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Autore: Ghen    05/11/2018    5 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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31. Sorelle 


Kara bussò con decisione e attese solo pochi secondi che Alex, come fosse già dietro la porta ad aspettarla, le aprì andandole incontro per un abbraccio; poi la sollevò di peso e la trascinò dentro, chiudendo la porta con un calcio. Ansimò, guardandosi intorno in casa della sorella, dal piccolo soggiorno all'ingresso per la cucina, quello per la camera e il bagno, il piccolo balcone. Appoggiò la borsa a terra. «Sei sicura che posso restare?».
«Una notte e due giorni, Kara. Ti rapisco solo per il weekend, tornerai in tempo per le lezioni. Maggie e Jamie saranno dai genitori da questo pomeriggio, io sarei comunque rimasta tutta sola».
L'abbracciò di nuovo, dalle spalle, poi le disse di lasciare la giacca sull'appendiabiti. Kara non faticava a immaginare come mai le avesse chiesto di stare a casa sua per il weekend: lei e Lena si erano lasciate, e sul serio questa volta, e come una buona sorella maggiore si preoccupava per lei. Dopotutto, era quello che Alex aveva sempre fatto.

«Cosa?», aveva gridato Alex, tirandosi indietro una lunga ciocca di capelli castani. «State adottando una bambina? Verrà qui?». Aveva rincorso sua madre e suo padre per tutta casa, con il fiato corto e il cuore in tachicardia.
«No, Alex, resterà fuori in giardino», aveva ironizzato una giovane Eliza dando uno sguardo a Jeremiah al suo fianco, che aveva sorriso.
Così l'uomo si era girato e aveva provato a prendere sua figlia da parte, poggiandole le mani sulle spalle gracili. «Ehi, bambina mia, andrà tutto bene. Okay? Questo non cambierà quello che io e tua madre proviamo per te e non cambierà in alcun modo la tua vita. Te lo prometto».
Lo aveva promesso, certo, ma Alex in fondo sapeva che quella era una promessa che non poteva mantenere perché niente di tutto ciò avrebbe dipeso da lui. Quando per la prima volta quella bambina aveva messo piede in casa sua, Alex si era assicurata di guardarla nel modo più acido che riuscisse e di sbatterle la porta della sua camera in faccia. La porta della sua camera che presto avrebbe dovuto condividere con lei. Per dispetto le aveva rovesciato il materasso e messo tutte le sue cose sul pavimento, ma non era riuscita a fare altro che farsi sgridare da Eliza. Sua madre infatti lo aveva rifatto e poi aveva preso lei in disparte, in cucina, in modo che la lezione non le sfuggisse.
«Devi darti una calmata, ci siamo capite? Kara è tua sorella, adesso, e ti prego, ti prego, Alex», l'aveva implorata, «niente più dispetti, cerca di accettarla. Nessuno ti costringe a volerle bene da un giorno all'altro, ma devi almeno accettarla». L'aveva guardata con insistenza fino a quando non aveva aperto bocca.
«Va bene», aveva detto tirandosi indietro i lunghi capelli, accompagnando uno sbuffo, «Niente più dispetti».
Niente più dispetti, sì, ma nessuno l'avrebbe potuta obbligare ad accettarla davvero come sorella. Quella Kara era un'estranea ma, fin da subito, era riuscita a prendere la completa attenzione di Eliza e Jeremiah per qualsiasi cosa: l'accompagnavano a scuola a turno, quando per lei non si erano più disturbati a farlo dall'età di otto anni, perché a detta loro esistevano gli autobus; le preparavano le sue merende preferite e si assicuravano che non mancassero mai, quando lei, per chiedere dei cereali specifici, aveva dovuto aspettare Babbo Natale; se era Kara ad aver bisogno di qualcosa si precipitavano, mentre lei poteva restare a chiamarli per ore e ore che non sentivano. Era la loro vera figlia, accidenti: doveva passare in secondo piano? Insistevano perché Kara fosse la loro nuova figlia, ma lei non era neppure capace di chiamarli mamma e papà, perché doveva venire prima di lei?
«Dillo», le aveva puntato contro un dito una sera, stufa di sentirla chiamare i suoi genitori con i nomi propri. «Devi dirlo».
«No», aveva aggrottato la fronte l'undicenne, seccata che cercasse con ogni mezzo di obbligarla.
«Devi farlo, accidenti», l'aveva sgridata. «Adesso abiti qui, sei loro figlia, ti hanno adottata, quindi devi chiamarli mamma e papà», l'aveva bloccata davanti a una porta, «Hai capito, Kara? Devi farlo, per forza».
«No», aveva mugugnato cercando di spostarla da mezzo per passare, «Non lo farò! Smettila».
«Alexandra Danvers!». Eliza aveva gridato come non accadeva spesso e il fatto che l'avesse chiamata con il nome per intero poteva solamente significare che era davvero arrabbiata. «Possibile che tu non capisca?! Lasciala in pace».
Per quanto si sforzasse, Alex davvero non capiva e non capiva perché continuassero a difenderla e attaccare invece lei. Eliza e Jeremiah si facevano in quattro per Kara e quella mocciosa non era neppure capace di ricambiare il loro affetto nel modo più semplice possibile, chiamandoli come una figlia qualunque avrebbe fatto. Si premuniva sempre di ribadire più volte il mamma e papà in presenza di Kara solo per darle fastidio; un modo come un altro per rimarcare quanto, in fondo, non sarebbero mai state vere sorelle.
E da che Alex ricordava, allora il tempo era volato: un giorno qualunque una bambina era entrata nella sua vita, e il giorno dopo aveva già quasi quattordici anni ed era pronta per il suo primo giorno di liceo. Il suo liceo. Alex doveva frequentare l'ultimo anno e aveva odiato con tutte le sue forze l'idea di averla nella stessa scuola con lei, fosse anche solo per un unico anno scolastico. Alex aveva una reputazione da mantenere e Kara era strana, sempre per le sue, per la sua età guardava ancora i cartoni animati e si vestiva con salopette ricamate con delfini stile cartoon: di certo non avrebbe voluto che qualcuno l'associasse a lei.
Quella mattina, Alex si era vestita con fretta e furia, aveva mangiato qualcosa al volo ed era uscita di corsa per prendere l'autobus, senza aspettare la sua sorellina, come le aveva invece raccomandato di fare Jeremiah, che era ancora a casa a quell'ora. Prima di uscire dalla loro camera, aveva intravisto Kara tirare fuori dall'armadio una grossa gonna senza personalità che le sarebbe arrivata a metà gamba e una camicia a pallini: di certo non avrebbe voluto sedersi vicino a lei sul bus. Non l'aveva aspettata neanche all'arrivo: era uscita veloce spostando gli altri studenti e si era precipitata dentro la scuola, ricercando il suo gruppo di amiche in tempo per lamentarsi di quanto facesse schifo la sua vita da quando Kara era nella sua casa. Stavano aspettando che la campanella suonasse chiacchierando e salutando i ragazzi per il corridoio quando un'amica alla sua destra l'aveva richiamata per dirle:
«Ehi, Alex, ma non è tua sorella, quella?».
Lei si era girata mancandole il fiato e il suo corpo si era gelato, infine, spalancando gli occhi, nel momento in cui l'aveva inquadrata: calze a rete sopra stivaletti col tacco e borchie, minigonna a righe, magliettina bianca e nera, corta tanto le lasciava fuori l'ombelico, i capelli sciolti raccolti da un lato. Quella non era sua sorella: era un mostro che aveva frugato nel suo armadio. Immediatamente le si era scagliata contro, spingendola verso gli armadietti. «Cosa ti sei messa addosso? Ma non provi nemmeno un po' di vergogna ad andare in giro in questo modo?», l'aveva sgridata a bassa voce quando si era accorta che alcuni ragazzi si erano girati a guardarle.
«Tu vai in giro in questo modo».
«Io posso. È roba mia, vatti a cambiare».
«Non ho altro».
«Torni a casa e ti vai a cambiare», aveva insistito. «Ti guarderanno tutti».
«Lasciami stare», l'aveva spinta con una spallata e si era rimessa a camminare e, Alex l'aveva guardata attentamente, era quasi sul punto di cadere perché non abituata ai tacchi.
Un ragazzo l'aveva fermata a pochi metri da Alex e l'aveva fischiata, guardandola a lungo e poi chiedendole come si chiamasse. Alex si era sentita sprofondare a vederla squadrata in quel modo dai ragazzi ma non sapeva cosa fare se non chiamare suo padre che la venisse a prendere da scuola; così stava per muoversi che, all'improvviso, aveva sentito Kara rifiutare quel ragazzo e lui insistere. Oh, a quel punto forse avrebbe dovuto- Aveva visto Kara fermarlo per un braccio e gettarlo con una spinta contro gli armadietti, tanto forte che lui aveva sbattuto una spalla e aveva detto di essersi fatto male. Così si era allontanato e lo stesso tutti quelli che erano rimasti a guardare la scena; anche Kara, poco dopo, se n'era andata per conto suo, storcendo una caviglia ad ogni passo.

«Non ci credo che si siano baciati», Alex fece una smorfia rivolta alla televisione, prendendo un'altra fetta di pizza dal cartone in mezzo a loro, sul lettone.
Anche Kara aveva lo sguardo imbronciato. «Nick ama Jess, è solo momentaneo…». Prese un'altra fetta anche lei che l'altra la rimbrottò che mangiava troppo in fretta, così le fece la linguaccia.
«Beh», incurvò la testa Alex, dopo aver ingoiato un boccone, «Dopotutto è Megan Fox. Chi rifiuterebbe un bacio a Megan Fox?».
«Devo chiedere a Maggie cosa ne pensa?», le sorrise e Alex annuì.
«Anche Maggie bacerebbe Megan Fox».
Risero e Alex si alzò per andare a prendere da bere, mettendo pausa alla televisione. Avendo già finito l'ennesima fetta di pizza, Kara si allungò per prendere il suo cellulare poggiato sul comodino, ma non c'era nessuna nuova notifica. Sbuffò e si portò meglio il plaid sulle gambe, decidendo di dare un'occhiata ad Instagram. Oh, come al solito Lillian si era lasciata prendere la mano e aveva pubblicato una decina di foto di Eliza in giro per villa Luthor-Danvers. Sembravano felici. Tra poco si sarebbero sposate, dopotutto. Sfogliò le foto sul suo profilo, rivedendo quelle del Natale: era stato appena due mesi fa, eppure quelli scatti le sembravano così lontani… Era strano che Lillian non avesse pubblicato neanche una foto di tutti loro insieme. Oh, sorrise trattenendo una risata, guardandone una di Alex e Lena che mangiavano i cupcake guardandosi in cagnesco. Allora litigavano perché Alex non accettava il loro rapporto e le era sembrato un problema insormontabile, mentre ora quel momento le mancava. Non avevano più nessun rapporto per cui litigare. Le brontolò la pancia e deglutì, vedendo Alex che le arrivava accanto. Cercò di mettere via il cellulare mentre le passava un bicchiere pieno d'acqua, ma notò il suo sguardo cadere su quelle immagini.
Alex passò dal suo lato e poggiò il suo bicchiere d'acqua sul comodino, guardandola con la coda dell'occhio mentre beveva, intanto che con l'altra mano teneva stretta il cellulare. «Ti manca, non è vero?».
Kara appoggiò il bicchiere con tutta calma e le diede uno sguardo, decidendo di annuire. Prese il telecomando, stava per rimettere play che la sorella la fermò.
«Mi hai convinto», si sedette più vicino a lei, strisciando le natiche sul copriletto e spostando il cartone della pizza. «Parlamene. Come vi siete avvicinate? O… innamorate?», riuscì a dire e Kara lentamente scosse la testa.
«Ma no, guardiamo ancora qualche episodio, altrimenti restiamo… indietro, restiamo indietro». Stava per cliccare play che Alex le prese il telecomando dalle mani, poggiandolo vicino al cartone della pizza dal suo lato. Kara la guardò a lungo come se stesse decidendo il da farsi.
«E va bene», finse uno sbuffo, appoggiando la schiena contro il muro di malavoglia. «Ma voglio un'altra fetta di pizza», la indicò e Alex sorrise, passandole il cartone.

Dal momento che Kara, il primo giorno di liceo, si era presentata con i suoi vestiti addosso, Alex aveva deciso di chiudere a chiave il suo armadio e lo sapeva che lei aveva passato le ore a cercare un modo per aprirlo, ma alla fine si era dovuta arrendere. Alex sperava che in quel modo avrebbe riavuto la Kara di sempre, invece si era fatta accompagnare da Eliza per negozi in modo che avesse potuto comprare qualche nuovo indumento con i suoi risparmi; in quel modo, anche dal giorno seguente, Kara si era presentata a scuola con minigonna e ombelico fuori. Era come se avesse deciso di scimmiottarla e la mandava in bestia.
«Non puoi lasciarla andare a scuola vestita in quel modo», aveva cercato di convincere Eliza a riprenderla.
«Tu vai a scuola in quel modo».
«Ma io posso, mamma, non mettertici anche tu», si era portata le mani sui capelli con fare stressato. «Lei è piccola e quell'abbigliamento non fa per lei».
«Avevi la sua stessa età quando hai iniziato a vestirti così. Anzi no, eri alle medie», le aveva fatto notare, «Poi che quell'abbigliamento non faccia per lei mi trovi d'accordo. Ma è quello che vuole, non posso farci nulla. Non posso obbligarla a vestirsi come piace a me. O a te», l'aveva riguardata attentamente.
«Ma lei vuole copiarmi».
Eliza si era messa a ridere. «Forse vuole attirare la tua attenzione, chi lo sa».
Aveva chiuso lì la faccenda ma, per Alex, quello era solo un altro motivo per odiarla.
Fortunatamente, dopo aver cercato con ogni mezzo di non spargere troppo la voce che Kara fosse sua sorella, era riuscita a mantenere la sua popolarità a scuola, quella che si era costruita in quegli anni con le unghie e con i denti. Finalmente i ragazzi più belli sapevano della sua esistenza e, nondimeno, le chiedevano di uscire. Aveva accettato la richiesta di Jackson, che giocava nella squadra di baseball della scuola. Era uno dei ragazzi che lei e le sue amiche avevano sempre definito irraggiungibili sulla scala sociale del liceo; alto, moro, dalla pelle color caffellatte, palestrato e single. Aveva provato a stare con dei ragazzi, ma Alex era certa che sarebbe stato lui quello che le avrebbe fatto perdere non solo la testa, ma anche la verginità. Era pronta. Dunque, a fine lezioni, aveva deciso di fingere di perdere l'autobus e di restare a scuola. Lei e Jackson si erano trovati in un corridoio deserto e il ragazzo l'aveva fatta avvicinare agli armadietti, per poi riprenderla e trattenerla contro il suo petto. Le aveva messo le mani lungo la vita, le aveva accarezzato il sedere e, mentre continuavano a baciarsi, aveva provato ad insinuarsi sotto la sua t-shirt. Forse stava correndo un po' troppo e Alex aveva sentito la pressione salire e il cuore battere rapido, ma quello che era successo di lì a poco l'aveva fatta arrabbiare come una iena.
«Giù le mani da Alex»: neanche il tempo di capire che quella era la voce di Kara che Jackson era stato strappato via da lei e gettato a terra.
«Che cosa cavolo stai facendo?», le aveva gridato. «Che ci fai tu qui?».
Jackson intanto si era rimesso in piedi e, frastornato, aveva tentato di riavvicinarsi, ma Kara lo aveva spinto ancora e gli aveva fatto lo sgambetto, ributtandolo a terra e intimandogli di stare lontano da sua sorella. «È tua sorella?».
«No! È una pazza furiosa, ecco cos'è».
«Lui ti stava toccando», si era giustificata.
«Vattene da qui».
«Ma non ti ho vista e pensavo avessi bisogno di aiuto».
«L'unico aiuto che vorrei è quello per liberarmi di te, piaga», l'aveva spinta per le spalle. Jackson aveva deciso di andarsene e Alex aveva emesso un verso di rabbia, spingendola ancora. «Guarda cos'hai fatto! Hai rovinato tutto! Quando inizierai a comportarti da essere umano, eh? Da normale?».
Kara se n'era andata e Alex era sicura che, quella volta, era riuscita a farla piangere.
Si era lamentata del suo comportamento con Eliza e anche con Jeremiah, prima di accorgersi che stava parlando di un ragazzo con cui avrebbe voluto stare e allora si era stata zitta. Eliza era solo riuscita a dirle che avrebbe dovuto portare pazienza, che Kara pensava di aiutarla e che era stata lei quella a sbagliare. Alex non riusciva proprio a capire perché la donna continuasse a prendere le sue difese sempre, anche quando palesemente aveva combinato un guaio.
Perché quella ragazzina doveva per forza andare ad abitare da loro? Non avrebbe potuto adottarla qualcun altro?
Stanca e sconcertata, se n'era andata dritta in camera sua pur sapendo che l'avrebbe trovata lì, convinta che avrebbe potuto sbatterla fuori almeno per quel pomeriggio. Ma quando aveva aperto un poco la porta, la voce di Kara, talmente dura e incattivita da spaventarla, l'aveva cacciata, gridandola di richiudere la porta.
«Adesso basta», aveva gridato lei contro Eliza, che controllava documenti nel suo studio, la piccola camera vicina alla loro. «Quella piccola sanguisuga ha occupato camera mia. Camera nostra. Non mi fa entrare ed è tutto buio, chissà cosa starà facendo».
«Calmati, Alex». Lei aveva lasciato i documenti sulla scrivania e si era alzata, pregando alla figlia di seguirla. «L'ho comprata questa mattina, pensavo potesse piacervi ma tu sei rientrata più tardi e non l'hai ancora vista», le aveva detto. In corridoio, l'aveva fatta inchinare davanti alla maniglia, in modo che guardasse attraverso la serratura: vedeva che c'erano delle lucette accese e Alex scosse la testa, rivolgendosi ancora a sua madre. «È una lampada che proietta le stelle sul soffitto: a Kara piace molto e la camera dev'essere completamente buia o non si vedono», aveva spiegato la donna. «È sdraiata. È tranquilla. Lasciala un po' a rilassarsi».
Ma Alex aveva contratto le sopracciglia. «È una cosa da bambini», aveva ribattuto, rimettendosi in piedi. «E io dove vado a rilassarmi?».
«Non le dai un minimo di tregua, eh?», l'aveva guardata, imbronciandosi. «Non puoi nemmeno l0ntanamente immaginare cosa ha passato Kara e potrebbe non superarlo mai. Ma tu sai pensare solo a te stessa».
Oh, com'era possibile presupporre, si era risentita anche a quelle parole. Nessuno mai le aveva detto che era egoista. Si era inchinata di nuovo e aveva cercato le stelle che riusciva, inquadrandone qualcuna. Beh… era una cosa bella, dopotutto.

Kara arrossì mentre Alex rideva, sdraiata sul letto al suo fianco.
«Quindi sei stata tu a baciarla per prima? Un bacio a stampo? Non ci credo».
«Beh… abbiamo tentato di baciarci spesso, veramente, e in quel momento io dovevo andarmene ma Lena era lì, e mi guardava e no, non voleva che me ne andassi e…», prese fiato, «non lo so, non credo di aver… pensato in quel momento», ridacchiò, coprendosi la faccia con le mani.
«La mia sorellina che fa la prima mossa», sussurrò Alex, «Però, chi l'avrebbe mai detto?!».
«Ehi», s'imbrunì, «Ho fatto la prima mossa altre volte».
«Sì, come dimenticare la faccia di… come si chiamava? Brody? Darren?».
«Zac», annuì, «era Zac».
«Oh, giusto, mi confondevo. È passato così tanto tempo…».
Era passato tanto tempo, ma Kara lo ricordava ancora bene: aveva appena allontanato con la forza un ragazzo che le aveva chiesto di uscire con insistenza e si era voltata verso Zac che prendeva i suoi libri da un armadietto. Sguardo pallido, spaventato, non aveva saputo cosa dire quando lei gli aveva chiesto di uscire, ma di sicuro aveva allungato uno sguardo al povero sfortunato accanto che ancora si toccava un polso dolorante.
«Ti sono sempre piaciuti i ragazzi», le fece notare Alex. «Che cos'è cambiato?».
«Anche a te piacevano i ragazzi».
«Questo è vero, ma-».
«Sei gay. Io no», sollevò le spalle e la guardò negli occhi. «Non sono gay! Mi piacciono ancora i ragazzi e non è cambiato perché… perché amo una donna», trovò il coraggio di dire quelle parole. «Mi sono sempre piaciute anche le ragazze, comunque, anche se non ne abbiamo mai parlato».
«Davvero? Perché non me ne sono mai resa conto?».

«Pss». L'amica vicino le aveva spinto un gomito e Alex aveva alzato gli occhi dalla rivista che stava leggendo. «Guarda tua sorella, lì», la indicò. «Sembra che stia guardando il culo di Samantha Jones», aveva riso e lei si era voltata, adocchiando Kara che, con le mani dentro il suo armadietto, era girata da un'altra parte, a pochi armadietti dal suo, proprio verso quello che sembrava il fondoschiena di quella ragazza.
«Che cavolo stai facendo?», le aveva strillato nelle orecchie correndole incontro, sbattendo una mano sull'armadietto adiacente. «Guardi il culo delle ragazze, adesso? Penseranno che sei lesbica».
«Pff», aveva messo su una smorfia indispettita. «No-Non guardavo il suo sedere», si era discolpata, voltandosi verso Samantha Jones e mettendo le mani sui fianchi. «Ma la sua gonna. È molto carina e-e le sta bene».
Allora Alex aveva allungato uno sguardo, sistemando le braccia a conserte. «Mh… in effetti sì, le sta bene. Le sta proprio bene».
Avevano continuato a fissarla finché non si era allontanata.
Da quando, di tanto in tanto, Alex si era ritrovata a cercare le stelle riflesse sul muro attraverso la serratura della porta, il suo atteggiamento verso Kara aveva iniziato a cambiare. La trovava ancora una ragazzina strampalata e ingestibile, ma forse quella lampada non aveva avuto il potere di rilassare solo Kara, ma anche lei. Un pomeriggio aveva aperto la porta e richiusa subito, in modo che non le dicesse niente, ed era andata a sedersi sul suo letto, sguardo in su, per contare le stelle anche lei. Il giorno dopo si era seduta in terra vicino a lei. Il giorno dopo ancora era entrata con Kara dal momento che voleva azionare la lampada e insieme avevano chiuso porta e finestre, sdraiandosi a terra entrambe. Si era aperto qualcosa, tra loro. Avevano trovato una connessione.
«Ehi, tu lo sai che non devi vestirti così per forza, vero?», le aveva sussurrato una mattina, prendendola da parte prima che si cambiasse per la scuola.
Kara l'aveva guardata con sgomento. «Che cosa vuoi dire?».
«Che non puoi aver cambiato gusti nel vestire da un giorno all'altro! Perché ti vesti in questo modo? Non è da te».
La ragazzina aveva abbassato gli occhi e stretto le labbra, cercando le parole migliori per dirglielo. «Beh, perché… perché tu ti vergognavi di come mi vestivo e così…».
Alex non era riuscita a dire nemmeno una parola e l'aveva lasciata sola per cambiarsi. Era naturalmente vero: si era sempre lamentata di come si vestisse e forse, dato che avrebbero dovuto frequentare gli stessi ambienti, la minore aveva deciso di cambiare per non farla sentire a disagio. Si era vergognata come una ladra poiché non si era mai messa il pensiero che ogni cosa che dicesse, ogni cosa che facesse, aveva peso ed effetto su Kara. Solo la mattina successiva era riuscita a trovare il coraggio per dirle che poteva vestirsi come voleva perché, qualunque cosa avrebbe indossato, a lei sarebbe andata bene.
Si erano avvicinate molto in fretta in quel periodo. Alex ricordava che uno di quei pomeriggi, dopo un po' dall'essersi sdraiate a terra per guardare le stelle riflettute dalla lampada, le aveva chiesto qualcosa, e non ricordava di certo cosa, ma ricordava la sua voce impastata dal pianto. Kara piangeva.
«Sei triste? Ti rende triste o qualcosa del genere guardare le stelle della lampada?», l'aveva stretta a un braccio e Kara si era ripulita gli occhi con le maniche del pigiama.
«No, sono belle. Sono belle. Ma pensavo ai miei genitori», aveva sussurrato, mettendo Alex in stato di agitazione.
«Sono morti… vero?». Eliza e Jeremiah le avevano accennato qualcosa, ma non conosceva i dettagli del tragico destino che aveva segnato la famiglia El. Aveva visto Kara annuire e poi si era stata zitta, mettendosi un poco più vicina a lei. Per questo, con la scusa di dover andare in bagno, l'aveva lasciata lì e si era affacciata alla porta socchiusa dello studio di sua madre, chiedendole di dirle di più.
Era stato suo padre, la notte a seguire, a prenderla da parte un momento prima che andasse a dormire per parlarle di Kara:
«Conoscevo suo padre. Delle persone cattive, Alex, li avevano presi di mira e mi aveva chiesto, se per caso fosse successo qualcosa a loro, di prendermi cura di sua figlia».
«Quali persone cattive?», si era fatta più seria. «Verranno a prendere anche Kara?».
«Oh, no, no», aveva scosso la testa. «Non sanno che è qui. Ma sono agli arresti, adesso. Nessuno farà del male a Kara… non più di quanto le abbiano già fatto».
«Ma lei ride sempre». Erano fuori in giardino e si era voltata verso la luce accesa della loro camera, d'intinto.
«Si sta rialzando, Alex: è questo che fa. Cerca di starle vicino. Non ha mai avuto una sorella maggiore, tu non ne hai mai avuto una minore, è una situazione particolare per tutte e due ma sta funzionando», le aveva sorriso e poi l'aveva stretta nelle spalle. «Ma guardati: sono passati tre anni da quando è qui e finalmente ti preoccupi per lei».
Si era imbronciata subito. «Non mi preoccupo per lei». Aveva stretto le braccia intorno al petto ed era tornata dentro casa. Non si preoccupava per lei, aveva ribadito a se stessa, ma forse per la prima volta dopo tre anni aveva interesse a conoscerla.
Da quel momento, Alex si era sentita un po' in crisi, accidenti: aveva capito meglio Kara e il trauma che aveva vissuto, ma avrebbe tanto voluto forzarla perché capisse che erano loro, in quel momento, la sua famiglia e che avrebbe dovuto accettarlo. Che avrebbe dovuto andare avanti. Che avrebbe dovuto chiamare Eliza mamma e Jeremiah papà, per riuscirci. Aveva avuto una notte per pensarci. Una notte per schiarirsi le idee.
La mattina seguente si erano preparate, ognuna vestita come meglio preferiva, ed erano andate a fare colazione in cucina. C'era Eliza con loro e Kara le aveva chiesto di aiutarla a sistemarle la sua coda di cavallo, mettendole alcune forcine. La donna era sembrata genuinamente felice che la minore delle sue figlie fosse tornata in sé. Alex aveva preso un ultimo biscotto e aveva atteso che Kara fosse pronta per uscire, poi si era girata da sua madre e, stupendo entrambe, l'aveva salutata: «Ci vediamo allo stesso orario di sempre! Ciao… Eliza».
Kara aveva spalancato gli occhi e aveva guardato prima una e poi l'altra, non riuscendo a fare a meno di sorridere.
Il cambiare abbigliamento di Kara per non mettere a disagio Alex, aveva fornito a quest'ultima uno spunto da mettere sul piatto delle idee che avevano affollato la sua mente nelle ultime ore e così l'improvviso bisogno di fare lei, questa volta, qualcosa per avvicinarle. Kara aveva dei genitori e per quanto questi fossero morti, sarebbero stati la sua mamma e il suo papà per sempre, anche se aveva un'altra famiglia.

Avevano lasciato il cartone della pizza vuoto sul pavimento, avevano preso delle bibite e si erano messe il pigiama. Sotto insistenza della maggiore, Kara non fece che parlarle della sua relazione con Lena, ora di nuovo sdraiate sul letto, l'una davanti all'altra.
«Le avevo chiesto di parlarmene e credevo lo avesse fatto quando siamo state in villa la vigilia di Natale-».
«Ecco dov'eravate», sorrise, «Il lavoro la chiamava, eh?».
«Beh, s-sì», arrossì subito, distogliendo lo sguardo da lei. «Il lavoro e-era una scusa, voleva restare un po' da sola con me e-».
«Oddio», spalancò gli occhi all'improvviso. «Siete state insieme! Avete saltato la Messa per stare insieme, non negarlo».
«Non… Non lo nego», non riuscì a trattenere un sorriso imbarazzato.
«E non era la vostra prima volta», la indicò, stringendo i denti.
«No», spalmò la faccia sul materasso.
«Ah», le picchiettò la testa. «Siete state insieme anche la notte del Ringraziamento, Maggie ti aveva vista uscire dalla camera di Lena, ora si spiega tutto. E ad Halloween? Avevi il segno del suo rossetto sul collo, non ci credo, siete scappate per pomiciare e noi che vi cercavamo preoccupate che vi foste perse! Avresti potuto parlarmene in ogni momento, Kara. Davvero. Ogni-momento».
Kara non rispose e finse di essere addormentata, ma dal momento che soffriva il solletico non le riuscì più molto bene. «Va bene. Va bene, sono viva», rise, rossa in faccia. «Al Ringraziamento… emh, era la prima volta che stavamo insieme».
«Eri tutta felice, quella mattina…», la picchiettò ancora e Kara avvampò.
«La puoi smettere?», spalancò una mano, cercando di fermare la sorella e farle prendere le distanze. Era particolarmente imbarazzata e Alex sorrise. «Sto cercando di costruire un discorso serio, qui».
«Hai ragione, scusami. Ma è tutto così», le strizzò una guancia, «nuovo per me sentirti parlare di queste cose».
«Ehi! Avevo provato a parlarti di quando stavo con Mike, ma tu mi interrompevi sempre».
«Avevo le mie buone ragioni, credimi», annuì e poi rise, così che anche Kara rise, nascondendo di nuovo per un attimo il viso contro il materasso. «Dopotutto, io non ti ho parlato del mio appuntamento con Maxwell Lord. E pensandoci, per come sono iniziate le cose tra te e Lena…».
Kara rialzò il viso in fretta, fissando la sorella. «No, aspetta! Appuntamento con Maxwell Lord? Quando?».
«Ed ecco perché non te ne avevo parlato», le carezzò la testa con una leggera pacca. «Siamo usciti come amici, era il mio prezzo per avere il quadro per l'asta. È andato tutto bene».
«Come amici?», si assicurò.
«Sì», alzò una mano in segno di resa. «Maxwell Lord non ci piace, lo so, ma avevamo bisogno di quel quadretto, no? Non è nemmeno una persona così noiosa come sembra». Kara la guardò assottigliando i suoi occhi e Alex sorrise. «Non mi sto affezionando a lui, Kara. Rilassati. Continua a non piacermi, solo un pochino meno del solito».
«Lo terrò d'occhio».
«Oh, ne sono sicura», rise, prendendo una pausa. «Ah! Ti ricordi di quando hai bagnato Lena lanciandole la palla in piscina?».
«Stai cambiando discorso».
«No, tu lo avevi cambiato, io lo sto riprendendo. E come ti aveva guardato? Lo ricordi?».
Kara sorrise sognante, decidendo di lasciar perdere Lord. «Sì. Non so come sia successo, che siamo passate da quelle occhiatacce a… questo. All'improvviso abbiamo iniziato a parlare e-», scosse la testa e sospirò, fissando un punto vuoto. «È come se l'avessi sempre aspettata, capisci? Non riuscirei a spiegarmi e può sembrarti strano, o pazzo», abbozzò una risata, «ma è come se l'avessi sempre amata e a un certo punto io l'abbia solo capito».
Alex si fece più seria, deglutendo. «Non è così strano», bisbigliò mentre lei continuava a parlare.
«E lo so che Lena prova lo stesso, e lo ha dimostrato… Lei è sempre attenta, e come mi guarda, e…», continuò a prendere fiato fino a quando il suo sorriso pian piano svanì e parlò più lentamente, «Ma c'è qualcosa, Alex. Parlavo di questo. Ho come un'impressione».
«Che impressione?».
«Che pensi di non meritarmi», strinse le labbra, guardandola di nuovo negli occhi. «Ha un blocco. Le avevo chiesto di parlarmene quando la vidi che aveva qualcosa che non andava, ma è-è evidente che mi ha rigirato le cose. O mi ha mentito, forse. Perché si comporta così? Sembra quasi che voglia punirsi. Ho pensato che potrebbe avere a che fare con sua madre, perché con lei ha un rapporto fatto di alti e bassi. Più bassi, a dirla tutta», sussurrò. «Ma non ne ho idea. So solo che questa cosa si mette tra noi. Soltanto questa cosa».
«Forse», scrollò le spalle, «teme la reazione di Lillian ed Eliza alla vostra relazione. Probabilmente più quella di Lillian. Avevate deciso di uscire allo scoperto e si è tirata indietro proprio prima di farlo».
«Ci ho pensato, ma… non lo so».
Kara gettò di nuovo la faccia contro il materasso e Alex le si avvicinò, accarezzandole i capelli disordinati. «Vedrai che non sarà nulla che non si possa sistemare, sorellina. In qualsiasi caso, ci sarò qui io a prendermi cura di te».

I suoi genitori non le avevano chiesto cosa l'avesse spinta, da un giorno a un altro, a chiamarli con il loro nome, ma pareva che a loro andasse bene. Anche se Alex e Kara si erano avvicinate come mai prima d'ora, da quando prendevano l'autobus per andare a scuola a quando lo riprendevano per tornare a casa, erano ancora quasi due estranee. Frequentavano compagnie diverse, mangiavano in posti diversi a pranzo, non avevano nulla di cui condividere se non qualche sguardo quando si incrociavano nei corridoi. Sapevano dentro di loro che le cose erano cambiate, ma lì, alla luce del liceo, erano ancora due Danvers che si conoscevano appena. Tuttavia, anche quel periodo stava per giungere al termine, poiché un fatto aveva cambiato tutto.
Una sera come altre, Alex si era calata dalla finestra della loro camera in comune per svignarsela con un ragazzo. Era da tempo che Kara non usava più pedinarla perché non le capitasse qualcosa di male, eppure quella volta aveva avuto una strana sensazione sulla pelle e così si era calata anche lei solo pochi secondi più tardi, seguendola dietro alcune case e poi fino a un parco. C'era un gruppo di ragazzetti più avanti, dietro lo scivolo dei giochi per bambini. Aveva intravisto, nascosta dietro un albero, Alex incamminarsi verso di loro e salutarli. A quel punto se n'erano andati tutti meno che un ragazzo che, avvicinandosi a lei, le aveva messo una mano tra i capelli e l'aveva baciata. A Kara non piaceva, era stata la sua prima impressione, ma non voleva rovinare il rapporto che stava iniziando ad avere con la sua nuova sorella, così si era girata per andarsene. Alex non l'avrebbe voluta lì. Se sarebbe stata abbastanza fortunata, aveva pensato, magari le avrebbe raccontato della sua serata romantica una volta tornata a casa.
«Allora, ti sta bene?», il ragazzo aveva sorriso e si era tirato indietro con la schiena, mani nelle tasche dei pantaloni: quell'atteggiamento da duro piaceva molto ad Alex, ai tempi.
«Sì», aveva sorriso anche lei, entusiasta. «Possiamo andare da te o…?».
«Da me? Sei matta, il mio patrigno mi spacca la schiena se porto una ragazza a casa», aveva ribattuto svelto lui. «Qui. Andiamo lì dentro, adesso», aveva indicato una casetta per bambini collegata ad altri giochi.
«Qui? Lì dentro?», aveva indicato anche lei, ma con incredulità. Per niente al mondo avrebbe voluto perdere la sua verginità in quel posto. «Sei tu quello matto, io lì dentro non ci metto neanche un dito».
Di lì a poco la situazione sarebbe precipitata. Si erano conosciuti a scuola, si piacevano, lui le aveva chiesto di uscire e lei aveva accettato subito, contenta che un bel ragazzo voleva vederla nonostante la voce che si era sparsa dopo il momento andato in bianco di Jackson. Per Alex, lui era la svolta. O almeno lo era stato fino a quell'uscita. Si era messa a gridare quando lui l'aveva presa per la vita cercando di trascinarla dentro la casetta contro la sua volontà, ricordandole che era stata lei a dirgli di volerlo lo stesso giorno a scuola. Alex aveva cercato di difendersi, ma si era sentita debole e vulnerabile, incapace di muoversi ed esprimere la sua contrarierà. Kara era sbucata fuori all'improvviso, come, avrebbe detto Alex, un supereroe. Lo aveva colpito con un calcio sul ginocchio destro, facendolo piegare e lasciando andare la ragazza; dopo gli aveva afferrato un braccio e tirato indietro, facendo abbassare il ragazzo fino a fargli sbattere il naso contro il cemento della piazzetta. Gli aveva poi messo un piede sulla schiena, tenendogli ben teso il braccio verso di lei. Si era lamentato urlando, ma Kara, nonostante fosse più bassa di lui e all'apparenza gracile, non si era lasciata intenerire e aveva stretto più forte.
«Ti piace fare il duro, eh?», gli aveva chiesto, senza mollare un solo attimo la presa su di lui. «Scommetto che ti verrebbe male farlo con un braccio solo».
Lui aveva gridato più forte, terrorizzato che glielo spezzasse, mentre Alex guardava Kara prendendo grandi boccate d'aria e reggendosi il petto, con gli occhi grandi e acquosi, il viso rigato di lacrime e mascara.
«Allora? Farai il bravo se provo a lasciarti?».
Il ragazzo l'aveva pregata di farlo, probabilmente aveva anche lui iniziato a piangere, ma appena si era alzato in piedi a tentoni, provò a girarsi e colpirla. Kara aveva schivato il colpo tornando due passi indietro, era probabile che se lo aspettasse, ma non aveva fatto in tempo a ricambiare che un calcio di Alex lo aveva fatto sbandare con una spinta, avendo già un equilibrio precario.
«Allontanati da mia sorella», gli aveva gridato e lui si era deciso ad andarsene, dando a entrambe delle pazze.
Lo avevano rivisto a scuola una settimana più tardi, ma non aveva rivolto la parola a nessuna delle due.
Non avendolo più intorno, Alex si era lasciata andare sull'asfalto, sedendo e reggendosi la pancia e poi la testa, di nuovo la pancia, respirando con affanno. La più piccola si era subito precipitata addosso a lei per sapere come si sentisse.
Kara non le aveva chiesto cosa fosse successo, ma Alex si era comunque sentita sporca. Voleva così disperatamente perdere la verginità in fretta da aver perso di vista ogni lucidità. La attraevano i ragazzi, eppure una parte di lei aveva provato paura all'idea di farsi avanti con loro, per questo aveva sperato subito di fare il grande passo e togliersi il pensiero. Le sue amiche non erano più vergini da mesi e le avevano assicurato che sarebbe stato bello. Voleva solo essere come loro. Di certo, a quell'età, non poteva avere la minima idea che il rifiuto che sentiva era perché gay, ma se non altro aveva smesso di cercare il rapporto forzato e aveva avuto la sua prima volta, con naturalezza, con un ragazzo solo pochi mesi più tardi, conosciuto nella palestra che lei aveva deciso di frequentare con Kara. Aveva deciso che non si sarebbe mai più sentita così vulnerabile come quella sera al parco. E che, da sorella maggiore, sarebbe stato compito suo proteggere lei e ricambiare ciò che aveva fatto.
Aveva preso il suo obiettivo molto seriamente, si era tagliata i capelli per rendere i movimenti più naturali senza impicci, e aveva continuato ad allenarsi e a partecipare agli incontri anche quando Kara aveva deciso di restare a casa per avere più spazio da dedicare al tempo libero. Si era accorta di essere brava, che le piaceva essere forte e indipendente. Si era accorta di stare scoprendo se stessa e che doveva ringraziare Kara, per questo.


***


Kara e Alex sollevarono le lenzuola e si coprirono, decidendo che era ora di dormire un po'. Si girarono ognuna verso il proprio lato e la minore chiuse gli occhi, quando la maggiore la destò:
«Volevo chiederti scusa», deglutì, «Sai, per… Ho giudicato male la relazione tra te e Lena. Chiederò scusa anche a lei appena potrò».
«Scuse accettate», si voltò e Alex, sentendola, fece lo stesso. «Pensavi di proteggermi, lo so. E io avrei dovuto parlartene».
Le scoccò un'occhiata decisa. «Finalmente lo hai capito».
Kara rise e così Alex, decidendo di girarsi di nuovo e augurarsi la buonanotte.


































***

Un capitolo molto corto rispetto ai soliti standard, e di certo è anche protagonista di pochi avvenimenti. Ma Kara e Alex avevano bisogno di un pochino di tempo per parlarsi e così eccolo qui! Kara ha potuto raccontarle della sua relazione con Lena, Alex ha accennato il suo appuntamento con Maxwell Lord, e intanto abbiamo aperto una finestra sul passato per capire meglio il loro rapporto, come siano diventate da due estranee che non si sopportavano a sorelle. Vi è piaciuto?

Un'unica piccola nota: la serie tv che stavano guardando le nostre sorelle nel presente è New Girl. Io in realtà non la seguo, dunque spero di non aver sbagliato qualcosa XD    


Vi do appuntamento a lunedì prossimo, qui e puntuale come sempre, con il 32° capitolo che si intitola Colpo e contraccolpo e, per qualche strano motivo che non so, è finora uno dei miei preferiti!

   
 
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