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Autore: Dida77    24/11/2018    7 recensioni
Perché a volte basta veramente poco per capire dov'è casa.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un immenso grazie alla mia beta @/Njalls0ceans.
E un immenso grazie ad AminaMartinelli per avermi spinto a provare. Sappi che senza di te non avrei mai provato.
Un abbraccio immenso a tutte e due.
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Il telefono di Steve suonò mentre erano ancora in sala riunioni. Avevano appena finito. Come al solito al termine di una riunione, alcuni si erano precipitati verso la porta, mentre altri erano rimasti per scambiare quattro chiacchiere e parlare dei piani per il fine settimana.
Steve tirò fuori il cellulare dalla tasca interna della giacca per controllare chi lo stesse chiamando e sorrise come un cretino nel vedere la foto di Bucky che illuminava lo schermo. Era stato Bucky a configurare il suo cellulare in modo che comparisse la propria immagine quando avrebbe chiamato, giustificandosi con un banale: "Altrimenti come fai a capire a colpo d'occhio che sono io? Non vorrai mica sbagliare.” Come se fosse possibile farlo.
Steve decise di uscire dalla stanza per rispondere e parlare con tranquillità. La sua presenza non era più necessaria ed uscì dalla stanza chiedendosi il perché di quella chiamata del tutto inaspettata e inusuale.

"Ehi, ciao. Ti disturbo?" 
La voce di Bucky era chiara dall'altra parte e, nel sentirla, il piccolo nodo d'ansia che era già nato nel petto di Steve si sciolse in un attimo, come neve al sole.
 
"No, tranquillo. Abbiamo appena finito la riunione. Dimmi pure."
 
"Volevo sapere a che ora torni a casa."
 
"Saluto gli altri ed esco. Anche considerando il traffico, venti minuti e arrivo."
 
"Sei proprio sicuro?" la voce di Bucky si fece dubbiosa.
 
"Sì. Perché? Ci sono problemi?" il grumo di ansia nel petto di Steve si fece avanti, di nuovo.
 
"No no. Nessun problema. È solo che volevo provare a cucinare il risotto. Quello che cucinavo per te la domenica, prima della guerra, ti ricordi? Credo che mi sia tornata in mente la ricetta che mi aveva dato tua madre e te sai che il risotto si rovina subito. Quindi, per evitare di ucciderti se dovessi rovinarlo in qualche modo, ti chiamo per sapere con precisione a che ora torni."
 
"Il risotto? Come lo cucinava mamma?"
 
"Sì, quello. O almeno ci provo. Non so bene  cosa possa uscirne, ma voglio provare, che ne pensi?"

Steve non sapeva cosa rispondere. Un magone grande come Manhattan aveva preso posto nella sua gola e non andava né su né giù. Gli occhi si erano riempiti di lacrime e riusciva a sentire soltanto quella bolla di calore allargarsi piano piano nel suo petto. 
Si chiedeva da dove fosse arrivato questo miracolo che lo stava chiamando al telefono in quel momento e che cosa avesse fatto per meritarselo. Anche se non era proprio sicuro di meritarselo.

"Steve? Ci sei?" la voce di Bucky aveva assunto una nota di preoccupazione che fino ad un attimo prima non c'era. "Steve?" ripeté Bucky dopo un minuto di silenzio, sempre più preoccupato. 
Steve continuava a non rispondere perché il magone grande come Manhattan non lasciava spazio alle parole per uscire. 

"Stai piangendo, vero?" chiese improvvisamente Bucky con voce dolce. 
Steve si rese conto delle lacrime che scorrevano lungo le sue guance solo nel momento in cui Bucky gli pose la domanda. Si chiese come avesse fatto a rendersene conto prima Bucky dall’altra parte del telefono che lui stesso. Si chiese come potesse conoscerlo così bene.  

Poi fece un paio di respiri profondi, cercando di regolarizzare il respiro. Non funzionò, così fece un altro tentativo.
Non c’era bisogno di confermare che stesse piangendo. “Se mi aspetti, cuciniamo insieme.” disse soltanto, con un filo di voce.

"Sei un cretino. Ma ti aspetto volentieri." rispose Bucky, di nuovo con il sorriso nella voce. La preoccupazione di pochi istanti prima ormai un ricordo.
 
"E tu sei un imbecille!” replicò l’altro.
 
"Lo so. Ma io sono il tuo imbecille. E tu sei il mio cretino. Non correre e fai attenzione in moto. Ti aspetto. Ci vediamo a casa." e chiuse la chiamata. 

Casa. 
Una parola che Steve aveva usato spesso in passato: 'vado a casa e mi faccio una doccia', 'passo da casa a cambiarmi', 'ti aspetto sotto casa'. 
Steve pensò che aveva sempre usato quella parola solo nel suo significato più superficiale da quando era tornato. Che era sempre stato solo un modo per indicare quelle quattro mura dove andava a dormire e teneva le proprie cose. Non era mai stato niente più di questo, non aveva mai sentito il bisogno che fosse qualcosa più di questo. Ma adesso l’immagine di Bucky in tuta, dopo una doccia, seduto sul divano con il laptop appoggiato sulle gambe incrociate, in attesa che lui tornasse dal lavoro per cucinare insieme il risotto di sua madre cambiava tutto.

Casa. Stavolta davvero. Casa. Come doveva essere e come non era più stato negli ultimi settant'anni. Casa.

Steve rimase qualche secondo ancora a guardare lo schermo del telefono, poi udì la voce di Nat che lo riportò alla realtà. 

"Ehi Cap. Andiamo al bar per bere qualcosa, vieni con noi? Offre Tony."

Steve si voltò con un sorriso enorme sul volto (un sorriso cretino, come l’avrebbe definito Bucky) e rispose: "No, grazie Nat. Vado a casa.”

Fine
   
 
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