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Autore: Roscoe24    23/11/2018    1 recensioni
Mickey, in prigione, pensa a cosa cambierebbe nella sua vita se potesse.
Contesto: sesta stagione.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mickey Milkovich
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Se potesse tornare indietro, farebbe le cose diversamente.
Primo: non spenderebbe anni a negare di adorare il cazzo.
Il tempo è sempre stato una fottuta fregatura, per lui. La prova? Ha avuto un figlio quando lui stesso era ancora un ragazzino.
Sembra che la sua vita vada al contrario, come se il karma o qualsiasi altra stronzata simile sia lì a ricordargli che non avrà mai niente di bello nella sua esistenza. Vuoi essere felice? Col cazzo, piccolo stronzetto del South Side, eccoti servita una nuova rogna, che andrà a finirti dritta su per il culo – e non nel modo che ti piace.
La prima rogna della sua vita è stata suo padre e da qui prende spunto il primo punto della sua lista. Se Terry non fosse stato uno stronzo omofobico, Mickey non sarebbe cresciuto con l’idea che i froci vanno pestati e avrebbe passato meno tempo ad odiare se stesso per quello che era e più tempo a farsi sbattere a dovere. Perché Mickey era passivo: mi piace quello che mi piace, come si dice. De gustibus, per dirla in modo figo. E se Mickey sapesse qualcosa di latino, saprebbe finirla quella frase di merda. Ma il latino è una lingua morta e quindi chistracazzosenefrega.
Comunque, Terry.
Terry lo stronzo, che l’ha picchiato per la maggior parte della sua vita e l’ha costretto, con una pistola alla tempia, a fare sesso con una prostituta, obbligando Ian a guardare, affinché lei gli togliesse la frociaggine. Che cazzo, non esiste nemmeno come parola.
Questo, comunque, è il secondo punto della sua lista: se potesse tornare indietro, prenderebbe quella pistola, la ficcherebbe in bocca a quello stronzo e premerebbe il grilletto senza il minimo rimorso.
Niente Terry, niente Svetlana, niente matrimonio combinato, niente Ian che parte per l’esercito.
N.B: i mesi che Ian aveva passato lontano da Chicago erano stati i peggiori della sua vita. E aveva raggiunto livelli così alti di masturbazione giornaliera che davvero si era stupito non gli fossero venuti i calli alle mani. Ma Ian gli mancava e in quella foto, che teneva segretamente custodita in una rivista che nessuno, a parte lui, leggeva, era davvero bellissimo. E dal momento che era l’unica cosa che glielo faceva rizzare, beh, la conclusione era ovvia. Uno più uno fa due, dopotutto.
Terzo punto: se potesse cambiare qualcosa, cambierebbe il suo modo di relazionarsi. All’inizio, Ian aveva passato la maggior parte del tempo a chiedergli baci, dopo il sesso, che Mickey si era rifiutato di dargli. Un conto era scopare senza sentimenti, un conto era baciarsi come due checche. Era strano per lui, perché ogni volta sentiva nelle orecchie il suono della voce di Terry che diceva che gli uomini che baciano altri uomini in realtà non sono tali e che meritano solo pugni. Quindi Mickey, che tutto ciò che voleva era essere un vero uomo, Ian non l’aveva mai baciato.
Solo ora si rende conto dell’ipocrisia della cosa: in prigione, Terry aveva scopato con altri uomini. Il fatto che lui fosse quello attivo non rendeva tutta la cosa, nel complesso, meno gay. Ma comunque… il punto è un altro.
Mickey ha perso tempo. Un sacco di tempo che non gli verrà mai restituito.
Poteva spendere tutto il tempo che ha perso, da ragazzino, a baciare Ian ogni volta che questi si abbassava verso il suo viso e lui, indispettito, si tirava indietro. Baciami e ti strappo la lingua con i denti.
Quanto poteva essere stupido, il sé sedicenne? Oh, se solo avesse saputo quanto in realtà la lingua di Ian gli piacesse a contatto con la propria. Se solo avesse saputo quanto erano morbide le labbra di Ian e quanto stessero alla perfezione sulle proprie, Mickey-sedicenne avrebbe fatto meno l’idiota e avrebbe speso più tempo a limonare voracemente con Ian-quindicenne. Con tanto di palpatine oscene e strusciamenti, mentre lavoravano da Kash and Grab, Ian come il commesso più sexy della Terra e Mickey come addetto alla sicurezza.
Ah, e a proposito di Kash: nella lista delle cose che avrebbe fatto diversamente c’è anche il fatto  di non farlo avvicinare ad Ian. Perché, se tutto fosse andato in un altro modo, Ian sarebbe stato suo fin da principio e nessuno gli si sarebbe avvicinato, pena: il taglio delle mani. Nessuno tocca ciò che è suo, figuriamoci un quarantenne sposato, con due figli, e sessualmente represso che va in brodo di giuggiole per un adolescente.
Ma mai al mondo, proprio.
Quarto punto: Yevgeny. Se potesse cambiare le cose, avrebbe un rapporto diverso con suo figlio. E ok che se avesse veramente effettuato il punto 2, Yev non esisterebbe nemmeno, ma… il succhia-latte c’è e Mickey non è stato esattamente amorevole con lui, all’inizio. Non appena era venuto al mondo, Mickey l’aveva battezzato Vaffanculo, con la V maiuscola dei nomi propri, ed era un insulto riferito più che altro a Svetlana e Terry, che lui odiava profondamente per quello che gli avevano fatto. Nei primi mesi di vita, Yev non aveva avuto un contatto con suo padre perché Mickey, in lui, altro non vedeva che la materializzazione fisica di un abuso. Chi gli aveva fatto cambiare, almeno in parte, idea? Quel coglione che aveva come ragazzo. Ian si spupazzava quel bambino nemmeno fosse suo: lo cambiava, gli dava da mangiare, gli cantava le fottute ninne nanne e gli copriva le guance di baci che facevano ridacchiare il bambino, con quella risatina acuta e quasi strillante tipica dei bebè. Ian amava Yevgeny e quando Mickey gli aveva chiesto il perché, il rosso aveva semplicemente alzato le spalle. È figlio tuo, Mick. Amo qualsiasi cosa ti riguardi. E vaffanculo Mickey si era sciolto come una ragazzetta davanti ad uno stupido film romantico, sentendo la colonna vertebrale che si trasformava in gelatina.
Ian, comunque, gli aveva fatto realizzare che Yevgeny, in tutta quell’assurda situazione, non c’entrava niente. Era l’unico innocente, l’unico che non meritava una punizione. Così Mickey aveva iniziato a passare del tempo con lui, ad amarlo nel modo giusto in cui un padre deve amare il figlio. Il modo in cui lui non era mai stato amato. Vorrebbe averlo fatto per più tempo, visto come sono andate le cose.
Deve ammettere, comunque, che era davvero negato per cambiare i pannolini – che siano dannati quegli affari infernali – e Ian, dall’alto della sua irritante aria da saputello, non perdeva mai occasione di farglielo notare. Gliel’hai messo al contrario, Mick. I disegni vanno davanti, non sul sederino.
Sorride. Perché per un piccolo, minuscolo lasso di tempo erano stati una famiglia. E Mickey era stato felice per davvero, quella felicità così surreale che non può altro che essere un’illusione.
Quinto punto: direbbe prima a Mandy come stanno le cose tra lui ed Ian, in modo da avere più tempo per loro. Mickey-sedicenne era così spaventato dall’idea che si venisse a sapere che era gay, che aveva accettato quella farsa dei finti fidanzati tra sua sorella e Ian per troppo tempo. E dire che Mandy pensava di fare un favore ad Ian per difenderlo da gente come Mickey. Pff, ingenua. Ogni volta che Mandy era impegnata in qualche videogames, Ian con la scusa di andare in bagno, si intrufolava in camera di Mickey e facevano cose che più di una volta avevano rischiato di danneggiare corposamente il letto di Mickey. Quanto adorava quei momenti: l’eccitazione ormonale dell’adolescenza, mischiata a quel brivido del proibito; le scariche di adrenalina in corpo, perché potevano essere scoperti da un momento all’altro; Ian che, contrariamente a quanto ogni essere umano avrebbe detto, guardando il suo adorabile faccino pieno di lentiggini, si trasformava in un piccolo despota a cui piaceva comandare un sacco e dettare regole che Mickey, porca puttana, adorava.
Una delle quali: non si parla, durante il sesso.
Meraviglioso.
Ian era meraviglioso. E non solo perché sapeva come dargli piacere, ma perché lo capiva senza che Mickey nemmeno proferisse parola. Bastava uno sguardo, un gesto. E questo, valeva anche fuori dal sesso. C’era complicità tra loro, qualcosa che nasceva dal fatto che, in fondo, erano cresciuti insieme. E che, prima di tutta quella faccenda ragazzo-e-ragazzo erano amici, ma tipo migliori amici.
Sai cos’ha detto Frank?
E come cazzo pensi faccia a sapere cosa dice tuo padre, Ian?
Scemo. Era retorico. Allora, sai cos’ha detto?
No, cosa?
Che il succo d’arancia e il Jack Daniel’s stanno meglio insieme di quanto si aspettasse.

Ecco cos’erano. Succo d’arancia e Jack Daniel’s. Quel mix che non proveresti mai perché dai per scontato che risulterà un casino assoluto, ma che, quando lo assaggi, nella sua incasinata complessità, trovi gradevole.
E Mickey, davvero, non avrebbe rinunciato a quella complessità per nulla al mondo. Ian era quella parte di sé che aveva sempre celato a chiunque, ma che era sempre esistita. Sotto la sua pelle, dentro il suo sangue, tra i suoi organi, all’interno del suo cuore. Ian era lì, dentro la parte più profonda di Mickey, che era in attesa di essere messa a nudo, alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti. Quella parte che sembrava dire: ehi, sono gay e amo un certo rosso dalla pelle chiara e gli occhi verdi.
Quella parte di sé che gli aveva sempre scatenato una gelosia bruciante ogni volta che Ian era stato di qualcun altro, seppur per un breve, effimero attimo. Perché, nonostante Mickey cambierebbe moltissime cose, non può farlo.
Non può impedire che Ian sia stato di qualcun altro, prima di essere stato interamente suo.
Non può impedire il suo matrimonio, o il fatto di avere un padre orribile.
Non può impedire al destino di non avergli concesso quel primo appuntamento mancato su cui perde il sonno la notte, nella sua cella minuscola e fredda. Perché sì, tra le cose che cambierebbe, se potesse, c’è anche la fine della sua storia con Ian.
Come diceva, tutto nella sua vita è andato al contrario. La sua storia con Ian? È iniziata con una scopata, è durata anni interi nel modo meno convenzionale che esista e si è conclusa nel modo in cui, invece, tutte le relazioni iniziano: con un appuntamento. Un appuntamento che non è mai esisto perché Sammi-la-puttana ha chiamato la polizia militare, che gli ha portato via Ian.
Un appuntamento che non è mai esistito perché Ian, dopo essere fuggito chissà dove con Monica ed essere ricomparso, l’ha lasciato.
Non puoi aggiustarmi. Non ho bisogno di essere aggiustato. Io sono me!
Come se Mickey avesse mai desiderato cambiare una sola fottuta virgola di Ian Gallagher. Mickey l’ha sempre amato per quello che era, bei momenti, brutti momenti. Chi cazzo se ne frega? L’unica cosa che voleva, che vuole, lui nella vita è Ian, con i suoi capelli rossi, il sorriso storto e tutti i suoi casini perché, porca puttana, chi non li ha?
Mickey stesso è un casino ambulante.
Ma forse, i suoi casini e quelli di Ian non combaciano. Non più.
Forse non sono più succo d’arancia e Jack Daniel’s.
Forse, crescendo, sono diventati come il fuoco e la benzina. E anche gli stupidi sanno che è una combinazione letale.










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Ciao!
Se siete arrivati fino alla fine: grazie!
Non so bene da dove nasca tutto ciò: so solo che, sebbene io sia arrivata a metà della settima stagione, non riesco a non pensare a quella scena nella 6x01 e quindi niente, da lì mi sono chiesta cosa potesse pensare Mickey in prigione ed è nato tutto ciò.
Io amo quel ragazzo e la sua presenza manca come l’aria. E a proposito, chiedo scusa se in alcuni punti sono un po’ caduta nell’OOC.
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate!
A presto :) 














 







 
   
 
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