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Autore: Beautiful Lie    14/11/2018    2 recensioni
(Primo anno, 1971)
Da qualche mese a questa parte, Remus aveva scoperto di poter fare cose strane. Un pensiero del genere lo faceva sorridere, poiché aveva sempre creduto che trasformarsi in lupo una volta al mese fosse abbastanza fuori dal comune e grazie tante. La prima volta gli era capitato una mattina mentre scendeva a fare colazione: stava pensando a dove avesse appoggiato lo spazzolino, quando eccolo arrivare fluttuante verso di lui.
Quel giorno, Remus non si era lavato i denti.

[pre-Slash, Wolfstar] [Remus POV] Il primo giorno dei Malandrini a Hogwarts. Di spazzolini, Cappelli Parlanti maledetti, e nuovi amici (forse).
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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There is a light
and it never goes out
(Primo anno, 1971)
Da qualche mese a questa parte, Remus aveva scoperto di poter fare cose strane. Un pensiero del genere lo faceva sorridere, poiché aveva sempre creduto che trasformarsi in lupo una volta al mese fosse abbastanza fuori dal comune e grazie tante. La prima volta gli era capitato una mattina mentre scendeva a fare colazione: stava pensando a dove avesse appoggiato lo spazzolino, quando eccolo arrivare fluttuante verso di lui.
Quel giorno, Remus non si era lavato i denti.

Il primo giorno dei Malandrini a Hogwarts. Di spazzolini, Cappelli Parlanti maledetti, e nuovi amici (forse).


“And I swear, we could be gigantic”

Oltre al postino, a casa Lupin qualche volta arrivavano anche gufi.

La signora Fletcher della casa accanto era l’unica che dopo dodici anni ancora se ne stupiva. Ogni volta che qualche volatile le sfrecciava accanto, non poteva fare a meno di sbottare che la domenica era il giorno migliore perché almeno non arrivava la posta, e poi quei Lupin erano proprio strani, bisognava ammetterlo. E li guardava dalla finestra con disapprovazione.

Per questo motivo, Remus non capì subito quale fosse il problema della lettera color ocra che i suoi genitori fissavano da qualche minuto, lo sguardo di chi ha a che fare con una bomba e non sa bene come evitare che esploda.

Il suono di Lyall che rompeva il sigillo in ceralacca rimbombò nel salotto, e Remus e sua madre non poterono far altro che rimanere immobili in un angolo, seppur per motivi diversi. Non appena Lyall lanciò uno sguardo d’assenso a sua moglie, lei lasciò cadere la tazza stretta fra le mani e scoppiò a piangere. Remus sospettava non fosse per il tè rovesciato sul tappeto.

«Lyall—Non è possibile,» Hope si passò una mano fra i capelli sciolti. «Dev’esserci stato un errore, lo sai che non è possibile. Non vorrebbero mai—»

Ma Lyall scosse la testa incredulo, fissando suo figlio come se gli fosse appena capitato qualcosa di bellissimo. Remus, a cui ancora sfuggiva cosa stesse succedendo, afferrò la lettera da terra e la scorse velocemente, la testa che gli girava forte.

Da qualche mese a questa parte, Remus aveva scoperto di poter fare cose strane. Un pensiero del genere lo faceva sorridere, poiché aveva sempre creduto che trasformarsi in lupo una volta al mese fosse abbastanza fuori dal comune e grazie tante. La prima volta gli era capitato una mattina mentre scendeva a fare colazione: stava pensando a dove avesse appoggiato lo spazzolino, quando eccolo arrivare fluttuante verso di lui.

Quel giorno, Remus non si era lavato i denti.

All’inizio non aveva detto nulla. Non voleva illudere i suoi genitori e, a pensarci, non voleva illudere nemmeno se stesso. Qualche volta suo padre gli mostrava le vecchie foto di quando andava a scuola, e ce ne era una che Remus voleva vedere sempre: Lyall a King’s Cross, un baule enorme alla sua destra e un sorriso ancora più grande stampato sul volto, pronto a partire. Remus era certo che per lui quella partenza sarebbe rimasta solo un sogno. I suoi non glielo avevano mai detto chiaramente, forse perché non lo sapevano nemmeno loro, forse perché in fondo ancora ci speravano. Ci speravano, ma Remus sapeva che non ci credevano.

Per questo e altri motivi, il giorno in cui ricevette la lettera che lo invitava alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Remus prese un’importante decisione: non ci avrebbe creduto, nemmeno un po’. Giusto per sicurezza.

***

«Tesoro, sei sicuro di avere preso tutto? Vuoi ricontrollare il baule ancora una volta?»

Anche volendo, Remus si chiese come avrebbero potuto ricontrollare il baule essendo già in macchina. La signora Lupin aveva preso molto seriamente la faccenda della lista. In un certo senso, che suo figlio avesse tutto quello che gli serviva sembrava importarle più che a Lyall stesso, forse perché lei a Hogwarts non c’era mai stata.

Dopo qualche secondo Remus scosse la testa, il viso di un verdastro poco rassicurante. Aveva la bacchetta nuova infilata nella tasca dei pantaloni, ancora poco abituato a portarsela sempre dietro. La sensazione, però, non era fastidiosa.

«Hai sistemato bene i libri in modo che non si rovinino?» chiese ancora. Remus l’aveva fatto, e se anche se ne fosse dimenticato avrebbe sicuramente provveduto qualche minuto fa, quando sua madre le aveva fatto la stessa identica domanda. Due volte.

«Sai, forse in Scozia farà freddo. Tesoro, cosa ne dici? Farà freddo in Scozia? Ti ricordi?»

«Hope, tesoro,» Lyall azzardò un sorriso tirato e le appoggiò un braccio sulla spalla. «Stiamo agitando Remus, dovremmo essere più calmi. Remus sta crescendo, dopotutto.» E poi, dando un’occhiata all’orologio, «Siamo un po’ in ritardo.»

Remus seduto sul sedile posteriore nascose la testa fra le mani, un po’ per l’imbarazzo e un po’ per la nausea. Hope pigiò l’acceleratore e aggiunse, «Io non sono agitata, Lyall. Dicevo solo che se in Scozia dovesse fare particolarmente freddo, Remus avrebbe probabilmente bisogno di più maglioni. E sciarpe. Solo questo.»

«Solo questo,» replicò lui, accondiscendente.

«Solo questo,» ripeté lei. Ma poi rimase in silenzio, la stazione di King’s Cross improvvisamente materializzata a pochi metri dalla loro posizione.

Il binario 9 ¾ era insospettabile a chi non ci facesse caso. Remus, però, ci stava facendo caso, e non poteva fare a meno di notare i ragazzi vestiti in una strana maniera che senza dare nell’occhio scomparivano attraverso il muro, i bauli enormi e le gabbie con gli animali più strani al seguito.

Ora era il turno di un ragazzo della sua età. Sembrava avere qualche problema con i capelli, perché più continuava a cercare di sistemarseli, più quelli prendevano direzioni contrarie. «James, tesoro, ricorda di mandare un gufo appena arrivi!» Lui urlò qualcosa a sua mamma riguardo l’età del suddetto gufo, e Remus non poté che sorridere. Anche lui ne aveva uno, ma non ci andava troppo d’accordo.

“Cose da lupo mannaro,” pensò.

Suo padre l’aveva appena abbracciato augurandogli buona fortuna, mentre sua mamma era ancora ferma di fronte a lui, gli occhi lucidi e un sorriso grande. Abbassandosi alla sua altezza gli fece cenno di avvicinarsi, per poi infilargli una tavoletta di cioccolato fondente nella tasca del cappotto.

«Piccolo segreto,» gli disse, facendogli l’occhiolino. «Ascoltami, Remus. Sono molto orgogliosa di te e di questo momento, io e Lyall non avremmo potuto chiedere nulla di meglio.» Hope gli passò una mano fra i capelli. «Ricordati che questa settimana c’è la luna piena, e che dovrai andare a parlare con il professor Silente una volta arrivato al Castello. Soprattutto, cerca di fare amicizia con gli altri ragazzi.»

Remus si stava tormentando la manica del maglione che gli spuntava dal cappotto.

«E non pensare di non essere capace,» rispose lei, prima di dargli un ultimo bacio leggero sulla guancia. Remus avrebbe voluto aggiungere che non è che lo pensasse e basta. Era così.

Lui di amico non aveva mai avuto nemmeno uno.

***

Remus era sul treno, un libro rovinato stretto fra le mani e la tavoletta di cioccolato nei pantaloni, vicino alla bacchetta. Nonostante tutto sembrasse ormai molto reale, c’era ancora la possibilità che le cose andassero storte. Il treno, per dirne una. Andava veloce, ma se fosse stato troppo veloce? Per non parlare del momento in cui si sarebbe dovuto mettere la divisa, e ovviamente si sarebbe incastrato in una manica, e qualcuno avrebbe dovuto tirarlo fuori e ricacciarlo a casa, perché ad Hogwarts non erano accettati maghi che si incastravano. O magari di lì a poco avrebbe scoperto di essersi seduto nello scompartimento di qualcuno, perché dopotutto era vuoto e se—

«Mettiamoci qui, mi sembra libero. Alice, ti stavo solo dicendo che esistono, questi Thestral. No, me l’ha detto Severus, devi credermi, non me lo sto inventando, e—

Alice rinunciò momentaneamente a proseguire la discussione, poiché un Remus Lupin aveva appena rivelato la sua esistenza. La sua amica non sembrò turbata dall’intruso; fece spallucce e si sedette vicino alla finestra, di fronte a Remus.

«Ah, forse dovremmo presentarci. Lily Evans,» disse, porgendogli la mano. Remus era così sorpreso e accecato dai suoi capelli rossi che per un momento si dimenticò di dovergliela stringere. «Non hai un nome?» continuò lei, lanciandogli un’occhiataccia.

«Remus Lupin,» disse lui, senza guardarla.

«Molto bene, Remus Lupin. Lei è Alice, e visto che c’è un altro posto possiamo far sedere anche Severus. No, Alice, non fare quella faccia. Te lo dico, che è simpatico.»

Remus non le disse che in quel momento anche la compagnia di un troll sarebbe stata apprezzata.

«Aspetta, forse è meglio se andiamo a prenderlo noi. Così possiamo anche cambiarci.»

Remus annuì e, diretto verso il bagno dei ragazzi, gli si palesò di fronte uno spettacolo alquanto peculiare. Uno spettacolo che coinvolgeva il ragazzo dai capelli strani che aveva visto al binario, Lily Evans, e altri due studenti che ancora non aveva mai visto.

Il primo pensiero che gli passò per la mente fu che i dubbi di Alice erano comprensibili: quello che doveva essere Severus non aveva la faccia simpatica. Al contrario, sembrava aver ingoiato una serie di limoni particolarmente aspri. Il secondo pensiero fu che James aveva proprio uno strano cappello addosso. Il terzo pensiero, e forse più importante, fu che l’altro ragazzo presente – il cui naso era ben lontano da quello di Severus – sembrava stesse per tirare un pugno a James. Cappello compreso.

«Mi sei venuto addosso,» gli disse, forse con più rabbia di quella che la situazione richiedeva. Remus non era sicuro che gli piacesse poi tanto, quel gradasso con l’uniforme impeccabile.

«Vorrai forse dire che tu sei venuto addosso a me,» rispose James. «Come puoi vedere, non sono responsabile delle mie, uhm, azioni,» continuò, indicando il cappello a tesa larga ancora ben calcato sulla testa che limitava il suo campo visivo.

«Ah, io posso vedere, al contrario di te,» disse ridacchiando alla sua stessa battuta. In quel momento i suoi lineamenti si rilassarono leggermente. «E posso vedere che sei un po’ scemo. Cosa ci fai con quel cappello, Messer—»

«James Potter. E questo non è un cappello qualunque. Stavo raccontando a queste due donzelle del Cappello Parlante Maledetto.» Sia Severus che Lily gli lanciarono un’occhiataccia.«Non vi siete ancora chiesti cosa ci sia di strano in questa scuola? Ve lo dico io. Quando ci smisteranno, non tutti verranno assegnati a una Casa. Ovvio, no? Mica hanno così tanto cibo. Vedrete, vedrete, quando il Cappello Parlante stritolerà la testa degli studenti indegni e vi ritroverete pezzetti di cervello in faccia.»

James, di certo, non vedeva l’ora. Lily non sembrava particolarmente impressionata.

«Parlando di Cappello Parlante, voi in che Casa vorreste essere smistati?» chiese lei.

Ancora prima che Lily potesse finire la domanda sia James che l’altro ragazzo di cui ancora Remus non sapeva il nome urlarono all’unisono “Grifondoro!”. Di nuovo, Lily non sembrava particolarmente impressionata.

E poi, come se l’avesse notato solo in quel momento, il ragazzo senza nome si rivolse a Remus. «E tu?»

«Ah, io sarei uno di quelli stritolati dal Cappello. Mi scuso in anticipo per i— pezzetti. Di cervello.»

«Sirius Black,» disse lui, la divisa perfetta e lo sguardo di chi è stato abituato a ottenere tutto quello che vuole.

«Sir— Chi diavolo ti ha chiamato così?» chiese Severus prima di allontanarsi verso lo scompartimento di Lily. Sirius scrollò le spalle.

«Remus Lupin,» rispose lui, con il tono di chi capiva perfettamente. E non poté fare a meno di chiedersi se quelli si potessero definire amici. “Non crederci,” si disse. “Ricordati di non crederci.”

***

Oh, Oh— Cosa abbiamo qui? Silente, uomo dalle mille sorprese. Lupi mannari ad Hogwarts. Dove arriverà questo Castello fra qualche anno? Ci manca solo che ci facciano la guerra, qui dentro. E quindi, caro, immagino sia tutto un po’ inaspettato per te.

Remus annuì, il cappello che gli scivolava ancora un po’ più sulla fronte.

Ma non ti preoccupare. Vedo che hai cervello da vendere, come un vero Corvonero. Gran lavoratore, ti piace aiutare gli altri. Sei forse un po’ timido? Paura di non farti degli amici, eh? Ah, ma non ti preoccupare di quello.

Remus poteva giurare che il cappello stesse ridendo.

Intelligente, sì. Altruista, anche. Ma quello, quello cos’è? Orgoglio? Malizia? Direi proprio di no.

Remus strinse i pugni. Aveva provato a non crederci, aveva provato a fare del suo meglio per non rimanere deluso non appena qualcuno lo avesse cacciato via disgustato. Eppure, in quel momento, con la Sala Grande allestita a festa e il boato degli studenti che gli perforava i timpani, in quel momento, Remus tagliò fuori il dolore alle ossa che lo tormentava da giorni. Si dimenticò di tutto il resto, e fissando il tavolo con i ragazzi che aveva conosciuto sul treno si disse che lui si meritava tutto questo almeno quanto loro.

No, è coraggio. «Grifondoro!»

***

James gli tirò una pacca sulla spalla.«Contento, Lupin?»

Remus fece spallucce, la mano in tasca che giocherellava ancora con la carta della cioccolata. «A quanto pare dovrò abituarmi a quel tuo cappello enorme.»

«Poveraccio, è che di enorme ha solo quello,» gli rispose Sirius, cambiando posto sulla panca prima che James avesse la possibilità di tirargli un ceffone. A trovarselo lì di fronte, Remus non poté fare a meno di pensare che quella era la prima volta Sirius che gli aveva sorriso.

«Ciao, sono Peter Pettigrew. Vi dispiace se prendo il purè?»








N/A È una vita che non pubblico su questo fandom, ed è una vita che non scrivo fanfiction. Questa l'ho ritrovata in una cartella con i fossili antichi di vecchie storie. L'ho riletta, l'ho corretta, e l'ho pubblicata. Dopotutto, i Malandrini (e Remus) mi sono sempre nel cuore. Grazie mille per lettura. (:
 

  
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