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Autore: Opalix    01/05/2005    37 recensioni
Ogni riferimento a cose o persone o fatti realmente accaduti è da ritenersi puramente casuale...
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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QUELLA MALEDETTA CENA DI CLASSE
ovvero UCCIDETEMI PIUTTOSTO

Ho quasi 23 anni… e ho finito le scuse.

È il proverbiale momento X della vita di ogni persona, quando non si è più in grado di sfornare una scusa accettabile e convincente… specialmente quando ti viene risposto “scusa ma tua mamma quante volte li compie gli anni?”… ti cadono le braccia. È il punto di non ritorno, in quel momento non c’è più nulla da fare. Devi affrontare i tuoi fantasmi, devi guardare in faccia il lato devastante della vita e cedere… devi mettere a tacere tutti gli istinti, sfoderare la più dolce e diabetica ipocrisia che riesci a racimolare e dire finalmente… si, per mercoledì va bene… non vedo l’ora di rivedervi… si va bene, ci vediamo alle otto nel piazzale della scuola.
Poi devi riattaccare il telefono e urlare che quel mercoledì sera avresti preferito mille volte rimanere sotto le coperte con un attacco di diarrea acuta, avresti preferito passare la serata a tirarti martellate sulla rotula, avresti preferito farti un salasso di 8 ore con le puntate più lacrimevoli di Dawson Creek, quelle che ti fanno venire una voglia matta di legarti una corda attorno al collo e vedere cosa succede quando tiri forte… avresti fatto questo ed altro, avresti fatto tutte le cose più abominevoli e fastidiose, piuttosto che subire un’altra interminabile, ignobile, pesantissima, distruttiva… cena di classe.
In seguito, fino all’incriminato mercoledì, non potrai fare altro che fissare con aria truce quel cartello misura indicazione autostradale che hai appeso alla porta della stanza, quello che dice “MERCOLEDI CENA”… l’hai messo perché la tentazione di dimenticare la cosa è così allettante che potresti cedere senza farti venire nemmeno un piccolo, riluttante senso di colpa. E mentre lo guardi con la suddetta aria truce, potrai soltanto immaginare quali atroci torture fisiche e psicologiche ti piacerebbe riservare all’incauto organizzatore dell’evento… o organizzatrice, che di solito è più probabile. Immaginare. E basta. Perché purtroppo, per la legge, l’organizzazione di una cena di classe non è passabile come giustificazione di maltrattamenti o omicidi… dubito anche che riusciresti a farti dare l’infermità mentale.

Arriva la fatidica data… e tu che fai? Istintivamente ti infili un paio di jeans puliti, una maglietta carina e le scarpe da tennis. Poi ti guardi allo specchio e inorridisci: sembri assolutamente identica all’unica persona a cui non vorresti mai assomigliare, alla te stessa di tre anni prima… scolaretta in jeans e scarpe da ginnastica che dimostrava 16 anni e sembrava finita per sbaglio su quel banco di quinta.
Ti togli con un calcio le scarpe da tennis e ti sfili i jeans… scegli una minigonna, da abbinare ad un paio di stivaletti… per l’occasione hai voglia di metterti quei tacchi più o meno quanto hai voglia di prendere dei pugni nei denti da Bruce Willis, ma trattieni un sospiro, ti alzi in piedi e ti specchi di nuovo. Inorridisci ancora. Hai due occhiaie sotto gli occhi che fanno impressione… due borse del genere possono voler dire svariate cose: che hai passato giorni e giorni in laboratorio a cavarti i bulbi oculari sul microscopio (chi ha mai contato le cellule dentro una camera Burker sa cosa intendo), che la sera prima sei uscita con le compagne di università e ti sei data all’alcol sperando che un inizio di cirrosi epatica potesse essere sufficiente per evitare la serata “amarcord” ormai all’orizzonte, o che hai passato la notte a farti coccolare dal tuo moroso o da chi per lui… Qualunque sia stata la causa, l’effetto è identico: appari fresca e riposata su per giù come Marilyn Manson. Afferri al volo il tubetto del fondotinta e ti cimenti in un’opera di restauro che fa invidia alla cappella Sistina.
Quando ti riguardi allo specchio per la terza volta la situazione tende ad un valore accettabile. Ma nel momento in cui sfoderi i tuo migliore sorriso finto per fare le prove per la serata, decidi di passare in chiesa ad accendere un cero e pregare che nei tre anni trascorsi la miopia abbia fatto il suo dovere su tutti i tuoi ex compagni di classe… nessuno escluso.
Alla conclusione dei preparativi, ti accingi ad uscire di casa trascinandoti le palle in una carriola da muratore.

Arrivi nel piazzale della scuola in leggero anticipo… l’hai fatto apposta: da perfetta universitaria ti muovi sempre e solo in autobus e la tua guida non è migliorata di un valore infinitesimale da quando hai preso la patente, con il risultato che la tua voglia di sfoggiare davanti a tutti le dodici manovre che ti servono per fare un parcheggio dentro le righe tende a meno infinito. In più ti servono cinque minuti buoni per ripigliarti dalla fatica e asciugarti il sudore perché la tua macchina non ha il servosterzo.

Finalmente qualche anima in pena inizia a farsi viva… scendi dalla macchina e sfoderi un ghigno di semigentilezza… dentro di te stai dicendo un rosario di bestemmie da fare a gara con il labiale di Vieri quando sbaglia un goal a porta vuota, ma speri che nulla nella tua fisionomia tradisca i tuoi veri pensieri. Visto che sei fortunata la prima persona che arriva dopo di te, con la quale ti accingerai ad attendere gli altri e con la quale sarai costretta a intrattenerti con una amabile quanto idiota conversazione, può appartenere soltanto a una delle seguenti tipologie:
A. è il più antipatico/a della classe
B. è uno di quelli di cui non ti ricordi il nome
C. è uno di quelli di cui ti ricordi il nome, ma con cui in cinque anni di scuola superiore non hai scambiato frasi di portata maggiore di “hai una paglia?”
D. è il burlone di turno/lo scemo del villaggio/il Mr. CredoDiEssereStrasimpatico della situazione… tendenzialmente questa tipologia tende a coincidere con la seguente, cioè
E. è la persona che ti ha fatto fare (o ha assistito a) il maggior numero di figure di merda in tutta la tua vita
Il tuo viso inizia a mandare segnali preoccupanti e ti chiedi se riuscirai ad arrivare a fine serata senza sviluppare qualche disturbo compulsivo di origine nervosa che dovrai curare con massicce dosi di… boh… nicotina, forse… quella funziona con tutto. Dopo dieci minuti buoni di imbarazzanti silenzi, frasi di cortesia e occhi che si evitano, arriva il resto della classe…
È il momento topico: i convenevoli… ti consumi le guance a forza di dare baci a tutti, tenti di emettere credibili gridolini di sorpresa (non ci riesci), sorridi in un modo stereotipato e ti chiedi come cavolo fanno gli altri a sfornare sorrisi così realistici. È il momento giusto di ripensare a quella frase di Einstein… ma sono pazzo io, o sono pazzi TUTTI gli altri?... un grande, Einstein. Mitico.
Che dire… su 25 nomi te ne ricordi 18… guarda, 20 proprio a impegnarsi bene…
Su 25 persone almeno almeno 23 ti chiedono come mai non ti sei fatta viva nelle innumerevoli cene di classe organizzate nei tre anni precedenti… la tentazione di rispondere “perché non me ne fregava un emerito cazzo di rivedere le vostre facce” è fortissima…
Su 25 persone almeno 20 ti chiedono se sei ancora così secchiona… dopo aver precisato inutilmente per cinque lunghi anni l’estrema differenza che passa tra l’aggettivo “secchiona” e l’aggettivo “genio”, ti astieni dal muovere le labbra e inclini la testa con condiscendenza…
Su 25 persone almeno 10 (le ragazze) ti chiedono se stai ancora con lo stesso ragazzo. Con un ghigno sadico rispondi che sei fidanzata con un miliardario norvegese che ti passa a prendere in Lamborghini… certo, è sempre lo stesso figo dai capelli neri e gli occhi azzurri, ma di certo non ti metterai a parlarne con quelle vipere che in quinta si chiedevano come potesse lui stare con te… talmente idiote che spettegolavano in bagno a tutto volume… un altoparlante avrebbe fatto meno casino…
Mentre la situazione scorre su questa linea immaginaria, ti rendi conto che tutti stanno facendo domande a tutti tranne te… tu stai solo rispondendo… ma sei davvero l’unica a cui non importa un fico secco di cosa abbiano fatti gli altri della loro inutile vita? Alla frettolosa ricerca di una qualsiasi domanda che non comporti una risposta eccessivamente noiosa, ti chiedi se qualcuno in mezzo a quella marmaglia ha un ammasso di neuroni vagamente paragonabile ad un rudimentale cervello… no, forse non è una domanda gentile…

Finalmente la fatidica frase… dove andiamo a mangiare… viene pronunciata.
Tu non ti eri neanche posta il problema: non si mangia sempre la pizza alle cene di classe?! Il problema è che tu non ne hai frequentate a sufficienza, quindi non puoi sapere cosa il rituale prevede per questa fase della serata… Dunque, in principio qualcuno chiede con aria casuale se qualcuno ha prenotato/ha qualche idea/ha pensato a un posto carino; ovviamente tutti hanno pensato che ci pensa qualcun altro quindi la risposta è sempre un imbarazzante silenzio. I secondo luogo il pirla del giorno/il vegetariano di turno/quello con istinti suicidi propone di tentare il ristorante macrobiotico… tra sguardi attoniti ed espressioni di disgusto, il poverino subisce un linciaggio comunitario e viene messo a tacere. Segue qualche minuto di silenzio in cui tutti fanno finta di pensare poi c’è il momento del “conosco un posticino/ho un amico che lavora in quel ristorante/mio zio mi ha consigliato di andare là”… è il momento più rischioso di tutta la serata, perché se tu sei abbastanza accorta per renderti conto che quella frase nasconde solo una grossissima fregatura, non significa che anche gli altri lo siano… Se quella fase viene superata, un’anima pia fa la buona azione della giornata proponendo una pizzeria in zona, facile da raggiungere, mediamente economica e magari anche con un bel parcheggio… se non fosse che è uno di quelli di cui non ricordi il nome, ti inginocchieresti ai suoi piedi e lo ringrazieresti per aver messo fine a quel delirio. Così si parte in carovana e ci si dirige nella pizzeria in zona, facile da raggiungere, mediamente economica e con un bel parcheggio di sto cazzo… i tuoi propositi di non far ammirare a nessuno le tue prodezze al volante se ne vanno beatamente alle cozze, perché ti tocca di infilare la macchina tra un portabiciclette e un cassonetto della spazzatura, tra due righe che sembrano esser state disegnate sulle misure del tuo tosaerba. Bestemmiando allegramente sulla strana concezione che hanno gli uomini di “parcheggio facile”, scendi dalla macchina ben consapevole di dover affrontare risatine e ironiche pacche sulle spalle… a cui desidereresti come non mai rispondere con quella mossa di Kung-Fu che ti ha insegnato il tuo amico giapponese dell’università (c’è sempre da imparare dagli studenti Erasmus).

Ringraziando tutti gli dei di cui hai anche solo sentito parlare, metti piede dentro la pizzeria.
Il cameriere riesce a infilarvi in una saletta laterale… voi prendete posto e lui vi porta i menu. Fin qui tutto ok. La scelta delle pizze occupa per fortuna una decina di minuti, poi tutti cominciano a guardarsi in faccia a vicenda, cercando qualcosa da dire… inutile precisare che tutti lo trovano tranne te. Tu appoggi il mento alla mano, maledicendo te stessa e rimpiangendo di non avere sottomano una bottiglia di tequila liscia, e tenti di ascoltare.
Il cameriere ritorna e chiede se siete pronti per ordinare; tutti annuiscono tranne uno, o una… il solito pirla che, ridacchiando per la sua sbadataggine, afferra un menu e comincia a sfogliarlo. Hai una fame che prenderesti a morsi il cameriere, ma sfortunatamente devi attendere ancora un bel po’, perché il pirla di turno è uno di quelli che vuole leggere tutta la lista, dalla prima all’ultima pizza… poi chiude il menu e dice “No… mi porti una margherita.”
Stai già vedendo rosso.
E pensa che il peggio deve ancora arrivare… l’attesa della pizza.
Si, perché è proprio in questo momento clou della serata che qualcuno, spesso l’organizzatore, si sente in dovere di coinvolgere gli ex compagni in una divertente conversazione collettiva… è il momento del temuto “Ti ricordi…?”
Stendendo un velo pietoso sul fatto che il 99% dei fatti avvenuti in quei cinque oscuri anni della tua adolescenza è stato rimosso dai tuoi meccanismi più o meno inconsci di difesa psicologica… no, ragazzi, non mi ricordo di quando mi sono ubriacata in gita a Praga… ero ubriaca, quindi non me lo ricordo. E se ho fatto uno strip ballando con in mano una bottiglia di rum… non voglio saperlo.
Il cameriere ti porta la birra media che hai ordinato e tu lo guardi come se ti avesse appena posato davanti il Sacro Graal. Mentre tracanni i primi sorsi dell’ambrato nettare, ti chiedi come è possibile che tali infauste memorie non siano state sostituite nella mente dei tuoi compagni da esperienze successive… soltanto la tua esistenza è divenuta improvvisamente più interessante da quando hai lasciato l’infeltrito mondo dell’istituto tecnico?
Partono gli aneddoti sui professori… lo scemo del villaggio è notoriamente un navigato imitatore e, proprio in questo frangente della serata, sceglie di esibirsi nelle sue migliori performance sulla prof di italiano/inglese/ginnastica… il tuo morale è già sceso nello scantinato.
Optando per una fuga, anche se solo momentanea, ti alzi e ti dirigi verso la toilette, se non che una vocetta stridula ti sfiora i timpani con la grazia degli artigli di un giaguaro sulla lavagna…
“Oh, vai al bagno?! Vengo con te… stavo proprio aspettando qualcuno per non andarci da sola!”
Giri lentamente su te stessa… l’immagine di un piranha che esce dallo scarico del lavandino e azzanna alla gola la proprietaria della melodiosa voce ti attraversa il cervello stile screen saver.
La tua voce esce un po’ malferma:
“No, andavo a fumare una sigaretta…”
“Perfetto… prima andiamo in bagno e poi usciamo a fumare!”
La sua mano che sfila il pacchetto di Merit dalla borsetta ti appare come una punizione divina. Anche il sacro e pacifico “momento-paglia” ti è stato strappato senza pietà…

Alla toilette, la dolcezza in questione ti sfrutta come attaccapanni per tenerle borsetta + giacchino + cintura di strass + pacchetto di sigarette + accendino mentre lei soddisfa i suoi bisogni fisiologici; impiega un tempo allucinante, poi esce e ti dice “vai tu ora, ti aspetto”… e pretende di continuare a chiacchierare con te attraverso la porta, rubandoti anche quei 40 secondi di anelata intimità.
Finalmente uscite dalla pizzeria e vi appostate davanti all’ingresso per fumare; se non altro l’effetto rilassante della nicotina non sembra risentire della fastidiosa presenza al tuo fianco… i tuoi polmoni non ringraziano di certo, ma il tuo cervello si… e anche tanto: durante quel meraviglioso momento in cui aspira il fumo, quella pianta rampicante che ti sei portata dietro, deve… per forza… smettere di parlare! Con un ringraziamento all’onnipotente perché non ha dotato le donne di due bocche, ti godi la tua sigaretta, cogliendo un parola su cinque e non seguendo assolutamente il senso del discorso… però, sai… hai presente un moscone che ronza di continuo in una stanza? Non lo ascolti, ma urta comunque…

Arriva la pizza.
Ti risiedi e inizi a concentrarti sul movimento coordinato di mani, forchette e coltelli… sempre lodando il creatore perché, a causa dell’unicità dell’organo deputato sia alla nutrizione che alla comunicazione, le voci cominciano ad affievolirsi, il tuo cervello può godere appieno dell’inebriante sensazione del salame piccante contro il palato. Ma si sa, la vita non è tutta rose e fiori… e la tua fortuna è tale che il simpaticissimo ex-compagno alla tua destra/sinistra, ha sicuramente ordinato una delle seguenti pizze:
- al gorgonzola
- tonno e cipolla
- cipolla, salsiccia e fagioli
- …
Il fetore che si propaga dal piatto incriminato è allucinante… e se pensi che tra poco lo stesso aroma di violette uscirà dalla bocca del simpaticone ogni volta che lui deciderà di parlarti, ti viene da vomitare. Trattenendo a stento i fiotti di bile, agguanti per una manica della camicia un ignaro cameriere e ordini un’altra birra.

Come tu avevi ampiamente previsto, gli argomenti di conversazione iniziano a scarseggiare in zona dolce (a dire la verità per te scarseggiavano già verso l’aperitivo… o meglio già in quinta superiore… ma bisogna essere obiettivi e mediare i dati)… e con tuo sommo disgusto il discorso scade su barzellette oscene o, peggio… estremamente peggio, su domande scabrose su particolari della vita sentimentale/sessuale dei partecipanti alla cena che ormai volge al termine. Domande a cui tutti sembrano ansiosi di dare risposte falsamente imbarazzate, tra risolini e sghignazzamenti generali… il tuo cervello comincia a mandare impulsi preoccupanti, che tu visualizzi come lampeggianti scritte al neon che recitano “uccidere… uccidere… uccidere…”
Cercando di aggrapparti all’ultimo barlume di sanità mentale che ancora ritieni di possedere, ti chiedi se solo a te sembra così palese che se la “vita privata” di una persona è nominata proprio con quell’aggettivo… “privata”… ci sarà un motivo.
Il cameriere sembra averti letto nel pensiero… se non fosse che noti la fede al suo dito gli lanceresti baci appassionati sulla punta delle dita… e ti appoggia davanti una bottiglia di gelido limoncello. Ignorando senza ritegno qualcuno che ti sta facendo una domanda (tanto era troppo idiota per meritare una risposta), inizi a seccare la boccia. È incredibile come la cosa ti riesca bene senza farti notare… anni di allenamento, signore e signori… anni di allenamento e di pranzi con i parenti a cui puoi far fronte solo ed esclusivamente con un adeguato quantitativo di alcol in circolo nei tuoi fluidi corporei: o il vigile occhio materno non era così vigile, o l’ostacolo ha aguzzato il tuo ingegno…

Ore 11.40… se Dio ti concede questa grazia (e lo deve fare, altrimenti l’appellativo di “misericordioso” non gli calza per niente…) la serata è finalmente arrivata al capolinea.
Con viso stravolto e occhi iniettati di sangue (alcol? Fumo? Caffeina?... istinti omicidi?) saluti e rifiuti il più gentilmente possibile l’invito a proseguire la serata in un locale: che sfiga doversi alzare per andare in laboratorio alla mattina, eh? …il fatto che l’indomani la tua presenza è richiesta solo per fare un trapianto di cellule verso mezzogiorno è del tutto trascurabile… lo sai tu, non lo sanno loro…
Mentre saluti tutti gli ex compagni, uno per uno, mormorando ipocriti arrivederci e valutando seriamente la possibilità di cambiare numero di telefono, una curiosa formula di saluto solletica i tuoi neuroni (in pausa caffè, più o meno dalle nove e mezza…):
“…Ci sentiamo, eh? Speriamo di organizzarne un’altra presto…”
Impieghi un paio di secondi per capire che quell’ “un’altra” è riferito ad un’altra cena di classe…
No, ragazzi, non avete proprio capito… piuttosto uccidetemi.

   
 
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