Pregiudizi
criminali
Capitolo
1
Varese,
14 Maggio 2013
06.00 A.M
-Che
stanchezza, voglio andare a casa-
Una
donna dalla chiara provenienza dell’Europa dell’Est
sbadigliò dopo quella
dichiarazione.
-Cosa
tu pensi Amir?- domandò la donna al suo collega, la cui
pelle indicava
chiaramente l’appartenenza al vasto Medioriente e Amir
alzò le spalle,
leggermente infastidito - Abbiamo appena iniziato. Quale piano devi
pulire
Natalia?-
Si scambiarono le
informazioni relative ai lavori della
giornata, ma Natalia appariva dubbiosa.
-Strano,
che non dobbiamo pulire la stanza delle persone importanti-.
-Forse
più tardi- replicò Amir salutandola -Ci vediamo
dopo-
Amir
con il suo carrello da lavoro si avviò agli ascensori di
servizio per
accedere ai piani inferiori, dove si trovavano le stanze meno belle
dell’albergo, mentre Natalia era andata a pulire i piani
superiori. Amir entrò
in una delle stanze meno costose del piano, trovandola comunque
aggraziata ed
elegante con i suoi due letti separati e la tinta blu alle pareti.
L’inserviente aprì la porta del bagno e
tirò un sospiro di sollievo: lo sporco
era normale e non c’era con nessuna strana macchia da
eliminare. Il Palace
Grand Hotel poteva essere un albergo di lusso ma Amir sapeva bene
quanto gli
ospiti potessero diventare pretenziosi, sporchi e irrispettosi del lavoro di persone come
lui. L’uomo si
mise a lavorare di buona lena. Passò un bel po’ di
tempo, quando l’inserviente
sentì squillare il telefono della stanza. Intuì
subito che si trattava della
reception e infatti riconobbe la voce annoiata di Bianca che lo
invitava, e non
tanto cordialmente, a raggiungere Natalia per pulire la suite destinata
all’Ambasciatore e al Generale: erano quelle le persone
importati di cui aveva
accennato precedentemente prima
la donna.
L’inserviente
tentò di protestare: non avrebbe fatto in tempo a pulire le
ultime stanze del
suo piano, ma la sfuriata che ricevette dal suo diretto superiore non
gli
lasciò alternative e capitolò.
L’inserviente
raggiunse Natalia e sebbene la ragazza gli fosse sempre
piaciuta, questa volta s’irritò per la sua
lentezza. I popoli dell’est Europa
non erano forse conosciuti per la loro rapidità e voglia di
lavorare? O forse
queste doti non appartengono esclusivamente a una razza o a una
nazione? Si
domandò Amir.
I due riuscirono a
sistemare la suite come voleva il direttore
dell’albergo: perfettamente e avevano persino
lucidato il
pianoforte.
Amir
era rimasto ovviamente indietro con il suo lavoro e, nonostante avesse
lavorato il più velocemente possibile, l’ospite,
dell’ultima camera che avrebbe
dovuto finire di sistemare da un po’, arrivò prima
che potesse completarla.
L’inserviente si prese l’ennesima strigliata al
telefono ma non poté che
borbottare qualcosa contro le tante, e per lui incomprensibili, regole
di
etichetta. Terminato il lavoro, chiamò la reception dicendo
di aver finito e
che l’ospite poteva accomodarsi, uscì quindi dalla
stanza con il suo pesante
carrello, irritato ma sollevato dalla fine del suo turno, quando
improvvisamente ricordò di aver dimenticato di mettere nel
bagno della stanza
l’asciugamano per il viso.
Lasciò
incustodito
il carrello nel corridoio e tornò indietro con fare
circospetto, trasportando
con sé solo l’asciugamano. Entrò nella
stanza, sistemò l’asciugamano sentendosi
più una spia che un inserviente. Ne uscì contento
d’aver evitato l’ennesima
sfuriata, ma finì a faccia a faccia con l’ospite,
quest’ultimo
attese pazientemente che Amir uscisse.
-Mi
scusi!- esclamò a disagio Amir, mentre l’ospite
sorrideva comprensivo.
-No,
si preoccupi-. disse l’ospite, in un italiano non perfetto
che tradiva un
fortissimo accento francese, -Io posso entrare, adesso?-
domandò. L’inserviente
annuì imbarazzato e prendendo coraggio domandò
all’ospite -Potrebbe evitare
d’avvertire il direttore del fatto, per favore?-.
-Certo,
voi come vi chiamate?-
Amir
tentennò. Se non voleva denunciarlo perché mai
voleva sapere il suo nome?
L’ospite intuendo i pensieri dell’uomo lo
rincuorò.
-Vorrei
conoscere il vostro nome, solo perché a me sembra maleducato
non saperlo-.
Alla fine Amir,
convinto, si presentò e l’ospite fece altrettanto.
Si strinsero la mano, e ad
Amir lasciò una piacevole impressione: il nome Maurice
Leblanc non l’avrebbe
dimenticato facilmente.
Varese,
14 Maggio 2013
11.00 A.M
L’arrivo
dell’Ambasciatore e del Generale significò una
sola cosa per tutto l’albergo:
PANICO.
Efficienza, invece, era
la parola ripetuta più spesso da tutti e
con i pittoreschi accenti della manovalanza dell’albergo. Ad
Amir toccò il
compito di pulire la suite. Era stato ben informato dei pregiudizi
sulla
Repubblica Magna, disprezzatamente chiamata Terronia. Gli avevano detto
che lì
o erano mafiosi o soldati o tutte e due le cose e Amir, infatti,
trovò la suite
in condizioni perfette: con cura militare il Generale aveva rifatto il
proprio
letto e così pure aveva fatto l’Ambasciatore.
Notò sul comodino
dell’Ambasciatore una cornice con la foto di una giovane
donna, probabilmente
la figlia o la nipote dell’illustre funzionario e
trovò il gesto molto dolce e
umano.
Amir
era arrivato in Italia a pochi anni dalla separazione del territorio
geografico, nel periodo in cui si erano consolidati i due stati.
Al Nord si era
formato il Regno Padano che, nonostante fingesse una grande
indipendenza, era
costantemente legato al parere dell’Unione Europea e aveva
frequenti crisi
interne di natura etnica. Al Sud si era
consolidata la Repubblica
Magna, uno stato militare, alleato ufficialmente con gli Stati Uniti e
che
aveva fatto fortuna con il petrolio della Basilicata e
l’immenso patrimonio
artistico.
Questi
due stati erano considerati tra i punti di tensione più
pericolosi
dell’intera Europa, tanto da richiedere una costante opera di
diplomazia che
consisteva nello scambio d’opere d’arte a scopo di “interscambio
culturale”.
Per questo motivo l’Ambasciatore e il Generale, in
altre parole il presidente della Repubblica Magna, erano in
quell’albergo:
trasportavano un’importantissima opera d’arte
proveniente dal Meridione.
Un’opera dal valore inestimabile ed era soprattutto un motivo
di grande vanto
per la repubblica militare. Quest’ultima ci teneva molto a
rilevare la quantità
di opere d’arte che erano presenti sul proprio territorio,
escludendo,
ovviamente, la sola città di Roma la quale era rimasta un
polo attrattivo per i
turisti di tutto il mondo. Se fosse accaduto il più piccolo
incidente al
dipinto, si sarebbe scatenato il finimondo, tanto che nessuno in
albergo aveva
voluto sapere di che opera si trattasse.
Amir
camminò a disagio in quella suite. Si vociferava che
l’Ambasciatore e
il Generale custodissero il dipinto in una cassaforte di produzione
sudista e
che fosse nella loro camera dell’albergo. Amir
sperò di non vedere neanche la
cassaforte, personalmente pensava che i due illustri fossero fin troppo
paranoici per non tenere il dipinto nelle casseforti di sicurezza
dell’albergo.
L’inserviente
sistemò la suite e il suo turno era finalmente terminato,
uscì dalla porta di
servizio e colse l’ospite francese del giorno prima nei
giardini dell’albergo,
con un’espressione persa nel vuoto.
-Sì,
è perso signore?- domandò Amir, il francese
sorrise e negò, Amir pensò che forse
l’ospite stesse ammirando la splendida struttura liberty
dell’albergo.
-State
andando a casa?-domandò l’ospite ad Amir.
-Si-
-Dovete
pranzare ancora?- domandò il francese gentilmente e
titubante Amir rispose
affermativamente.
-Vi
va di venire a pranzò con me?- chiese l’ospite.
Amir
era confuso: d’accordo essere gentili ma il signor Maurice
Leblanc lo era
troppo … Che avesse strane intenzioni?
Ma quali
intenzioni poteva avere? In fin dei conti che gli
costava andare? Era sempre meglio di
mangiare da solo nel tugurio in cui viveva.
-Non
ho tanti soldi- si affrettò a precisare
l’inserviente.
-Mangeremo,
dove volete voi-, rassicurò il francese con classe.
Alla
fine Amir accettò e portò l’ospite in
una piccola tavola calda, dove
conversarono a lungo o meglio Amir parlò molto. Il francese
era davvero abile a
mettere a proprio agio le persone e a spingerle a parlare di
sé.
L’inserviente
gli
raccontò persino del fatto che voleva mettersi a studiare
per cambiare lavoro,
motivo per il quale aveva frequentato alcuni corsi comunali
d’italiano: voleva
essere in grado di iscriversi a una scuola superiore senza il problema
della
barriera linguistica. La lunga conversazione sfociò infine
nella politica per
una semplice domanda di Amir.
-Perché
usa il voi?- Amir domandò incuriosito all’ospite,
che si era sentito preso in
contropiede dalla domanda.
-
È
sbagliato in italiano?- si affrettò a chiedere imbarazzato,
come se fosse per
lui di vitale importanza possedere una corretta grammatica.
-Sì,
la forma corretta in una conversazione formale è la terza
persona, il “lei”-
-Avete
… Ha ragione, che sbadato sono io. In francese si usa il
“voi”.
Mi
dispiace di essere stato maleducato. Ero convinto che si usasse anche
qui -
disse il francese con un’espressione sconfitta sul volto.
Amir accennò
un no
con la testa e indicò il pavimento- Giù. Al Sud
si usa-
-In
Terronia?-.
-Sì-.
-Questa
è la fondamentale differenza che li ha fatti dividere?-
domandò ironico il
francese, sembrò strano che fosse in grado di fare ironia
… era sempre sempre così
gentile e sensibile.
-Non
lo so, sinceramente. L’arrivo dei due illustri mi ha aperto
gli occhi- iniziò
l’inserviente passandosi una mano sulla leggera barba.
-Come
mai?-
-Fisicamente
i terroni sono come le persone di qui. Per esempio, hanno il naso
grande- Amir
disse indicando anche il suo -Un po’ come dalle mie parti-.
-Poi
l’ambasciatore è chiarissimo di pelle e di
capelli. Mi avevano detto che solo
nel Regno ci sono persone con quelle caratteristiche-.
-Non
pensavo che ci fossero tutti questi pregiudizi. Vada avanti-
commentò il
francese chiaramente interessato.
-E
poi gli occhi- esitò Amir per un istante per poi indicare
gli occhi del
francese -Sono come i suoi sa? In tutta la penisola, le persone hanno
degli
occhi espressivi, con … car… carattere-.
Maurice Leblanc
rimase in silenzio.
-Li
chiamo gli occhi italiani- confessò l’inserviente.
-Sono
davvero così belli?- domando l’ospite riferendosi
a suoi.
-Sì,
e lei ce li ha. Come mai?-
Il
francese sorrise, un sorriso furbo e misterioso- Le svelo un segreto:
sono di
discendenza italiana-.
Amir si
entusiasmò e domandò di quale regione
ma Maurice fu ancora più misterioso-Nessuna delle due, sono
nato prima della
separazione-. Amir capendo
l’antifona, si scusò per essere stato invadente,
ma
il francese ci scherzò sopra e gli domandò quanti
anni avesse dato il suo
furore giovanile.
-Ho
vent’ anni- rispose Amir sincero.
Quando
Amir tornò a casa, si sentì contento
d’aver accettato l’invito a
pranzo del francese … per la prima volta dopo tanto tempo si
era sentito
trattato come una persona e non solo come l’inserviente.
Varese,
14 maggio 2013
10.30 P.M.
I
passi del Generale rimbombarono per tutto l’albergo, il suo
volto scuro e
normalmente inespressivo era carico d’ira.
L’Ambasciatore
camminava dietro di lui con la medesima espressione.
I due illustri
personaggi entrarono nella Sala Avorio, una sala destinata alle
riunioni
dell’albergo, con tale violenza da far spaventare il Ministro
degli esteri e il
Re padano.
-Che
cosa vi turba, signori?- Domandò il Ministro con un falso
sorriso.
-Il
dipinto! E’
stato rubato!- esclamò
concitato l’Ambasciatore.
-In
questo albergo?!?-
-No,
in Bangladesh... - rispose sarcastico il meridionale alla domanda
imbecille del
Re.
-Carissimi,
cercate di rimanere calmi … - il re cercò di
essere diplomatico ma fu
immediatamente interrotto dall’altro ufficiale.
-Al
contrario: voi dovete rimanere calmi. Vi stiamo lanciando un ultimatum:
se
entro tre ore non permettete alle nostre forze di polizia di indagare
sul caso
vi dichiareremo guerra- il tono del Generale non prometteva nulla di
buono e i
padani rimasero allibiti.
-Caro
Ministro-, scimmiottò l’Ambasciatore guardando con
disprezzo il Re Padano e
porgendo un documento ufficiale della minaccia al Ministro degli esteri
-Potreste riferire velocemente le parole del mio superiore al suo?-
Varese, 16 maggio 2013 12.00 A.
Amir
si svegliò controvoglia. Il suo cellulare continuava a
squillare
insistentemente e pensò ai soliti problemi
dell’albergo che lo perseguitavano
persino nel suo giorno di riposo, ma quando sentì Bianca
ordinargli
istericamente di presentarsi in albergo, intuì che qualcosa
di grave era
successo. Con sgomento capì che era stato chiamato per un
interrogatorio.
L’albergo
era in pieno fermento, c’erano numerose automobili militari e
straniere.
Appena Amir
entrò, si rese conto di essere nei guai: c’era il
direttore dell’albergo che lo guardava con
un’espressione impaurita in volto e
c’erano due uomini in divisa nera. Il direttore
invitò ad Amir a seguirli e i
due uomini portarono Amir in una delle sale più piccole
dell’albergo, dove ad
attenderlo c’era una donna, quest’ultima era un
militare e il nome era stampato
sulla divisa.
Michela
Neri era una delle donne più belle che Amir avesse mai visto.
Il viso era fine e
incorniciato da capelli ricci della forma tipica delle donne
meridionali e dal
colore castano con riflessi rossi. Il corpo … non passava di
certo inosservato.
Alla donna non mancava di certo la mercanzia giusta, parzialmente
nascosta,
sfortunatamente, dall’austera e nera divisa della polizia
della Repubblica
Magna con tanto di pistola in bella vista. Inoltre i suoi occhi scuri
erano
duri pezzi di empietà. La poliziotta guardava
Amir come se fosse un
disgustoso spettacolo e subito lo attaccò senza nessuna
esitazione.
-
Hai pulito la stanza degli ambasciatori la scorsa mattina?-
-Sì,
signora-.
-E
quando la sera l’Ambasciatore e il Generale sono tornati
nella loro stanza, il
dipinto era scomparso. Come lo spieghi?- domandò la donna
con un tono
accusatore.
Amir
guardò impaurito la donna e temé di non uscire
vivo da quella stanza.
-Non
lo so- rispose sincero.
-Cazzate!-
gridò la donna con un fortissimo accento romano.
-Signora,
non ho neanche visto la cassaforte … - iniziò a
spiegare l’inserviente.
-Dunque
sapevi che il dipinto era in una cassaforte!-
-Era
una voce di corridoio- si giustificò Amir.
-Giustificazione
debole- contestò la donna con una voce di stizza.
-La
prego di credermi, sono solo un emigrato che … - Amir
s’interruppe nel vedere
Michela guardarsi assorta le unghie.
Michela
alzò lo sguardo e disse con finta accondiscendenza -Non
finisci la tua storia
patetica che rifili ai nordisti? Con me non funziona, sai? Nel mio
Stato quelli
come te non sono benvenuti. La nostra gente può raccogliere
i pomodori da sola.
Non susciti la mia pietà con la tua storiella. Non sono la
poliziotta buona. Ho
solo due ruoli io: la poliziotta cattiva e quella che ti uccide se non
metti in
moto il tuo piccolo cervelletto e mi fornisci informazioni -.
-Non
capisco- replicò Amir tremando a quelle parole appena
sentite.
-
È
impossibile che un omuncolo come te abbia rubato il dipinto. Hai
incontrato
qualcuno di sospetto negli ultimi tempi- domandò Neri
stranamente gentile.
Amir
cercò di rimanere calmo per ragionare con
lucidità. Qualcuno di sospetto? Il
francese era la persona che l’aveva colpito di
più, recentemente, ma era solo
una persona gentile ...
-Chi
è allora?- domandò a bruciapelo la poliziotta
vedendo un attimo d’esitazione in
Amir.
-Il
signor Maurice Leblanc. È
una persona
gentile, ieri mi ha invitato a pranzo- spiegò Amir non riuscendo a reggere lo
sguardo con la
poliziotta.
-Ha
chiesto qualcosa di particolare?- La poliziotta si era alzata in piedi
e
guardava dall’alto in basso l’inserviente.
-Solo
della mia giornata e dei pettegolezzi dell’albergo-
Michela,
seccata, sbuffò e domandò-
Qualcosa’altro?-
-Abbiamo
parlato di politica. Politica estera- fu costretto a specificare
l’uomo.
-Precisamente
di …?-
Amir
rispose impaurito -Del perché l’Italia non
è unita-
Sul
volto della donna si manifestò un attimo di smarrimento, che
subito si tramutò
in un’espressione astiosa e disse -Ti sei fatto fottere
omuncolo! Abbiamo
finito. Esci da qui !- tuonò Michela.
Amir
tirò un sospiro di sollievo ma era ancora inquieto -Cosa mi
succederà? Sono colpevole?-
-Di
essere imbecille, sì. Probabilmente ti licenzieranno per
salvare la reputazione
dell’albergo. Non un mio problema- dichiarò cinica
la donna e senza mezzi
termini.
Michela
Neri prese il cellulare e urlò degli ordini ai suoi
sottoposti e
poco dopo ci fu una retata nell’albergo e a poco valsero i
piagnistei del
direttore che si trovò costretto a ubbidire a un volere
superiore, quello del
suo Re, precisamente.
La camera del francese
fu presa d’assalto e
Michela entrò armata con quattro uomini armati. La camera
era vuota, ad
eccezione di un cellulare lasciato sul letto.
Michela
lo prese con la mano inguantata e vi urlò -Ancora questo
trucco del cazzo
fai?-.
-Non
è un trucco è il mio biglietto da visita- Rispose
dall’altra parte una voce
maschile senza nessun accento francese ma con un chiaro italiano,
piemontese
per essere specifici.
-Terrorista
ricchione del cazzo. Dove è il dipinto?!- domandò
la poliziotta mentre faceva
segno ai suoi sottoposti di rintracciare il cellulare.
-Ben
nascosto-, fu la risposta laconica dell’uomo.
-Scatenerai
la tua amata guerra-
-No.
Hanno accettato quell’assurdo ultimatum. Ne abbiamo persa di
dignità come
nazione-
-Voi
non siete una nazione- rispose pronta la donna.
-Se
per questo neanche la repubblica Magna! L’Italia è
una nazione. Quest’assurda
divisione ci costerà cara e spero che quando lo capirai tu
abbia un piano
d’emergenza- dichiarò l’uomo
dall’altro capo del telefono.
-Te
lo sogni. Ti catturerò e ti sparerò con la mia
stessa pistola. Alberto
Giordano!-.
Michela
non ottenne nessuna risposta, la telefonata era finita e non era stato
possibile rintracciare il cellulare.
Varese,
20 maggio 2013
12.30 P.M.
Amir
non fu licenziato. Stranamente il direttore era stato comprensivo,
oppure aveva
lasciato il compito di perseguitarlo ai membri del personale. Tutti
ormai
prendevano in giro l’ingenuità del povero Amir.
Per lui lavorare era diventato
un inferno. Rientrando a casa l’inserviente si
maledì ancora una volta per aver
creduto a quel finto rispetto che gli aveva riservato il criminale
francese,
anzi piemontese alla fine si era informato su tutto
l’accaduto.
Alberto
Giordano era il criminale più ricercato
dell’intera penisola,
sebbene lui si dichiarasse di essere un ladro gentiluomo era stato
catalogato
come terrorista. Il ladro, infatti, aveva fatto scattare più
volte tensioni tra
le due parti del territorio, manomettendo gli scambi interculturali
rubando da
una parte all’altra ma grazie all’azione
diplomatica si era sempre riuscito ad
evitare il peggio. Poiché il regno Padano non aveva le forze
militare
sufficienti per contrastare la Repubblica Magna, anche se Alberto
Giordano
fosse stato catturato nelle proprie terre, sarebbe stato condannato
dalla
repubblica Magna. Il che voleva dire la morte e Amir lo
sperò che lo
catturassero presto, avrebbe ottenuto un minimo di giustizia.
Amir
aprì la porta di casa con questi pensieri nella testa e si
paralizzò
nel vedere qualcuno seduto sul suo letto.
-Buongiorno-
disse quel qualcuno. Amir riconobbe immediatamente quella voce, anche
se priva
di accento francese.
-Stronzo!-
urlò l’inserviente lanciandosi contro
l’uomo.
Dopo
aver incassato un paio di colpi Alberto, si difese.
-Mi
hai rovinato la vita!- continuò l’inserviente ma
Alberto riuscì a scansare i
colpi e a mettersi a distanza da Amir.
-Tu
stesso mi hai detto che odiavi lavorare lì!- gli disse il
criminale calmo, riuscendo
a far sfumare momentaneamente l’ira del ragazzo.
Amir
ripensò a quel famoso pranzo: aveva veramente detto qualcosa
del genere?
-Cosa
vuoi?- domandò arrabbiato Amir, la sua voglia di colpirlo
era passata … adesso
c’era la curiosità.
-Pagarti
i danni- disse il criminale porgendogli un assegno.
-70.000
euro possono bastare per dimenticare l’orribile esperienza
con Michela?-
domandò Alberto.
L’inserviente
toccò titubante l’assegno e poi ritirò
la mano.
-Sono
soldi rubati-
Alberto
sorrise come se si aspettasse quella risposta e spiegò
-Questi no, fanno parte
di un’eredità che ho ricevuto anni addietro-. Amir
lo guardò scettico e si rese
conto di osservarne per la prima volta il suo vero aspetto. Era un uomo
sulla
quarantina, con occhi verdi e capelli castani e dal sorriso beffardo.
Gli occhi
tuttavia conservavano la stessa espressività e
determinazione dell’alter ego
francese.
-Con
70.000 euro potrai tornare a studiare e andare all’estero. Te
lo consiglio.
Scoppierà una guerra prima o poi qui perché non
mi fermerò finché non riuscirò
a riunificare questo pezzo di terra- concluse Alberto lasciando
l’assegno sul
letto e uscendo dalla finestra della camera.
Amir
non ebbe nemmeno il tempo di replicare … il ladro era
già uscito dalla sua vita
con la stessa velocità con cui era entrato.
Non
lo rivide mai più, se non sugli articoli dei giornali.