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Autore: SomeoneNew    19/11/2018    0 recensioni
E un pensiero la sfiorò lievemente per un secondo. Che se solo avesse voluto, se solo le cose fossero andate in maniera diversa quel ragazzo seduto di fianco a lei proprio in quel momento, forse un giorno avrebbe potuto imparare ad amarla davvero.
Se solo avesse saputo da quanto tempo l'amava già.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Sipario


Chissà quante tonalità di bianco esistono. Insomma potrebbero essere un sacco. Potrebbero essere un sacco e noi non lo sapremmo mai. Parliamo di bianco, ma abbastanza in generale. Lo trattiamo come se fosse un colore come un altro. Ma il banco è bianco. Non è un colore come un altro. Stava diventando sul serio paranoica, doveva smettere di fissare il soffitto bianco cercando di capire di che tonalità fosse. Aspettate, il bianco può avere diverse tonalità? Quanta ignoranza in un solo corpo. Prima o poi sarebbe dovuta uscire da quella camera, e anche se preferiva l’opzione ‘poi’ al ‘prima’ fece un profondo respiro e sollevò lentamente la testa dal cuscino nascosto dal copriletto a quadrettoni blu. Nulla era cambiato all’interno di quelle quattro mura. Mettere piede in quella stanza significava ogni volta gettarsi a capofitto nel passato, mettere in funzione una macchina del tempo che non sapeva di possedere. Tranne i libri che aveva portato via con se quando si era trasferita alcuni anni prima, tutto era esattamente come l’aveva lasciato, nulla era stato violato nel proprio spazio vitale. Il salvadanaio nelle vesti di una coccinella accanto al mappamondo sulla mensola in basso, il portapenne di Garfield sulla scrivania di legno scuro, la lampada sulla quale si poteva ancora leggere ‘chi ha trovato se stesso ora fotte il mondo’, la palla di vetro all’interno della quale trionfava una Londra innevata ogni volta che la si capovolgeva. Un brivido le percorse la schiena. Quante cose erano cambiate in quegli anni, quante stavano cambiando proprio in quel momento e quante ancora sarebbero cambiate. Sua nonna era morta Meno di trenta sei ore prima respira e poi ad un tratto non c’era più, e non ci sarebbe stata più per sempre. Come si può accettare tutto questo? Come può una persona svanire da un momento all’altro? Come può cessare di esistere nell’arco di pochi secondi? Come può stare bene e poi d’improvviso morire? E soprattutto, come si convive con la consapevolezza che tutto ciò che percepiamo attraverso i nostri sensi potrebbe cessare di esistere nell’arco di tempo in cui la neve tocca terra nella palla di vetro che stringeva ancora tra le mani? Noi stessi potremmo morire proprio in questo istante, uccisi magari dalla tavoletta di un gabinetto che ci piomba in testa dal cielo alla velocità della luce, come in quella serie televisiva. Com’è che si chiamava? ‘La ragazza della tavoletta’? No, forse questo era solo il nomignolo della protagonista. Ora proprio non riusciva a ricordarlo. In ogni caso il punto era che, tutto ciò può farci sentire talmente piccoli ed insignificanti nell’Universo da chiederci per quale motivo non ci siamo ancora abbandonati a una rassegnata passività, subendo gli eventi e il nostro destino in maniera incosciente, come il protagonista di ‘L’arte di cavarsela’. Adorava quel film, e Freddie Highmore certo. Il fatalismo l’aveva sempre affascinata, e anche Freddie Highmore ovviamente. Il fatto era che, sua nonna era morta. Sua nonna era morta e stare in quella stanza la faceva pensare troppo. Le risate, le lacrime, le sere passate sui libri e le domeniche raggomitolata tra le coperte di quello stesso letto a leggere un libro. E poi le urla con sua sorella, i litigi con sua madre, i silenzi, quest’ultimi soprattutto con sua nonna. Fece un profondo respiro quando l’immagine del volto rugoso e severo di sua nonna le sfiorò la mente. La verità era che il loro non era mai stato un rapporto florido, in realtà probabilmente non c’era mai stato nessun rapporto, solo tante incomprensioni e molti pregiudizi, e nonostante condividessero gli stessi spazi non avevano mai avuto l’opportunità di comprendersi a vicenda, o forse ne avevano avute tante di opportunità ma nessuna delle due aveva avuto il coraggio di coglierne almeno una. E adesso che pensava agli anni passati della sua infanzia, trascorsi tra quelle mura, non riusciva a ricordare neanche un episodio in cui era stata deposta l’ascia di guerra e avevano ceduto un sorriso all’altra, con semplicità, con quel calore familiare che si dovrebbe respirare in un rapporto tra nonna e nipote. Era stata proprio una fortuna che avessero scelto Donia per celebrare la sua adorata nonna durante la commemorazione con uno di quei discorsi strappalacrime, com’è giusto che sia durante una cerimonia del genere, in cui si raccontano aneddoti di frammenti di vita condivisi con il defunto. D'altronde, anche la nonna avrebbe scelto lei se fosse stata viva durante il suo funerale, la sua nipote preferita. Si, proprio una fortuna, perché per quanto si sforzasse non le veniva in mente proprio nulla. Eppure in ogni film che si rispetti una situazione del genere avrebbe portato a galla anche il più stupido e insignificante dei ricordi, ma la verità era che non si ricordava neanche se le avesse mai passato il telecomando senza sbatterle in faccia la sua pigrizia, perché hai tredici anni, sei sana, hai due gambe e due braccia e il telecomando avresti potuto prendertelo da sola. E poi le venne in mente un verso della canzone If I die young dei The Band Perry, ‘è divertente come le persone inizino ad ascoltarti quando sei morto’. E se fosse stato vero? Se fosse accaduto anche a lei? Se per la prima volta nella sua vita avesse iniziato ad ascoltare ciò che le diceva sua nonna, proprio ora che era morta? E non parlava in senso metaforico. Le era già capitato.

Durante il suo terzo anno alle superiori la sua professoressa di scienze era morta improvvisamente pochi mesi dopo essersi ammalata. Grace era rimasta talmente scossa dalla perdita da continuare a percepire la presenza della donna accanto a lei per mesi dopo l’accaduto, e tutt’ora quando le veniva la pelle d’oca senza un particolare motivo scatenante sorrideva spontaneamente, immaginandola proprio lì di fianco a lei, a guardarle le spalle. Era stata una delle prime persone a credere in Grace. Sembrava avesse visto in quella personcina goffa e spaventata, ma troppo fiera per ammetterlo, qualcosa di speciale, qualcosa di cui lei stessa ancora adesso non riusciva a capacitarsi. Le sue mani, una cosa che avrebbe ricordato per sempre. Sembravano infinite, con quelle dita lunghissime e affusolate sarebbe potuta diventare una gran pianista se solo avesse voluto. Ma magari non aveva mai provato a suonare il piano o qualsiasi altro strumento, o forse si e Grace non l’avrebbe mai saputo. Così poco tempo per conoscere una persona tanto immensa. Un’insegnante di vita con una forza e una voglia di vivere indescrivibile e un sorriso sincero. Le aveva detto ‘non vacillare, mai’ e così aveva fatto, o per lo meno ci aveva provato, perché nel tempo aveva capito che alle volte vacillare un po’ fa bene ma che avere una testa dura come la pietra è sempre comodo. Ed è così che accade. Perdere qualcuno accanto a te ti fa pensare a tutte quelle persone che hai perso lungo il tuo cammino, ma che nonostante il tempo trascorso continuano a viverti accanto, passo dopo passo. Ed è strano continuare a respirare, affacciarsi alla finestra e rendersi conto che il mondo continua a girare e non si è mai fermato. Il problema era che questa volta aveva come l’impressione che neanche il suo di mondo si fosse fermato. Quella lenta passività l’aveva accompagnata durante l’intera durata del funerale e non si era lasciata toccare da alcuna emozione. Nessuna lacrima aveva rigato il suo volto concesso l’ultimo saluto, nessuna smorfia di dolore aveva contorto le sue labbra dopo la sepoltura. E adesso, tutto ciò che riusciva a percepire era una fitta in fondo allo stomaco, il senso di colpa era finalmente entrato in scena. Si sentiva in colpa per tutto questo, per il dolore mancato, per la sua apatia, per il cinismo attraverso il quale aveva affrontato la situazione. Sentiva che era giusto adesso sostenere la vergogna. Aveva atteso con pazienza qualsiasi tipo di emozione, e ora che finalmente riusciva a provare qualcosa tutto ciò che aveva intenzione di fare era assaporare quelle sensazioni, per potersi sentire nuovamente umana dopo un tempo che le sembrava essere stato infinito.

Con il naso schiacciato contro il vetro freddo della finestra che dava sul piccolo giardino, osservava di fronte a lei il grande albero che dopo anni si ergeva ancora, alto, imponente e soprattutto fuori luogo tra il minimalismo che lo circondava. L’estate era ormai agli sgoccioli. L’aria sempre più rarefatta e i giochi di luce melanconici allestivano uno scenario perfetto per l’arrivo sul palcoscenico di uno di quei caratteri che difficilmente dimentichi, ma che restano impressi nei fotogrammi della tua memoria in maniera indelebile, immortale. E in effetti l’autunno è un po’ questo, un’antica diapositiva che nonostante gli anni assorbiti dalle sfocature sembra essere rimasta inviolata dal tempo, come un’anziana donna che in ogni ruga del suo volto porta l’antica bellezza conservata atto dopo atto.

Forse l’estate poteva anche avere il mare, e l’inverno il Natale ma l’autunno era per lei ciò che Mansfield Park era per Fanny Price, ciò che Tara era per Rossella O’hara o Thornfield Hall per Jane Eyre, il suo posto nel mondo senza neanche essere un posto. Era questo l’incantesimo dell’autunno su Grace, ovunque si trovasse in quei brevi mesi lei si sentiva a casa, circondata da una costante malinconia che si mostrava semplicemente per ciò che era. Perché effettivamente nessuno nutre aspettative nei confronti di tale stagione, è solo una scomoda e triste via di mezzo tra l’estate e l’inverno. Ma era per questo che a lei piaceva particolarmente, le concedeva la spensieratezza di poter essere triste senza mai sentirsi fuori luogo, come quell’albero nel misero giardino della sua casa paterna.


Che sia dato il via alle danze pensò, aspirando a ritrovare la pace interiore che quella stessa estate le era scivolata come sabbia tra le dita. E mentre si accingeva a tirare giù la sottile tendina una foglia toccava terra per la prima volta. Era l’inizio, e allora,

“Sipario”.
  
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