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Autore: Shade Owl    10/11/2018    1 recensioni
Il Whitebark Pyne, il più grande, il più vecchio e il più famoso pub di Orenthal, sta chiudendo. Albert Spencer, il proprietario, è ormai troppo vecchio per continuare a gestirlo, e non può fare a meno di venderlo. L'unica offerta plausibile, tuttavia, arriva da una catena di locali in franchising.
A Nadine, che è cresciuta con il Pyne come un dato di fatto, la cosa non va a genio...
Genere: Sentimentale, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Sangue di demone'
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Erano i primi di Novembre e il cielo era plumbeo, di un brutto colore monotono e umidiccio, come se fosse ancora indeciso: faccio piovere o no?
Nell’aria pesante, spazzata da un intenso vento montano, si riusciva già a respirare l’odore di caldarroste roventi, di zuppa e di tacchino al forno, mentre grosse decorazioni colorate cominciavano a comparire fuori dagli esercizi commerciali, consistenti in enormi pennuti di legno o plastica, finte cornucopie e vari festoni colorati. In giro si diceva già che la parata di quell’anno, la prima di quell’amministrazione comunale, avrebbe visto la partecipazione di carri scolastici approntati con il sostegno del municipio, che aveva destinato alcuni fondi (raccolti con una vendita di beneficenza approntata ad hoc) proprio per quella ricorrenza. Senza dubbio il neoeletto Sindaco, con quella mossa, si era garantito un’enorme consenso pubblico. Cosa che lo Sceriffo locale aveva definito come “una subdola manovra da schifoso burocrate acchiappavoti”, senza menzionare minimamente il fatto che, se il burocrate acchiappavoti aveva deciso di candidarsi alle precedenti elezioni, il merito era stato esclusivamente suo che lo aveva convinto.
Ovviamente si era lamentato anche del Ringraziamento stesso, come ogni anno, brontolando che quella era “solo una festa fatta per coprire lo sterminio di migliaia di Nativi Americani e il furto delle loro terre”, per poi rimproverare aspramente “quegli stramaledetti hippies che non apprezzavano la più americana delle feste”. Ma era una cosa normale, a lui piaceva lamentarsi. Nessuno ci faceva più caso da anni: il segreto era lasciarlo bubbolare fino al pranzo del Ringraziamento, riempirlo di cibo e ignorarlo. Così si sarebbero divertiti tutti, anche lui.
Nadine non si preoccupava minimamente dei difetti del marito ormai da molto tempo conscia che, se avesse tentato di farli sparire del tutto, avrebbero solo finito col litigare. E poi quando lei e Timmi si erano sposati, sapeva bene con chi si stava impegnando, e le era importato davvero molto poco. Stavano bene, non le serviva altro.
Ferma al semaforo in attesa del verde, diede una rapida scorsa alla lista della spesa, scritta sul retro di quella delle cose da fare per la giornata: il tacchino ce l’aveva, se ne era procurato uno sufficientemente grande già un mese prima, e lo teneva nel congelatore da allora, in attesa di essere cucinato, ma doveva ancora comprare tutto il resto. Inoltre, erano finiti le uova (Timmi ne mangiava tante che sembrava determinato a sterminare la fauna avicola dello Stato), il latte e la carta igienica. Poi sarebbe dovuta passare in farmacia per comprare qualcosa che la facesse stare meglio: da un po’ di tempo sentiva di avere qualche nausea, era quasi sempre stanca e sentiva frequenti dolori all’addome. Probabilmente stava covando un’influenza stagionale.
Scattato il verde, Nadine rimise in moto la vecchia auto di famiglia, trovando qualche difficoltà a ingranare la marcia a causa dell’età del veicolo: l’unico motivo per cui continuava a girare con quel rudere vecchio di vent’anni era che Timmi si ostinava a non cambiarlo e a usare la magia per riparare i guasti che un semplice meccanico non poteva sistemare da solo.
Un giorno o l’altro giuro che la faccio rottamare mentre lui non c’è… si ripromise, scocciata.
Mentre pensava a questo passò accanto al Whitebark Pyne, registrandolo a malapena. Le ci volle qualche secondo per rendersi conto che davanti all’ingresso non c’era nessuna delle decorazioni per cui era famoso il pub, ma solo un pallido ragazzo allampanato che appendeva un cartello.
Insospettita, Nadine fermò l’auto e fece retromarcia (fortunatamente non c’era nessun altro in strada, dietro di lei) fino a raggiungere Theodore, il barista ex vampiro e amico di Skadi.
- Ehi, Teddy?- lo chiamò, abbassando il finestrino a manovella.
Il ragazzo si guardò intorno con aria confusa, i capelli nerissimi sparati come sempre in un milione di direzioni diverse, mentre gli occhiali da sole, che si ostinava a portare sopra a quelli da vista, slittavano e minacciavano di cadere a terra come sempre.
- Oh, ciao!- le rispose, risistemandosi le lenti sul naso - Vuoi dei nachos? Li ho appena fatti.-
- No, grazie, un’altra volta.- disse Nadine, rabbrividendo al pensiero: il Pyne le piaceva, così come la sua cucina, ma detestava da morire i nachos e quello schifoso formaggio sintetico - Cosa fai? Perché non hai ancora decorato?-
- Eh? Ah, sì…- ridacchiò l’ex vampiro, cadendo dalle nuvole e spostandosi per farle vedere meglio il cartello - Chiudiamo la settimana prossima.- spiegò, dando un colpetto di nocche al foglio su cui era scritto l’avviso - Quindi il capo mi ha detto di non mettere fuori niente.-
Sorpresa, Nadine sgranò gli occhi, fissandoli su Teddy.
- Cosa?- esclamò - Aspetta…-
Accostò meglio l’auto al marciapiede e scese al volo, avvicinandosi a passi rapidi.
- Cos’è questa storia?- chiese - Perché chiudete?-
Teddy fece un sorrisetto che presto divenne una smorfia da cui sbucarono le punte dei canini, rimasuglio del suo periodo da vampiro. Il movimento delle guance destabilizzò di nuovo i suoi doppi occhiali, che dovette afferrare al volo per evitare che scivolassero.
- Cambio di gestione.- rispose - Ma non ti so dire granché. Meglio se parli col capo. È dentro, se vuoi parlarci… credo che non gli dispiacerà, non penso abbia da fare.-
Senza farselo ripetere, la strega si infilò nel pub oltrepassando la porta a vetri, ritrovandosi per quella che doveva essere la milionesima volta a percorrere quel pavimento di assi cigolanti, scivolando tra i tavoli graffiati su cui i ragazzini di decine e decine di generazioni avevano inciso nomi e frasi di vario genere fino a raggiungere una porta in fondo su cui era stato scritto “privato” con un banale pennarello rosso.
Bussò rapidamente e, appena sentì la prima sillaba della parola “avanti”, entrò al volo.
L’ufficio era piccolo ma abbastanza luminoso, arredato in modo sobrio: al centro, proprio davanti alla finestra più grande, c’era una vecchia scrivania traballante coperta da un telo di plastica trasparente tenuto fermo da ganci di alluminio, sopra alla quale riposava un vecchio computer anni novanta. La parete di destra era quasi tutta occupata da schedari un po’ troppo pieni, uno dei quali era stato chiuso male (forse la serratura era rotta), mentre l’altra era stata coperta da numerose fotografie incorniciate, molte delle quali ingiallite. Ritraevano tutte vari momenti della vita del pub, e la più grande e vecchia, esattamente al centro, ritraeva proprio il momento della sua storica apertura, almeno un centinaio di anni prima, con quattro persone sorridenti abbracciate davanti alla porta d’ingresso.
Dietro la scrivania, sulla vecchia sedia da ufficio sbrindellata e cigolante, era seduto un uomo quasi calvo, con pochi capelli bianchi che gli crescevano attorno a un’ampia pelata lucida, sulla quale spiccava una voglia di caffè. Un grosso naso rosso e carnoso sporgeva sotto i suoi occhi, piccoli e marroni. Indossava un vecchio gilet da pesca un po’ troppo consumato sopra un maglione verde, un po’ troppo teso sul ventre prominente, tipico di chi fa una vita sedentaria.
- Ah, Nadine Wilson!- sorrise il vecchio uomo, sistemandosi un po’ meglio sulla sedia, che cigolò più che mai - Che piacere vederti. Sei qui per tuo marito? Non ricordo cos’ha fatto stavolta, quindi non serve che…-
- No… no, Timmi non viene qui da due settimane, non ti ha ancora fatto niente, Al.- rispose lei, sedendosi sull’unica sedia davanti alla scrivania - Scusa l’improvvisata, è che ho appena parlato con Teddy.-
- Ah, Teddy!- ridacchiò Albert, aprendo un cassetto da cui estrasse una pipa di legno e un barattolo di latta - Ti ha detto che chiudiamo, vero?-
- Sì… mi ha anche detto che vuoi vendere.-
Lui sospirò, lasciando cadere il sorriso: Albert Spencer era il proprietario del Whitebark Pyne da quasi quarant’anni, e lo aveva ereditato dai genitori, che lo avevano ereditato a loro volta quando lui era ancora piccolo. L’attività, malgrado la crisi economica e gli alti e bassi tipici di un esercizio commerciale di quel tipo, aveva avuto origine all’inizio del novecento, da prima ancora che Nadine venisse al mondo. Parecchio prima, in effetti: quello era il pub più vecchio e più famoso di tutta Orenthal. Per questo le sembrava così assurdo che volesse venderlo.
- Già… anche questo è vero.- ammise lui, riempiendo la pipa - Ti spiace se fumo?-
- È il tuo ufficio.-
- Giusto… beh, per adesso.- ridacchiò cupamente Albert, allungandosi con un ulteriore gemito della sedia per aprire la finestra, da cui entrò uno spiffero freddo - Scommetto che vuoi sapere perché, esatto?-
- Sì, infatti.- annuì Nadine, mentre lui accendeva un fiammifero e cominciava a fumare - Cosa succede? Perché così all’improvviso?-
- L’età, mia cara. L’età.- rispose lui, aspirando poi una boccata di fumo - So che il mio fisico alla Babbo Natale mi fa sembrare sempre vivace ed energico, ma ho comunque quasi settant’anni, e sto perdendo colpi. Giusto la settimana scorsa il dottore mi ha trovato un’infiammazione alla prostata che neanche te la immagini, le ginocchia faticano a sostenermi, e non farmi parlare della schiena o del colesterolo. Non ce la faccio a stare dietro quel bancone, non più, e non mi posso occupare della contabilità come un tempo.-
- E quindi dai via l’attività di famiglia?-
- Vorrei non doverlo fare, ma sì.- annuì lui, riportando la pipa alla bocca, i gomiti appoggiati sulla scrivania - Billy non è molto interessato alla ristorazione, quel ragazzo ha preferito scapparsene a sud per fare l’ingegnere navale… non che lo rimproveri per questo, ma quando anche tuo figlio non s’interessa ai tuoi affari capisci che forse è meglio chiudere bottega.-
Nadine sospirò, senza commentare: William Spencer, il figlio di Al, si era trasferito quasi vent’anni prima, tornando solo di rado a Orenthal. Non lo conosceva bene, aveva una quindicina buona d’anni in più di lei, ma per quello che sapeva aveva sempre trovato un po’ strettina la piccola città di provincia poco a sud del confine canadese in cui vivevano. Era ovvio che avesse voluto fare qualcos’altro della propria vita.
- Mi mancherà averti qui.- disse Nadine - A chi lo venderai?-
- Ho già ricevuto un’offerta.- rispose Albert, senza sorridere - Lo comprerà una società. Sai, una di queste cose moderne… come si dice? Un francese?-
- Un franchising?-
- Ah, ecco, sì… non me lo ricordo mai.- ridacchio Albert - Non c’è ancora nulla di definitivo, ma sono i soli a essersi fatti avanti. Sono di Billings, sai? Se non mi sbaglio è lì che studia Skadi, è vero?-
Nadine annuì.
- Sì, certo… ma ne sei sicuro?- chiese - Insomma… stravolgeranno il Pyne. Le catene non sono famose per conservare l’aspetto dei locali che acquistano.-
- Sì, lo so.- ammise Albert. A Nadine non sfuggì la nota cupa nel suo tono - Ma, come ho detto, sono gli unici che vogliano comprare. Mi hanno dato un mese, ma prima o poi dovrò accettare.-
Tirò fuori un vecchio posacenere macchiato e ci svuotò dentro la pipa con un colpetto, tossicchiando appena. Nadine non disse niente, osservandolo in silenzio mentre rimetteva tutto a posto, e rimase quasi assente anche mentre Albert le chiedeva ancora di Skadi e di come se la passava al college, la mente già altrove.

Doveva essere una one shot, ma quando ho finito di scriverla mi è venuta fuori in dodici cartelle Word. Un po' troppe per una one shot. Ho dovuto farla a capitoli. Breve, ma a capitoli.
Posterò una volta al giorno, non ha senso creare suspance per qualcosa di così breve... salvo obiezioni, s'intende.
Bene, ciao a tutti!

 

   
 
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