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Autore: Sokew86    18/11/2018    0 recensioni
Alberto pensò che Mauro avesse ragione e iniziò a studiare le persone davanti a sé per trovare un diversivo finché la comitiva arrivò alla sala numero 13, a quel punto il ladro piemontese disse sussurrò la parola in codice “Russell Crowe” attraverso al suo auricolare.Inconsapevole di quello che sarebbe successo da lì a poco, il direttore, entusiasta del successo, continuava le sue spiegazioni e nella sala numero 13 enfatizzò molto il mistero attorno gli oggetti presenti, tra cui proprio quello del Cofanetto Farnese.
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Pregiudizi criminali

Capitolo 1

Varese, 14 Maggio  2013 06.00 A.M

-Che stanchezza, voglio andare a casa-

Una donna dalla chiara provenienza dell’Europa dell’Est sbadigliò dopo quella dichiarazione.

-Cosa tu pensi Amir?- domandò la donna al suo collega, la cui pelle indicava chiaramente l’appartenenza al vasto Medioriente e Amir alzò le spalle, leggermente infastidito - Abbiamo appena iniziato. Quale piano devi pulire Natalia?- Si scambiarono le informazioni relative ai lavori della giornata, ma Natalia appariva dubbiosa.

-Strano, che non dobbiamo pulire la stanza delle persone importanti-.

-Forse più tardi- replicò Amir salutandola -Ci vediamo dopo-

Amir con il suo carrello da lavoro si avviò agli ascensori di servizio per accedere ai piani inferiori, dove si trovavano le stanze meno belle dell’albergo, mentre Natalia era andata a pulire i piani superiori. Amir entrò in una delle stanze meno costose del piano, trovandola comunque aggraziata ed elegante con i suoi due letti separati e la tinta blu alle pareti. L’inserviente aprì la porta del bagno e tirò un sospiro di sollievo: lo sporco era normale e non c’era con nessuna strana macchia da eliminare. Il Palace Grand Hotel poteva essere un albergo di lusso ma Amir sapeva bene quanto gli ospiti potessero diventare pretenziosi, sporchi e irrispettosi  del lavoro di persone come lui. L’uomo si mise a lavorare di buona lena. Passò un bel po’ di tempo, quando l’inserviente sentì squillare il telefono della stanza. Intuì subito che si trattava della reception e infatti riconobbe la voce annoiata di Bianca che lo invitava, e non tanto cordialmente, a raggiungere Natalia per pulire la suite destinata all’Ambasciatore e al Generale: erano quelle le persone importati di cui aveva accennato precedentemente  prima la donna. L’inserviente tentò di protestare: non avrebbe fatto in tempo a pulire le ultime stanze del suo piano, ma la sfuriata che ricevette dal suo diretto superiore non gli lasciò alternative e capitolò.

L’inserviente raggiunse Natalia e sebbene la ragazza gli fosse sempre piaciuta, questa volta s’irritò per la sua lentezza. I popoli dell’est Europa non erano forse conosciuti per la loro rapidità e voglia di lavorare? O forse queste doti non appartengono esclusivamente a una razza o a una nazione? Si domandò Amir. I due riuscirono a sistemare la suite come voleva il direttore dell’albergo: perfettamente e avevano persino lucidato il pianoforte.

Amir era rimasto ovviamente indietro con il suo lavoro e, nonostante avesse lavorato il più velocemente possibile, l’ospite, dell’ultima camera che avrebbe dovuto finire di sistemare da un po’, arrivò prima che potesse completarla. L’inserviente si prese l’ennesima strigliata al telefono ma non poté che borbottare qualcosa contro le tante, e per lui incomprensibili, regole di etichetta. Terminato il lavoro, chiamò la reception dicendo di aver finito e che l’ospite poteva accomodarsi, uscì quindi dalla stanza con il suo pesante carrello, irritato ma sollevato dalla fine del suo turno, quando improvvisamente ricordò di aver dimenticato di mettere nel bagno della stanza l’asciugamano per il viso. Lasciò incustodito il carrello nel corridoio e tornò indietro con fare circospetto, trasportando con sé solo l’asciugamano. Entrò nella stanza, sistemò l’asciugamano sentendosi più una spia che un inserviente. Ne uscì contento d’aver evitato l’ennesima sfuriata, ma finì a faccia a faccia con l’ospite, quest’ultimo attese pazientemente che Amir uscisse.

-Mi scusi!- esclamò a disagio Amir, mentre l’ospite sorrideva comprensivo.

-No, si preoccupi-. disse l’ospite, in un italiano non perfetto che tradiva un fortissimo accento francese, -Io posso entrare, adesso?- domandò. L’inserviente annuì imbarazzato e prendendo coraggio domandò all’ospite -Potrebbe evitare d’avvertire il direttore del fatto, per favore?-.

-Certo, voi come vi chiamate?-

Amir tentennò. Se non voleva denunciarlo perché mai voleva sapere il suo nome? L’ospite intuendo i pensieri dell’uomo lo rincuorò.

-Vorrei conoscere il vostro nome, solo perché a me sembra maleducato non saperlo-. Alla fine Amir, convinto, si presentò e l’ospite fece altrettanto. Si strinsero la mano, e ad Amir lasciò una piacevole impressione: il nome Maurice Leblanc non l’avrebbe dimenticato facilmente.

 

Varese, 14 Maggio  2013 11.00 A.M

L’arrivo dell’Ambasciatore e del Generale significò una sola cosa per tutto l’albergo: PANICO. Efficienza, invece, era la parola ripetuta più spesso da tutti e con i pittoreschi accenti della manovalanza dell’albergo. Ad Amir toccò il compito di pulire la suite. Era stato ben informato dei pregiudizi sulla Repubblica Magna, disprezzatamente chiamata Terronia. Gli avevano detto che lì o erano mafiosi o soldati o tutte e due le cose e Amir, infatti, trovò la suite in condizioni perfette: con cura militare il Generale aveva rifatto il proprio letto e così pure aveva fatto l’Ambasciatore. Notò sul comodino dell’Ambasciatore una cornice con la foto di una giovane donna, probabilmente la figlia o la nipote dell’illustre funzionario e trovò il gesto molto dolce e umano.

Amir era arrivato in Italia a pochi anni dalla separazione del territorio geografico, nel periodo in cui si erano consolidati i due stati. Al Nord si era formato il Regno Padano che, nonostante fingesse una grande indipendenza, era costantemente legato al parere dell’Unione Europea e aveva frequenti crisi interne di natura etnica. Al Sud si era consolidata la Repubblica Magna, uno stato militare, alleato ufficialmente con gli Stati Uniti e che aveva fatto fortuna con il petrolio della Basilicata e l’immenso patrimonio artistico.

Questi due stati erano considerati tra i punti di tensione più pericolosi dell’intera Europa, tanto da richiedere una costante opera di diplomazia che consisteva nello scambio d’opere d’arte a scopo di “interscambio culturale”. Per questo motivo l’Ambasciatore e il Generale, in altre parole il presidente della Repubblica Magna, erano in quell’albergo: trasportavano un’importantissima opera d’arte proveniente dal Meridione. Un’opera dal valore inestimabile ed era soprattutto un motivo di grande vanto per la repubblica militare. Quest’ultima ci teneva molto a rilevare la quantità di opere d’arte che erano presenti sul proprio territorio, escludendo, ovviamente, la sola città di Roma la quale era rimasta un polo attrattivo per i turisti di tutto il mondo. Se fosse accaduto il più piccolo incidente al dipinto, si sarebbe scatenato il finimondo, tanto che nessuno in albergo aveva voluto sapere di che opera si trattasse.

Amir camminò a disagio in quella suite. Si vociferava che l’Ambasciatore e il Generale custodissero il dipinto in una cassaforte di produzione sudista e che fosse nella loro camera dell’albergo. Amir sperò di non vedere neanche la cassaforte, personalmente pensava che i due illustri fossero fin troppo paranoici per non tenere il dipinto nelle casseforti di sicurezza dell’albergo. L’inserviente sistemò la suite e il suo turno era finalmente terminato, uscì dalla porta di servizio e colse l’ospite francese del giorno prima nei giardini dell’albergo, con un’espressione persa nel vuoto.

-Sì, è perso signore?- domandò Amir, il francese sorrise e negò, Amir pensò che forse l’ospite stesse ammirando la splendida struttura liberty dell’albergo.

-State andando a casa?-domandò l’ospite ad Amir.

-Si-

-Dovete pranzare ancora?- domandò il francese gentilmente e titubante Amir rispose affermativamente.

-Vi va di venire a pranzò con me?- chiese l’ospite.

Amir era confuso: d’accordo essere gentili ma il signor Maurice Leblanc lo era troppo … Che avesse strane intenzioni? Ma quali intenzioni poteva avere? In fin dei conti che gli costava andare? Era sempre meglio di mangiare da solo nel tugurio in cui viveva.

-Non ho tanti soldi- si affrettò a precisare l’inserviente.

-Mangeremo, dove volete voi-, rassicurò il francese con classe.

Alla fine Amir accettò e portò l’ospite in una piccola tavola calda, dove conversarono a lungo o meglio Amir parlò molto. Il francese era davvero abile a mettere a proprio agio le persone e a spingerle a parlare di sé. L’inserviente gli raccontò persino del fatto che voleva mettersi a studiare per cambiare lavoro, motivo per il quale aveva frequentato alcuni corsi comunali d’italiano: voleva essere in grado di iscriversi a una scuola superiore senza il problema della barriera linguistica. La lunga conversazione sfociò infine nella politica per una semplice domanda di Amir.

-Perché usa il voi?- Amir domandò incuriosito all’ospite, che si era sentito preso in contropiede dalla domanda.

- È sbagliato in italiano?- si affrettò a chiedere imbarazzato, come se fosse per lui di vitale importanza possedere una corretta grammatica.

-Sì, la forma corretta in una conversazione formale è la terza persona, il “lei”-

-Avete … Ha ragione, che sbadato sono io. In francese si usa il “voi”. Mi dispiace di essere stato maleducato. Ero convinto che si usasse anche qui - disse il francese con un’espressione sconfitta sul volto. Amir accennò un no con la testa e indicò il pavimento- Giù. Al Sud si usa-

-In Terronia?-.

-Sì-.

-Questa è la fondamentale differenza che li ha fatti dividere?- domandò ironico il francese, sembrò strano che fosse in grado di fare ironia … era sempre sempre così gentile e sensibile.

-Non lo so, sinceramente. L’arrivo dei due illustri mi ha aperto gli occhi- iniziò l’inserviente passandosi una mano sulla leggera barba.

-Come mai?-

-Fisicamente i terroni sono come le persone di qui. Per esempio, hanno il naso grande- Amir disse indicando anche il suo -Un po’ come dalle mie parti-.

-Poi l’ambasciatore è chiarissimo di pelle e di capelli. Mi avevano detto che solo nel Regno ci sono persone con quelle caratteristiche-.

-Non pensavo che ci fossero tutti questi pregiudizi. Vada avanti- commentò il francese chiaramente interessato.

-E poi gli occhi- esitò Amir per un istante per poi indicare gli occhi del francese -Sono come i suoi sa? In tutta la penisola, le persone hanno degli occhi espressivi, con … car… carattere-. Maurice Leblanc rimase in silenzio.

-Li chiamo gli occhi italiani- confessò l’inserviente.

-Sono davvero così belli?- domando l’ospite riferendosi a suoi.

-Sì, e lei ce li ha. Come mai?-

Il francese sorrise, un sorriso furbo e misterioso- Le svelo un segreto: sono di discendenza italiana-. Amir si entusiasmò e domandò di quale regione ma Maurice fu ancora più misterioso-Nessuna delle due, sono nato prima della separazione-. Amir capendo l’antifona, si scusò per essere stato invadente, ma il francese ci scherzò sopra e gli domandò quanti anni avesse dato il suo furore giovanile.

-Ho vent’ anni- rispose Amir sincero.

Quando Amir tornò a casa, si sentì contento d’aver accettato l’invito a pranzo del francese … per la prima volta dopo tanto tempo si era sentito trattato come una persona e non solo come l’inserviente.

 

Varese, 14 maggio  2013 10.30 P.M.

I passi del Generale rimbombarono per tutto l’albergo, il suo volto scuro e normalmente inespressivo era carico d’ira. L’Ambasciatore camminava dietro di lui con la medesima espressione. I due illustri personaggi entrarono nella Sala Avorio, una sala destinata alle riunioni dell’albergo, con tale violenza da far spaventare il Ministro degli esteri e il Re padano.

-Che cosa vi turba, signori?- Domandò il Ministro con un falso sorriso.

-Il dipinto!  E’ stato rubato!- esclamò concitato l’Ambasciatore.

-In questo albergo?!?-

-No, in Bangladesh... - rispose sarcastico il meridionale alla domanda imbecille del Re.

-Carissimi, cercate di rimanere calmi … - il re cercò di essere diplomatico ma fu immediatamente interrotto dall’altro ufficiale.

-Al contrario: voi dovete rimanere calmi. Vi stiamo lanciando un ultimatum: se entro tre ore non permettete alle nostre forze di polizia di indagare sul caso vi dichiareremo guerra- il tono del Generale non prometteva nulla di buono e i padani rimasero allibiti.

-Caro Ministro-, scimmiottò l’Ambasciatore guardando con disprezzo il Re Padano e porgendo un documento ufficiale della minaccia al Ministro degli esteri -Potreste riferire velocemente le parole del mio superiore al suo?-

 Varese, 16 maggio  2013 12.00 A.

Amir si svegliò controvoglia. Il suo cellulare continuava a squillare insistentemente e pensò ai soliti problemi dell’albergo che lo perseguitavano persino nel suo giorno di riposo, ma quando sentì Bianca ordinargli istericamente di presentarsi in albergo, intuì che qualcosa di grave era successo. Con sgomento capì che era stato chiamato per un interrogatorio.

L’albergo era in pieno fermento, c’erano numerose automobili militari e straniere. Appena Amir entrò, si rese conto di essere nei guai: c’era il direttore dell’albergo che lo guardava con un’espressione impaurita in volto e c’erano due uomini in divisa nera. Il direttore invitò ad Amir a seguirli e i due uomini portarono Amir in una delle sale più piccole dell’albergo, dove ad attenderlo c’era una donna, quest’ultima era un militare e il nome era stampato sulla divisa.

Michela Neri era una delle donne più belle che Amir avesse mai visto. Il viso era fine e incorniciato da capelli ricci della forma tipica delle donne meridionali e dal colore castano con riflessi rossi. Il corpo … non passava di certo inosservato. Alla donna non mancava di certo la mercanzia giusta, parzialmente nascosta, sfortunatamente, dall’austera e nera divisa della polizia della Repubblica Magna con tanto di pistola in bella vista. Inoltre i suoi occhi scuri erano duri pezzi di empietà. La poliziotta guardava Amir come se fosse un disgustoso spettacolo e subito lo attaccò senza nessuna esitazione.

- Hai pulito la stanza degli ambasciatori la scorsa mattina?-

-Sì, signora-.

-E quando la sera l’Ambasciatore e il Generale sono tornati nella loro stanza, il dipinto era scomparso. Come lo spieghi?- domandò la donna con un tono accusatore.

Amir guardò impaurito la donna e temé di non uscire vivo da quella stanza.

-Non lo so- rispose sincero.

-Cazzate!- gridò la donna con un fortissimo accento romano.

-Signora, non ho neanche visto la cassaforte … - iniziò a spiegare l’inserviente.

-Dunque sapevi che il dipinto era in una cassaforte!-

-Era una voce di corridoio- si giustificò Amir.

-Giustificazione debole- contestò la donna con una voce di stizza.

-La prego di credermi, sono solo un emigrato che … - Amir s’interruppe nel vedere Michela guardarsi assorta le unghie.

Michela alzò lo sguardo e disse con finta accondiscendenza -Non finisci la tua storia patetica che rifili ai nordisti? Con me non funziona, sai? Nel mio Stato quelli come te non sono benvenuti. La nostra gente può raccogliere i pomodori da sola. Non susciti la mia pietà con la tua storiella. Non sono la poliziotta buona. Ho solo due ruoli io: la poliziotta cattiva e quella che ti uccide se non metti in moto il tuo piccolo cervelletto e mi fornisci informazioni -.

-Non capisco- replicò Amir tremando a quelle parole appena sentite.

- È impossibile che un omuncolo come te abbia rubato il dipinto. Hai incontrato qualcuno di sospetto negli ultimi tempi- domandò Neri stranamente gentile.

Amir cercò di rimanere calmo per ragionare con lucidità. Qualcuno di sospetto? Il francese era la persona che l’aveva colpito di più, recentemente, ma era solo una persona gentile ...

-Chi è allora?- domandò a bruciapelo la poliziotta vedendo un attimo d’esitazione in Amir.

-Il signor Maurice Leblanc. È una persona gentile, ieri mi ha invitato a pranzo- spiegò Amir non  riuscendo a reggere lo sguardo con la poliziotta.

-Ha chiesto qualcosa di particolare?- La poliziotta si era alzata in piedi e guardava dall’alto in basso l’inserviente.

-Solo della mia giornata e dei pettegolezzi dell’albergo-

Michela, seccata, sbuffò e domandò- Qualcosa’altro?-

-Abbiamo parlato di politica. Politica estera- fu costretto a specificare l’uomo.

-Precisamente di …?-

Amir rispose impaurito -Del perché l’Italia non è unita-

Sul volto della donna si manifestò un attimo di smarrimento, che subito si tramutò in un’espressione astiosa e disse -Ti sei fatto fottere omuncolo! Abbiamo finito. Esci da qui !- tuonò Michela.

Amir tirò un sospiro di sollievo ma era ancora inquieto -Cosa mi succederà? Sono colpevole?-

-Di essere imbecille, sì. Probabilmente ti licenzieranno per salvare la reputazione dell’albergo. Non un mio problema- dichiarò cinica la donna e senza mezzi termini.

Michela Neri prese il cellulare e urlò degli ordini ai suoi sottoposti e poco dopo ci fu una retata nell’albergo e a poco valsero i piagnistei del direttore che si trovò costretto a ubbidire a un volere superiore, quello del suo Re, precisamente. La camera del francese fu presa d’assalto e Michela entrò armata con quattro uomini armati. La camera era vuota, ad eccezione di un cellulare lasciato sul letto.

Michela lo prese con la mano inguantata e vi urlò -Ancora questo trucco del cazzo fai?-.

-Non è un trucco è il mio biglietto da visita- Rispose dall’altra parte una voce maschile senza nessun accento francese ma con un chiaro italiano, piemontese per essere specifici.

-Terrorista ricchione del cazzo. Dove è il dipinto?!- domandò la poliziotta mentre faceva segno ai suoi sottoposti di rintracciare il cellulare.

-Ben nascosto-, fu la risposta laconica dell’uomo.

-Scatenerai la tua amata guerra-

-No. Hanno accettato quell’assurdo ultimatum. Ne abbiamo persa di dignità come nazione-

-Voi non siete una nazione- rispose pronta la donna.

-Se per questo neanche la repubblica Magna! L’Italia è una nazione. Quest’assurda divisione ci costerà cara e spero che quando lo capirai tu abbia un piano d’emergenza- dichiarò l’uomo dall’altro capo del telefono.

-Te lo sogni. Ti catturerò e ti sparerò con la mia stessa pistola. Alberto Giordano!-.

Michela non ottenne nessuna risposta, la telefonata era finita e non era stato possibile rintracciare il cellulare.

 

Varese, 20 maggio  2013 12.30 P.M.

Amir non fu licenziato. Stranamente il direttore era stato comprensivo, oppure aveva lasciato il compito di perseguitarlo ai membri del personale. Tutti ormai prendevano in giro l’ingenuità del povero Amir. Per lui lavorare era diventato un inferno. Rientrando a casa l’inserviente si maledì ancora una volta per aver creduto a quel finto rispetto che gli aveva riservato il criminale francese, anzi piemontese alla fine si era informato su tutto l’accaduto.

Alberto Giordano era il criminale più ricercato dell’intera penisola, sebbene lui si dichiarasse di essere un ladro gentiluomo era stato catalogato come terrorista. Il ladro, infatti, aveva fatto scattare più volte tensioni tra le due parti del territorio, manomettendo gli scambi interculturali rubando da una parte all’altra ma grazie all’azione diplomatica si era sempre riuscito ad evitare il peggio. Poiché il regno Padano non aveva le forze militare sufficienti per contrastare la Repubblica Magna, anche se Alberto Giordano fosse stato catturato nelle proprie terre, sarebbe stato condannato dalla repubblica Magna. Il che voleva dire la morte e Amir lo sperò che lo catturassero presto, avrebbe ottenuto un minimo di giustizia.

Amir aprì la porta di casa con questi pensieri nella testa e si paralizzò nel vedere qualcuno seduto sul suo letto.

-Buongiorno- disse quel qualcuno. Amir riconobbe immediatamente quella voce, anche se priva di accento francese.

-Stronzo!- urlò l’inserviente lanciandosi contro l’uomo.

Dopo aver incassato un paio di colpi Alberto, si difese.

-Mi hai rovinato la vita!- continuò l’inserviente ma Alberto riuscì a scansare i colpi e a mettersi a distanza da Amir.

-Tu stesso mi hai detto che odiavi lavorare lì!- gli disse il criminale calmo, riuscendo a far sfumare momentaneamente l’ira del ragazzo.

Amir ripensò a quel famoso pranzo: aveva veramente detto qualcosa del genere?

-Cosa vuoi?- domandò arrabbiato Amir, la sua voglia di colpirlo era passata … adesso c’era la curiosità.

-Pagarti i danni- disse il criminale porgendogli un assegno.

-70.000 euro possono bastare per dimenticare l’orribile esperienza con Michela?- domandò Alberto.

L’inserviente toccò titubante l’assegno e poi ritirò la mano.

-Sono soldi rubati-

Alberto sorrise come se si aspettasse quella risposta e spiegò -Questi no, fanno parte di un’eredità che ho ricevuto anni addietro-. Amir lo guardò scettico e si rese conto di osservarne per la prima volta il suo vero aspetto. Era un uomo sulla quarantina, con occhi verdi e capelli castani e dal sorriso beffardo. Gli occhi tuttavia conservavano la stessa espressività e determinazione dell’alter ego francese.

-Con 70.000 euro potrai tornare a studiare e andare all’estero. Te lo consiglio. Scoppierà una guerra prima o poi qui perché non mi fermerò finché non riuscirò a riunificare questo pezzo di terra- concluse Alberto lasciando l’assegno sul letto e uscendo dalla finestra della camera.

Amir non ebbe nemmeno il tempo di replicare … il ladro era già uscito dalla sua vita con la stessa velocità con cui era entrato.

Non lo rivide mai più, se non sugli articoli dei giornali.

 

   
 
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