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Autore: Ghen    19/11/2018    6 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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33. Addio al secondo nubilato


Bruce Wayne si fece lasciare dall'automobile dall'altro lato della strada e, camminando velocemente, avvolto dal pesante giaccone, si avvicinò al vecchio magazzino. L'ingresso era sbarrato e nonostante fosse stato acquistato da poco, stavano già aprendo ai lavori allestendo un cantiere. Il cartello segnava la data di inizio lavori, entro la settimana, e chi aveva in mano il progetto. Tirò fuori il cellulare da una tasca in modo che potesse scriversi il nome, quando sentì di non essere solo.
«Posso fare qualcosa per lei», si voltò, «signorina Kyle?».
Lei sorrise e, mani nelle tasche del giubbino nero, si accostò. «Che riflessi pronti, signor Wayne».
«Tende a sottovalutarmi», la guardò, corrucciando la fronte.
«Probabilmente», sussurrò, adocchiando anche lei il cartello. «Tiene d'occhio l'attività? Non è stato lei a venderla?».
«Non proprio».
«Per esserci il suo nome, su quell'immenso palazzo, lei conta ben poco, lo sa?».
Per un attimo, Bruce pensò perfino di spiegarle che stava tentando di prendere in mano un lavoro che per anni, dopo la scomparsa dei suoi genitori, aveva gestito qualcun altro che lo voleva fuori, poi si chiese perché avrebbe dovuto e si zittì. «Le serve qualcosa?», ansimò seccato.
«Mh», fece una smorfia con le labbra, «Forse è a lei che serve qualcosa da me». Lo vide contrarre le sopracciglia. «Ho delle informazioni: anch'io tengo d'occhio l'attività e sarò felice di condividere ciò che so. Se me ne darà occasione, s'intende». Le fece l'occhiolino e, prima che lui potesse risponderle, gli prese il cellulare dalle mani e iniziò a digitare. Lui provò a riprenderlo ma lei si tirò più indietro, sfuggente. «Ho preso il suo numero e ho scritto il mio», glielo porse e Bruce la guardò torvo. «Mi farò viva. Presto».
Bruce Wayne la tenne d'occhio mentre si allontanava, chiedendosi se veramente quella ragazza poteva aiutarlo o se quello era stato solo un tentativo riuscito per scambiarsi il numero.

Marzo, il mese tanto atteso. O perlomeno lo era da parte di Eliza e Lillian, che non stavano nella pelle per il loro matrimonio; d'altra parte, per partire da Alex e finire con Kara e Lena, era il mese dell'angoscia.
Nonostante le avesse detto di non rivolgerle più la parola e così era stato per settimane, Lillian aveva telefonato a Lena per chiederle con cortesia di ripresentarsi in villa a National City, constatando che oramai si era trasferita a tempo indeterminato dal fratello a Metropolis. Non le aveva chiesto scusa, ma ci aveva tenuto a dirle che la famiglia aveva bisogno di lei con urgenza. L'urgenza era la scelta degli abiti per il matrimonio, quello delle spose e quello che avrebbero indossato loro, che sarebbero state le damigelle. Naturalmente, dalla location alle partecipazioni di familiari e amici, grazie al temperamento organizzativo di Eliza e all'aiuto della wedding planner Janine, era già tutto pronto da Natale.
Così Lena si era ripresentata a casa dopo tempo e dopo tempo lei e Kara si erano riviste, abbassando sguardi imbarazzati e scambiandosi poche parole che non riguardavano altro se non il matrimonio imminente. Alex aveva riferito a Lena che Kara non era riuscita a parlare con sua zia e la cosa l'aveva tranquillizzata, per quanto la situazione, comunque complicata, le permettesse: ora non le serviva che, pian piano, riprendere terreno con lei.
In tempi diversi, nei primi giorni del mese, Eliza e Lillian si erano fatte accompagnare dalle ragazze per acquistare l'abito perfetto. Si aspettavano un negozio d'abiti specializzato, invece Lillian insisté che fosse Felipe, il suo stilista, a prendersi carico di tutto. Si erano trovate nel salotto di quell'uomo dall'accento francese che mostrava loro diversi abiti da sposa realizzati di recente, alcuni dei quali seguendo desideri della signora Luthor in persona. Mentre Eliza, che era andata per prima, sceglieva quale provare, l'uomo prese le misure a tutte le ragazze, spiegando loro che dopo l'abito per Eliza sarebbe stato il loro turno per scegliere tra alcuni abiti selezionati in precedenza dalle loro madri quale avrebbero indossato come damigelle.
Sedute sul divano in attesa di Eliza e Felipe, sgranocchiavano noccioline da un vassoio. Erano zitte tutte e tre, troppo ansiose per reggere un discorso. Quando la donna attraversò la porta che divideva il salotto dal corridoio, tutte loro spalancarono la bocca dallo stupore.
«Mi piacciono le vostre facce», esclamò Felipe, congiungendo le mani con soddisfazione. «Cosa ne pensate, eh?».
Eliza sorrideva raggiante, mantenendo la lunga gonna dell'abito bianco, larga; c'era qualche ricamo impreziosito da brillanti in vita, nel décolleté e nelle maniche, corte e strette. Era un abito all'apparenza semplice, ma ben rifinito nei dettagli.
Senza parole, Kara prese la ciotola sulle ginocchia e iniziò a mangiare con foga interi pugni di noccioline.
«Sei…», bisbigliò Alex.
«Veramente bellissima», finì Lena, alzandosi per raggiungerla.
Provò altri abiti successivamente, ma Eliza si era innamorata del primo e non c'era stato verso, per Felipe, di spiegarle che sarebbe stato meglio provare qualcos'altro per esserne sicura, così si arrese. Era stato veloce, lui disse che avrebbe aggiustato il vestito con le ultime accortezze per essere indossato e poi mostrò alcuni abiti ad Alex, Lena e Kara per le damigelle. Da un catalogo e dopo dal vivo; portò in salotto ogni vestito su cui mostravano interesse, dicendo loro di scegliere con calma. Chi diceva sì e chi no, non riuscivano mai a trovarsi completamente d'accordo e, se non altro, sia Lena che Kara furono felici di riprendersi a parlare senza provare esagerati impacci. Infine, solo un abito piacque abbastanza a tutte e tre le ragazze: stretto e lungo, smanicato e color verde acquamarina. Felipe era entusiasta della scelta e applaudì con garbo, riferendo loro che sarebbero stati pronti presto.
«Sono un po'…», borbottò Kara, lentamente.
«Sì. Anch'io», le rispose subito Alex.
Era notte ed erano sdraiate sul grande tappeto in camera di quest'ultima in villa Luthor-Danvers: avrebbero dormito là per tutta la prima metà del mese, per via del matrimonio; non le avrebbero lasciate sfuggire perché, dicevano, avrebbero potuto aver bisogno di loro da un momento all'altro e Lillian era comunque già abbastanza nervosa per Lex che si sarebbe fatto vivo all'ultimo momento, convinta che avrebbe potuto amministrare il lavoro via skype.
«Quando l'ho vista…», riprese Alex.
«Anch'io», concordò Kara.
«Non ci credo che sta per succedere di nuovo… Voglio dire, nessuna delle due era presente al matrimonio di Eliza e Jeremiah, e ormai ci siamo abituate a vederla con Lillian, e forse lo abbiamo pure accettato, però…».
«Già», terminò Kara ed entrambe sospirarono. «Sta per succedere. È fatta».
«Si sposa davvero. E tu come stai?», le domandò Alex, voltandosi verso di lei. «Vedere Eliza vestita da sposa ti ha fatto lo stesso effetto che ha fatto a me, ma sposerà la madre della ragazza che ami…».
Kara tirò su con il naso e si voltò completamente verso la sorella, prendendo qualche attimo per pensarci. «Lena ed io ci abbiamo pensato così tanto tutto il tempo che non so più cosa pensare, adesso. E non stiamo più insieme, tecnicamente, quindi…».
«Ma vi amate lo stesso».
«Sì…», soffiò. «La mia testa continua a dirmi di non farmi illusioni, che non sarà più come prima e che forse potremmo anche non tornare insieme mai. Ma tutto il resto di me sa che accadrà perché mi basta guardarla e…».
«Sì, ho capito», le sorrise Alex. «Pensi di farcela a divertirti un po' durante l'addio al secondo nubilato?».
Kara annuì, speranzosa.
Nel corso della stessa settimana, dunque, le ragazze tornarono a casa di Felipe lo stilista in compagnia di Lillian. Sia Alex che Kara notarono quanto Lena fosse molto più chiusa e per le sue rispetto a quando erano con Eliza e pensarono subito che quelle due dovevano aver litigato: sapevano che la ragazza aveva passato il suo tempo a Metropolis e avevano creduto che fosse per la separazione tra lei e Kara, ma ora la situazione sembrava suggerire che ci fosse dell'altro. Se Eliza aveva impiegato molto poco per trovare l'abito giusto, Lillian pareva invece essere intenzionata a trattenersi tutto il giorno, indossandone uno dopo l'altro e facendo correre Felipe per le stanze in preda al panico. Sia Kara che Lena avrebbero dovuto studiare, e anche Alex finse di doverlo fare, ma non potevano assolutamente spostarsi e avevano l'obbligo morale di commentare ogni vestito bianco con cui la donna si presentava. Dopo ore di insoddisfazioni e fastidiosi retromarcia da parte di Lillian, finalmente scelse il vestito che, secondo lei, era quello perfetto per dare un nuovo inizio alla sua vita: aveva la gonna stretta fin sulle ginocchia, che seguiva una spirale di brillanti; mezze maniche semitrasparenti e, lungo tutto l'abito, fiori ricamati su uno strato di tulle. Fortunatamente, come per Eliza, era stato Felipe a scegliere le scarpe per lei o rischiavano di non tornare a casa in tempo per il matrimonio.
Anche quella notte, Lena, che era sveglia, aveva sentito Kara andare in camera della sorella. Le mancava e ora che erano sotto lo stesso tetto più che mai; si pentiva così tanto, e si vergognava, perché si erano lasciate. Scese in soggiorno in camicia da notte e, seduta sul divano con il laptop sulle gambe, continuò la sua ricerca per trovare l'identità del profilo misterioso. Non aveva più parlato con lui, o lei, ma sapeva di esserci vicina. Abbassò lo schermo quando udì dei passi scendere le scale. Oh. Tutte ma non lei.
«Sapevo che dovevi essere tu». Lillian le sorrise e andò in cucina, tornando con in mano due bicchieri vuoti e una bottiglia di vino rosso, che appoggiò sul tavolino davanti. Riempì i due bicchieri e si sedette sul divano non troppo distante dalla figlia, vedendola trattenere a stento una smorfia di disapprovazione. «Andiamo, Lena. Bevi con me: all'inizio di una nuova vita».
«La tua nuova vita», ribatté svelta.
«La nostra», la corresse. «Non fingiamo che non ti piaccia avere Eliza come madre. Forse lei, più di me, riesce a comprenderti». Sorrise di nuovo, soddisfatta, quando vide la figlia mettere da parte il portatile e prendere il bicchiere, bevendo un sorso. «So che vi siete lasciate», le disse a un certo punto e Lena trattenne il fiato, «E che dev'essere stato molto difficile per te. Ma hai fatto la cosa giusta, Lena. E in fondo lo sai».
«No», scosse la testa, rimettendo sul tavolino il bicchiere vuoto solo per metà. «Ho fatto ciò che tu volevi». La vide che riapriva la bocca e così l'anticipò: «E ho sbagliato. Me ne pento in ogni istante. Aver avuto dubbi, aver lasciato che si allontanasse…».
«Oh, Lena, per favore», scrollò le spalle. «Vi volete bene ed è ciò che conta: state ricominciando daccapo e funzionerà, questa volta. Per quel che vale, sono fiera di te».
A quel punto ne aveva abbastanza: si alzò, riprendendo il laptop sottobraccio e decidendo di tornare in camera sua, voltandosi un'ultima volta: «Che sia chiaro: sono qui per Eliza, per Kara e Alex. Non per te. Io e te abbiamo chiuso».
Lillian la lasciò andare, servendosi dell'altro vino. Lena era arrabbiata, ma era certa che l'avrebbe perdonata, un giorno.

La seconda tappa di marzo, prima del matrimonio, era l'intervista con tanto di servizio fotografico che tutta la famiglia aveva promesso alla CatCo. Se Lillian e anche Lena erano abituate ad aver a che fare con giornalisti e fotografi, e seppure Kara lavorasse ormai nell'ambiente, era dall'inizio del mese che dovevano stare attente a come muoversi per paura di essere fermate da persone curiose, giornalisti ficcanaso e paparazzi che sarebbero entrati in casa con loro pur di fotografarle. Ancora non sapevano com'era stato possibile che la data del matrimonio fosse rimbalzata online e Kara si era ritrovata faccia a faccia con un fotografo che voleva vendere foto sue e di Alex alla CatCo: naturalmente, dopo aver visto che era lei la bionda delle foto, lui era sbiancato e aveva ridacchiato dicendo di aver sbagliato indirizzo. Eliza si era ritrovata assediata dai giornalisti nel reparto ortofrutta di un supermercato e Marielle, che era con lei, aveva finto di svenire per farla scappare. Invece, Alex si era ritrovata per la prima volta la boutique piena quando fu il suo turno, ma si rifiutò di parlare di qualcosa di diverso dagli sconti. Cat Grant era stata categorica: Keira lavorava per lei e, di conseguenza, ciò che le riguardava era suo di diritto prima che di chiunque altro. Doveva avere l'esclusiva. Così la famiglia si era ritrovata alla CatCo insieme e, orgogliosa, Kara aveva fatto fare il giro su dove lavorava a Eliza, prima che la donna fosse fatta scortare insieme a Lillian in una camera a parte per l'intervista. Successivamente e a turno, anche lei, Alex, Lena e Lex furono obbligati ad andare in un'altra camera per rispondere a qualche domanda.
«Segui un tirocinio qui alla CatCo; come ti senti ora a dover rispondere a un'intervista e a dover comparire sulle pagine dello stesso giornale per cui lavori?», le chiese una ragazza, foglio con le domande in mano e, in mezzo a loro, il registratore acceso sul banco.
Kara fece una smorfia imbarazzata con le labbra e poi rise. Era un po' rossa sulle gote. «È… sinceramente molto strano. Mia madre si risposa, tutto qui. È una cosa che fa molta gente ogni giorno».
Lex sorrise, mettendosi comodo sulla sedia con una gamba incrociata sull'altra.
«Pensi che il nuovo matrimonio di tua madre possa in qualche modo influenzare la popolarità della Luthor Corp?».
Lui abbassò un poco lo sguardo, mantenendo saldo il suo sorriso. «Penso che l'idea di famiglia faccia bene all'immagine dell'azienda. Il fatto che si amino, inoltre, fa bene a noi come famiglia».
Alex, invece, era sembrata un po' tesa: quella stanza, anche se con vasetti di fiori e quadri di visi famosi appesi sulle pareti giallognole, con quel banco in mezzo e il registratore che la aspettava, le sembrava di essere a un interrogatorio.
«Quando tua madre ti ha svelato l'identità della persona che frequentava, come l'hai presa?».
«Oh, beh… Bene», sorrise, mentendo spudoratamente come sapeva ben fare. «Non me lo aspettavo, insomma, sarebbe stato difficile da immaginare, è anche il suo capo, ma è stata una gradita sorpresa e sono felice che Lillian farà parte della mia famiglia».
«Lena», l'intervistatrice la chiamò, dopo averla salutata e fatta accomodare davanti a lei, «Tua madre ha deciso di lasciare a te le redini della Luthor Corp qui a National City, tuo padre è venuto a mancare da poco più di un anno e lei si risposa, avrai delle nuove sorelle, è tutto un gran cambiamento in poco tempo, come stai gestendo la situazione?».
Lei scosse brevemente la testa, sforzando un sorriso che apparisse il più sincero possibile. «Prima di tutto, sono felice che mia madre si risposi. Abbiamo avuto del tempo per conoscerci, per diventare una famiglia unita e ora verrà solo ufficializzato con una cerimonia, nulla che richieda chissà quale gestione da parte mia. E per quanto riguarda la Luthor Corp», prese una pausa, «sono stata cresciuta per questo».
Quando uscì dalla stanza per le domande, trovò Leslie appoggiata contro il muro davanti con un bicchierino di caffè in mano: appena la vide, le fischiò. Distanti, Kara parlava con Siobhan, ma non sembrava una discussione amichevole. Seguendo l'ascensore, erano stati portati tutti e quattro verso un'altra sala qualche piano più giù, trovando le loro madri. Laggiù si sarebbero cambiati con i vestiti scelti dalla troupe e si sarebbero lasciati truccare, pronti per il servizio fotografico. E per quelle foto, tutto potevano aspettarsi meno che James Olsen, felice di rivedere Kara.
«Perché non mi hai scritto che saresti stato tu a farci le foto?». Aveva altro per la testa ma si costrinse di sorridere al ragazzo e, con la coda dell'occhio, la sua attenzione si rivolse a Lena, capelli lisci e sciolti che le ricadevano sulle spalle, trucco leggero che le risaltava il colore degli occhi, che indossava un abito a pantalone sul grigio, impeccabilmente elegante.
«Volevo farti una sorpresa». Ricambiò al sorriso ma non durò a lungo, vedendo la sua espressione pensierosa. «Tutto bene, Kara?».
«Sì», si destò e dopo s'incantò, nel vedere che Lena si era fermata davanti a lei e le sorrideva. Deglutì. «Sì. È-È stata una bella sorpresa».
Neanche il tempo di ammirare Kara, pensò Lena, che sua madre chiacchierava animatamente con Lex, sebbene a bassa voce per non dare nell'occhio: sentiva la sua voce nelle orecchie.
«Te l'ho detto, non era mia intenzione festeggiare. Perché devi farne un dramma?».
Lillian corrucciò le fini labbra secche con rabbia. «Era il tuo compleanno e non hai nemmeno risposto alle mie telefonate. Come dovrei prenderla, Lex?».
Per fortuna, James Olsen interruppe il brusio, iniziando a dettare ordini agli assistenti per sistemare il set.
Qualche piano più su, Siobhan Smythe lasciò velocemente la sua postazione quando ricevette un messaggio sul suo cellulare. Prese l'ascensore che la portò al pian terreno e da lì la seconda uscita, scendendo una scala e aprendo la porta che apriva ai parcheggi. Facendo rimbombare i tacchi delle sue scarpe, in tutto quel silenzio, si fermò in mezzo a un parcheggio libero e si guardò intorno, aspettando l'arrivo di qualcuno. La donna, sguardo incattivito, non si fece attendere a lungo. «Oh, eccola qui», sbuffò Siobhan, «Che cosa vuole, stavolta?».
Rhea Gand si accostò, palesemente infastidita dal tono della sua voce. «Novità. Ecco cosa voglio. So che la giovane El è lassù con tutta la nuova famiglia per avere un posticino nel vostro ridicolo giornale. Puoi dirmi qualcosa a riguardo?».
Lei roteò gli occhi. «Cosa crede che faccia qui dentro? Che scaldi la mia sedia? Lavoro, signora mia. Non sto appresso a Kara Danvers e la sua famigliola, mi spiace deluderla. Anche perché non lavoro in quel settore e, non so se ha presente, ce ne sono diversi».
La donna parve non gradire la sua supponenza e, all'improvviso, la spinse contro un pilastro, fissandola truce. «Non osare parlarmi in questo modo, ragazzina».
Siobhan riuscì a mettersi di lato tra la donna e il pilastro, fingendo di non essersi fatta male sbattendo per non darle soddisfazione. «Senta», riprese fiato digrignando i denti, distendendo la schiena e acquistando coraggio. «Ho fatto come mi ha detto lei: mi sono avvicinata, ho finto di volerle essere amica e non immagina la fatica, e sono felice che la mia informazione sulla data del matrimonio le sia servita per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica da suo marito e lei, ma adesso ho chiuso. Voglio che mi lasci in pace perché non rischierò il mio lavoro per questo», gesticolò puntando un dito indice e tornò indietro di due passi, con la paura che potesse sbatterla ancora, presa dalla rabbia. «So che come sua supervisore la mia posizione le faceva comodo, ma sono certa troverà qualcun altro capace di entrare così in contatto con lei, mi creda, non è difficile», scrollò le spalle, sorridendole con le labbra strette. «E adesso, se non le dispiace, torno al mio lavoro». Stava per voltarsi e prendere un bel respiro che sentì un rumore, la scorse con la coda dell'occhio frugare all'interno della sua borsetta e si gelò. «Co… Sta scherzando?».
Rhea Gand le puntò contro una pistola e Siobhan si immobilizzò, sentendo le gambe farsi pesanti. La donna aveva lo guardo adirato, gli occhi puntati fissi su di lei, fini. «Hai perso la voce, stronzetta? Ti eri dimenticata che non stavi parlando con una collega di quel giornale da quattro soldi?».
Siobhan prese fiato, deglutendo. «Metta giù quella pistola», parlò con la voce strozzata mentre tremava, faticando a non gridare. «La-La prego… Cosa vuole fare? Costringermi a fare la spia per lei? Uccidermi…», deglutì, spalancando gli occhi, «Uccidermi nel parcheggio? Non sa quanta… quanta gente lavori in questo posto», terminò con voce sottile, «si riempirà di spettatori. Metta giù quella pistola e…», sforzò un sorriso dettato dalla paura, «Faremo finta… che non sia mai successo. Va bene?».
La donna aprì la bocca pian piano, tenendola ancora sotto tiro. «Ti senti forte… Nascondi le tue insicurezze facendo sentire gli altri dei falliti, ma ora più che mai capisci che non vali niente. E di certo non mi servi più». La vide muoversi solo per prendere fiato, continuando a tremare. «Girati. Vai via».
«Cosa…?».
«Vai via. Adesso».
Siobhan non riuscì a voltarsi e fece un passo lento dopo l'altro, all'indietro, sperando di arrivare più vicino alla porta possibile. Solo quando sentì di essere accanto al muro si voltò e iniziò a correre, aprendo e sbattendo la porta dietro di lei, appoggiandosi contro con il fiatone, chiudendo gli occhi.
Rhea abbassò l'arma lentamente, anche lei prendendo fiato a pieni polmoni, con le labbra ancora strette dalla rabbia.

Lillian ed Eliza avevano organizzato una festicciola con parenti e intimi in un locale per l'addio al secondo nubilato. Immaginarono tutti che doveva esserci stato un grosso zampino di Eliza nella preparazione, poiché non si trattò di un locale lussuoso né di una cena elegante, ma del salone privato di un club con forti rimandi al country. Non per niente, i parenti dalla parte dei Luthor non sembravano granché divertirsi e avevano toccato appena del cibo, al buffet. Tuttavia, a Lillian non sembrò importare e parlava con loro solo quando si trovava costretta. Avevano conosciuto zia Lorna e marito, che vivevano anche loro a National City ma che non si rivedevano con Lillian dal funerale di Lionel. Qualche cugino di secondo grado di Lionel con relativa famiglia che era arrivata quella sera da Central City, dove vivevano. Come lo zio Leo, che non aveva fatto altro che dormire in un angolo per tutta la serata, svegliandosi come d'incanto solo per il dolce. Infine, la tenera zia Lara, quasi novantenne, sorella maggiore di nonno Luthor, padre di Lionel: l'unica Luthor che, effettivamente, riusciva a sorridere e divertirsi. Quando fu partita la musica, zia Lorna la riportò sulla sedia prima che, a detta sua, si mettesse in imbarazzo ballando in mezzo al salone.
Sia Alex che Kara non si lasciarono sfuggire come tutti i parenti che aveva chiamato Lillian erano in realtà parenti di Lionel. Quando lo fecero presente a Eliza, lei fece loro una smorfia per zittirle.
«I parenti di Lionel sono gli unici che ha. Ha tagliato i rapporti», bisbigliò mentre impilava in un piattino dei sandwich. «È per questo che mantiene il cognome», fece sapere, per poi voltarsi verso di loro e sorridere, «Mentre io mantengo Danvers per le mie ragazze». Sorrisero a loro volta e dopo riguardarono verso il centro della sala, scorgendo zia Lara lamentandosi e picchiettare zia Lorna sulle mani per lasciarla andare.
Dal lato di Eliza, invece, si presentarono molti più parenti e amici, anche di lavoro. Zie e zii, i genitori di Eliza arrivati da una frazione di Metropolis, cugini con prole a carico. Bambini, tanti bambini rumorosi che correvano da una parte all'altra con pizzette oleose tra le mani. Ma nulla che potesse svegliare zio Leo.
Lillian ed Eliza parlavano con i genitori di quest'ultima. Alex si intratteneva con suoi zii che non vedeva da tempo. Lex era uscito fuori dal locale per prendere aria. E Lena, sola seppur il salone fosse pieno, si era seduta su una sedia vuota accanto ad altre sedie vuote, mangiando una pizzetta: ne tagliava un pezzo con le mani e lo metteva in bocca, imbambolata nell'osservare Kara ridere e rincorrere alcuni bambini. Sembrava proprio nel suo ambiente naturale. Poco dopo scorse l'andatura lenta di zia Lara andare verso la ragazza e, così, tirarle una manica in modo da prendere la sua attenzione. Kara la riaccompagnò a sedere e Lena la vide versarle da bere.
«Grazie, cara. Come ti chiami?».
«Kara, zia Lara».
La donna restò a fissarla qualche istante e sembrava perplessa. Lena si avvicinò tanto da ascoltare la conversazione. «Io sono Lara», si toccò il petto e Kara sorrise, sperando di non offenderla.
«E io mi chiamo Kara».
«Ti chiami Lara anche tu?».
«Kara».
«Lara anche tu».
Lena trattenne una risata e le si accostò alle spalle. «Zia Lara, posso rubartela un momento?».
La vecchina le fece un segno con la mano di avvicinarsi e poi bisbigliò: «Lo sapevi che si chiama Lara anche lei? Io non la conoscevo».
Si incamminarono un po' e poi Kara si fermò, prima che potessero allontanarsi troppo dal centro della sala. Non fu difficile per Lena intuire il perché. «Prima la signora Grant mi chiama Keira, ora tua zia mi chiama Lara. Cos'ha di sbagliato il mio nome?», brontolò a bassa voce, senza guardarla negli occhi.
«Come stai?».
Kara alzò lo sguardo, colta impreparata. «Be… Bene. Mi concentro su tante, tante cose, sì», annuendo si portò le mani contro i fianchi, riabbassando gli occhi. «Po-Possiamo parlare in un altro momento? Volevo mangiare ancora qualcosa prima che finisca tutto», indicò dietro di lei, «I parenti dalla parte di Eliza sono dei gran mangioni».
Kara si distanziò prima che aprisse bocca per risponderle e Alex le tenne d'occhio. C'era dell'imbarazzo, era evidente. Forse, pensò Lena, a Kara faceva male starle vicino. Le aveva spezzato il cuore, dopotutto: ciò che aveva detto Lillian si era infine avverato.
La festicciola si protrasse più a lungo del previsto, era già notte e molti cominciarono a prepararsi per andarsene, con la promessa di rivedersi puntuali al matrimonio. Anche Lex se ne andò: deciso a tornare in albergo e poi a Metropolis. Intanto, con l'aiuto di alcuni parenti di Eliza rimasti, sistemarono ciò che non era stato mangiato e ripulirono per cortesia verso il locale. Con la coda dell'occhio, Kara vide Lena tremare per il freddo ed era sicura che non si fosse portata una giacchetta, così si tolse la sua e gliela poggiò sulle spalle, sorprendendola. Eliza le vide e sorrise, mentre Alex sospirò.
«Potresti avere freddo tu, in questo modo», le fece notare Lena.
Kara scosse la testa e inarcò le spalle. «No. In effetti sto meglio così», le sorrise e si allontanò.
Lena capì che non tutto era perduto. Che sarebbe stato difficile e diverso, ma che c'era ancora speranza per loro.

Pensavano di aver chiuso con la festicciola fino al matrimonio, invece Alex, con accanto Lena e Kara, una volta a casa mostrò alle due donne dei biglietti per Star City.
«È il nostro regalo di nozze», spiegò. «È stata un'idea un po' improvvisa, ma speriamo la gradiate: questo weekend andremo in uno stabile di lusso a Star City per festeggiare l'addio al secondo nubilato».
Fortunatamente Eliza era seduta in quel momento o le gambe non le avrebbero ceduto dalla gioia. Abbracciò Lillian e poi le figlie, intanto che anche la prima ringraziava per il regalo, felicemente sorpresa.
E così, con solo una borsa a testa con l'essenziale, partirono verso Star City di venerdì pomeriggio. Si lasciarono catturare dalla vista degli alti palazzi che tagliavano il tramonto, arrivando in hotel appena in tempo per la cena. Eliza e Lillian avevano una camera a parte, due piani più su di quella delle loro figlie.
«Non voglio sentir storie: verso le otto busserò alla vostra porta per trascinarvi fuori a fare le turiste», assicurò Eliza, prima di entrare nella loro camera con Lillian a fianco.
Però Alex ridacchiò, mettendo le braccia a conserte e mostrando una smorfia soddisfatta. «Vedo che qualcuna non ha ancora dato un'occhiata la programma da seguire: era con i biglietti. Mi duole deluderti, Eliza, ma non starete con noi, è la vostra festa».
«Divertitevi», disse sorridendo anche Lena.
Eliza rimase perplessa, poiché solitamente era lei a creare i programmi. Lei e Lillian entrarono dentro e le ragazze ripresero l'ascensore.
«Si stanno riavvicinando», esclamò Eliza con un sospiro, intanto che, sopra il letto, toglievano dalle borse ciò che serviva.
«Di chi parli?».
«Kara e Lena. Non hai notato i loro comportamenti?». Osservando il suo disorientamento, Eliza rise. «Forse sei più ingenua di quel che fai credere».
Nel frattempo, le ragazze avevano appena trovato la loro camera: due stanzette da letto, un bagno, un minibar, un televisore e un divano nel soggiorno in comune. Per evitare imbarazzi, Alex sistemò direttamente la sua borsa sopra il letto matrimoniale, restando d'accordo che lì sopra ci avrebbero dormito Kara e lei e Lena nel singolo nell'altra stanzetta.
«Noi non abbiamo un programma da rispettare». Alex iniziò a svuotare la sua borsa. «Hai già qualcosa in mente da fare?». Alzò lo sguardo che Kara era davanti alla porta della stanzetta con il suo perso nel vuoto. «Kara? Avevi detto che saresti riuscita a divertirti».
«Cosa?», si voltò, spalancando gli occhi. «Ah, certo. E-Ero solo un attimo soprappensiero: pensavo al lacrosse».
«Il lacrosse è nella stanza accanto?».
Kara corrucciò le labbra e gonfiò le guance, gettandosi sul letto e poggiando i gomiti sul materasso, così la testa sulle mani. «E va bene: pensavo a lei», ammise a bassa voce. «Solo un pochino».
«Pensi di provare a riavvicinarti?».
«No…», si lasciò andare, sbattendo la faccia e poi si girò schiena contro il materasso. «Ha una cosa da risolvere, non posso…», si bloccò, scrollando le spalle, «Dai, no-non posso fare io questo passo, lo sa».
«Va bene», concluse Alex, richiudendo la borsa e poggiando le mani sul materasso, per poi gattonare fino ad arrivarle vicino. «Fammi una promessa, sorellina: in questo weekend niente Gand, microspie, lavoro, lacrosse e relazioni. Dobbiamo solo… rilassarci», annuì da sola, con convinzione.
Kara rise e poi accettò, promettendo.
Aveva fatto la promessa era intenzionata a rispettarla, ma già dall'indomani mattina si accorse che non era per niente facile: Lena uscì in vestaglia trasparente dalla sua stanza per correre in bagno e lei aveva appena aperto la porta. Aveva visto il suo fondoschiena tenuto su da fini mutandine di pizzo sventolato davanti al proprio naso. Oh, perché a lei?
«Cosa guardi?».
«Cosa? Che c'è? Niente!», richiuse la porta dietro di lei e per poco Alex non le sbatté contro.
Intanto che Lillian ed Eliza rispettavano il programma che le vedeva in sauna, le ragazze si vestirono e uscirono per fare un giro nell'immenso hotel. Lex le aveva proprio suggerite bene: c'era una sala dei videogiochi, una con i giochi dell'infanzia con gonfiabili e grandi piscine di bolle colorate, una con il cinema, una biblioteca, una sala del tè e, passando dall'esterno verso lo stabile accanto, videro le piscine, ora chiuse per il freddo; laggiù c'era la sauna, i massaggiatori, la sala dello yoga, e chissà quante altre cose. Si accorsero che ci avrebbero messo l'intera giornata per visitarle tutte e si fermarono solo per mangiare. Andarono in biblioteca a leggere, andarono in quella dei videogiochi e Alex e Kara continuarono a sfidarsi mentre Lena faceva loro da giudice, presero il tè di pomeriggio e si guardarono un film al cinema prima dell'orario di cena. Per tutto il giorno, Alex Danvers non aveva fatto altro che notare quanto gli sguardi delle due si ricercassero in ogni istante, tanto che, alla visione del film, si era già seccata di fare il terzo incomodo. Decise che il giorno successivo la musica sarebbe cambiata.
«Dove andiamo oggi?», le chiese Kara per la quinta volta da quando sua sorella si era alzata in piedi, quella mattina. «Possiamo andare dai giochi per l'infanzia? Lo so che sono un po' grande, ma ho sempre desiderato infilarmi nella vasca con le bolle, ti prego».
Si sedettero a fare colazione nel salottino e Lena le raggiunse.
«Va bene», acconsentì Alex, trattenendo un sorriso.
E così, a metà mattina, raggiunsero la sala con i giochi dell'infanzia e i gonfiabili. Era già piena di bambini ma Kara non si lasciò intimidire, iniziando ad arrampicarsi nei percorsi con tubi e ponti di legno. Come al solito, Alex vide Lena incantarsi e sospirare, così tirò fuori il cellulare.
«Accidenti, Maggie mi sta chiamando», attirò l'attenzione di Lena. «Devo rispondere, ci vediamo più tardi».
La ragazza non fece in tempo a bloccarla che Alex scappò via dalla sala, gridando se era successo qualcosa a Jamie. Solo dopo venti minuti di gioco, fermandosi con la testa bloccata tra due tubi di un ponte pericolante, Kara si rese conto che Alex se l'era svignata. Con l'aiuto di Lena e del personale dell'hotel, riuscì a togliere la testa e se ne andò dalla sala ascoltando le risate dei bambini.
«Erano davvero strette…», brontolò, «Troppo strette. Ho visto bambini della mia stazza giocare lì dentro; sono pericolose per me come per loro. E io ho la testa piccola, insomma».
Lena sorrise. «Almeno sei riuscita a tuffarti nella piscina delle bolle colorate».
Kara le sorrise di rimando. «Mi hai visto? Dovevi entrare anche tu, ti sarebbe piaciuto». Si pentì di averlo detto: era un riavvicinamento? Ah, le cose andavano male. Proprio male.
Aprirono la porta della loro camera e notarono che Alex non era lì, chiedendosi dove sarebbe stata a divertirsi senza di loro.

Indigo girò in tondo da una parte all'altra della stanza del motel. Cellulare su una mano, in silenzioso, compariva sullo schermo l'arrivo di una chiamata da un numero privato. Si erano sempre sentiti per messaggio, perché ora le telefonava? Non poteva essere niente di buono se si disturbava a farlo. Era però sicura che non avrebbe potuto ignorare quella chiamata per sempre. Sospirò, cliccando sulla cornetta verde e poggiando l'apparecchio all'orecchia destra. «Cosa vuoi?».
La voce meccanica e disturbata rise, ma non per molto. «Come stai? Io sto bene, grazie per averlo chiesto», le fece il verso e la voce contraffatta proseguì: «Ti sei presa troppe libertà, ultimamente, Indigo. Ho fatto da garante per farti uscire di prigione e mi ripaghi così».
«Libertà?», si portò una mano tra i capelli, spostando la treccia bionda dall'altro lato. «Ti riferisci a Lena Luthor? Andiamo, lo sai anche tu che ho dovuto farlo: è solo grazie a me se ora per qualunque cosa le interessi dovrà cercare noi», digrignò i denti.
«Ti avevo chiesto di non farlo».
«Stavi sbagliando! Hai intenzione di prendertela con me perché ho fatto sparire qualche dato e le ho detto che sappiamo chi è? Non mi sembra di aver esagerato», sforzò un sorriso.
La voce non sembrò dello stesso parere. «Ora può risalire a te, Indigo. Le hai fornito delle informazioni».
Restò senza fiato e si voltò con uno spavento quando bussarono dalla porta accanto, così si resse il petto. «Non posso», gridò, «Un momento».
«Sei stata sconsiderata. Alla luce di questi nuovi sviluppi, temo di non potermi più fidare di te». La ragazza non ebbe neanche il tempo di pensare a cosa fare che bussarono ancora. «Apri, Indigo», le disse all'orecchio.
Lei deglutì e corse verso la finestra più vicina, aprendo un poco la tendina, ma non si vedeva nessuno. «Chi è alla porta?».
«Un amico venuto a prenderti», rispose e cadde la chiamata.
Indigo si affacciò ancora ma da quell'angolazione non riusciva a scorgere nessuno. Bussarono di nuovo, più forte, così camminò scalza fino alla porta e guardò attraverso l'occhiello dello spioncino: fece appena in tempo a vedere un uomo dalla grossa postura che questo buttò giù la porta e la rincorse. Indigo gli piazzò un calcio sulla faccia quando cadde sulla moquette del pavimento, ma era scalza e non produsse gli effetti sperati: l'uomo le afferrò il piede e dopo l'altro, trascinandola verso di lui. Poi le coprì la bocca con un panno e Indigo smise di lottare, cadendo in un sonno profondo.

«Indigo Brainer», disse Lena, volgendo lo schermo del pc portatile verso Kara e mostrandole la foto e il profilo della ragazza. «Era in carcere per aver hackerato il sito del governo e averci pasticciato un po'. L'hanno catturata dopo anni che la cercavano, riuscendo a imputarle altri reati minori di hackeraggio. Arrivava davvero ovunque. Non ha finito di scontare la sua pena che è stata fatta uscire di prigione solo pochi mesi fa per buona condotta: qualcuno ha garantito per lei, non dicono chi. È lei la nostra X», la guardò negli occhi. «Deve essere lei».
Kara sospirò, distendendo la schiena contro il divanetto. «Avrebbe senso», annuì, «Ma cosa vuole da noi? O… cosa vuole da noi il suo garante?».
«Questa sarà la domanda a cui cercherò di dare una risposta da oggi in avanti», rigirò il laptop verso di lei, guardando Indigo in faccia. «Non conosciamo questa ragazza e dubito, anche se può essere arrivata a sapere dell'omicidio di mio padre in rete, che voglia semplicemente fare la buona samaritana. Quindi dobbiamo trovarla». Le rivolse un'occhiata e Kara annuì. «Non sarà facile, l'FBI le è stata dietro per anni, ma non ci resta che provare».
Dal momento che la promessa con Alex era stata già infranta, Kara decise di essere sincera con lei su un altro aspetto del loro piano. «Rhea Gand ha diffuso la data del matrimonio».
«Cosa?».
Kara prese un bel respiro. «Voleva distogliere l'attenzione dei giornali dal senatore, ma non è questo il punto», scosse la testa, «Siobhan faceva la spia per lei». Kara pensava che si sarebbe stupita, ma in realtà non si mosse come se, in fondo, se lo aspettasse da parte sua, attendendo dell'altro. «Me lo ha confessato quando siamo andati alla CatCo per l'articolo! L'ho già detto ad Alex. In pratica l'aveva mina-».
«Aspetta un momento», la bloccò e questa volta spalancò gli occhi per davvero. «Siobhan Smythe sa della nostra…», non riuscì a concludere la frase.
«Sì», annuì, «Non gliel'ha detto. In realtà non capisco perché l'abbia fatto, forse non lo riteneva importante, ma mi ha assicurato di non averlo detto, che in fondo non le ha detto nulla se non come mi comportavo alla CatCo e, conoscendo Siobhan, voglio dire, per come si lamenta per tutto, l'avrà torturata, ma… Lena». Si assicurò di avere la sua completa attenzione. «La signora Gand le ha puntato contro una pistola».
Lena si portò una mano alla bocca. «È arrivata a tanto?».
«Non le ha fatto del male».
«Non l'avevo chiesto».
«Però mi è parsa davvero spaventata quando me lo ha detto. E-Ero arrabbiata prima, però la sua faccia… è stata sincera e ha chiuso con la signora Gand».
«Possiamo fidarci di Siobhan? L'hai perdonata?», le chiese a bassa voce, ricercando di nuovo i suoi occhi.
Kara annuì. «Sì. Probabilmente. Co-Comunque dice che la signora Gand è fuori di testa, che è stressata ed è una mina vagante».
Lena deglutì, abbassando gli occhi. «Ed è te che prende di mira».
La guardò con apprensione e Kara spostò lo sguardo, arrossendo. «Non sono preoccupata».
«Non sei… Kara, quella donna ha una pistola».
«Sono capace di disarmare qualcuno».
«Ma non sei a prova di proiettile», rimarcò, dura. Si guardarono per un po', ferme, finché Lena non abbassò lo sguardo e sospirò. «Kara… mi fido di te, so che sei forte e in gamba, ma non riesco a non preoccuparmi», la riguardò negli occhi, per poi scuotere violentemente la testa e parlare di fretta: «Forse ho perso il mio diritto a preoccuparmi per te, ma-».
«N-Non l'hai perso». Kara deglutì. Le uscì di getto, non riuscì a trattenerlo, ma fu felice di averlo fatto poiché le guance di Lena si imporporarono. Le mancava. Accidenti, quanto le mancava.
Si fissarono per un po', perse l'una nell'altra, che Lena congiunse le mani e prese fiato. «Kara, devo… devo dirti una cosa…».
Poteva davvero farlo ora? La fissò e Kara attese. Si sentivano finalmente vicine come non succedeva da un po'. Tanto prese dal loro imbarazzo e dai sorrisi spontanei da non sentire subito i passi dietro di loro.
«Alex!», gridò Kara, improvvisamente in preda al panico, allontanandosi da Lena strisciando le natiche, pian piano. «Noi non stavamo- Certo che non stavamo! Vo-Voglio dire, non stavamo facendo niente… di che! Parlavamo di- Da… Da quanto tempo sei qui?».
«Abbastanza, belle statuine. Ho aperto la porta, ma vi sentivo parlare e non vi ho disturbato», le fece l'occhiolino. «Ora però dobbiamo prepararci: il tempo di Eliza e Lillian è finito e dobbiamo andare a cena con loro».
Lena perse il suo sorriso e si morse un labbro, capendo di aver perso l'occasione giusta.
Andarono a mangiare nel ristorante dello stabile, intorno a un tavolo da sei persone e a quelli di altre famiglie. C'era un bambino che piangeva, a qualche tavolo da loro, ma a pensarci bene era forse l'unica cosa entusiasmante che potevano seguire le ragazze mentre le loro madri non facevano che parlare di come avevano passato il loro tempo lì a Star City.
«Adesso la madre lo prende in braccio», bisbigliò Kara.
«I massaggiatori erano davvero bravi, non mi sentivo così bene da… mai», ridacchiò Eliza, ingigantendo gli occhi.
«No, lo prende il padre e lo porta fuori. Guarda: è esausto», fece notare Alex.
«Abbiamo visto dei film al cinema in orari in cui non c'era nessuno», prese parola Lillian, guardando e sorridendo Eliza al suo fianco, «È stato rilassante».
Ebbe ragione Alex: il padre si alzò, prese in braccio il piccolo e lo portò fuori dalla sala, infastidendo le due sorelle. «Ehi», Lena picchiettò un gomito di Alex e poi mosse la testa in direzione di un altro tavolo, «Bambini che giocano intorno alle sedie in passaggio di personale». Loro tirarono un sospiro di sollievo, cambiando obiettivo.
Dopo mangiato, la direzione consigliò agli ospiti di cambiare sala e prendere l'aperitivo davanti al palco, in vista dello spettacolo. Alex insisté per andare ad assistere e si sedettero intorno a un tavolino, intanto che gli artisti dalla risata facile si esibivano. Non tutti facevano ridere davvero e altri parevano sforzarsi più del dovuto per strappare un sorriso ai loro spettatori, così lasciarono presto il microfono e l'attenzione ai clienti che volevano esibirsi: tra chi cantava, chi ballava e faceva sketch umoristici, si divertirono molto di più. Assisterono alla dichiarazione d'amore di un uomo verso il suo compagno seduto a un tavolino non distante e tutti applaudirono quando, alla proposta di matrimonio, lui rispose . Kara intravide con la coda dell'occhio Eliza sorridere a Lillian e non riuscì a non sorridere anche lei: forse tra lei e Lena non era destino e non sarebbe mai riuscita a minare la felicità di Eliza per questo. Forse, che si fossero separate ora, prima del matrimonio, era stato un bene. Forse-
«E ora diamo il benvenuto a Kara Danvers», disse un uomo dal palco al microfono e lei impallidì, voltandosi di scatto. «È qui da noi perché sua madre si risposa e hanno deciso di festeggiare». Eliza, Lillian e Lena la guardarono, capendo che le aveva messe tutte eccessivamente in mostra, ma lei non aveva fatto niente. «Ora la sentiremo in una canzone d'amore scelta appositamente per sua madre e la sua futura sposa. Un bell'applauso».
«Cos-», spalancò gli occhi quando la luce a cono la investì e gli sguardi della sala si rivolsero tutti a lei. Diventò rossa, intanto che Alex la spingeva per un gomito.
«Dai, forza», le bisbigliò, «Non vedi che ci guardano tutti. Vai».
Il viso di Eliza invece si sciolse. «Oh, Kara… Avevi preparato questo per noi?».
«È un bellissimo pensiero, Kara», disse anche Lillian.
Kara deglutì, ancora occhi spalancati e guance rosse, alzandosi mentre la sala iniziava ad applaudire. Salì sul palco con camminata lenta e Alex rise, scrivendo a Maggie.
Grazie per la dritta, Mags. Kara è sul palco!
Le inviò un cuoricino e la risposta di Maggie non si fece aspettare:
Mandami un audio!
Lena si abbassò verso di lei, continuando a fissare Kara e l'impaccio con cui prendeva il microfono. «Kara sa cantare?».
«Oh, sentirai».
Si portò al centro del palco e, dopo aver parlato con il presentatore per sapere con quale canzone doveva esibirsi, ricercò tra il pubblico la sua famiglia. A Eliza e Lillian che si tenevano vicine e sorridevano. A Lena che la guardava come se al mondo non ci fosse nient'altro. A quella disgraziata di sua sorella che le aveva giocato un brutto tiro mancino: sghignazzava con soddisfazione, ma gliel'avrebbe fatta pagare. Aveva cantato spesso e l'ultima volta lo aveva fatto alla festa di compleanno della figlia di una cugina di Eliza: tutte le bambine erano rimaste soddisfatte della sua performance alla Lady Gaga. Le avevano sempre detto che era brava, o più di brava in effetti, ma accidenti, davanti a un pubblico del genere e senza essersi preparata… Deglutì e aprì la bocca tremante. Di nuovo gli sguardi di Eliza e Li- Alex le mostrò il pollice. Gliel'avrebbe fatta pagare: inutile che cercasse di appoggiarla con quel pollice dopo averla spedita a cantare su un palco senza preparazione. Lo sguardo di Lena… Oh, lei… Kara sorrise e, dopo un inizio lento e timido, tirò fuori la voce e la sala applaudì. Qualcuno scattò foto e sperò non fossero per i giornali. Socchiuse gli occhi, abbassò la voce e di nuovo gridò, stringendo il microfono e dando sfogo a ciò che sentiva, a ciò che aveva dentro; tirò fuori con quelle note tutto ciò che non poteva dire a parole. La sala era ammutolita, tutti guardavano lei. Ma a lei, Kara, bastava l'attenzione di una sola persona.
Sorriso compiaciuto, Alex si accostò a Lena. «Allora, come ti sembra?».
Lena era totalmente rapita da Kara, tanto che udì e sentì la presenza di Alex dopo qualche secondo dalla domanda. «Come?».
Alex si tirò indietro: non le serviva davvero una risposta.
Quando finì la canzone, la saletta applaudì a più riprese e Kara sorrise di nuovo imbarazzata, riprendendo fiato e passando il microfono al presentatore che le fece i complimenti. Raggiunse il suo tavolino che tutti ancora applaudivano.
«Sei stata bravissima, tesoro», l'abbracciò e baciò Eliza. Si comportò come se la canzone, dopotutto, fosse stata veramente per lei e Lillian: ma Kara era certa che l'obiettivo di Alex fosse tutt'altro.
Anche Lillian si alzò per abbracciarla, anche se molto velocemente. «Non avevo idea che fossi così brava: dopo averti ascoltato, sono sicura che chiunque salirà ora a cantare si sentirà molto a disagio».
Lena si sforzò per non rispondere a sua madre che non era una competizione e si limitò a sorridere a Kara, mentre lei si sedeva al suo posto.
«Sei stava brava, sorelli- ahio», Alex si tenne il braccio dolorante per il forte pizzicotto, conscia che in fondo se lo era meritato.
Presero un drink a testa e ascoltarono altre persone cantare, dire barzellette, o tentare disperatamente di far ridere qualcuno. Nel frattempo, mentre Eliza le stringeva una mano, Lillian chiese a Kara se avesse voluto cantare al loro matrimonio sulla base che Lena avrebbe suonato al pianoforte. Eliza glielo aveva chiesto diversi giorni fa. Non poté rifiutare e lei e Lena si guardarono come per cercare, nei reciproci sguardi, un permesso, se fosse tutto a posto tra loro. Se non altro, per quello si sarebbe preparata.

Selina Kyle sorrise con gaudio quando scorse Bruce Wayne uscire dall'automobile e lasciarla partire senza di lui, mentre la raggiungeva davanti al vecchio magazzino.
Era buio e aveva dovuto dire ad Alfred, il suo maggiordomo, che usciva per tornare in ufficio. Anche se era ormai un adulto, non lo avrebbe lasciato andare per parlare in mezzo alla strada con una ragazza semisconosciuta. Era molto protettivo.
Lei lo aspettava con le spalle appoggiate a un pilastro della luce e mani nelle tasche del giubbino; si spostò subito come lui si avvicinò. «Allora, è pronto?».
«Per cosa, con esattezza? Non potevano vederci al chiuso?».
«Ha paura di me o del buio, signor Wayne?».
«Non ho di certo paura del buio, e neanche di lei».
«Ah, ho capito», ridacchiò, «Si sente esposto qua fuori, le manca la sua villa». Lui sospirò e scosse la testa, lasciandola parlare. Gli disse di seguirlo e si fermarono davanti al portone del magazzino. «Ciò che già sapevo è che chi ha comprato il magazzino ha lasciato detto per le strade da dove vengo io che offriva lavoro ai ragazzi di strada, di farsi avanti». Gli fece di nuovo cenno di seguirla e si allontanarono, camminando sul marciapiede verso il centro di Gotham.
«Un lavoro? Di che tipo?».
«Dovevano presentarsi in un capanno che si muoveva per Gotham in questi giorni. Ora che hanno trovato… personale», sottolineò la parola, «non si trova più, è stato smantellato. Alcuni ragazzi del parco sono stati rifiutati dopo un esame del sangue, ma molti altri sono passati e mi è stato detto che fanno da cavie per alcune nuove pillole che andranno presto in commercio».
Bruce aggrottò la fronte. «Pillole? Si tratta di droga?».
«La cosa straordinaria», alzò le spalle lei, «è che non si sa con precisione cosa sia. Alcuni dei ragazzi si sono sentiti male e non sono più andati anche dopo aver ricevuto molto denaro, altri sono tornati nonostante questo perché qui i soldi servono. Molti di quei ragazzi vivono letteralmente per le strade e hanno bisogno di quei soldi, ecco perché penso che questa persona abbia scelto Gotham con scrupolo».
«Con il nuovo magazzino, il compratore è intenzionato a produrre quelle pillole in serie», sospirò lui. «Avrà sicuramente i permessi. Ma se fosse stato qualcosa di pulito, perché la Wayne Enterprises mi ha tagliato fuori? Mi trattano ancora da ragazzino, posso capirlo, a quella gente non piaccio, ma tanta riservatezza è comunque sospetta».
Passarono sotto alcuni palazzi. Le macchine sfrecciavano per le strade quasi alla cieca, veloci, con curve strette e pericolose e Selina notò il disagio sul volto del ragazzo, che tentava con sforzo di dissimulare.
«Ho partecipato anch'io».
«Cosa?».
«Mi sono fatta viva al capanno quando era dalle mie parti, non potevo lasciarmelo sfuggire! Volevano dare questo lavoro ai miei amici, dovevo andare a vedere di persona. Ho passato il test dell'esame del sangue e sono andata all'incontro», sospirò, «Si teneva all'interno di un pub che stanno finendo di ristrutturare». Si fermarono e la ragazza lo indicò, proprio davanti a loro, dall'altra parte della strada. Attraversarono subito. Al pub mancavano delle scritte sulla facciata, le finestre erano scure e polverose e all'esterno si erano depositati fogli di giornale e vecchie cicche di sigarette. «Ci hanno fatti entrare dal retro, eravamo in gruppo di dieci», continuò a raccontare. «Come vere e proprie cavie ci hanno prima riempito di domande sulla nostra vita, studio, famiglia, altre cazzate».
«Conducono un esperimento».
Lei annuì. «Naturalmente ho mentito. Poi ci hanno fatto andare dentro una saletta, uno alla volta. Nessuno lo direbbe vedendolo così sporco, ma sotto al pub, nelle stanze sotterranee, è più pulito del ciuccio di un neonato. Ci hanno offerto una pillola e dovevano tenerci in osservazione».
Lui deglutì. «L'ha presa?».
«Mi ha presa per una scema?», sgranò gli occhi. «Me la sono intascata, ma una guardia mi ha beccata e me l'ha fatta restituire. Mi hanno sbattuta fuori», sbottò. «Per fortuna io ho la chiave». Sorrise e si avvicinò alla porta.
Lui si voltò indietro, in modo che nessuno li vedesse: c'erano delle persone e un via vai di automobili poco più in là, ma nessuno guardava da quella parte. «Signorina Kyle, cosa sta facendo? Non possiamo entrare in questo modo».
Lei girò e rigirò la forcina, inchinata e con la lingua che pendeva dalle labbra, concentrata. Poi la serratura scattò e sorrise, girandosi verso il suo nuovo complice. «Vuole o no scoprire chi ha comprato il magazzino e questo pub? Prego, dopo di lei», aprì la porta, facendogli il gesto di entrare per primo.
Lui guardò Selina e poi all'interno del pub, infine ansimò ed entrò, così, soddisfatta, lei lo seguì, chiudendo alle loro spalle e accendendo una piccola torcia che aveva tenuto in tasca.

Alex andò a letto per prima, lasciando Kara e Lena da sole nel soggiorno della loro camera per l'ultima notte lì a Star City. Entrambe sapevano che Alex aveva fatto apposta a lasciarle sole per tutto il giorno e poi ad averle fatto cantare quella canzone ma, quando le lasciò lì sul divano con un film in tv, si sentirono di nuovo un po' tese. Kara allungò lo sguardo verso di lei ma la scoprì a guardarla a sua volta ed entrambe si voltarono, colte in flagrante. Solo un messaggio di Selina a Kara, e di Bruce a Lena, le salvò da quel terribile imbarazzo. Selina raccontò a Kara delle pillole e del magazzino, del pub. Bruce disse di sapere chi aveva comprato il magazzino e anche un pub lì a Gotham. Dissero entrambi che si erano intrufolati all'interno del pub ma che non erano riusciti a scendere al piano sotterraneo perché la porta era blindata, che non avevano trovato pillole ma tanta polvere e qualche documento sul bancone. Lena spense la televisione e lei e Kara si scambiarono uno sguardo.
«Pensi di dirlo a Lex?», le domandò Kara, facendosi più vicina.
«Devo», abbassò lo sguardo. «Ma quando lo vedrò di persona. Andrò a trovarlo prima del matrimonio», poi deglutì e la riguardò, abbozzando un sorriso e scuotendo la testa. «Lex mi aveva detto che gli erano state rubate… Dovevamo aspettarci che era stato lui».
Kara trattenne il fiato, guardando altrove. «Quel tipo mi piace sempre meno».
«Andiamo a riposarci, adesso», guardò l'ora sull'orologio al polso e si alzò dal divano, trattenendo uno sbadiglio. «Domani torniamo a casa».
Kara la seguì e si fermarono davanti alla porta di Lena, con ritrovato imbarazzo. «E così le nostre madri si sposano, eh?», ridacchiò.
«Non sembra vero», sorrise anche Lena. Entrambe tornarono serie di colpo e abbassarono gli occhi. «Beh… buonanotte, Kara».
Lei annuì, voltandosi. «Buonanotte, Lena». Tenne stretta la maniglia ma non aprì la porta; Kara sentì come uno stimolo e si girò di nuovo, di scatto, avvicinandosi a Lena e, quando si fu girata, la costrinse a lasciare la porta già aperta, tenendole il viso con una mano e baciandola. Lena chiuse gli occhi e s'avvicinò a lei, passandole una mano su un fianco. Si lasciarono, inspirarono e si baciarono ancora finché, sempre Kara, non si tirò indietro. «Oh… S-Scusa», abbassò il viso diventato rosso, «N-Non so cosa mi sia preso».
«Già… anche a me». Rossa anche lei, Lena si portò la mano destra sulle labbra.
«Tu d-devi… I-Insomma, hai delle cose da pensare e io… Mi dispiace», balbettò, non riuscendo a guardarla negli occhi.
«Dispiace anche a me», sospirò Lena.
Si chiusero all'interno delle proprie stanzette appoggiandosi alla porta e reggendosi il petto. Entrambe sentivano il cuore in gola. No. Decisamente non avrebbero dovuto.


***


Era il giorno seguente quando, tornata a National City da qualche ora, Kara si era precipitata lì sapendo di doverlo fare. Si era presentata in portineria e, anche se era senza appuntamento e non volevano lasciarla passare, dopo aver insistito per parecchi minuti, aveva ottenuto il lasciapassare da lui in persona, dopo che lo avevano chiamato per telefono. In ascensore, sentì lo stomaco brontolare poiché era un poco nervosa, ma non vedeva l'ora di averlo faccia a faccia. Doveva affrontarlo.
Dopo che le porte si aprirono, si fermò per guardarsi un attimo intorno e così scorse il suo ufficio e lui, seduto davanti alla sua scrivania. Andò dritta, non curandosi della segretaria che aveva tentato di parlarle, poi di gridarle, e infine si era alzata in piedi per fermarla. Kara spalancò la porta a vetri e Maxwell Lord si alzò dalla sua scrivania lisciando la cravatta, guardando lei e la sua segretaria che aveva il fiatone, affacciata alla porta.
«Vai pure, Nicole. Ci penso io». La segretaria annuì e chiuse la porta, mentre Kara teneva il viso contratto di rabbia. «A cosa devo la visita, signorina Danvers?». Le fece segno di accomodarsi e tornò a sedersi, ma Kara restò immobile dov'era.
«Deve essersi risentito quando la Wayne Enterprises ha bloccato la vendita dei terreni a Gotham City, non è vero?», assottigliò i suoi occhi e solo allora si avvicinò alla scrivania, cercando di scorgere nel viso di lui un segno qualsiasi di sorpresa: mosse appena un sopraccigli0, tenendosi con la schiena appoggiata contro la sedia, le mani con le dita intrecciate, il suo sguardo che sosteneva il suo con fierezza.
«Di cosa parla?».
«Del vecchio magazzino che si è lasciato vendere al posto di una fetta del terreno. Le serviva una base per la nuova fornitura delle pillole rubate al mio fratellastro, no?».
«Ah», sorrise, «Capisco». Il giovane uomo prese un bel respiro e si riavvicinò alla scrivania. Inquadrò una ciotola di caramelle sfuse alla sua sinistra e gliele mostrò, chiedendole se gliene andasse una. Di sicuro, Kara non avrebbe accettato nulla da parte di quell'uomo e neanche si mosse, lui al contrario ne prese una e la mise in bocca. «Mirtilli».
«Sta prendendo tempo perché non sa cosa rispondermi o-».
«No», la interruppe Max. «Volevo davvero offrirle una caramella… mentre pensavo a come ne è venuta a conoscenza. Voi reporter, o aspiranti tali, riuscite sempre a meravigliarmi», rise. «Non ho nulla da nascondere, avrei solo voluto che restasse una sorpresa: sto aprendo una nuova attività a Gotham. Gestirò da qui un pub che offrirà nuove entrate alla Lord Technologies. E sì, il magazzino mi servirà per la produzione di nuove pillole che andranno a ruba nel mio pub. Non so cosa pensi di sapere, signorina Danvers, ma quelle pillole sono e continueranno a essere assolutamente innocue: sviluppano, diciamo, alcune funzioni cerebrali. E non creano dipendenza. So cosa può sembrare, che vendere pillole in un pub sia un'attività illecita, ma le assicuro che ho il benestare del sindaco di Gotham. Ho tutti i permessi del caso, può controllare».
«Lo farò», rispose subito e lui sorrise.
«E… accidenti, sono sicuro che il suo fratellastro la veda in modo diverso, ma non ho rubato quelle pillole: mi sono state vendute. Ho visto un affare e l'ho colto, tutto qui», scrollò le spalle. «Mi dispiace se in origine l'idea fosse sua, avrebbe dovuto registrarle. Cosa che io mi sto apprestando a fare. È tutto completamente in regola», le sorrise di nuovo ma Kara non ricambiò.
«E i ragazzi che stanno facendo da cavie?».
«Oh, sa anche di quello?», la indicò. «Beh, se possiamo chiamarle cavie… io avrei detto lavorando», le scoccò un'occhiata, affrettando una veloce risata. «Sto mettendo a punto nuovi gusti e mi serviva qualcuno pronto a favorire. Chi meglio dei ragazzi di Gotham: lo sa che molti di loro vivono per le strade e non hanno dei soldi per la scuola, per un pranzo? È vergognoso, per questo mi sono riferito a loro», la fissò, «Sapevo che avevano bisogno di denaro veloce».
Kara scosse brevemente la testa. «Ha pensato proprio a tutto, eh?».
Lui si rimise composto sulla sedia, poggiando la schiena sulla spalliera. «Cosa vuole che le dica, signorina Danvers: non amo giocare impreparato».
«Tornerò».
«Sarò felice di accoglierla», rise e la guardò assottigliando i suoi occhi, quando lei si fermò a un passo dalla porta. Maxwell sospirò. «Ora vuole dirmi di stare lontano da sua sorella».
«No», si girò e gli sorrise. «Volevo dirle di stare attento alla reazione di mia sorella quando lo verrà a sapere. Lei sa badare a se stessa». Aprì la porta e uscì dall'ufficio, più nervosa di quando era entrata.





































***

Oggi piccolo ritardo nella pubblicazione, ma è sempre lunedì, no? ;)
Capitolo lunghetto, spero non abbia annoiato!
Il matrimonio di Eliza e Lillian si avvicina, il rapporto tra Lena e sua madre è in crisi, abbiamo scoperto che hanno dei parenti (!), Alex e Kara sono in ansia perché si sono rese conto che la loro madre si sposa davvero, e Lena e Kara sono riuscite a riavvicinarsi grazie ad Alex (e Maggie), pare. Beh sì, pare proprio di sì, Lena stava per dirle qualcosa di importante e sono ricascate fin troppo facilmente nel turbinio dei loro sentimenti. Kara ha perfino dovuto cantare!
Nel frattempo, abbiamo Selina Kyle e Bruce Wayne a Gotham che fanno squadra per scoprire del magazzino. Vi aspettavate che il compratore misterioso fosse Maxwell Lord? E che Roulette avesse venduto a lui la formula delle pillole di Lex? Gli indizi c'erano tutti: ci teneva a comprare un terreno e, fin dall'inizio della fan fiction, Lord sembrava avere un conto in sospeso con Lex Luthor. E chissà poi perché. Io terrei d'occhio questa cosa per gli avvenimenti futuri. Kara non ha perso tempo: una volta tornata a National City, si è subito precipitata alla Lord Tech, ma Max Lord ha sempre una risposta pronta per tutto…
Oh, e Indigo? A quanto pare è stata sua l'idea di cancellare i dati su Lionel Luthor dal web, si è presa delle libertà, in special modo dicendo a Lena che sapeva della sua identità. Il nostro profilo misterioso si è risentito e ha mandato qualcuno a “prenderla”. Ops. Come dare torto al nostr* X: grazie a questa bravata, Lena è risalita a lei.
Ultimo, e non certo per importanza: Rhea Gand ha una pistola. A quanto pare, Siobhan si teneva in contatto con la donna perché voleva tenere d'occhio Kara e, quando ha deciso di chiudere questa strana collaborazione, la donna non ha reagito proprio benissimo. Siobhan si è presa una bella paura. Quella donna sembra aver superato il limite. Cosa accadrà, adesso?
Cosa ne pensate della piega che stanno prendendo gli avvenimenti? Fatemi sapere :)

Ebbene, se c'era una cosa che mi mancava assolutamente quando pensavo al loro matrimonio e alla famiglia Danvers-Luthor, o Luthor-Danvers, fate voi, quello era un passato. Da che famiglia provengono, che tipi sono, e perché dannazione le due mantengono i cognomi dei loro ex mariti? Volevo dare una risposta a tutte queste domande; se per la terza solo io per le meccaniche della fan fiction potevo rispondere, delle prime due sulla serie non ci è dato sapere niente (a meno che non ci sia qualcosa nella terza stagione che non ho visto) e i fumetti… emh, non leggo i fumetti, quindi non ho idea se lì ci sia qualcosa sulle loro famiglie di origine oppure no. Sta di fatto, quindi, che mi sono inventata le loro famiglie di sana pianta. Qui le ho presentate grossolanamente, ma avremo qualche scorcio in più sui rapporti con loro in due capitoli futuri e poi chissà.

Festeggiamo le due 200 recensioni raggiunte con lo scorso capitolo!! Grazie a tutti, spero che la storia continui a piacervi :)
E ora una notizia che sicuramente non riceverà lo stesso entusiasmo: la settimana prossima non pubblicherò il capitolo di lunedì, ma di mercoledì. A causa di altri impegni e lentezza mia, non sempre riesco a tenere bene il ritmo di un capitolo scritto alla settimana e per non farvi attendere troppo com'è già successo, credo mi prenderò ogni tanto dei giorni in più. Sarà un esperimento, vediamo se così funziona.
Allora vi do appuntamento a mercoledì 28 con il capitolo 34: Paranoia. Spero vi piacerà come piace a me :)




   
 
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