrò fino ad appoggiare la schiena al muro. Rimase fermo un tempo imprecisato, mentre la luce calava sempre di più e i passanti diventavano sempre più rari.
Quando si decise a muoversi, la strada era deserta e rischiarata solo dai lampioni. Gli autobus ormai non passavano più, quindi si rialzò il bavero del giaccone, ingobbì le spalle per proteggersi dal vento freddo che spirava e si incamminò verso casa.

Gli fu chiaro già dal fondo della strada che qualcosa non andava: c’erano più macchine del solito intorno a casa sua, il vento portava con sé un vago brusio. Nel buio baluginò il lampo di una torcia, che delineò per un attimo sagome di corpi.
Si appiattì in una rientranza del muro e dall’ombra rimase a osservare in silenzio.
Quando i suoi occhi si furono maggiormente abituati all’oscurità, egli riconobbe una squadra di Riduzione dei Conflitti.
Udì lo sfrigolare sinistro di un taser ad alto voltaggio.
Lo becchiamo mentre dorme,” disse una voce.
Sei sicura che sia dentro?” chiese un’altra.
È tutto spento. Sarà a letto.”
Avrà approfittato della mancanza della moglie per spassarsela, ovviamente. Beh, becchiamo anche la tizia che c’è con lui.” Pausa. “O il tizio.”
Alla frase seguì qualche risatina soffocata.
È quello della bandiera?” chiese una terza voce.
Già. Essendo un maschio è stupido, quindi non ha pensato che dopo le sue belle prodezze da fascista l’avremmo tenuto d’occhio. L’altro l’abbiamo già beccato, adesso tocca a lui.”
Sciovinista di merda. Una bella Rieducazione, di quelle toste, non gliela leva nessuno.”
Ma prima gli rieduchiamo le palle finché non sono come due hamburger, a quello stronzo.”
Qualcuna ridacchiò.
Giusto, non si merita altro,” fu la conclusione.
Richard rimase immobile. Aspettò che le donne facessero saltare la serratura di casa sua e aprissero la porta, quindi prese ad arretrare lentamente. Nel frattempo, cercava di farsi un quadro della propria situazione: ovviamente non poteva più rientrare in casa, dal momento che probabilmente sarebbe stata sorvegliata giorno e notte. Aveva solo i vestiti che indossava, un telefono mezzo scarico del quale sarebbe stato saggio disfarsi il prima possibile, i documenti, che avrebbero dovuto fare al più presto la stessa fine, e il po’ di soldi che aveva messo insieme con i lavori extra della giornata.
Si chiese cosa sarebbe stato meglio fare. Una persona di buon senso – il genere di buon senso che veniva insegnato nelle scuole – gli avrebbe suggerito di costituirsi, ammettere il proprio errore, affrontare il percorso di consapevolezza che lo avrebbe portato a non ripeterne in futuro e riprendere infine il suo posto nella società come uomo nuovo, finalmente libero da idee scioviniste e fallocratiche.
Sarebbe stato molto facile: scusate, sono qui. Ho capito di avere sbagliato, ho capito che il mio assurdo atteggiamento di prevaricazione patriarcale, dettato da miei conflitti irrisolti, ha generato solo sofferenza nelle persone che amavo e ora sono pronto ad assumere un nuovo ruolo, di parità consapevole e amore rispettoso, nella società.
Gli tornò in mente il tizio del talk-show di Zelda, quello che si era tagliato il cazzo.
Prese ad arretrare lentamente, un passo dopo l’altro, e sentiva che ogni volta che muoveva il piede all’indietro, un pezzo della sua vecchia vita si sgretolava e scompariva. Il suo lavoro si volatilizzava, la sua posizione di marito e padre anche. Le valutazioni dei corsi che gli avevano imposto scomparivano come neve al sole.
Ora c’erano solo lui e la sua volontà di affermare se stesso.
La squadra frattanto aveva fatto irruzione in casa sua. Un paio di finestre si illuminarono, il lampo azzurro di una scarica elettrica ne accese una terza per un attimo. Anche dalla distanza che aveva raggiunto udì il rumore di suppellettili infrante.
Si girò per allontanarsi più velocemente, e a quel punto udì un grido alle sue spalle: “Eccolo, è lui!”
Spiccò la corsa, cercando di destreggiarsi tra bidoni dell’immondizia e macchine parcheggiate. Una donna lo raggiunse, fece per puntargli contro il taser, ma lui la spedì a terra con una manata. Un altro paio lo afferrarono per i vestiti, e furono a loro volta proiettate lontano. La sua fisicità maschile, tanto deprecata nella vita di tutti i giorni, in quel momento gli conferiva un deciso vantaggio.
Una donna molto robusta gli si parò davanti e lo affrontò con un calcio al torso. Richard irrigidì i muscoli, quindi la investì con una spallata, mandandola a sbattere contro il muro.
Dopo quello scontro riprese la corsa. Cercò di visualizzare se stesso con la maglietta della sua squadra di rugby e la strada come un campo vuoto, che lui avrebbe dovuto attraversare per fare la meta decisiva.
Con un altro paio di spallate si sbarazzò delle ultime avversarie, quindi si gettò a capofitto in una strada buia. Corse a perdifiato, con tutta la forza che aveva nei polmoni e nelle gambe, lasciandosi alle spalle il quartiere popolare in cui abitava e dirigendosi verso la periferia.
Si fermò solo quando fu certo di aver fatto perdere le proprie tracce. Ansante si rintanò in un androne scuro, mentre fuori sfrecciavano macchine coi lampeggianti accesi. A un certo punto sentì anche il battere ritmico delle pale di un elicottero, anche se non era certo che fosse per lui.
Si lasciò cadere a terra e rimase per un po’ seduto. Fece qualche respiro profondo, si passò una mano sul viso per tergersi il velo di sudore che l’aveva ricoperto.
Fuori nel frattempo si era ristabilito il silenzio.
Rimase immobile per un po’, cercando di cogliere eventuali rumori intorno a sé. Un ratto, protetto dalle recenti leggi che lo equiparavano a ogni altro animale e proibivano la sua eliminazione, uscì da un buco nel muro, lo squadrò per un istante e scomparve con un fruscio.
Richard trasse di tasca il cellulare, lo ruppe in due, quindi infilò i frammenti nel buco da cui il ratto era uscito.
A quel punto si alzò e si affacciò sulla strada deserta. Dovevano essere le due o le tre di notte, non c’era anima viva. Prese a camminare rasente al muro, ancora indeciso se considerare ciò che era appena successo la realtà dei fatti o un lungo angosciante incubo.
Pensò al da farsi e si rese conto che le opzioni rimaste erano decisamente poche. Anzi, in realtà ne era rimasta solo una.
Alzò gli occhi sul cielo nero, quindi si diresse con risolutezza verso la zona della città in cui si trovava la Casa per la Tutela delle Donne Abusate.

§

Sullo schermo alle spalle di Zelda, questa volta fasciata in un sontuoso abito di paillettes dorate, c’era l’immagine di alcune bandiere che garrivano al vento, sbarrata da un rosso segno di divieto.
Una scritta in sovrimpressione recitava: Nazionalismi? No, grazie.
E così,” stava dicendo la conduttrice a un attento pubblico, “alla triste vicenda della famiglia dominata da un maschio fallocratico e sciovinista si aggiunge un altro capitolo.”
La folla fu attraversata da un mormorio di disapprovazione.
Sembra difficile da credere,” continuò Zelda, “eppure ci sono ancora uomini che rimangono tenacemente aggrappati a forme arcaiche di governo, basate sull’odio e sulla prevaricazione. Abbiamo chiamato qui in studio varie esperte, per capire meglio come tutto ciò sia possibile, nonostante l’attenzione che nel Mondo dell’Amore viene dedicata alla crescita etica e responsabile della persona e al rifiuto dell’aggressività in ogni sua forma.” Si voltò verso un’imponente transgender di colore con una cascata di boccoli azzurri che le arrivava a metà schiena. “Koko ha condotto il colloquio di analisi personologica sul soggetto.” Fece una studiata pausa, poi le chiese: “Posso sapere cos’hai provato nel parlare con quest’uomo? Correggimi se sbaglio, ma credo che ti abbia trasmesso molta sofferenza, non è vero?”
Koko annuì grave. “Certo. Non bisogna mai dimenticare che questi comportamenti sono sempre il frutto di un forte disagio, di una personalità che si è strutturata in modo anomalo. È come se una persona si trovasse, magari a causa di un incidente, con una gamba più corta dell’altra: ovviamente non potrà mai camminare in modo corretto, giusto?” Sbatté le ciglia lunghissime e incrostate di mascara blu elettrico.
Dal pubblico provenne una voce femminile: “Ma anche chi non cammina in modo perfetto deve essere accettato. Non bisogna farlo sentire inferiore, perché magari, anche se è motoriamente svantaggiato, può essere una persona stupenda per tanti altri motivi.”
Scrosciò un applauso. La telecamera fece un primo piano di una donna magra, precocemente ingrigita, con le labbra serrate in un’arcigna espressione di biasimo e una maglietta che recitava: 100% cruelty free.
La psicologa annuì di nuovo. “Ma certo. Io dico sempre che bisogna guardare le persone per come sono dentro, per com’è la loro anima.”
Partì un secondo applauso.
Intervenne a questo punto Zelda, che sollevò una mano per riportare il silenzio e disse: “Queste belle parole hanno sempre il potere di commuovermi, ma io credo che i nostri telespettatori saranno curiosi di sapere qualcosa di più su questo sfortunato cittadino.”
Ma certo,” rispose Koko. “Siamo di fronte a un uomo chiaramente molto debole dal punto di vista psicologico, assediato da insicurezze che l’hanno fatto vivere per anni aggrappato all’illusoria idea di protezione da parte di sovranità nazionali ormai superate.” Fece una pausa, come per dare al pubblico il tempo di assimilare quanto aveva detto, quindi proseguì: “Io credo che sia a sua volta una vittima, verosimilmente di una figura paterna tirannica. Credo che abbia bisogno di molto amore e di molta comprensione.”
Zelda annuì. “Che cosa suggeriresti per lui?”
Un lungo periodo di rieducazione, che lo porti a elaborare finalmente i suoi conflitti.” Emise un sospiro e aggiunse: “Io non voglio pensare a quanto deve aver sofferto finora. Perché l’aggressività espressa, vedi, viene sempre da aggressività subita in un contesto di debolezza psicologica.”
Un lungo applauso salutò la premurosa affermazione.
La conduttrice si rivolse a quel punto a una donna di mezz’età con capelli scuri e venati di grigio sciolti sulle spalle e abiti di fibra vegetale che avevano i colori spenti delle tinture naturali. “Adorinda, giusto?” le chiese.
La donna annuì.
Vuoi parlarci di te, Adorinda?”
Certo. Gestisco una Comunità per l’Infanzia Negata a indirizzo steineriano, rigorosamente vegana e improntata al rifiuto di ogni violenza.”
Vuoi dirci come sei venuta in contatto con il nostro soggetto, cara?”
Abbiamo accolto suo figlio qualche settimana fa.”
Che cosa puoi dirci di lui?”
Oh, è un bambino sfortunato. Cresciuto nell’odio, intossicato da cibi carichi di aggressività e dolore. Ogni suo gesto è una straziante richiesta d’aiuto.”
Zelda annuì, comunque precisò: “Parlavo del padre, cara. Cosa puoi dirci di lui?”
Adorinda riunì le mani in grembo e per un po’ parve incerta su cosa dire. Infine, rialzò bruscamente la testa come chi ha appena preso una risoluzione dolorosa ma necessaria, quindi cominciò: “Ecco… io per prima cosa desidero scusarmi con la bellissima e bravissima Koko. Vorrei che fosse chiaro che quanto sto per dire non è assolutamente una critica alle sue capacità professionali, né vuole in alcun modo sminuirla, né come professionista né come donna. È piuttosto un vissuto personale, diciamo. È quello che ho sentito quando mi sono trovata a interagire con quell’uomo.”
Che cos’hai sentito, cara?” le chiese Zelda in tono soave.
Violenza,” proferì la donna in tono cupo, abbassando la voce. “Una terribile, ancestrale violenza, che mi ha investita con una tale forza che ho avuto bisogno di ascoltare per un’ora le vibrazioni positive, prima di ritrovare l’equilibrio interiore.”
Hai parlato con lui?”
Tramite monitor, ma è riuscito comunque a trasmettermi la sua violenza, la sua intolleranza, la sua aggressività e la sua rabbia.” Fece una pausa, che utilizzò per inspirare ed espirare profondamente a occhi chiusi, stringendosi tra pollice e indice la radice del naso. “Nel momento in cui ho cercato di stimolare una conoscenza empatica nel figlio, lui mi ha aggredita con una violenza che mi ha lasciata sconvolta.” Tacque di nuovo, quindi in tono cupo concluse: “Io ho paura di quell’uomo.”
La frase si lasciò dietro un silenzio carico di oscura minaccia.
Prese di nuovo la parola Koko: “Anch’io mi sono sentita aggredita da lui. È stato come se millenni di prevaricazione patriarcale mi fossero stati rovesciati addosso tutti in una volta. Ho letteralmente sentito il grido di dolore dei milioni di donne oppresse dagli uomini nel corso della Storia.” Tirò fuori dalla borsetta un fazzoletto e si tamponò una lacrima.
Scrosciò un applauso che fece tremare lo studio. Fioccarono i Brava! e i Bene!. Nessun pudico biiip coprì le numerose invettive che vennero lanciate contro l’oggetto della discussione, per il quale vennero proposte, fra un insulto e l’altro, la rieducazione forzata, la castrazione chimica e addirittura l’eutanasia per il suo stesso bene.
E ora, pubblicità!” annunciò Zelda.

§

Rintanato in un folto cespuglio, Richard scrutava il giardino, che pian piano emergeva dal chiarore dell’alba. Sui prati aleggiava una leggera foschia, dalle foglie degli alberi stillavano rare gocce di rugiada. Qua e là si udiva il cinguettio dei primi uccelli.
Il disegno sul pavimento era una macchia colorata d’insolita crudezza, in quei toni soffusi.
L’uomo cercò di non pensare alle membra irrigidite dalla lunga immobilità e mantenne lo sguardo fisso sull’edificio. Erano comparse delle luci alle finestre del piano terra, segno che la Prigione mascherata da Comune si stava svegliando.
Si chiese cosa gli avrebbero fatto se l’avessero trovato lì. Probabilmente, un periodo di Consapevolezza e Impegno Fisico Volto al Bene della Comunità, ovvero un modo elegante per chiamare lavori forzati associati a corsi di rieducazione, non gliel’avrebbe tolto nessuno.
Dovette attendere un’altra mezz’ora, poi si aprì una porta e le ospiti uscirono tutte in fila, scalze e vestite con una semplice tunica bianca, si disposero in cerchio e cominciarono a fare dei movimenti che dovevano essere yoga. Senza spostarsi cercò con lo sguardo Paula.
Ci mise un po’ a trovarla, perché si era tinta i capelli di nero. Notò che aveva mani e braccia coperte di ghirigori marroni. Abbassò lo sguardo e si accorse che aveva gli stessi disegni anche sui piedi.
Pur essendo distante, cercò di leggere la sua espressione: non vi trovò nulla di quello che ricordava. Aveva uno strano sguardo remoto, che sembrava perso nella contemplazione di chissà cosa. Si chiese se in qualche modo le ospiti venissero drogate.
In quel momento, forse attirata da un fruscio, una delle donne volse lo sguardo nella sua direzione: egli si rannicchiò sotto le foglie e rimase immobile fino a che tutte non ebbero finito la loro ginnastica mattutina e tornarono nell’edificio.
Pensò al da farsi: per prima cosa doveva parlare con lei, per sapere se c’era un modo di portarla via che non comportasse l’attivazione dei sistemi di allarme. Lui era riuscito a entrare scalando il muro, una prodezza che aveva richiesto tutte le sue doti fisiche e anche così gli era quasi costata la vita, ma come avrebbe fatto a portare con sé Paula attraverso la stessa via? C’erano alberi da scalare, tratti da percorrere reggendosi solo a forza di braccia, salti che richiedevano una muscolatura potente e allenata.
Guardò di nuovo verso lo spiazzo in cui le ospiti avevano appena fatto ginnastica: gli erano parse tutte flosce, tutte spente. Chi di loro poteva vantare una muscolatura abbastanza potente e allenata da scalare il muro di cinta?
Rimase ad attendere in giardino, spostandosi cauto da un cespuglio all’altro per studiare i movimenti delle ospiti. Ogni tanto individuava la lunga chioma ormai nera di Paula, ma non riusciva ad avvicinarla, perché non era mai da sola.

Calò il tramonto. Ormai aveva male dappertutto e non toccava cibo dalla sera prima. Lo stomaco gli brontolava talmente forte che temeva di farsi scoprire solo per quello.
Stava quasi per rinunciare quando vide uscire Paula. Era da sola e aveva in mano un secchio dal quale spuntavano cascami di verdura.
Seguendo un percorso che evidentemente conosceva già molto bene, la donna aggirò l’edificio e raggiunse uno spiazzo illuminato in cui si trovavano bidoni dell’immondizia di vari colori e compostiere. Andò a una di esse, sollevò il coperchio e vi buttò dentro il contenuto del secchio, poi si apprestò a rientrare.
Richard si spostò fino a raggiungere il margine dell’alone di luce, quindi sottovoce chiamò: “Schatzi.”
Paula si guardò intorno con aria spaesata. Sembrava che avesse sentito un rumore al quale non riusciva a dare un significato.
Schatzi, sono Rick.”
Finalmente la donna si voltò verso di lui. “Oh, Rick,” lo salutò con pacata gentilezza. Il tono era quello di una banale conversazione, come se si stessero ritrovando alla fine di una normalissima giornata lavorativa. “Che ci fai qui?”
L’uomo si sentì percorrere da un brivido gelido. “Sono venuto per portarti via, tesoro.”
Paula fece tanto d’occhi. “Per portarmi via?” Aggrottò le sopracciglia con l’aria di non capire.
Sì, ce ne andiamo. Ho un amico che conosce un posto libero, dove potremo vivere in pace lontano da tutte queste stronzate.”
Paula inclinò la testa da una parte, come faceva sempre quando qualcosa le sfuggiva. “Ma io vivo già in pace,” obiettò.
Dio, Paula, non puoi parlare sul serio!” ansimò mentre il cuore gli si serrava in una morsa di ghiaccio.
Non nominare il dio del patriarcato!” lo rimbeccò lei. “È un dio malvagio. È per colpa sua che le donne sono state oppresse in tutti questi secoli.”
Schatzi, ma… ma ti rendi conto di quello che stai dicendo?” boccheggiò Richard.
Mi hanno detto che se ti lascio potrò vivere in pace con Leo. Avremo una casa tutta nostra e quando avrò finito la psicoterapia potrò occuparmi della sua educazione. Lo crescerò di mentalità aperta, libero da misoginia e sciovinismo e rispettoso. Non gli darò veleno da mangiare.” Fece una pausa, poi in tono più basso soggiunse: “Però tu sei stato giudicato irrecuperabile. Faresti male a me, ma soprattutto a lui.”
Richard trasecolò. “Io fare del male a te o a Leo? Ma dico, sei impazzita?”
Ecco, lo vedi che cominci già ad aggredirmi verbalmente? Sei un maschio prevaricatore, non voglio che Leo cresca come te.”
L’uomo stava per replicare quando dall’edificio provenne una voce: “Paula? Con chi stai parlando?”
Si irrigidì. La moglie gli rivolse un’occhiata, quindi a voce alta disse: “Con nessuno, Efemena. Stavo solo canticchiando fra me e me.”
Gli rivolse un ultimo lungo sguardo, quindi gli girò le spalle e prese ad allontanarsi in direzione dell’edificio.
Richard rimase a guardarla con le lacrime che gli pungevano gli occhi. Per un po’ fu semplicemente incapace di muoversi: come pietrificato guardava il palazzo che man mano veniva inghiottito dal buio. Prese in considerazione l’idea di tornare e in qualche modo portarla via con la forza, ma abbandonò subito il pensiero. Qual è la madre che tra il figlio e il compagno sceglie il secondo? Probabilmente le avevano promesso quello che lei stessa gli aveva riferito, e lei aveva accettato pur di potersi tenere Leo.
Aveva sacrificato lui per salvare il bambino.
O forse le avevano semplicemente fatto il lavaggio del cervello, o l’avevano imbottita di droghe o farmaci. Probabilmente non l’avrebbe mai saputo.
Il rumore di una porta che si apriva lo convinse a tornare rapidamente sui suoi passi. Strada facendo si voltò indietro un paio di volte, ma nel buio ormai non si vedeva più niente, se non qualche fioca lampadina che illuminava le soglie dell’edificio.

§

Brunn! Ehi, Brunn!”
L’uomo, che stava apprestandosi a entrare nel bar di Lonnie, si voltò e per un po’ scrutò indeciso nel buio. Infine, a bassa voce chiese: “Rick? Sei proprio tu?” Aggrottò le sopracciglia, poi aggiunse: “Ma come accidenti sei ridotto?”
Fece un passo verso di lui. Richard arretrò fino a scomparire di nuovo nell’ombra, quindi rispose: “Sto vivendo all’addiaccio. A casa non posso più andare, qualche giorno fa hanno cercato di arrestarmi.” Si passò una mano sul mento, ormai ispido di barba.
Brunn si aggiustò la visiera dell’onnipresente berretto, quindi disse: “Beh, vieni da Lon, almeno mangi qualcosa e stai al caldo per un po’.”
Non posso rischiare che mi vedano. Piuttosto...”
Sì?”
Quel posto di cui parlavi...”
Quale posto?”
Quello libero.” Richard si fece di nuovo avanti, scrutò negli occhi Brunn, “Esiste davvero?”
L’altro annuì grave. “Esiste,” confermò.
Dov’è?”
Perché vuoi saperlo?”
Mio figlio. Non voglio condannarlo a questa vita di merda, voglio portarlo in un posto dove possa crescere libero. Un posto dove non si debba vergognare di essere un maschio.”
Brunn annuì di nuovo. “Ti capisco,” rispose.
Richard fece un pallido sorriso, poi chiese: “Come ci arrivo, in questo posto?”
Tu in nessun modo. Devo accompagnarti io.”
Dov’è?”
Lo saprai quando ci arriveremo.”
Brunn, senti...”
Sì?”
C’è davvero questo posto? Non è che arriviamo da qualche parte dove non c’è un cazzo e tu mi molli in mano a quelle che adesso mi vogliono tagliare le palle con le forbici da giardino?”
L’altro fece una breve risata. “Sai come si dice, no? Non chiedere a un oste se il suo vino è buono.”
Richard chinò la testa. “Mi sa che hai ragione,” sospirò.
L’altro gli diede una delle sue pacche sulle spalle, costringendolo come ogni volta a fare un passo di lato per mantenere l'equilibrio, quindi gli disse: “Facciamo una cosa: ora vieni da me, così mangi qualcosa, ti lavi e dormi in un letto decente, poi domani vediamo come recuperare tuo figlio, va bene?”
Grazie, Brunn.”
Ah, non ringraziarmi. Se non ci si aiuta tra uomini...”

La casa di Brunn era come Richard l’aveva immaginata: piccola, pochi mobili scalcagnati, niente quadri e niente soprammobili. La cucina aveva da una parte frigorifero e fornello, al centro un tavolo con un paio di sedie una diversa dall’altra e lungo la parete opposta agli elettrodomestici un divano coperto da un telo. “Tu puoi prendere quello,” lo informò l’uomo. “Se vuoi lavarti, il bagno è dietro quella porta, se vuoi dei vestiti, va’ in camera mia e prendi dall’armadio quello che ti serve. Ti vanno degli hot dog?”
Richard lo guardò con tanto d’occhi. “Di carne?”
Si capisce. Io non mangio la merda vegana.”
E come fai? Voglio dire, con la Tessera e tutto quanto? Te li contano uno per uno.”
Brunn ghignò. “Basta sapersi arrangiare,” rispose in tono sibillino. Gli mostrò il portafogli, nel quale c’erano almeno dieci Tessere della Salute Armoniosa.
Di nuovo, Richard trasecolò. “Ma...” cominciò.
Va’ a farti la doccia,” lo interruppe Brunn, “ne parliamo dopo.”
Il primo non se lo fece ripetere. Entrò nel bagno, si liberò con sollievo degli abiti sporchi e si buttò sotto il getto.
Ci rimase a lungo, le mani appoggiate alle piastrelle, l'acqua che gli scorreva sul dorso. La carezza tiepida del vapore stemperava la sensazione di gelo che negli ultimi giorni non lo aveva mai abbandonato.
Rimase a guardare l'acqua che scendeva turbinando nello scarico ed ebbe la sensazione che con essa scorresse via anche la vita che fino a quel momento aveva vissuto. Quella del bravo ragazzo, che diceva sempre sì, che non creava problemi e che piegava la schiena.
Chiuse il rubinetto con un gesto secco, scrollò la testa lanciando intorno una raggiera di gocce. Andò al lavandino e lucidò lo specchio appannato con un lembo dell'asciugamano, quindi si cosparse di schiuma la metà inferiore del volto e si fece con cura la barba. Gli parve che emergesse un uomo nuovo, dalla rasatura. Più deciso, forte di una vera consapevolezza di sé, non più gravato dalla penosa sensazione di inadeguatezza che fino a quel momento gli era stata inculcata.
Uscì con un asciugamano intorno ai fianchi e il profumo delle salsicce che sfrigolavano in padella gli fece venire l'acquolina in bocca.
Birra?” gli propose Brunn senza nemmeno voltarsi.
Ormai Richard aveva smesso di stupirsi. “Sì, grazie,” si limitò a rispondere, quindi andò in camera a cercare qualche vestito che fosse della sua taglia.

Brunn gli rivolse uno sguardo divertito. “Quella la portavo quando avevo... uhm... vent'anni.”
Richard abbassò gli occhi sulla tuta da lavoro che si era infilato: aveva dovuto fare un risvolto ai pantaloni e alle maniche e di spalle gli stava un po' larga.
Il primo spinse verso di lui l'ennesima lattina e disse: “Tu mi ricordi me. Con qualche chilo di meno, naturalmente.”
Perché?”
Anch'io ero convinto che, se avessi fatto il bravo, alla fine le cose si sarebbero sistemate per il meglio.”
E non è stato così?”
No,” si limitò a rispondere Brunn. Alzò fugacemente lo sguardo verso una parete. Richard guardò a sua volta e vide il riquadro più chiaro di qualcosa che era stato tirato via. “Avevi famiglia?” gli chiese.
L'uomo alzò le spalle. “Acqua passata. Adesso aiuto gli altri.”
Aiuti gli altri?”
Ad andare di là. A pensare con la loro testa, a decidere.”
Ma di là dove, Brunn?”
Lo saprai.” Si alzò lentamente. Richard pensò che gli ricordava un grosso orso, di quelli un po' goffi e grassi, che però sono in grado di staccare la testa di un alce con una zampata.
Beh, io me ne vado a dormire,” disse. Fece una tappa in bagno, quindi si infilò in camera. Dopo poco provenne dalla porta socchiusa un poderoso russare.
Richard si voltò in quella direzione, poi tornò ad abbassare gli occhi sulla lattina, la cui metà inferiore era ancora appannata dalla condensa. La vuotò con un unico lungo sorso, poi la accartocciò e la lanciò nel bidone dell'immondizia.
Andò a sua volta in bagno, quindi si distese sul divano, si tirò addosso una coperta e per un po' rimase semplicemente a contemplare il soffitto incapace di dormire. Dal basso proveniva la luce dei lampioni, che disegnava tremolanti sagome sulle pareti. Tolti il russare del suo ospite e una vaga eco del traffico in strada, c'era un silenzio desolato, come se a parte loro lo stabile fosse vuoto. Si rigirò su un fianco, quasi nell'esigenza di produrre lui stesso un rumore, di avere un riscontro della propria fisicità.
Per la prima volta da quando tutto era cominciato, il suo pensiero non corse a Paula. Si fermò su Leo, invece, e subito dopo scivolò verso il fantomatico luogo libero, che nella sua mente assunse le connotazioni della Baviera, ovvero montagne e boschi, cervi maestosi e rapaci dalle acute strida.
Chiuse gli occhi con il sorriso sulle labbra.

§

Sveglia, bello. È ora di andare.”
Richard sussultò e si trovò di fronte Brunn già vestito di tutto punto.
C'è del caffè, se vuoi,” lo informò l'uomo.
Il cielo era ancora buio, anche se il nero cupo della notte andava sbiadendo in un'alba grigiastra. I rumori della strada si erano fatti più intensi e anche nel palazzo si percepivano movimenti o fiochi scambi di parole. Da qualche parte, qualcosa cadde tintinnando e fu seguito da quella che parve come una debole risata.
Qual è il piano?” chiese Richard. Abbandonò il giaciglio, piegò la coperta e la mise dove l'aveva trovata. Si passò la mano sulla guancia, di nuovo irruvidita da un principio di barba, poi si ravviò i capelli tirandoseli all'indietro.
Brunn riempì una tazza e gliela passò attraverso il tavolo. “Zucchero? Latte?” s'informò.
Va bene così.” Richard si sedette. Prese il recipiente fra le mani come per assorbirne il calore, quindi ripeté: “Qual è il piano?”
Conosco quel posto,” rispose l'uomo. “Se facciamo le cose in fretta, ce ne andremo prima ancora che riescano ad alzare il telefono per chiamare una squadra di Riduzione dei Conflitti.”
Sei sicuro? Quando sono andato a trovarlo, non me l'hanno nemmeno fatto vedere di persona. Ci ho parlato attraverso una televisione a circuito chiuso.”
Sì, visto che il problema è sempre con i padri, fanno così perché hanno paura che uno si incazzi e cerchi di portarsi via il figlio con la forza.”
Davvero?”
Brunn lo fissò sornione. “Secondo te, se tu fossi bestialmente incazzato, quante educatrici, psicologhe e assistenti sociali ci vorrebbero, per fermarti fisicamente?”
Richard fece mente locale. “Non poche,” convenne.
Ma questo oggi non sarà un problema,” concluse l'altro dopo aver vuotato la sua tazza. “Ora bevi, va' a pisciare e fatti la barba, poi andiamo. Ti va anche una ciambella, con quel caffè?” Prese una scatola di cartone e l'appoggiò sul tavolo.
Vere ciambelle? Con il burro, le uova e gli zuccheri raffinati? Fritte?”
Te l'ho detto, io la loro merda non la mangio.” Alzò il coperchio, rivelando invitanti, soffici anelli di pasta, dorati al punto giusto e coperti di glassa colorata. “Non saranno di giornata, ma sono sempre meglio del tofu.”

La Comunità per l’Infanzia Negata sorgeva al centro di un parco pieno di alberi. Per non traumatizzare i bambini con la visione di barriere invalicabili, non c'erano muri di cinta, ma solo una bassa recinzione, appena sufficiente a scongiurare la fuga di persone alte in media un metro e venti.
In un avvallamento del terreno si trovava uno stagno, debitamente recintato per la tutela dei piccoli ospiti. Anche intorno a ogni tronco dalla corteccia ruvida c'era una graziosa barriera di plastica colorata, per evitare che i bambini si graffiassero.
La costruzione sembrava ancora immersa nel sonno, le finestre erano tutte buie.
Tra un po' escono,” disse Brunn, seduto al posto di guida di un furgone, scrutando il parco ancora velato della foschia del primo mattino. “Vanno a fare la passeggiata nella natura. Tieniti pronto.”
Passarono alcuni minuti, poi una finestra si illuminò, una seconda si aprì e una bracciata di lenzuola venne sistemata a cavallo del davanzale. Subito dopo, altre finestre si illuminarono. Si cominciarono a percepire gli strilli di voci infantili.
Brunn mise in moto e disse: “Andiamo.”
Il veicolo prese a muoversi lentamente.
Ora ci avviciniamo il più possibile,” continuò l'uomo, “tu scendi, lo prendi, corri qui e partiamo a tavoletta. Se ti trovi davanti qualcuna di quelle galline, sbattila per terra prima che abbia il tempo di rendersene conto.”
Va bene.”
Richard si rese conto di avere la bocca secca e il cuore che gli batteva come se avesse voluto uscirgli dal petto. Sentiva un curioso alternarsi di caldo e freddo mentre osservava la frotta di bambini dilagare vociando sui prati.
Strinse gli occhi, obbligandosi a elaborare una strategia come quelle che a suo tempo usava per fare meta. Individuò gli ostacoli e il percorso che lo avrebbe condotto ad aggirarli.
Tranquillo,” gli giunse la voce di Brunn. “Non faranno nemmeno in tempo ad accorgersi di quello che è successo e saremo già lontano.”
Lo spero ,” mormorò Richard senza smettere di cercare con lo sguardo suo figlio.
Lo vedi?”
Strinse i denti: non riusciva a vederlo. Cercò di non farsi prendere dall'ansia: Leo doveva essere lì.
E se è malato?” buttò lì dopo un po'. “E se l'hanno spostato da un'altra parte? Se per qualche motivo oggi non esce?”
Brunn gli diede una pacca sulla spalla. Impegnato a scrutare ansiosamente ogni centimetro di parco, l'altro non la sentì neppure.
Infine comparve una testolina bionda.
Eccolo!” esclamò Richard, alzandosi per metà dal sedile.
L'ansia scomparve come neve al sole, lasciandogli solo una determinazione adamantina: quello era suo figlio e lui se lo sarebbe ripreso, punto e basta.
Scese dal veicolo, spiccò la corsa. Tutto si confuse intorno al bambino, divenne indistinto mentre il suo sguardo si focalizzava su di lui come il mirino di un'arma. Con la visione periferica percepì un'ombra farglisi incontro: la allontanò con una manata, accelerò la corsa. Registrò un altro ostacolo, forse qualcuno che lo aveva afferrato per i vestiti. Se ne liberò quasi senza sforzo.
Il bambino alzò lo sguardo nella sua direzione, lo riconobbe. Il suo viso cambiò colore. “Papà!” gridò.
Richard lo afferrò a mezzo corpo e continuò a correre pancia a terra inseguito dalle urla delle educatrici. Saltò il recinto senza rallentare, raggiunse il furgone e salì a bordo.
Andiamo!” esclamò.

§

Con un acuto stridore di gomme il furgone bruciò un semaforo rosso, invase l'incrocio, urtò un'utilitaria mandandola a fare una serie di furiosi testacoda e proseguì senza nemmeno rallentare. Nel cassone cadde una scatola di pezzi metallici, rovesciando sul pavimento tutto il suo contenuto. Ciò che era appeso alle pareti tremava e vibrava.
Il motore ruggiva mentre la lancetta del tachimetro sussultava all'estrema destra del quadrante.
Da una laterale sbucarono due auto di un sinistro viola scuro, con la sirena che ululava e barre lampeggianti sul tetto.
Merda!” imprecò Brunn. Cercò di dare gas, ma l'acceleratore era già a tavoletta.
Sterzò per abbandonare la strada su cui stava procedendo, le gomme stridettero, il veicolo si inclinò come se stesse per rovesciarsi, tanto che il bambino emise uno strillo spaventato e si aggrappò al collo di Richard. “Attento!” urlò questi rivolto a Brunn, più per istinto di protezione che per altro.
Si piegò a guardare lo specchietto laterale e vide le macchine che li seguivano. La più avanzata era guidata da una donna con i capelli neri tagliati corti e un paio di occhiali da sole a specchio. La vedeva mordersi il labbro inferiore, concentrata nel compito di non farsi lasciare indietro.
A un tratto, Brunn inchiodò: in fondo alla strada era stato approntato uno sbarramento, una fascia irta di punte era stesa di traverso. Il furgone piegò bruscamente a sinistra, si infilò in un senso unico e cominciò una furiosa gimkana, strombazzando fra le macchine che procedevano in senso opposto. Urtò qualche veicolo, si vide lo spruzzo iridescente di un cristallo che andava in frantumi, sul parabrezza si allargò una ragnatela di crepe.
Un autobus rosa nuovo e lucido, con fiori colorati dipinti sulle fiancate, perse il controllo al suo passaggio, si inclinò e crollò di traverso sulla strada, ostruendola quasi completamente.
Richard scrutò di nuovo il retrovisore: una delle macchine inseguitrici sgusciò tra la mole fumante del veicolo e il muro di un palazzo, evitò di stretta misura il crollo di un palo della luce, diede gas e si mise di nuovo sulla scia del furgone, sbandando a destra e a sinistra nel tentativo di superarlo.
Alla guida c'era la donna con gli occhiali a specchio.
Procedettero attraverso la periferia, si lasciarono la città alle spalle.
Altre macchine si erano unite alla prima e il furgone procedeva zigzagando inseguito da un codazzo ululante e lampeggiante.
Richard si voltò verso Brunn. “Che facciamo?” chiese concitato.
Conosco qualche trucco,” rispose l'altro, senza distogliere lo sguardo dalla strada. “Basta che le seminiamo, tanto hanno solo i taser, non possono colpirci da questa distanza. Va' dietro, apri il portellone e molla giù quello che trovi.”
Il primo assicurò il bambino al sedile con la cintura di sicurezza, quindi lo oltrepassò e si mosse cauto nel cassone. Trovò dei contenitori di frammenti metallici, scarti di officina, chiodi e altro. Aprì il portellone e si trovò praticamente faccia a faccia con la donna dagli occhiali a specchio. Quella lo vide e immediatamente sterzò, spostandosi dalla scia del furgone. Il lancio di taglienti mise fuori combattimento altre due macchine, che finirono la loro corsa sul bordo della strada con le gomme squarciate.
Richard prese un secondo contenitore e attese che la prima macchina riprendesse il suo posto, ma di nuovo la donna sembrò intuire le sue intenzioni con un secondo di anticipo, perché al momento del lancio letteralmente si volatilizzò.
Poi la macchina ricomparve, diede gas e speronò col muso il furgone. Richard perse l'equilibrio e rotolò sul pavimento del cassone, finendo pericolosamente vicino al portellone posteriore spalancato.
Di nuovo la macchina colpì il furgone, che sbandò con un acuto stridore di gomme. L'uomo si aggrappò, ma finì comunque con mezzo corpo fuori dal veicolo. Ebbe una fugace visione dell'asfalto, che data la velocità dei mezzi era solo un indistinto magma grigio.
Si tirò su a forza di braccia, cercò di chiudere il portellone, ma di nuovo la macchina speronò. Dal posto di guida provenne l'imprecazione di Brunn.
Il furgone si inclinò su due ruote laterali, Richard all'interno rotolò come una palla di stracci. Vide il magma grigio mutarsi in un magma marrone e poi verde e comprese che stavano uscendo di strada. Fece appena in tempo a saltare davanti e abbracciare il figlio, poi il furgone si piegò e con un fracasso da fine del mondo prese a rotolare giù per una scarpata.

§

Papà!” gridò il bambino, sgusciando via dalla cintura di sicurezza. “Papà, papà!” Si mise a piangere. “Papà, dove sei?”
Richard aprì gli occhi e si rese conto di essere disteso faccia in giù su un terreno sassoso, con chiazze di muschio qua e là. Percepiva il calore del sole su un lato del viso, sentiva il gorgogliare di un torrente.
Si alzò a fatica. Era indolenzito, qua e là graffiato, ma non gli pareva di avere danni gravi. “Leo?” chiamò per prima cosa.
Papà!”
Fece scorrere lo sguardo tutt'intorno.
La macchina viola era a ruote in su, schiacciata come se fosse passata sotto una pressa.
Il furgone era disteso sul lato del guidatore. Il parabrezza era saltato e sembrava che una mano enorme avesse accartocciato il cassone come un pacchetto di sigarette vuoto. Lo sportello dal lato passeggero mancava.
Papà, vieni!”
Richard raggiunse zoppicando il veicolo: il bambino era accucciato sul sedile e a parte le lacrime di paura non sembrava avere danni. Quello che invece giaceva immobile, con gli occhi chiusi e un rivolo di sangue che gli inzuppava la barba, era Brunn. Gli si chinò accanto. “Ehi, amico,” lo chiamò con voce sommessa.
Egli sollevò a fatica le palpebre e con voce debole disse: “Te l'avevo detto che sapevo qualche trucco.”
Dove sei ferito, Brunn?”
Forse farei prima a dirti dove non sono ferito.” Cercò di fare una risata, che subito si spense in un doloroso colpo di tosse. Altro sangue gli colò giù per il mento. “Mi sa che da qui in poi dovrai andare avanti da solo,” disse.
Richard scosse la testa. “Stai scherzando? Io non ti lascio qui.”
Stronzate. Devi andare prima che quelle là ritornino in forze.”
E tu, amico?”
Brunn fece un pallido sorriso. “Presto quelle là non saranno più un mio problema.” Cercò di ghignare, ma di nuovo un accesso di tosse glielo impedì. “Piuttosto... “
Sì...?”
È meglio che ti spieghi la strada prima di...”
Brunn!”
Ah, lascia. Dovrebbe esserci un po' di bourbon nella tasca del mio giubbotto, ti spiacerebbe prenderlo? Vorrei farmi un goccio, almeno, prima di tirare le cuoia.”
Richard frugò fino a che non trovò la fiaschetta, quindi la stappò e gliela avvicinò alle labbra. Nonostante le sue condizioni, Brunn riuscì a berne un lungo sorso, poi emise un sospiro di soddisfazione e disse: “Ora ascoltami, Rick, non ho molto tempo. C'è un torrente qui vicino?”
Sì, scorre a venti metri da qui.”
Risali la corrente.”
È lontano il posto?”
A piedi saranno un paio d'ore.”
Come lo trovo?”
Saranno loro a trovare te. Prendi il mio cappello da baseball e mettitelo in testa. Verranno da te quando lo vedranno.” Fece una pausa, poi con voce ormai debole, mormorò: “Dammi un altro goccio, Rick.”
Bevve un sorso, quindi soggiunse: “Ti ricordi quella frase che ti dissi sulla libertà?”
Certo.”
Ora non hai più paura, Richard. Va' libero con tuo figlio.”
E tu, Brunn?”
Lasciami qui. Se il mio corpo nutrirà un orso o un lupo, io continuerò a vivere.” Chiuse gli occhi, la testa gli cadde lentamente da una parte. Un ultimo lungo respiro gli sollevò l'ampio petto, poi il silenzio calò sulla scena.
Brunn!” esclamò Richard, ma l'uomo non rispose più.
Allora raccolse il vecchio berretto consunto e se lo calcò in testa, quindi si alzò e si voltò fino a incontrare lo sguardo attonito del bambino. Si fissarono per lunghi secondi, poi lo prese per mano e disse: “Vieni, è ora di andare.”
Dove andiamo, papà?”
A casa.”

§

L’aria delle vette, già frizzante della prima neve, fece turbinare i trucioli che coprivano il suolo, il cielo terso vibrò del grido acuto e modulato di un nibbio.
Richard sollevò la testa e si guardò intorno alla ricerca del rapace, lo seguì brevemente con lo sguardo, quindi riprese lo scalpello e tornò al suo lavoro. Trucioli di frassino ricominciarono a imbiancare il terreno, mentre un motivo decorativo a foglie di quercia prendeva lentamente forma. Di tanto in tanto, l’uomo si voltava verso la costruzione che si trovava alle sue spalle, una casa di tronchi con il tetto spiovente, la fissava soddisfatto e riprendeva a intagliare.
Si udirono dei passi, sopraggiunse un altro uomo, in pantaloni mimetici e giaccone di pelle.
Ciao, Karl,” lo salutò Richard.
L’altro si fermò e si pose i pugni sui fianchi, quindi contemplò a sua volta l’abitazione e disse: “È quasi finita, eh?”
Già, i ragazzi mi hanno dato una mano. Volevano che fosse pronta prima dell’inverno.” Passò una mano sul pannello che stava intagliando e aggiunse: “Sto finendo le finestre. Appena sono pronte, direi che io e Leo possiamo trasferirci.”
Karl si guardò intorno. “Dov’è Leo?”
A caccia.”
È proprio appassionato, eh?”
Già.”
Si udì un festoso abbaiare e poco dopo arrivarono di corsa quattro grossi cani dall’aria vigorosa e robusta, con folte pellicce e occhi vispi. “Ehilà, ragazzi!” li salutò Richard.
Gli animali gli si avvicinarono scodinzolando e uggiolando. “Dov’è Leo?” chiese l’uomo, come rivolgendosi alle bestie.
Sono qui, papà!” rispose una voce.
Si fece avanti un giovanotto snello e solido, con i capelli biondi lunghi fin sotto le orecchie e due luminosi occhi azzurri. Aveva abiti mimetici e un fucile sulla spalla. “Ciao, papà.” salutò. “Ciao, Karl.”
Preso qualcosa?” chiese quest’ultimo.
Il ragazzo alzò le spalle. “Niente di che, un paio di conigli selvatici. Li mangiamo stasera.”
Richard annuì. “Ok, che hai fatto al braccio?”
Il ragazzo si toccò una fasciatura di fortuna macchiata di sangue in un paio di punti. “Un graffio,” rispose.
Va’ a lavartelo nel torrente. Nel caso chiedi a Miller di darti un’occhiata.”
Va bene.” Il ragazzo appese a un ramo il carniere, poi aprì l’otturatore del fucile e controllò che fosse scarico. Solo dopo lo porse al padre.
Fatto questo si tolse anche la giacca e si diresse al corso d’acqua. I cani lo seguirono latrando.
Un bravo ragazzo,” commentò Karl.
Richard annuì con gesto sobrio.
Venite alla sala, stasera?”
Certo. Qui non ci sono ancora le finestre, sarebbe un po’ freddo.”

Al centro della sala comune ardeva un bel fuoco alimentato da ceppi di quercia. Tutt’intorno sedeva la gente. Uomini, perlopiù, ma anche donne stanche del Mondo dell’Amore.
Leo, i cani accucciati ai suoi piedi, stava pulendo uno dei suoi fucili. Accanto a lui, Richard sorseggiava un bicchiere di bourbon e lasciava scorrere lo sguardo sull’ambiente.
Era decisamente soddisfatto: nel pomeriggio aveva terminato gli intagli delle finestre e aveva già pronti i barattoli di vernice bianca e azzurra per pitturare gli infissi. Ripensò alla Baviera, che non aveva mai visto, e più che mai gli parve che dovesse essere simile al luogo nel quale aveva scelto di vivere.
La Baviera in realtà era più che altro un luogo dello spirito, dove nel corso degli anni aveva collocato ogni cosa bella e buona.
Si voltò verso il figlio, che aveva finito di pulire l’arma e ora sedeva assorto, grattando distrattamente la schiena di uno dei suoi cani. “Tu te la ricordi la mamma?” chiese il ragazzo senza staccare gli occhi dalle lingue di fuoco che danzavano nel braciere.
Richard emise un sospiro. “Sì.” Poi, dopo una pausa: “E tu?”
Sì.”
I due tacquero, ognuno assorto nei propri pensieri. Il brusio della sala era un sottofondo ipnotico, che invitava alla meditazione.
Alla fine il ragazzo disse: “Mi piacerebbe sapere cosa sta facendo.” Fece una pausa, si chinò a baciare tra le orecchie uno dei suoi cani, poi chiese: “Tu credi che sia felice?”
No, io credo di no,” rispose Richard. “Il Mondo dell’Amore dovrebbe chiamarsi in realtà Mondo dell’Odio, Mondo dell’Oppressione, o magari anche Mondo dell’Aggressione Contro Chi Non La Pensa nel Modo Giusto. Credono di rispettare, invece opprimono. Credono di amare, invece impongono un’odiosa prigionia, in gabbie anguste come le loro menti. Credono di essere aperte, empatiche e prive di pregiudizi, invece sono grette, violente e cariche di disprezzo per chiunque abbia idee diverse dalle loro. Dicono di comprendere, invece giudicano, dall’alto di una superiorità morale che è solo nelle loro teste. Parlano di uguaglianza, ma l’uguaglianza in quel mondo esiste solo sottoterra.”
Di nuovo fra i due calò il silenzio.
Alla fine Leo annuì grave, poi si tirò indietro i capelli che gli erano scivolati sugli occhi, raddrizzò la schiena e in tono risoluto disse: “Un giorno andremo a riprendercela. Che ne dici, papà?”
Richard scosse la testa e rispose: “Arriverà da sola, quando come noi avrà imparato davvero il valore del rispetto e della libertà.”



   
 
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