Anime & Manga > Yuri on Ice
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Autore: Tenar80    15/11/2018    5 recensioni
Di Victor, che deve fare i conti con la realtà
Di Yuuri, che deve fare i conti con Victor
Di Otabek, che deve fare i conti con i propri desideri
Di Yuri, che pretende che tutti che facciano i conti con lui.
Di quello che accade dopo l'ultima immagine della serie, della difficoltà di ancorare le fiabe alla realtà. Una realtà che abbonda di elementi disturbanti quali omofobia, doping, accenni a molestie e ad abuso d'alcool, ma in cui c'è ancora spazio per la tenerezza.
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Stagioni'
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E con questo siamo arrivati in fondo a questa storia.
Vi lascio con un capitolo un po' più lungo, che lascia spazio a tutti e tre i punti di vista.
  

– Che cosa è cambiato da venerdì sera? – chiese Yakov, al termine dei minuti di riscaldamento, prima che il sesto classificato dopo il programma breve scendesse in pista.

    – Ho trovato la risposta alla tua domanda – replicò Victor, appoggiandosi al bordo pista.

    – E sarebbe? – borbottò il tecnico.

    – Una cosa che forse non ti piacerà, quindi è meglio parlarne dopo l’esibizione.

    – E quando mai mi piacciono le tue idee? – sospirò il tecnico. – Tieni i muscoli caldi, che a questo giro non sei l’ultimo. Se sei tornato te stesso, vado dagli altri due.

    Victor annuì.

    Era tornato se stesso?

    Lanciò uno sguardo veloce intorno a sé. Il sesto in classifica si stava già esibendo. Non ne ricordava il nome, anche se era anni che lo vedeva nelle competizioni nazionali, per lo più nel proprio scaglione. Si erano scambiati qualche parola e un paio di volte si erano fatti dei selfie insieme. Sapeva vagamente chi erano i due che avrebbero gareggiato immediatamente dopo. Quanto ai suoi compagni di allenamento, Georgi, come sempre, stava eseguendo gli allungamenti in modo metodico, serissimo nell’inguardabile costume di quell’anno, pronto a dispensare consigli a Yuri. Che si godessero il momento, avrebbero potuto dire che una volta erano scesi sul ghiaccio in vantaggio su Victor Nikiforov. Sorrise tra sé. Quindi sì, era tornato il cinico se stesso.

    Cercò sugli spalti Yuuri. Eccolo là, a fianco di Otabek. Sarebbe arrivato il momento in cui lo avrebbe guardato dal bordo pista, entrambi in attesa di scendere sul ghiaccio. E una parte si sé lo avrebbe guardato con quello stesso cinico distacco, valutando il punteggio potenziale e le condizioni del momento, spiandolo in cerca di un segno di debolezza. Yuuri non avrebbe mai fatto lo stesso con lui. E, tuttavia, Yuuri non si sarebbe neppure aspettato nulla di diverso da lui e non l’avrebbe amato di meno. Lo sapeva già che era un egoista. Aveva già visto la parte peggiore di lui. Ed era per quello che, infine, sapeva perché era tornato a gareggiare.

    Arrivò il momento di entrare in pista.

    A diciannove anni aveva scelto con arroganza quel pezzo. C’era stata una conferenza stampa al termine della quale Yakov aveva avuto voglia di picchiarlo. Per una volta, Victor aveva avuto il sospetto che dicesse sul serio. Lui aveva dichiarato di aver scelto il personaggio di Phoebus perché si sentiva esattamente così, consapevole della propria bellezza e del proprio valore, intenzionato a non negasi alcuna esperienza, perché tanto sapeva che non sarebbe stato lui a pagarne il prezzo. Lui solo sapeva quanto avesse da esorcizzare, dopo un’olimpiade che era stata tra le peggiori esperienze della sua vita, e continuava a rimanere nella top ten delle peggiori esperienze anche adesso, e una caviglia che si era frantumata senza un motivo apparente, se non la sua stupidità. Ma, come sempre, era vero anche quello che aveva detto e rifletteva fin troppo bene il suo comportamento fuori dal palaghiaccio. 

    Il costume era lo stesso di allora, grigio argento, con decorazioni nere che salivano dai pattini, come fiamme d’oscurità pronte ad avvilupparlo. Andava benissimo anche per la nuova versione.

    Questa volta ad accompagnare le stesse note era la voce più profonda di Frollo, l’arcidiacono di Notre Dame, che guardava la zingara e già sapeva che il suo amore per lei lo avrebbe distrutto. Non si faceva alcuna illusione, Frollo, eppure non dubitava, neppure un istante, che ne valesse la pena. Per tutta la vicenda Frollo correva verso la propria dannazione senza alcuna esitazione. Yakov senza dubbio pensava che lo avesse scelto per Yuuri, la sua zingara ammaliatrice. Si sbagliava. La sua Esmeralda era il ghiaccio. Quel ghiaccio che già lo aveva quasi distrutto e a cui, tuttavia, era tornato, anche se aveva ogni scusa e ogni motivo per non farlo. All’età che aveva, per gli obiettivi che si prefissava, ci sarebbe stato senza dubbio un prezzo da pagare. Ma in qualche modo, finalmente, accettava il fatto come ineluttabile. Lui era Victor Nikiforov, il dio del ghiaccio, e avrebbe reso le proprie ultime stagioni memorabili, quale che fosse il prezzo da pagare.

    Prese fiato per il salto. Un triplo Axel. Doveva uscire più che perfetto, o nulla avrebbe avuto senso. Yuuri, e Yuri, le sue due strane ombre contrapposte, avevano ragione. Non lo aveva ripetuto abbastanza volte da farlo in scioltezza. Doveva rimanere concentrato. E limitarsi a ciò che poteva portare a casa in sicurezza con quel poco di allenamento che aveva. Ma poteva ancora dar lezioni a tutti, lì, su cosa significasse pattinare. Quadruplo Loop, triplo Toe Loop. Non avrebbe insidiato il record di Yuuri, non ancora. Forse neppure avrebbe strappato l’oro dal collo di Yuri. Ma entrambi sarebbero andati a casa con la consapevolezza dei veri equilibri delle forze. Non per cattiveria, ma solo perché era giusto. Neppure le loro future vittorie avrebbero avuto valore, senza quella consapevolezza.

    Arrivò alla posizione di chiusura qualche centesimo di secondo in ritardo sulla musica. Con i polmoni assai più indietro rispetto alla richiesta di ossigeno e il cuore che martellando gli ricordava che forse era il caso di fare testamento. Ma sugli spalti si stavano tutti alzando in piedi per applaudire e quello era tutto ciò che importava. Anche i giudici dovevano essere resi consapevoli dei veri rapporti di forza.

 

    – Allora, cos’è che mi devi dire? – chiese Yakov, quando Victor ebbe ripreso fiato, prima di andare a scoprire i punteggi.

    – Non mi dici che cos’ho sbagliato? – ribatté l’altro, mellifluo.

    – Lo sai benissimo che non hai sbagliato niente, anche se, da come respiri, controllerei l’enfisema.

    – Taci, vecchio.

    Avrebbe preferito di gran lunga un abbraccio da parte di Yuuri. Ma anche gli abituali brontolii di Yakov erano rassicuranti. L’effetto per certi versi era lo stesso. Era tornato a casa. Per quanto ridotta fosse, la sua famiglia iniziava al termine di ogni esibizione.

    – Allora? – lo incalzò Yakov. 

    – Non riesci a immaginarlo? Eppure te l’ho detto, mentre ero sul ghiaccio.

    – Gli indovinelli lasciali per quel fesso che alleni.

    – Non è un fesso.

    – Lo è, se è convinto che tu lo sappia allenare. E se ti sopporta.

    – Vero, ma mi sopporti anche tu.

    – Perché sono un fesso. Allora?    

    – Voglio arrivare alle olimpiadi – disse Victor, piano. – E voglio qualcosa che nessuno mai mi potrà rubare. Essere il primo a fare in gara il quadruplo Axel. Il resto non mi interessa… Non posso riuscirci senza di te, ma ci sono alcune modifiche al modo in cui avevamo pensato di organizzarci.

    Guardò di sottecchi Yakov, per spiarne la reazione.

    Sogghignava.

    – No, davvero, fin dall’inizio mi sei piaciuto perché sei modesto.    

    – Pensi che non ci possa riuscire?

    – Penso che avresti dovuto iniziare ad allenarti per questo fin dal giorno dopo le olimpiadi. Non sei l’unico a volerci provare. E non ho intenzione di perdere la faccia vedendoti diventare il secondo al mondo a fare quel salto. 

*
 

    – Allora, come ci si sente si sente a essere incoronato Zar di Tutte le Russie? – chiese Otabek.

    – Non sono ancora stato incoronato – puntualizzò il ragazzo.

    Le premiazioni si sarebbero svolte appena prima del galà, dopo un minimo di pausa per permettere agli atleti che avevano gareggiato quella mattina di cambiarsi e rifocillarsi.

    – Paura che i giudici ci ripensino? – lo punzecchiò il kazako.

    – No, ma non posso vincere sempre per meno di mezzo punto di distacco – rispose Yuri.

    In realtà aveva gli occhi che brillavano come quelli di un bambino a Natale.

    Non era andato in fumo. Neppure dopo che Victor aveva dimostrato ancora una volta perché era lui e lui soltanto ad aver vinto cinque ori mondiali uno di fila all’altro, con un’esibizione da 212.30 punti. Non era il miglior punteggio che avesse portato a casa, naturalmente, e era quasi dieci punti sotto il record di Yuuri. Ma era il massimo possibile con quelle difficoltà tecniche. In tutta la sua carriera Otabek aveva visto pochissime volte un atleta raggiungere il proprio punteggio potenziale. Anche nelle esibizioni migliori c’era sempre la sbavatura minima, l’atterraggio salvato all’ultimo, la trottola che finiva un battito di ciglia in anticipo, giusto per dimostrare che anche loro erano esseri umani. Victor, a quanto pareva, aveva dimostrato di non appartenere alla categoria “essere umano”. Popovic, povera bestia, era andato in panico. C’era anche da dire che la sua esibizione era la farcitura del panino tra quella di Victor e quella di Yuri e Yakov aveva mandato il vice ad assisterlo. L’uomo gentile con cui lui e Yuuri avevano preso un caffè prima dell’inizio gara, ma che comunque aveva scritto in fronte “io accompagno la seconda categoria”. Come se Yakov stesso avesse considerato quel secondo posto dopo il corto un errore o un caso fortuito che di certo non si sarebbe ripetuto, e infatti… Che vita di merda. Almeno Otabek aveva compreso che poteva capitare di peggio che innamorarsi di Yuri. Essere Georgi Popovic, ad esempio. Yuri, naturalmente, era fatto della materia degli dei. Non aveva pattinato in modo pulitissimo. In fondo era ancora in parte umano o era quanto meno una divinità alle prime armi. Otabek non avrebbe saputo dire se il problema fosse di fiato o, più probabilmente, di gestione del libero. Era così facile dimenticarsene, ma Yuri gareggiava nei senior da pochi mesi soltanto e una delle differenze tra le categorie era la durata dei programmi. Da fuori poteva sembrare solo un’insignificante manciata di secondi, ma era la differenza tra uscirne vivi o con una sincope. In ogni caso, come alla finale del Grand Prix, aveva dato il meglio nel corto. Andare peggio nel lungo, per un dio del ghiaccio significava comunque superare la soglia dei duecento punti, insomma, un esempio puro di relatività. In ogni caso, alla fin fine aveva mantenuto su Victor trenta centesimi di punto di vantaggio. Una vittoria risicatissima e che tuttavia sembrava dargli più soddisfazione di quei sei punti di vantaggio che aveva avuto venerdì sera.

    – Agli Europei sarà dura – considerò il ragazzo, come se in realtà pregustasse la sfida. – Con altre due settimane di allenamento Victor piazza di sicuro quattro quadrupli e se fa di nuovo il Loop alla fine, come oggi, bisogna aggiungere al punteggio base…

    – Ok, fermati. Agli europei ci sono anch’io. E Giacometti. E un sacco di altra gente che preferirebbe non considerare la cosa solo una questione privata tra te e Victor.

    – Ma lo sarà.

    – Yuri! – Otabek si mise le mani a pugno sui fianchi, nella sua migliore espressione da locale malfamato kazako.

    All’istante, il ragazzo passò dall’espressione esaltata di prima a quella di un micetto sorpreso a macchiare con le zampe sporche il tappeto migliore di una casa elegante. Gli occhi verdi si allargarono e parvero farsi più umidi, come se stesse per scoppiare a piangere.

    – Io non intendevo… – biascicò.

    – Lo sarà, una questione privata tra te e Victor. Ma non è gentile sentirselo dire in faccia – replicò Otabek. – E adesso vieni a buttar giù qualcosa prima della premiazione e il galà.

    La verità era che un’espressione simile sul viso di Yuri non l’aveva mai neppure immaginata. Come se avesse avuto per un istante il terrore puro di averlo offeso. Era durata una frazione di secondo. Ma era bastata a scatenare qualcosa all’interno di Otabek di cui non aveva mai fatto esperienza. Un calore del tutto diverso da quello che aveva provato nell’istante in cui Marcus lo aveva baciato la prima volta. Non eccitazione e terrore. Quasi… Gratitudine. Perché era sicuro che non fosse capitato a molti di vedere quello che aveva visto, il filtrare dell’umanità fragile che stava sotto la scorza di un dio. E sentire di poterla raggiungere e afferrare. Perché, per un istante, un istante soltanto, aveva intravisto quanto Yuri ci tenesse a lui. Che quel sentimento potesse trasformarsi in qualcosa di più di un’amicizia era tutto da dimostrare. Del resto, però, Otabek aveva basato quasi tutte le sue scelte di vita fin da quando aveva otto anni sulla possibilità di diventare uno dei migliori cinque o sei pattinatori al mondo. Le probabilità non potevano essere tanto inferiori. Non scommetterci su sarebbe stato quasi un delitto.

    – Uhm… Dici che posso permettermi un tramezzino? – chiese Yuri, che intanto aveva ricostruito alla perfezione la sua corazza da giovane dio luminoso e distante.

    – Ci sono tre ore prima del galà, eviterei il topo fritto cosparso di aglio e cipolla candita come farcitura, però.

    – Ma quanto sei scemo. Dobbiamo provare l’estrazione del guanto. Devi metterci lo stesso tempo che ci mettevi con la bocca a farlo venire fuori.

    La mente di Otabek si riempì all’istante di doppi sensi a sfondo sessuale. Ciascuno dei quali corredato da un’immagine con uno Yuri variamente svestito.

    – Che hai da sogghignare?

    – Niente, andiamo.

    Prima o poi, non importava quanto poi, avrebbe sperimentato ciascuna di quelle immagini. Nell’attesa poteva studiarne altre e dilettarsi nell’immaginarne ogni particolare. Non era un brutto modo per passare il tempo.

*

    – Ah, io una medaglia d’argento non la bacio – disse Yuuri, quando infine Victor si fu liberato della massa di fan e giornalisti che lo attendevano all’uscita del palaghiaccio.

    Il russo prima sgranò gli occhi, e Yuuri si godette il fatto di averlo preso alla sprovvista, e poi estrasse dalla tasca della giacca a vento la medaglia.

    – No, che schifo! Chi mai ne bacerebbe una d’argento? – disse, considerandola. – Fortuna che a casa ho un cassetto pieno, di medaglie d’oro, nel caso servissero.

    – Giusto. Mi chiedo come faccia certa gente a fare sesso senza medaglie d’oro a disposizione. Pervertiti.

    Scoppiarono a ridere entrambi e poi si avviarono fianco a fianco verso la fermata dell’autobus.

    – Prendiamo un taxi? – chiese Victor.

    – No. Nevica. Non fa così freddo, preferisco camminare, se per te va bene – replicò Yuuri.

    Si stava abituando alla temperatura. O forse era il fatto che era risalita fino a meno quattro. In Giappone avrebbero potuto sfiorarsi. Magari prendersi discretamente per mano o, persino, Victor avrebbe potuto passargli un braccio sulle spalle. Forse qualche passante li avrebbe fissati qualche istante di troppo, ma non ci sarebbero stati commenti. Li avrebbero fissati di più a causa dell’aspetto esotico di Victor. Ma anche a quella mancanza di contatto Yuuri si sarebbe abituato. Dopo tutto era una novità degli ultimissimi tempi. Per tutta la vita aveva odiato il contatto fisico in pubblico. Non poteva di punto in bianco mancargli così tanto una cosa che in fin dei conti non aveva mai avuto.

    – Io ho una sorta di dipendenza per questa cosa, i podi, le medaglie, lo sai, vero? – chiese Victor, con fare noncurante, guardando in alto.

    Un fiocco di neve gli atterrò sulla punta del naso e Yuuri fece in tempo a vederlo, prima che si sciogliesse.

    – Lo so. È molto più socialmente gestibile di un sacco di altre dipendenze – disse. – Ma ti amerei anche se scoprissi che hai invece un problema con la droga o il gioco d’azzardo.

    Non si voltò, ma sentì lo sguardo di Victor su di lui.

    – Lo so – disse piano in russo. – E questo un po’ mi spaventa.

    – Questo è l’amore.

    – Così mi dicono, ma io, prima, non l’avevo mai sperimentato.

    Yuuri si concesse di sorridere.

    – Per mia fortuna, ti piace eccellere, in tutto quello che fai.

    Victor sbadigliò.

    – Sarai stremato – osservò Yuuri.

    – Domani riposo. Ti metto sull’aereo e dormo fino a martedì… Tu invece, appena arrivato, devi iniziare a fare una cosa.

    Qualcosa nel tono di Victor fece voltare Yuuri. Un autobus, che non era il loro, si avvicinò alla fermata che ormai avevano raggiunto e poi ripartì, facendo ondeggiare i lembi della sciarpa di Yuuri. Il russo attese che si fosse allontanato, prima di proseguire.

    – Devi cercare un appartamento per noi, a Hasestu. Se possibile vicino al palaghiaccio. Se possibile da cui si veda il mare. Sarebbe bellissimo alzarsi ogni mattina, aprire la finestra e vedere il mare.

    Di nuovo, Yuuri si voltò a guardarlo. E di nuovo, Victor aveva il viso rivolto verso l’alto, teneva gli occhi chiusi, come assaporando la sensazione della neve che gli cadeva sul volto.

    – Quand’ero ragazzo venire a San Pietroburgo mi ha probabilmente salvato la vita – disse, con un tono così sommesso che quasi sembrava rivolto a se stesso. – Ma questa città mi ha quasi ucciso, alla fine. E ora, l’idea di dovermici muovere così, con te a fianco senza poterti toccare, fingendo ogni volta che esco di casa di essere un altro, mi sembra intollerabile. Non voglio deludere la Russia. C’è un sacco di gente che in me vede… Beh, qualcosa che io non sono, ma che comunque sono fiero di rappresentare. La possibilità di farcela, suppongo. Forse, però, se non passo in Russia la maggior parte del mio tempo, ho meno probabilità di fare cretinate. Non sono molto bravo a impedirmelo, e non mi vengono in mente altri modi per limitare i rischi. Sarà dura, per entrambi. Dovrò tornare spesso, fare dei periodi di allenamenti intensivi qua, come in queste ultime settimane. Ma la nostra base sarebbe il Giappone. E io rimarrei il tuo allenatore, evitando a Yakov dei guai con la federazione che certamente avrebbe accettando di allenare te. Rimanere il tuo allenatore qui ci creerebbe ogni sorta di problemi, perché forse non ci lascerebbero usare la stessa struttura. Quindi, alla fine, potrebbe essere la soluzione migliore per entrambi.

    Era arrivato l’autobus giusto, eppure era così strano muoversi e spezzare quel momento. 

    – Se lo perdiamo dovremo aspettare un quarto d’ora – fece notare Victor, con dolcezza.

    Yuuri annuì, mettendosi in moto.

    – Ho pensato così tanto, in questi giorni, al mio trasferimento qui che non pensavo che potesse esserci un’altra soluzione. Ammesso che ci sia. Non voglio che tu debba rinunciare a Yakov come allenatore – disse, una volta che si fu seduto sul proprio sedile.



 – Non ci rinuncio. Io sono egoista. Voglio te. Ti voglio allenare. In realtà non sopporterei di cederti a qualcuno, fosse pure a Yakov. Voglio gareggiare. E voglio Yakov come allenatore. E questa mi sembra l’unica soluzione che possa accontentarmi.

    Yuuri si nascose dentro la sciarpa come un tartaruga nel proprio guscio. Non pensava che quella fosse tutta la verità. Forse era una parte. Non era sicuro che quella fosse la soluzione migliore per Victor, ma di certo lo era per lui. E anche lui era un egoista. Tutti gli atleti lo sono, ma questo non vuol dire che non possano amare.

    – Cercherò l’appartamento – disse.

    Fuori dal finestrino, si vedeva San Pietroburgo ammantata di neve, luccicante sotto i lampioni.

    Per la prima volta, gli parve bella.


– Ed eccoci qui, alla fine della storia, che alla fine è solo in racconto di tre giorni dei nostri pattinatori.

Non entravo su EFP davvero da tantissimi anni e non sapevo davvero cosa ci avrei trovato. Ho trovato, a quanto pare, dei lettori. Quindi GRAZIE, GRAZIE davvero a tutti coloro che sono arrivati fin qui.

Questa storia è stata scritta per i compleanni di E e di M. Senza di loro non sarei mai andata a vedere i Mondiali a Milano, di conseguenza non avrei mai guardato Yuri on Ice, non avrei passato mesi a scriverci su e in definitiva mi sarei davvero persa qualcosa.

Sono debitrice a due persone che difficilmente passeranno di qui, F e I che mi hanno condiviso con me le foto di due viaggi a San Pietroburgo e che mi hanno permesso di scrivere le scene all'Hermitage, quella al locale con i gatti e la passeggiata lungo il canale. 

Infine ho un debito di riconoscenza verso questi personaggi, che si sono insediati nel mio cervello e hanno iniziato a raccontarmi della loro vita, con la forza e la delicatezza che è loro propria. Dal momento che sono dei gran chiacchieroni, questa è solo una parte (piccola) di quanto mi hanno raccontato. Sono piuttosto in dubbio se e cosa condividere qui, ma probabilmente settimana prossima andremo indietro nel tempo, perché anche Yakov ha qualcosa da dire.

Grazie di essere arrivati fin qui –

 

   
 
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