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Autore: _Bri_    09/11/2018    7 recensioni
Ho annusato la stoffa fragile. Ha l’odore della caccia.
Vedo il terreno morbido e gli animali che corrono via da me. Alzo gli occhi e mi scontro con le fronde che lasciano spazio al bagliore di quella mia nemica, che mi ordina di attaccare. Non ho mai saputo dirle di no.
Non ci sono mai riuscito, con te.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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So Real
 
Sento il sapore lontano del tuo abito azzurro, strappato sull’orlo. L’ho tirato via, senza chiederti il permesso; la tua risata ha colmato la bocca, sempre gentile, mai arrogante. Ho rinunciato per così tanto tempo all’impellente bisogno di averti con me, eppure ricordo con difficoltà, com’era aspettare la luna piena prima che ti imponessi al mio fianco.
 
Ho annusato la stoffa fragile. Ha l’odore della caccia.
Vedo il terreno morbido e gli animali che corrono via da me. Alzo gli occhi e mi scontro con le fronde che lasciano spazio al bagliore di quella mia nemica, che mi ordina di attaccare. Non ho mai saputo dirle di no.
 
Non ci sono mai riuscito, con te.
 
L’ho lanciato via, lontano dal tuo corpo nudo, caldo, vivo. Ho visto il tuo cuore spingere con frenesia sotto la pelle chiara.
 
Sento la salivazione aumentare; un cucciolo di daino ha tentato la sua fuga: il terreno ha ceduto ed è rotolato sull’umido passo che diverrà la sua tomba.
Un balzo, unico e naturale. Gli occhi sgranati, il muso si scuote. Il suo cuore impazzisce.
 
La paura, ne riconosco i sintomi:
le pupille dilatate
la fronte umida sotto le ciocche di questo rosa tenace –si sta facendo rosso-
l’aritmia
la paresi
Mi guardi in attesa del mio più feroce attacco. Ed io mi sento un mostro.
 
Gutturale, febbrile, arcano e triste. Rantolo di odio e dispiacere. Grido a quella perfida nemica che, ancora una volta, ha vinto lei. Calo sul suo collo. Che orrore sentire quel sangue non mio nella bocca. E la sua carne, che si lacera sotto il soffice tappeto di pelo fulvo. Si dimena un po’. Poi s’arrende a me.
 
Affondo nei tuoi capelli di fuoco ardente. Contro ogni mia più ferrea volontà sono le mie mani, quelle che s’aggrappano ai tuoi fianchi ed al tuo seno giovane, troppo giovane.
 
Oh, era così reale.
 
Un ultimo e disperato richiamo che, lo so, arriva alla madre. Per chiedere aiuto. O per dire addio?
 
Ti dimeni, combatti. Tiri via ciò che rimane a coprirmi. Resisti alla mia presa. Afferri il mio viso; da guerriera arpioni le guance mie, scarne, sotto la barba che non ho mai il tempo di rasare per bene. Ed inglobi il mio sguardo, impaurito ed incerto. E ti arrendi a me.
 
Strappo via quel pezzo di carne che segna il confine tra vita e morte. Lo trattengo un po’, giusto un po’, fra i denti utili solo ad attaccare e sconfiggere. Osservo quei grandi globi neri che tremano incerti, prima di farsi vitrei, velati. Morti.
 
Sento il terrore agguantarmi. Ma tu non glielo permetti, di vincolarsi a me; lo ribadisci aggrappandoti alle mie spalle, facendo aderire i nostri corpi. Regolarizzi il respiro per calmare il mio.
No, non è paura, la tua. Ho sbagliato, ho frainteso. Avvicini quella tua bocca di miele al mio orecchio. Mi salgono le lacrime.
 
“Accettami, come io ho accettato te”
 
Mastico. Velocemente, con esigenza che tutto finisca presto. Poi, da codardo quale sono, corro via. Lontano da quella carcassa, da quel pasto che non voglio più consumare, mai più. I raggi della luna illuminano la mia corsa disperata, per fuggire ad un destino che non voglio.
 
Mi piego alla tua volontà. Tu, che sei la mia nuova Luna. Ho provato a fuggire via da te, ma ora sono stanco e di forza non ne ho più, se non per affondare in te.
 
Ti amo, ma ho paura d’amarti.
 
Il nostro scontro non finisce alla pari. Sei tu che hai vinto. Mi hai teso la tua trappola, hai sconfitto ogni difesa dietro la quale ho tentato di nascondermi.
Ed è stato meraviglioso.
 
 º
Ti ho lasciato una lettera sul tavolo della tua cucina, disordinata del tuo ordine, dove mostri ogni parte di te.
Sulla mia camicia sgualcita e usurata dal tempo, ho trovato un tuo capello. Era scuro, del più tenace tono del rosso e non ha mai cambiato colore.
 
Lì dentro c’è poco o niente, solo l’invito per quel posto dove abbiamo visto la neve cadere, mentre resistevo alla luna e tu mi stringevi la mano.
 
La mia Luna ora sei tu. Io non sono che la tua preda.
 
 


 
Da tempo sentivo l’esigenza di scrivere qualcosa, senza pretese, su una coppia che amo moltissimo. Remus Lupin e Ninfadora Tonks costituiscono un’unione a cui non so rinunciare (e nemmeno voglio farlo). Come sempre accade con le sporadiche OS che pubblico, anche questa trae ispirazione dall’ascolto di una canzone: “So Real”, di Jeff Buckley, io non ho mai smesso di ascoltarla da quando, 15 anni fa, un mio amico di penna per il quale presi una platonica cotta, me ne suggerì l’ascolto.
Non mi piace mai dare troppe spiegazioni, specie per ciò che riguarda i testi brevi, perché penso che ogni lettore abbia il diritto di avere le proprie impressioni senza essere influenzato dai commenti eccessivamente puntuali dell’autore. Spero solo che vi sia piaciuto e ringrazio chi leggerà di questo inusuale missing moment. Se vorrete scrivermi per dirmi la vostra, ne sarò più che felice.
 
Bri

 
 
   
 
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