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Autore: Ghen    28/11/2018    4 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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AVVERTENZA: durante questo capitolo vi imbatterete in una scenetta che dovrei segnalare, credo, ed ecco il perché dell'avvertenza, ma non voglio fare spoiler prima ancora che il capitolo inizi e quindi dirò soltanto che, appena arriverete a leggerla, e capirete che stavo parlando di quella, se la cosa non dovesse piacervi, potete saltare qualche riga appena. Non penso che sia nulla di che, ma non a tutti la cosa potrebbe far piacere. Ma non è nulla di che.







34. Paranoia


«Non che mi sia mai fidata realmente di lui, ma…», Alex sospirò.
«E ha i permessi, ho fatto qualche telefonata. È incredibile che la passi liscia», mormorò Kara.
La maggiore scosse la testa. «Cominciavo a vederlo sotto un'altra ottica… immagino».
Ricordò di quando lo aveva incontrato, e non proprio per caso, nel momento in cui stava finendo il suo turno in boutique ed era uscita dalla porta: lui era a pochi metri da lei, appoggiato al cofano anteriore aperto di una costosa macchina da corsa. «Problemi al motore?», gli aveva chiesto, avvicinandosi. Vedendola, Maxwell si era illuminato.
«Così pare…», aveva sospirato e alzato le spalle, dando una nuova occhiata al cofano. «So cosa può sembrare: sono un inventore che non sa aggiustare la propria auto, ma è nuova e… credo mi sfugga qualcosa».
Alex aveva dato un'occhiata al motore molto velocemente e ci aveva infilato una mano, notando qualcosa. «Devo aver trovato la cosa che ti sfugge: hai staccato questo». Riattaccato un tubicino, aveva inquadrato il giovane uomo con la coda dell'occhio abbassare lo sguardo, colto in flagrante. «Perché sei qui?».
«Cercavo una scusa per vederti, lo ammetto. Sapevo che lavoravi qui e potrei aver controllato gli orari dei tuoi turni…».
«Sei preoccupato perché Kara mi ha detto della tua nuova e brillante attività a Gotham?».
Lui aveva immediatamente sorriso. «Il pub apre domani, i lavori hanno fatto presto. Verrai a dare un'occhiata? Per te, drink gratis».
«No, grazie», si era allontanata, girandosi un'ultima volta verso di lui. «Sai, cominciavo quasi a credere che fossi diverso dall'idea che mi ero fatta di te, ma credo che fosse giusta, dopotutto».
Lui aveva inarcato le sopracciglia, mosso dalla curiosità. «E quale idea ti eri fatta di me?».
Alex aveva sorriso compiaciuta, felice che glielo avesse chiesto: «Uno stronzo».
Maxwell era rimasto a bocca aperta e poi aveva abbozzato una risata, scuotendo la testa.
«Quasi dimenticavo», Kara fece una smorfia disgustata, «che sei andata a un appuntamento con lui. E non ci credo che tu me lo abbia detto solo quando ormai il danno era fatto, invece di confidarti subito con me». Scrollò le spalle e Alex, seduta accanto, la fissò assottigliando gli occhi.
«Devo davvero ricordarti che mi hai tenuta nascosta la tua intera relazione con Lena?».
«Ah… è vero», forzò un sorriso.
«Lena, a proposito…», guardò la minore e dopo s'incantò a giocherellare con le dita sui peli del tappeto su cui erano sedute, nella sua camera in villa Luthor-Danvers. Kara si ammutolì di colpo, tornando seria. «Non avete parlato, da quel bacio?».
Kara sbuffò. «Sai, non è esattamente compito mio parlare per sistemare le cose… È stato mio l'errore di baciarla».
«Lei ha ricambiato, Kara», la vide sbuffare di nuovo.
«Sì, ma… è perché mi ama, ma questo non cambia le cose. Finché decide di tenermi fuori da ciò che le passa per la testa, non ha importanza. Io ho sbagliato».
Erano passati tre giorni da quando, in quell'hotel a Star City, Kara aveva preso Lena di sorpresa e l'aveva baciata. Si erano baciate per la prima volta dopo la separazione. Era stato bello, ma rapido, e subito dopo triste. Potevano stare insieme, in quel momento, e baciarsi quanto volevano, invece c'era ancora quella cosa a mettersi tra loro. Si domandava quando Lena sarebbe stata abbastanza pronta per affrontarla. Nel frattempo, avevano passato le ore a scegliere e poi a provare una canzone da suonare e cantare al matrimonio. Lena aveva già pronta una base da suonare al piano, ma ora che sapevano che lei doveva cantarla, addio preparazione. Se non altro, avevano passato del tempo assieme; con qualche impaccio forse, ma il loro riavvicinamento, se a una delle due non fosse saltato di nuovo in mente di baciare l'altra e bruciare le tappe, stava andando bene. Era lento, ma stava andando bene.
«Proviamo questa parte?», le aveva domandato Lena, avvicinandole un foglio. Kara le aveva annuito e Lena si era rimessa a sedere davanti al piano, mentre lei si era alzata dal divano e sistemata vicina.
Aveva iniziato a suonare con dolcezza, lentamente, e Kara aveva preso a cantare seguendo il ritmo, con tono basso, poi più alto man mano che la musica si faceva più chiara e veloce. Di tanto in tanto, Marielle le andava ad ascoltare e, quando finivano, applaudiva finché non le si stancavano le braccia.
«Brave! Brave! Avete davvero un gran talento», si era congratulata con palese emozione, tanto che entrambe avevano arrossito.
«Beh… Speriamo di non deluderti al matrimonio», aveva riso Kara, scambiando uno sguardo con l'altra.
«Non succederà», aveva detto la donna con un sorriso, congiungendo entrambe le mani. «E sono così felice che la signora Eliza mi abbia invitata! Non sto nella pelle». Aveva sorriso a entrambe ed era tornata in cucina.
«Va bene», esclamò Alex, alzandosi dal tappeto, seguita dalla sorella. «Passando ad altro: so che Lena ha parlato delle pillole a Lex». Si era diretta all'armadio e lo aveva aperto mentre, dietro di lei, Kara si portava le braccia a conserte.
«Sì, me lo ha detto. Secondo lei è turbato, e non a torto, ma non sa ancora cosa farà».
Dopo aver sentito che la formula delle sue pillole era ormai in mano a Maxwell Lord, Lex si era portato una mano sulla tempia ed era rimasto fermo e zitto in quella maniera per qualche secondo. Lena lo aveva scrutato a lungo e poi gli aveva avvicinato una mano per fargli sentire la sua vicinanza, ma lui si era tirato indietro e infine alzato dalla poltrona girevole del suo ufficio. «Una parte di me…», non aveva concluso, deglutendo e faticando a restare calmo. «Una parte di me sapeva che c'era lui dietro a tutto. Nostro padre mi aveva avvertito di tenerlo d'occhio, ma dopo il colpo di mesi fa ho abbassato la guardia. È solo che… Veronica, accidenti. Più di tutto, ho abbassato la guardia con lei».
Lena aveva rivolto altrove il suo sguardo, sospirando appena. «Avrà visto un'occasione di guadagno… Come ti muoverai, ora?».
Serio e imperscrutabile, Lex aveva aperto la bocca e sospirato appena, prima di dire qualcosa, senza guardarla. «Non posso muovermi per vie legali. Quindi non farò niente».
Sua sorella aveva abbozzato un sorriso canzonatorio. «Non farai niente? Tu?».
«Ti dispiace? Ho del lavoro da sbrigare, ma non voglio essere maleducato».
Si erano scambiati uno sguardo e Lena si era alzata dalla sedia e aveva raggiunto la porta, voltandosi un'ultima volta a lui, ancora immobile; poi se ne andò, decidendo di non dire più nulla.
Kara scrollò le spalle, ancora ripensando a Lex, intanto che Alex le mostrava dei maglioncini per decidere quale indossare. «Però… pare che l'abbia presa meglio di come immaginavamo, anche se a Lena non è piaciuto il suo sguardo».
Rimasto solo nel suo ufficio, Lex aveva atteso fermo e in piedi ancora qualche attimo, mentre nella sua testa tornavano a galla mille pensieri e risvolti di quella faccenda. Le sue pillole erano in mano a quell'uomo e non avrebbe potuto far nulla per riaverle. Non avrebbe potuto muoversi in nessun modo. Si era fidato di Veronica e lei lo aveva pugnalato alle spalle. L'aveva avvicinata troppo. Per quanto si sforzasse per rimettere in piedi la sua vita, quando un minimo le cose sembravano andargli bene, poi tutto crollava di nuovo. Era esausto, arrabbiato, solo. A un certo punto gli venne da gridare e, preso dalla collera, si era scagliato contro la scrivania e aveva gettato tutto sul pavimento, per poi calciare il mobile.
«Ha diritto ad essere arrabbiato», disse Alex. Con Kara al suo fianco, andarono in camera di quest'ultima in modo che si cambiasse per uscire anche lei. «A quanto pare, quelle pillole erano uno specie di progetto di vita, per lui. Gli invierò un messaggio per chiedergli come si sente, più tardi».
Kara prese un jeans, mostrandolo alla sorella, che lo approvò. Così iniziò a cambiarsi. «E Maggie? Cosa ci ha saputo dire di Zod?».
Alex sospirò, sedendo sul lettino. «Ne parla piuttosto bene, non che mi aspettassi diversamente…».
Maggie aveva spalancato gli occhi appena, sorpresa, alla sua domanda sul perché le interessasse sapere del capitano Zod; Alex le aveva risposto candidamente che era probabile che lui facesse parte dell'organizzazione che aveva ucciso i genitori di Kara. Per lei, era una cosa assolutamente impensabile. «No, senti… Adrian Zod è un buon capitano e una bravissima persona. Come siete arrivate a pensarlo?».
Alex si era grattata il mento, increspando le labbra. «Emh… buone sensazioni?».
«Sen… sensazioni?».
«Beh… diciamo che è sospetto. Si è suicidato un uomo in cella a ottobre e coincide con l'arrivo di Zod come capitano della polizia. Quell'uomo era parte dell'organizzazione ed era stato giudicato colpevole dalla vera madre di Kara», aveva provato a spiegarle, ma Maggie aveva scosso la testa.
«Può essere solo una coincidenza, Alex. E poi abbiamo incrementato gli arresti da quando lui è il capitano; ci fa lavorare sodo. Si prende cura della centrale».
«Incrementato gli arresti», aveva sospirato, «E magari accelerando la burocrazia? Quando Kara è andata a Fort Rozz, Lois Lane era con lei e hanno parlato con un detenuto finito in carcere molto presto per un reato ancora dubbio».
Maggie aveva continuato a scuotere la testa con incredulità. «Lascia che se ne occupino gli avvocati, se ritene che ci sia stata un'ingiustizia. Proprio tu parli? Sai com'è fatto questo lavoro! Il capitano Zod cerca solo di rendere più sicure le nostre strade», le aveva sorriso. «Non avete prove, Alex… Dagli un'occasione e potresti scoprire che è pulito».
Alex e Kara uscirono dalla camera e scesero le scale che portavano all'ingresso, infilandosi le giacche.
«Quindi…», borbottò Kara, «Maggie è dalla sua parte?».
«No. Non dalla sua parte», la difese, aprendo il portone per uscire. «Però è il suo capitano e fino a che non avremo in mano qualcosa di concreto su di lui, continuerà a credere che sia solo il suo capitano».
Salirono sull'auto che la maggiore divideva con la sua fidanzata e si allontanarono dalla villa, rientrando in centro. Si rendevano conto che presentarsi lì era una mossa azzardata ma, in fondo, non facevano nulla di male.
Passarono dalla porta già aperta della centrale, ignorando lo sguardo di un poliziotto sulla soglia. C'era la portineria, ma era vuota, e più avanti un corridoio. Schivarono altre occhiate e proseguirono lungo fino alla loro destra, affacciandosi alla sala: molte scrivanie, telefoni che squillavano; a Kara ricordò la CatCo se non fosse per le divise. La centrale era silenziosa, calma; gli agenti giravano per le scrivanie e parlottavano a bassa voce, senza disturbare i colleghi. O il capitano Zod era un uomo estremamente severo, oppure qualcosa non andava: non c'erano neppure civili lì dentro, neanche trattenuti; si accorsero presto di essere le uniche persone fuori luogo e probabilmente per questo le osservavano, se non per essere le figlie di Eliza Danvers che avrebbe sposato la ex signora Luthor. Più avanti c'erano uffici con le porte a vetri e, notarono rapidamente, uno di loro era particolarmente sorvegliato, con due agenti che facevano da guardia e altri due vestiti di nero al loro fianco, immobili davanti alla porta con le veneziane abbassate, grossi come bodyguard. Probabilmente lo erano.
«Dovremo tornare in un altro momento…?!», soffiò Alex, incerta.
«Neanche per sogno», era più decisa Kara. «Ecco Maggie». La inquadrò e gliela indicò tirando in avanti il mento, così si scambiarono un'occhiata.
Annuirono e camminarono velocemente fino a lei che, testa bassa, stava scrivendo su un foglio sulla sua scrivania. Alex agganciò la sedia davanti alla scrivania accanto e la girò verso di lei; così, all'unisono, le sorelle Danvers si sedettero, appoggiandosi alla scrivania. Maggie Sawyer alzò la testa lentamente e guardò una e poi l'altra. Riprese a guardare il foglio. Alzò lo sguardo di nuovo e sbarrò gli occhi.
«Che c- Cosa diavolo ci fate voi due, qui? Oggi?», tentò con forza di non gridare, afferrando le teste di entrambe e abbassandogliele. La videro rialzare gli occhi e guardarsi intorno, prima di dare di nuovo a loro la sua attenzione. «Vi prego, ditemi che non ha a che fare con la vostra assurda teoria contro il capitano! Non è il giorno né il momento più adatto», riguardò di nuovo intorno a lei, allarmata. In special modo verso l'ufficio sorvegliato.
«Ma no, siamo venute a trovarti», borbottò Alex, lanciando un'occhiata alla sorella.
«Passavamo per caso», rincarò lei.
«Pensavamo di farti una sorpresa», continuò.
«Che non pare… emh, essere gradita?», la guardò Kara.
Maggie sospirò, formando una smorfia con le labbra. «Ma no, è che…», riguardò l'ufficio e i colleghi per la sala, abbassandosi di nuovo verso di loro. «Oggi è in visita il senatore Gand». Le vide spalancare gli occhi e guardare verso l'ufficio anche loro, così riportò le mani sulle loro teste, cercando di abbassargliele di nuovo. «Di recente è stato a Fort Rozz, come sapete, immaginavamo che prima o poi sarebbe passato per la centrale, ma non sapevamo quando, e così…».
«È stato lui a farvi una sorpresa», concluse Alex.
«Ve lo avrei detto questa sera», disse bisbigliando. «Ora cerchiamo solo di fare bella figura e che tutto resti in ordine finché è qui».
Nonostante Maggie l'avesse fatta voltare, Kara non resistette alla tentazione di dare una nuova occhiata a quell'ufficio. Si chiedeva di cosa stessero discutendo lui e sicuramente il Generale Zod. Se davvero anche quell'uomo era uno di loro, intanto che lei era lì seduta a chiacchierare, quei due potevano stare cospirando chissà quale colpo. Si alzò dalla sedia di scatto e questa strisciò, mettendo Maggie in stato di agitazione. La sala era quasi completamente silenziosa e attirò sguardi di più agenti; due di loro parevano aver avuto l'idea di avvicinarsi, ma la porta dell'ufficio sorvegliato in quel momento si aprì e l'attenzione comune si spostò su di loro: in completo blu grigiastro e cravatta scura, il senatore uscì per primo e le due guardie del corpo lo affiancarono; dopo, uscì l'uomo che Kara aveva visto solo qualche mese prima in quel ristorante a Metropolis, il Generale Zod. I due si strinsero la mano con modi formali e il signor Gand si voltò per andarsene, quando il suo sguardo incontrò quello di Kara. I due agenti si avvicinarono per chiedere a entrambe chi erano e cosa facevano lì, ma quando il senatore le fece la mano, entrambi si ritirarono.
«Kara». Accompagnato dai bodyguard, l'uomo si avvicinò a lei e sia Alex che Maggie lo fissarono con dovuta attenzione. Ma non erano le sole a seguire la scena e Kara sentiva il suo sguardo addosso: il Generale Zod era ancora davanti alla porta del suo ufficio e la squadrava accuratamente. «Posso rubarti un attimo?».
Kara annuì e lo seguì, quando Alex la fermò per un polso, sussurrandole all'orecchia di essere prudente.
«Cosa vorrà da lei?», aggrottò la fronte Maggie.
«Niente di buono», rispose Alex, mentre entrambe li seguivano con lo sguardo.
Il senatore Gand si fermò poco fuori dalla sala, nel corridoio con il via vai di qualche agente in divisa. Poche volte ricercò il suo sguardo, mantenendo basso il proprio. Kara portò le mani sui fianchi, in attesa. «Pensavo a te… È stata una sorpresa trovarti qui in centrale».
«Che cosa vuole, senatore?».
Lui prese fiato e strinse le labbra, come se fosse non particolarmente convinto di qualcosa. «Ti devo delle scuse… Kara Zor El».
Lei spalancò gli occhi e le braccia si sciolsero, scivolandole sui fianchi: mai si sarebbe aspettata che lui la chiamasse con il suo vero nome, il suo primo nome. Era un'ammissione?
«Potresti… diventare una reporter coi fiocchi, prima di quanto immagini».
«Di cosa sta parlando?».
Lui sospirò ancora e finalmente la guardò negli occhi. «Ti concedo un'intervista. Ho deciso di… ritirarmi dalla carriera politica, ci sono cose più importanti che richiedono la mia presenza e dopo, con quell'intervista», alzò le sopracciglia, «potrei sicuramente non averne comunque più una».
Kara deglutì e strinse i pugni, fissandolo con odio. «È stato lei? Ha deciso di confessare?».
«Sai, Kara», lui abbozzò un sorriso che spense a breve, posando di nuovo il suo sguardo altrove, dietro di lei. «Amo mia moglie. Lo so, l'ho tradita, è vero, ma non voglio essere giudicato per questo, perché farei di tutto per lei. E Rhea in questo periodo sta male; è segnata da…», sospirò, portandosi una mano sulla fronte con fare esausto. «Gli articoli di Leslie Willis hanno avuto una brutta influenza su di lei. Hanno ampliato un problema già esistente e sento che, di questo passo, finirò per perderla. Vorrei che sia tu a concedermi quell'intervista», posò di nuovo i suoi occhi su di lei, «Devi essere tu».
Seria e decisa, Kara non cedette un solo attimo, continuando a fissarlo.
Il senatore Lar Gand e i suoi bodyguard se ne andarono poco dopo aver parlato con lei. Kara e Alex, in compagnia di Maggie, lo tennero d'occhio per un po' intanto che usciva dalla centrale, in corridoio.
«Non mi piace», esclamò subito Alex, scuotendo la testa. «Potrebbe essere una trappola».
Maggie si voltò, guardando entrambe. «Neanch'io mi fiderei, Kara. Onestamente? Quell'uomo mi mette i brividi».
«Avrei potuto rifiutare…», fece notare e Alex scosse di nuovo la testa.
«Sapeva che per te è importante: non considerava un rifiuto».
«Ho deciso io la data dell'intervista e deciderò io il luogo», proseguì Kara, per poi accigliarsi. «Potrebbe confessare l'assassinio. Non capite? Non posso tirarmi indietro adesso», strinse i pugni e anche lei scosse la testa. «Era serio e preoccupato che avrebbe comunque perso il posto. Vuole confessare per… per, a quanto pare, proteggere lei o qualcosa di simile».
«Se confessa per sé ed esclude la moglie, avremo una vittoria solo a metà», affermò Maggie. «Lui forse finirà in prigione, ma Rhea Gand potrebbe non subire conseguenze legali; dopotutto non ci sono prove».
«E durante questi giorni, non abbiamo nemmeno avuto niente di nuovo su cui contare con la microspia», aggiunse anche Alex, per poi guardare la sorellina. «Continuo a pensare che non sia una buona idea».
Kara non sembrava qualcuna pronta ad ascoltare pareri contrastanti. «Lasciate fare a me, va bene? Ho tutto sotto controllo». Prese passo deciso per uscire dalla centrale e Alex sospirò.
«La stanno ancora seguendo?», le domandò Maggie in un bisbiglio e la vide annuire.
«Quando non è con me. Sì», la tenne d'occhio mentre spingeva la porta chiusa per uscire.
Maggie la guardò a sua volta mentre persisteva a spingere e, a un certo punto, tirare la porta tanto forte che le finì sul naso. «Se dovesse rivelarsi una trappola, se non altro, saranno pronti a intervenire». Kara lasciò la porta per fregarsi il naso, che intanto si richiuse. Maggie sorrise e scosse la testa incredula, continuando a fissarla. «Ma come fa a…?».
«Sopravvivere?», scherzò Alex, alzando le sopracciglia. «Me lo chiedo da quasi undici anni». La videro finalmente uscire, così Alex prese passo per andarle dietro. Poi si fermò. Si guardò intorno e lo stesso fece Maggie. Infine scattò e si baciarono a stampo, veloci. «Non smetterò mai di pensare a quanto tu sia sexy con quella divisa addosso».
Maggie rise, abbassando gli occhi e portandosi un ciuffo, sfuggito alla coda, dietro un'orecchia. «Ripetimelo questa sera, Danvers».
«Casa mia?».
«Casa mia».
«Oh, casa tua?».
«Casa tua», annuì Maggie e Alex sorrise soddisfatta, uscendo dalla centrale e seguendo Kara.

«Devi aver parlato con qualcuno», gracidò Rhea Gand attraverso la microspia e Lena deglutì appena, restando quanto più riusciva impassibile. «È come se qualcuno dicesse a quella Willis dove scavare! Devi aver parlato con qualcuno, Lar. Devi averlo fatto tu perché io non sono stata».
«Forse qualcuno dei nostri vecchi amici si è lasciato sfuggire qualcosa», osò dire lui, a voce più bassa e Kara guardò Lena che, a quel punto, lasciò la ricetrasmittente sul letto e si alzò per andarsi a preparare per uscire.
«La passerai ad Alex per me?», le domandò, avvicinandosi alla scrivania dove finiva di sistemare una borsa.
Sentirono Rhea starnazzare contro il marito e Kara abbassò il volume, alzandosi dal letto, dietro di lei. Poi la scrutò. Avevano finito di sistemare e provare la canzone per il matrimonio, così se ne sarebbe tornata a Metropolis dal fratello e sarebbe tornata con lui tra due giorni. Ansimò. «Come stai?».
«Bene», si voltò per sorriderle. «E tu? Cat Grant ti ha dato il permesso per l'intervista?».
«Beh…», strinse i denti, alzando lo sguardo al soffitto. «In verità, non gliel'ho chiesto». Si affrettò a spiegare, quando la vide ingigantire gli occhi: «Mi direbbe di no! E io devo fare quell'intervista».
Lena lasciò la borsa e si voltò, sospirando. «Ti prego, dimmi che starai attenta».
Lei arrossì un poco, annuendo. «Sarà la settimana prossima, ho tempo per prepararmi».
Allora finì di chiudere la borsa e la tirò giù dalla sedia, accostandola alla porta. Così si voltò di nuovo, ascoltando i battiti rapidi del suo cuore. Deglutì. Kara era immobile, come se si aspettasse qualcosa. Alzò lo sguardo e s'incantò nell'ammirare il suo. «Avevi ragione, Kara», disse, mentre le si asciugava la gola. «C'è qualcosa di cui non riuscivo a parlarti. Di cui non volevo parlarti», si corresse.
«E hai cambiato idea?», le chiese subito, portando le braccia a conserte.
Annuì. «Ti dirò tutto dopo il matrimonio».
«Dopo il matrimonio?», inarcò le sopracciglia. «Perché non adesso?».
«Lo capirai». Kara non controbatté e Lena, più alta di lei per via dei tacchi agli stivali, le si avvicinò, lasciandole un caldo bacio sulla fronte. La vide chiudere gli occhi e così si staccò da lei in fretta, troppo in fretta. Kara la seguì fuori dalla porta, vedendola scendere le scale con la borsa in mano.
La ricetrasmittente sul letto, intanto, continuava a trasmettere. «Il Generale? Ti ha saputo dire qualcosa?», domandò Rhea con frenesia, seppure la voce fosse bassa per via dell'audio ridotto. «Quando ho provato a contattarlo io, non ha risposto».
«No. Andare da lui è stato un buco nell'acqua».
«Lo so io chi è che passa le informazioni! E lo sai anche tu, Lar: Kara Zor El», starnazzò la donna con odio, «Dev'essere lei. Ti segue, Lar. Ed è collega di Willis. L'hai incontrata in prigione e poi alla centrale di polizia. Segue tutte le tue mosse, quella. E poi lo va a raccontare alla matta coi capelli cotonati, che non vede l'ora di screditarti».
«Come può essere lei? Cerca di ragionare».
«A me? Dici a me di ragionare?», alzò la voce. «Forse dovevi pensarci prima di andare a infilarti nelle mutande di un'altra donna! Non osare dire a me di ragionare! Vedrai che capirò come fa. Lo capirò».

Dopo il matrimonio. Lo avrebbe capito. Dopo il matrimonio. Doveva essere davvero molto importante se voleva dirglielo dopo il matrimonio, come se avesse avuto paura che quel segreto avrebbe potuto rovinarlo. Cosa nascondeva di tanto pericoloso da minare la stabilità della loro nuova famiglia? Cosa c'era di tanto pericoloso da decidere di starsi zitta e non dirle niente fino a quanto non aveva rovinato la loro relazione? Kara sbuffò, scagliando un pugno contro il sacco. Ancora un altro pugno. Più ci pensava, e più non riusciva a capacitarsene. Un altro pugno. Non riusciva a non arrabbiarsi. Un pugno ancora. Se era una cosa importante, perché tenergliela nascosta? Un altro, un altro pugno. E perché dirle di aver ragione e lasciarla brancolare nel mare della curiosità e dei dubbi, se non aveva intenzione di dirle tutto subito? Di nuovo un pugno. Un pugno. Un pugno. Un pugno ancora.
«Ehi». Quella voce la destò e Kara prese fiato, passandosi un braccio sulla fronte madida di sudore. «Siamo tutti contenti di rivederti in palestra, Supergirl, ma tirando così finirai per rompere il sacco», rise quell'uomo, riservandole un'occhiata. «E farti male».
Si scusò con l'istruttore, fermando il sacco. Appena lui si allontanò di nuovo, si guardò attorno, squadrando quanti più visi possibile. Non ricordava la palestra così frequentata, l'ultima volta. Era pieno di visi nuovi e altri… Oh, stava davvero diventando paranoica: molte di quelle facce non le conosceva, ma alcune di loro non sembravano nuove. Dove le aveva già viste? Allora era vero che qualcuno la seguiva? E se a seguirla era qualcuno pagato da Rhea Gand? Prese ancora fiato e si avvicinò alla panchina, sedendo e tirando e rimettendo bene la fascia rossa che aveva sulla fronte, per poi stringere l'elastico che le teneva legati i capelli. Dopo prese l'asciugamano, tamponandosi sotto il collo, e la borraccia d'acqua. Si accorse di essere osservata. Incrociando il loro viso con il suo, alcuni sorrisero. Non sembravano di certo stalker e probabilmente la guardavano per via del matrimonio di Eliza con Lillian. Bevve due sorsi e si alzò dalla panchina, controllando il cellulare: a quanto pareva, forse per il suo amico Barry Allen le cose stavano per mettersi meglio, felice di leggere che stavano rivedendo il caso di suo padre. Se non altro, la giustizia poteva ancora vincere a Central City. Gli rispose e tornò al sacco, stringendo le fasce intorno alle mani; così riprese a dar pugni. Doveva sfogarsi, sentiva di essere particolarmente stressata. Oh, e forse aveva davvero solamente voglia di dar pugni.

Pensava a Rhea Gand, a Lar Gand e all'intervista di continuo.
Dopo aver lasciato la palestra, era stata attenta che altri se ne andassero e poi che la seguissero, ormai certa che non fosse solo paranoia. Era convinta che almeno uno, dalla palestra, l'avesse seguita, poi erano diventati due e uno se n'era andato, dando il cambio. Si era fermata diverse volte e aveva tenuto d'occhio le persone dietro di lei. Ne era spuntato almeno un terzo. A un certo punto entrò in un negozietto a quasi ora di chiusura e dalla vetrina scorse il terzo uomo, fuori, leggere un giornale. Oh sì, si mischiavano tra la gente comune, erano bravi davvero, ma non abbastanza. Uscì dal negozietto e, veloce, gli prese il giornale dalle mani, girandolo verso di lei.
«Lavori a maglia? La facevo più tipo da sport», scherzò, adocchiando le sue scarpe da corsa e i pantaloni sportivi attillati. «Dovete lavorare sui particolari, se accettate consigli».
«Di cosa… Di cosa sta parlando, signorina?», lui rise, ma il suo sguardo lo tradiva e continuava a guardare altrove, come se lo mettesse in soggezione.
«È stata la signora Gand?».
«Chi?», scrollò le spalle e Kara gettò il giornale a terra, afferrando lui per il colletto, che si tirò indietro alzando le braccia in resa.
«Vi ho scoperto, basta giocare: è stata Rhea Gand o no?».
«No, no! Non so chi sia, non ti stavo seguendo per conto di questa donna».
«Ah», spalancò gli occhi, «Quindi mi seguivi per conto di chi?».
Lo lasciò andare e lui si abbassò, riprendendo il giornale. Cercò una pagina e gliela mostrò: c'era una sua foto in compagnia di Alex e Lena, così Kara sbuffò. «Volevo… Volevo solo vedere dove andavi e magari scattarti qualche foto».
Kara ansimò e si passò una mano sul viso, amareggiata, prima di guardando di nuovo negli occhi e puntargli contro un dito: «Stammi-lontano».
Si allontanò e il sorriso del ragazzo scemò, afferrando il cellulare da una tasca del piumino che indossava. «Agente Danvers? Mi ha scoperto, sono fuori. Dovrà inviare qualcun altro ma… sa che la seguono». Attese risposta e poi chiuse la chiamata, fregandosi il colletto.
Kara si era allontanata con il passo più veloce che riusciva. Non era convinta che quel tipo le avesse detto la verità. Dopotutto, se aveva costretto Siobhan Smythe a controllarla e a rivelarle cose su di lei, poteva aver inviato qualcun altro e poteva essere chiunque. Si girò altre volte ma, anche se non si sentiva più osservata, cercò di far perdere le sue tracce, seguendo strade mai prese e fermandosi più volte. Arrivò in villa che era già buio, cenò con qualcosa di veloce, da sola, e si chiuse in camera sua.
«Ti senti bene, sorellina?», Alex bussò alla porta ed entrò, armandosi di un grande sorriso. «Non vieni da me? Parliamo un po'».
«No», grugnì, gettata sul letto a pancia in giù. «Sono stanca, ho solo voglia di dormire, domani devo alzarmi presto».
Alex chiuse la porta alle sue spalle e la raggiunse, sedendo sul letto e dandole una carezza sui capelli. «Quindi vai a Gotham?».
«Sì», brontolò, «Voglio vedere con i miei occhi cosa combina Maxwell Lord». Si voltò, rimettendosi a pancia in su e poi seduta, verso la maggiore. «Selina, le altre ed io andremo a divertirci. Almeno mi distrarrò un po'».
«Dal matrimonio?».
«Dal matrimonio, da Lena che mi nasconde le cose, da…», ansimò, fermandosi e guardando altrove, scrollando le spalle, «dalle persone che mi seguono».
Alex inarcò le sopracciglia, fingendo sorpresa. «Qualcuno ti segue? Intendi altri giornalisti, ancora? Fotografi?».
«Loro, oppure… oppure persone pagate da Rhea Gand».
«Oh, Kara, no…».
«Non mi sorprenderei se fosse così, Alex. Tornando qui, ho cercato di far perdere le mie tracce», la guardò torva e Alex abbozzò un sorriso.
«Kara, Rhea Gand sa dove abitano i Luthor».
Si guardarono immobili, finché Kara non sbuffò e si rigettò di peso sul letto. «Hai ragione. Non ci ho nemmeno pensato».
Alex sorrise ancora, scuotendo la testa e sdraiandosi anche lei. «Tu adesso ti fai una bella dormita e ti riposi. Smetti di pensare a Rhea Gand, domani vai a Gotham e ti diverti, lascia perdere anche Lord. Penseremo a lui a tempo debito».
Restarono a guardarsi, finché Kara non aprì le braccia e si abbracciarono in quel modo, sdraiate sul letto, quasi sul bordo. «Sei la migliore».
«Sì, sì, lo so. Ma così non respiro e devo andare viva da Maggie».
Kara si bloccò e Alex ne approfittò per sgusciare dalla sua morsa. «Ti lasciano andare via?».
«Ho detto alle due carceratrici che tu domani andrai a Gotham, che Lena è da Lex, e che avevo anche io una vita da mandare avanti». Annuì, rimettendosi seduta e sistemandosi i capelli che si erano arruffati. «E poi credo che domani ne approfitteranno per stare sole».
«Ew» , Kara fece una smorfia ed entrambe si misero a ridere, rimettendosi vicine.
«L'ultima notte da fidanzate».
«Ci sarà il lume di candela».
«E i petali sul letto», aggiunse Alex, passandole poi una mano su un braccio e sorridendole. «Adesso vado. Ecco, ti voglio vedere sorridere di più, lascia perdere Rhea Gand e Maxwell Lord. Penseremo a tutto insieme».
Si scambiarono un'occhiata e Alex uscì dalla stanza tirando un sospiro.
Kara era sicura che erano stati i Gand a uccidere i suoi genitori e i suoi zii. Aveva ragione Alex: doveva smettere di pensarci, almeno per il momento, ma non ci riusciva. Inoltre, una parte di lei era sicura che Lar Gand volesse svelarglielo nell'intervista. Doveva essere una cosa seria. Era pronta per sentirlo?
Era quasi grata all'idea che tra due giorni ci sarebbe stato il matrimonio a distrarla da quel pensiero, anche se il matrimonio, di per sé, di pensieri gliene metteva altri. E dopo il matrimonio, Lena avrebbe finalmente condiviso ciò che le passava per la testa con lei. Oh, no, sarebbe stato meglio distrarsi anche da quel pensiero: era meglio pensare all'indomani, alla sua nuova gita a Gotham. Non era una visita di piacere, voleva davvero andare a vedere il pub che gestiva Maxwell Lord, ma era anche un modo per passare una serata diversa con delle amiche. In fondo, era sempre un pub.
Così, anche se non chiuse occhio, si alzò prestò la mattina seguente e partì per Gotham City, conscia che ci avrebbe impiegato delle ore. Selina le aveva detto che sarebbe rimasta a dormire da lei e che poteva ripartire l'indomani alle prime ore del mattino per arrivare in tempo al matrimonio, ma era ancora da decidere. Intanto, si portò appresso tutto il necessario in uno zainetto.
Selina le fece fare delle passeggiate in cui le spiegava di nuovo la sua avventura in quel pub, poi andarono a mangiare qualcosa in compagnia di Harley e Ivy. Harley l'aveva accolta con l'abbraccio più lungo e caloroso della sua vita, tanto che, per un attimo, si dimenticò davvero dei Gand. Anche se probabilmente le aveva annusato i capelli.
Tuttavia, nemmeno essere a Gotham lontano da National City, l'aveva salvata dalla sensazione di essere seguita. Si era guardata intorno sui mezzi e lo aveva fatto mentre erano sedute a mangiare, e aveva sempre come il sentore di scorgere le stesse facce intorno a lei. Le erano andati dietro e non potevano essere semplici fotografi: era l'unica vera spiegazione.
«Non giratevi», disse alle ragazze che, naturalmente, si girarono tutte. «Mi stanno seguendo».
«Sei sicura? Posso provare a chiedere», urlò Harley, fermandosi di colpo. Ivy le mise una mano sulla bocca, costringendola a camminare.
«Mi seguono da National City, lo fanno da giorni». A un certo punto si fermò lei, guardando Selina. «Dobbiamo seminarli. E se prendessimo strade alternative? Ne conosci qualcuna?».
La ragazza estrasse un sorrisetto divertito, guardando Ivy e Harley e poi di nuovo lei. «Tesoro, non esiste nessuno che conosca le strade di Gotham meglio di me. Piuttosto… vediamo se riesci a starmi dietro».
Harley impazzì di gioia: «Sììì! Questa è una sfida, ragazze, ci sarà da divertirsi», le abbracciò tutte insieme.
E così, in men che non si dica, seminare chi le stava dietro cominciava davvero ad apparire come una sfida: Selina Kyle conosceva veramente tutte le vie e viottoli, compresi quelli non proprio segnati sulle cartine di Gotham. Passarono attraverso due giardini privati, dentro la casa di un'anziana che Harley salutò come una vecchia amica e a cui prese un biscotto da una biscottiera; salirono su per la scala antincendio di un palazzo e Selina le costrinse a seguirle sopra il tetto, dove Harley gettò il biscotto che aveva un sapore strano, poi all'interno di una casa buia e maleodorante dove Ivy si lamentò; da una finestra passarono di nuovo per la scala antincendio del palazzo a fianco e da lì scesero di nuovo a terra, camminando per la stretta via dietro un ristorante. Era piena di bidoni dell'immondizia e Ivy si tappò il naso, disgustata.
«Non avevo capito che la sfida a seguirti comprendesse farlo nel sudiciume», si lamentò. «Credo di aver visto un topo».
«Dove?», Harley spalancò la bocca. Ivy glielo indicò e la videro correre in quella direzione, convinta di stanarlo.
Selina si voltò verso di lei, indispettita. «Ringrazia che non vi ho fatto passare sui cornicioni», disse, facendo ridere Kara.
«Beh, se non altro ha funzionato», sorrise lei, felice di non sentire più quella sgradevole sensazione.
«Bene», Selina ricambiò il sorriso. «Allora è arrivato il momento di divertirci, ragazze». Uscì dalla vietta e, dall'altra parte della strada e alla sua destra, indicò il pub.
Era luminoso, c'era l'insegna al neon verde che citava The Green Caravel, le finestre erano a mo' di mosaico verde su più toni, c'era la fila e, davanti all'ingresso, un buttafuori. Si misero in fila, guardandosi attorno. Sembrava che il pub attirasse molta gente, perché altri continuavano ad arrivare.
«Non c'è che dire… Lord ha fatto proprio un bel lavoro». Kara scattò qualche foto col cellulare, inviandole ad Alex.
«I lavori sono stati rapidissimi», le fece sapere Selina.
«È vero», concordò Ivy, «Quando iniziano a sistemare qualcosa da queste parti, ci impiegano degli anni. Si vede che il proprietario aveva fretta», le fece l'occhiolino.
Selina riguardò il locale e di nuovo loro. «Perfino il magazzino sarà pronto a giorni: avrà speso parecchi soldi, te lo dico io».
Quando spettò a loro e il buttafuori, un omone pelato di grossa taglia, le fece passare, si ritrovarono davanti a un vasto spazio che faceva da ingresso: più avanti c'era il bancone lungo diversi metri e carico di persone, era pieno di tavolini sparsi, altri più grandi stavano dalla parte delle finestre, c'erano i tavoli da biliardo, le slot machine, uno spazio per ballare, anche quello pieno di persone. Le luci sul soffitto diffondevano una luce verde, era pieno di bottiglie in mostra, dipinti di barche e grandi navi, un maxi schermo in alto accanto al bancone che mandava in loop slide di mari e navi, tutte sul tono del verde. Sull'ingresso, in alto, appariva di nuovo il nome del pub scritto col fuoco sul legno: The Green Caravel.
Portandosi più avanti, non si lasciarono sfuggire che, oltre alla mole di persone, erano presenti diversi buttafuori che camminavano tra i clienti, tenendoli d'occhio. Ognuno di loro indossava una maglia verde scura con il logo del locale.
Kara fece altre foto da inviare ad Alex, mentre tutte si guardavano intorno, restando colpite, poiché malgrado tutto era davvero un bel locale.
«Cosa ne pensi?», si avvicinò Selina, sussurrandole a un orecchio. «Le pillole si potranno chiedere direttamente al bancone?».
«Non lo so… Dobbiamo dare un'occhiata».
«E sia», le sorrise. «Intanto, divertiamoci un po'. Giusto, Harley? Harley?», si girò, ma erano sparite entrambe. «Che fine hanno fatto quelle due?».
«Credo di averle trovate». Kara le indicò sulla pista da ballo, mentre erano intente a ballare sinuose, incantando diversi ragazzi e anche ragazze.
«C'era da aspettarselo», rise. «Vieni, facciamo noi il lavoro sporco».
Si avvicinarono al bancone e, appena due ragazzi si alzarono dai loro sgabelli, ne approfittarono per sedersi. Quando il barista dietro al banco si accostò, ordinarono da bere.
«Ah, se posso», Kara lo fermò prima che si allontanasse, «Il proprietario mi ha riferito che qui avrebbe venduto delle pillole, ne sa qualcosa? Come faccio ad averle?».
Lui sembrò incerto su come risponderle, poi optò per sorriderle. «Non qui al bancone, signorina; le trova chiedendo in giro, la sapranno indicare». Ringraziarono e lui si allontanò per portare loro da bere.
«Chiedendo in giro, eh?», borbottò Selina, guardando indietro. «Cosa ne pensi, Supergirl? I buttafuori avranno un doppio stipendio?».
Kara restò incantata a guardarsi intorno. C'erano molte facce. Molti visi sconosciuti che ridevano, gridavano, sbattevano qualcosa, che ballavano. Nessuno di loro guardava lei. Nessuno di loro si rendeva conto che lei era lì. Era salva, libera; Rhea Gand non la stava spiando, adesso.
«Ehi? Sei con me?».
Kara si voltò di nuovo, scoprendo che il barista le aveva già servite. Deglutì. Per un attimo si era incantata, accidenti. Pensava di nuovo ai Gand, all'intervista, al terzo uomo che l'aveva seguita dopo la palestra il giorno prima, al matrimonio, a Lena. A Lena che doveva dirle qualcosa. «S-Sì», scosse la testa, prendendo in mano il bicchiere. «Scusa, ero soprappensiero».
Selina si alzò, anche lei prendendo il suo. «Vado a dare un'occhiata in giro e a fare qualche domanda. Resta pure qui, okay? Mi riavvicino tra poco».
Vide Selina farsi strada e sparire in mezzo a quei visi sconosciuti. La lasciò fare. Voleva scoprire cosa aveva davvero in mente di fare Maxwell Lord, però, in quel momento, si era sentita di nuovo un po' persa. Tutti si divertivano e lei era lì, a rimuginare davanti a un bicchiere ancora intatto. Ne bevve un sorso che sentì il telefono vibrare e lo prese. Oh, Alex faceva i complimenti a Lord, dopotutto, e le ricordò di divertirsi. C'era anche un messaggio di Barry e sorrise, nel leggerlo così emozionato al fatto che potrebbero provare l'innocenza del padre e, dopo anni, lasciarlo libero di vivere la sua vita.
Da Me a IlRagazzoDelFlash
Sono davvero così felice per te, Barr! Spero che saprai qualcosa a breve. E naturalmente voglio essere informata, nel caso mi piacerebbe venirti a trovare per festeggiare!
Da IlRagazzoDelFlash a Me
Sei la benvenuta, Kara! Nel caso darò una festa. Ti faccio sapere presto e auguri per domani!
Kara sorrise, anche se sapeva di malinconico. Voleva essere davvero felice per lui, e le aveva appena dato gli auguri per il matrimonio della sua madre adottiva, eppure non riusciva a esserlo del tutto. Sbuffò, scrivendo una risposta rapida e bevendo in un sorso solo il contenuto rimasto del suo bicchiere.
La ragazza che aveva preso il posto di Selina si alzò e un'altra si sedette solo qualche secondo dopo. Però, a dispetto dell'altra, lei la osservava. Kara la inquadrò con la coda dell'occhio sorridere e chiamare il barista, che al momento era occupato più avanti. «Delusione d'amore?», le domandò e Kara ansimò, senza guardarla negli occhi.
«Più che delusione», rispose, ingigantendo gli occhi, «direi montagne russe d'amore». Sbuffò, giocherellando con il bicchiere vuoto.
L'altra rise con pacatezza. «Cielo, come può essere essere una montagna russa?». Ordinò un drink al barista, arrivato da lei in fretta.
Kara si voltò, fissandola negli occhi a mandorla. «Beh, succede se ti innamorati della tua sorellastra e le vostre madri si sposano domani».
Lei restò incantata e poi abbozzò una risata, chiamando di nuovo il ragazzo al bancone con un gesto. «Scusami, fammene due, per piacere. Ti spiace se ti offro da bere?» si rivolse di nuovo a lei, «Credo che tu ne abbia bisogno».
Il barista portò i due bicchieri sul piano e si riprese quello vuoto di Kara, riponendolo sul lavandino. Le due ragazze alzarono i bicchieri e buttarono giù un sorso, scambiandosi un sorriso.
«Allora, la tua sorellastra, eh? Credevo che certe cose si vedessero solo nei film».
«Nei film d'amore, intendi?», bevve un altro sorso e l'altra ragazza la seguì. «Il mio film, è-è più un film muto con i sottotitoli, ma tu sei troppo piccola e quindi non sai leggere».
«Oh, okay, allora è davvero grave come sembra… Almeno, lei ricambia?».
«Sì», bevve un altro sorso, «E la cosa dovrebbe farmi felice? Beh, lo-lo farebbe se non mi nascondesse dei segreti. Perché, ecco, sì, ha dei segreti e ci siamo lasciate a causa di questi segreti del… del… segreti del cavolo», sbuffò, facendo diventare rosse le sue guance.
«Tutti hanno dei segreti». Bevve e Kara la seguì, finendo il bicchiere. Così richiamò il barista e se ne fece portare altri due.
«Oh, beh», gonfiò le guance, mettendo su il broncio.
«Ehi, ascoltami: se siete davvero innamorate, riuscirete a passare sopra a questi segreti, no?», le passò una pacca sulla spalla e Kara si girò solo un attimo per cercare Selina, o Harley, o Ivy. «Mi concentrerei sul matrimonio delle vostre madri, come mi hai detto».
«Sì… il matrimonio e il resto», bofonchiò.
Guardò anche lei verso la sua stessa direzione, per poi fissarla di nuovo negli occhi azzurri. «La vita è lunga, dolcezza… Troverete un modo per ritrovarvi, se è destino che accada».
Le passò la mano sul mento per una carezza e Kara si scostò. «Devo…».
«Oh, sì, certo. Mi è parso che qualcuno ti chiamasse, da quella parte», indicò dietro di loro e Kara si voltò, così la ragazza, svelta, le lasciò cadere qualcosa nel bicchiere. Glielo passò mentre la vedeva alzarsi dallo sgabello. «Non dimenticare di finire questo».
Kara lo prese e buttò giù tutto d'un sorso, raschiando la gola. Le sembrava di aver ingoiato un insetto, ma non era pronta a raccontarlo a quella ragazza sconosciuta che le aveva offerto da bere e che aveva già ammorbato abbastanza. La ringraziò per la compagnia e si fece strada tra la folla. La ragazza con gli occhi a mandorla sorrise e si alzò dallo sgabello anche lei. «È stato un piacere conoscerti… Kara».
Si allontanò mentre Selina, che passava di lì e aveva mancato la sua nuova amica per poco, la teneva d'occhio. «Che cosa hai fatto…?», sussurrò per sé. Riguardò lei che sedeva davanti a un tavolino già pieno e cercò Kara con lo sguardo.

Segreti. Tutti hanno dei segreti, certo. Lei, ad esempio, si era fatta la pipì sulle mutandine quando aveva quattro anni ed era all'asilo. Si era vergognata molto, tanto che aveva fatto promettere alla maestra di mantenere il segreto. Quello era un segreto ed era un segreto che avrebbe preferito non dire mai a nessuno; ma di certo non avrebbe preferito quel segreto alla sua relazione con Lena. Dirglielo dopo il matrimonio. Oh, certo. La pipì di una bimba di quattro anni nelle mutandine non avrebbe dovuto richiedere tanta cura come svelarlo dopo il matrimonio tra le loro madri. Lena le aveva nascosto qualcosa di importante, non della pipì, e chissà da quanto tempo. Da quanto tempo la baciava e fingeva di niente? Da quanto tempo andava a letto con lei, sapendo che le stava mentendo su qualcosa? Aveva a che fare con i Gand?
Si toccò la fronte, notando all'improvviso quanto quello spazio si stesse facendo piccolo. La gente le sbatteva addosso. «Ehi», gridò, spingendo un ragazzo. Lui la guardò male e Kara strinse un pugno. «Cosa c'è? Non ti piace farti sbattere da una ragazza, per caso?», rise. Oh, se n'era andato. L'aveva ignorata? «Scappa… Non ne vali la pena».
E se Lena avesse dovuto dirle qualcosa sui Gand? Era a conoscenza di qualcosa di tanto grande? Magari riguardava la morte dei suoi genitori… Oh, non poteva crederci che sapeva qualcosa del genere e non le aveva detto nulla! Che razza di persona giurerebbe di amarla, per poi nasconderle una cosa come quella?
Era un film muto. Ma lei non sapeva leggere.
Prese grandi bocconi d'aria, accorgendosi che qualcuno la guardava. No, si stava sbagliando.
Oh, respirò a pieni polmoni. Stava passando, lo sentiva: lo spazio era di nuovo largo, di nuovo normale, ma ancora pieno di gente. Le davano fastidio. Strinse di nuovo un pugno ma rise, guardando la gente intorno a lei. Le davano fastidio.
«Kara Danvers». La voce ammaliante. Due braccia la cinsero in vita. «Che fai qui tutta sola? Vieni a divertirti con noi, no?». Ivy le sorrise e la prese per mano, così Kara si lasciò scortare verso lo spazio per ballare, dove Harley le stava chiamando arricciando le dita verso di lei.
Selina chiese di nuovo da bere al barista, ma non si sedette. Restò in piedi, scrutando la ragazza con gli occhi a mandorla girare da tavolo a tavolo. Doveva essere lei quella che i buttafuori, alle sue domande, avevano detto che rispondeva al nome di Roulette: doveva chiedere a lei, se voleva quelle pillole. La vide mentre parlava, ammiccava, rideva con eleganza e poi si guardava attorno, forse alla ricerca dei prossimi clienti. Si alzò e la vide camminare di nuovo incontro un altro tavolo ma, stavolta, guardò più lungo, verso dove la gente ballava e, dopo, scrivere qualcosa su un'agendina.
Kara sorrise, allungando la mano destra verso Ivy davanti a lei e fermandogliela sul collo in una carezza, mentre quella sinistra restava indietro, sul viso di Harley che le avvolgeva la vita. Ballavano attirando parecchi sguardi, ma non importava a nessuna delle tre. Ivy le sciolse i capelli, insinuando le sue dita in mezzo alle ciocche bionde, mentre Harley le infilò una mano sotto la maglia e le sfiorò il collo con la bocca, alitandole addosso e poi sorridendo divertita.
Gli occhi azzurri di Kara, grandi, si fermarono su quelli verdi di Ivy, mentre quest'ultima le accarezzava una guancia calda e rosa con la mano destra e portava la sinistra sulla sua schiena, avvicinandola a lei e, di conseguenza, avvicinandole tutte e due.
Infine, Harley osò: le poggiò le labbra sul collo e la baciò con passione, mentre sentiva Kara sospirare, tirando indietro la testa. Quando Harley la lasciò per scenderle il colletto e baciarla più sotto, Kara fissò di nuovo Ivy, che ora le passava le dita sulle labbra.
«Cosa aspetti?», domandò Kara. La sua voce era decisa, non un tentennamento, intanto che anche la sua mano destra le accarezzava i capelli rossi e mossi. Le guardò le labbra rosse senza vergogna, e di nuovo i suoi occhi.
Ivy sorrise e infine rise. «Questa mi è nuova, super ragazza». Ma non se lo lasciò ripetere due volte e, dopo averla fissata con bramosia, si avvicinò e aprì la bocca, cogliendo le sue labbra calde. Entrambe chiusero gli occhi e si baciarono lentamente. Harley le passò le mani fin sulla pancia, accarezzandola e stringendola, continuando a baciarla sotto i capelli. Appena le due si lasciarono, Kara si tirò indietro e Harley sorrise, poggiando la mano destra sul suo mento e avvicinandolo al suo viso. Si baciarono anche loro, piano, socchiudendo gli occhi. Ivy si abbassò per baciare Kara sull'incavo del collo, prendendosi il suo tempo. Dopo, anche Harley e Ivy si baciarono.
«Uh!», gridò Harley prendendo fiato e ridendo subito a squarcia gola, «È come stare sulle montagne russe».
Le montagne russe. Montagne russe d'amore, ripensò Kara.
«Ragazze, dovete smetterla. Adesso», strillò Selina, avvicinandosi di corsa. Le raggiunse e tirò Ivy per la manica della sua maglia, minacciandola con lo sguardo.
«Che c'è? Che ho fatto, adesso?».
«Non dirai sul serio?», domandò Kara, mentre Selina spingeva tutte e tre verso i tavoli.
«Non puoi dirci cosa non dobbiamo fare: ci stavamo divertendo», Harley inarcò le spalle, aggrottando lo sguardo. «Oh! È perché non ti abbiamo incluso? Ma certo che puoi partecipare anche tu», le fece l'occhiolino e rise di nuovo, mentre Selina scuoteva la testa.
«Mi spiace se sto facendo la parte della guastafeste, ma non potete fare questo a Kara», la guardò accigliarsi, a quelle parole. «Non ora».
«Puoi dirlo forte che lo sei», la interruppe Ivy, mettendo le braccia a conserte. «Non so se lo hai notato, ma siamo tutte e tre maggiorenni, cara. Dunque, se tu non vuoi partecipare ci sta, sei persa per quel ragazzo ricco, ma non puoi proibirlo agli altri. E Kara è single adesso, lascia che si distragga. Chi meglio di noi?».
Finora era rimasta in disparte a sentirle battibeccare, ma si era stancata di sentire le loro voci nella sua testa, che ronzavano fastidiosamente quanto quelle delle altre persone in quel locale. Schiamazzavano e ridevano come degli idioti. Le davano tutti sui nervi. Quei baci e quelle carezze, però, le avevano dato un senso di pace. «Vuoi decidere per me, gattina?», abbozzò una risata, «Vuoi essere tu a dirmi cosa devo o non devo fare? Puoi provarci».
Selina la guardò attentamente, ma decise di non accogliere le sue provocazioni. «Dobbiamo andarcene». A un seguente malcontento comune, la ragazza sbottò: «È stata drogata!», la indicò e sperò di non aver alzato troppo la voce, guardandosi intorno. Solo due ragazzi smisero di ballare per osservarle.
Kara scoppiò a ridere. «Come, scusa?».
Ivy e Harley, invece, si scambiarono un'occhiata perplessa: a loro sembrava stare benissimo.
Selina sbuffò e si accostò ad Ivy tanto da respirarle addosso. «Vuoi davvero portarti a letto una ragazza drogata che non sa quello che fa? Le hanno messo qualcosa nel bicchiere, dobbiamo portarla via di qui. Adesso».
Ivy aggrottò la fronte e dopo alzò gli occhi al cielo e sospirò, rivolgendosi alle altre due. «A malincuore… dobbiamo chiuderla qui».
Anche se Harley era ancora poco convinta e sicuramente dispiaciuta, riuscirono tutte e tre a convincere Kara ad andarsene, dicendo che in quel locale c'era troppa confusione. Pagarono e uscirono, mentre Kara scuoteva la testa e rideva, tenuta stretta ad un braccio da Selina.
«Posso camminare da sola, sai?».
«Voglio che ce ne andiamo in fretta».
Erano fuori, notando che non c'era più fila e il buttafuori era rimasto all'ingresso. Selina tirava ancora Kara e Ivy e Harley si guardarono perplesse, mettendosi poi vicine e stringendosi una mano. Un gruppo di chiassosi ragazzi passò al loro fianco, Ivy stava per girarsi dalle due dietro e chiedere chi mai avesse potuto drogare Kara, che uno di quei ragazzi andò addosso proprio a quest'ultima e, senza pensarci, continuò a camminare. Fu Kara a fermarsi, costringendo Selina a fare lo stesso.
«Ehi», lo chiamò a voce alta, «Non ti hanno insegnato le buone maniere?».
Lui si fermò e, poco più avanti, il suo gruppo, in attesa. Selina sussurrò a Kara di lasciar perdere. Quei ragazzi avevano mazze da baseball, uno di loro giocava con un coltello e un altro aveva una lunga barra di metallo che faceva strisciare a terra. Kara però sorrise, scrollandosela di dosso e accostandosi a lui. «Hai ingoiato la lingua, bad boy?».
Il ragazzo guardò i suoi compagni e poi lei, avanzando un passo. Si fermò, tuttavia, quando riconobbe Poison Ivy al fianco della ragazza. «Smammate», disse e loro, pian piano, tornarono indietro, guardando lei e poi Kara, Kara e di nuovo Ivy.
«Ho chiesto il tuo supporto?». Kara si accigliò, guardando Ivy con rabbia. «Ah, già: Gotham è ai tuoi piedi, regina dei veleni. Schiocchi le dita e tutti obbediscono come dei cani», si assicurò di alzare la voce. «Hanno paura di te… E non possono far altro che tornare a cuccia».
Fu inevitabile: Selina non capì che droga avesse potuto portare Kara in quello stato, ma era evidente che fosse completamente fuori di sé.
Il ragazzo tornò indietro e chiese a Ivy di farsi da parte, ma non aspettò una sua risposta che alzò il braccio destro per colpire Kara e lei, più veloce, glielo afferrò, lo strinse e lo girò con un solo movimento circolare. Perfino i ragazzi del suo suo gruppo, ancora distanti, dovevano aver sentito il crack. Si avvicinarono veloci e Kara spinse il ragazzo, in urla, contro di loro, ridendo di gusto. Presto scoppiò una rissa: altri due cercarono di colpire Kara e lei si tirò indietro, facendone inciampare uno, mentre all'altro pensò Ivy a fargli lo sgambetto. Provarono a colpire la prima con una mazza, ma non si aspettavano la furiosa corsa di Harley contro di loro:
«Nessuno tocca la mia quasi scopamica, buffoni!». Raccolse la mazza caduta a uno di loro e la usò per colpirli e rimandarli a terra.
Selina ne spinse uno indietro e schivò il coltello di un altro, guardando Ivy e scambiando con lei un gesto d'intesa: dovevano allontanarsi, e presto, prima che qualcuno, dal locale non distante, potesse chiamare la polizia. La colpirono con un pugno sullo stomaco e Ivy si vendicò con una ginocchiata in mezzo alle gambe, così Selina gli prese la mazza e lo colpì sulla schiena.
Kara era sicura, forte, veloce, quasi non sbagliava a muoversi. La videro incassare un colpo di sbarra sul braccio sinistro ma non accennare minimamente al dolore. Era improvvisamente diventata una macchina da guerra. Gli prese la sbarra ma ci pensò bene prima di colpirlo con quella, gettandola lontano e poi scagliargli contro un calcio. E un altro. Un altro ancora. Un amico cercò di aiutarlo e Kara lo spinse via, colpendolo ancora sullo stesso punto in mezzo alle costole. Lui le gridò di smetterla ma lei non sentiva, non voleva; nemmeno la sua tosse la fermò dal colpirlo ancora con violenza.
A quel punto, quando addirittura Harley aveva smesso di picchiarli perché incantata da quell'orrore, Selina e Ivy allontanarono Kara per le braccia, sollevandola di peso, mentre i ragazzi tiravano via l'amico ferito. Harley rilanciò la mazza al gruppo e le seguì mentre spingevano Kara, in preda a un attacco di rabbia. Riuscì a divincolarsi quando erano distanti, poiché allentarono la presa.
«Drogata, eh?», sibilò Ivy a Selina, entrambe confuse per ciò che era successo. Prendevano aria, ignorando i lamenti della ragazza che gridava di non aver bisogno di loro.
«Devi andare a prendere lo zaino di Kara, da me», le disse ansimando e l'altra annuì, allontanandosi con Harley, chiedendole di rimando se poteva farcela da sola con lei. Quando Selina la vide avere un mancamento, zittendosi, la prese tra le sue braccia, ma si tirò indietro a breve. «Stai bene, Kara?». Aveva un taglio sulla fronte, sopra l'occhio destro, eppure si atteggiava come niente avesse potuto scalfirla. «Ho bisogno del tuo telefono».
«Tu», la indicò Kara con collera, «Tutte voi! Dovete smetterla di starmi tra i piedi! Sono stufa della gente che mi controlla, che mi nasconde le cose, della gente che… mi pedina», deglutì. «Sai una cosa? Che ci provino a farlo ancora. Ci provino. Li rimanderò al mittente. Andrò io stessa da Rhea Gand e la affronterò faccia a faccia. E Lena… Oh, Lena. Affronterò anche lei». Prese il cellulare da una tasca del giaccone e Selina glielo adocchiò. «Ero così preoccupata che il matrimonio potesse cambiare il nostro rapporto da non rendermi conto che è stata lei a distruggerlo! Ha risolto tutto. E adesso le dirò esattamente cosa penso di lei». Si passò una mano sulla fronte e, per un attimo, ebbe un altro mancamento, ma compose il numero, scuotendo la testa e aspettando che rispondesse.
Appena si udì la voce di Lena dall'altra parte, Selina le sfilò il cellulare dalla mano e si spostò. «Sono Selina Kyle». Kara tentò di recuperare il telefono e le imprecò dietro. «Dovete venire a prenderla, manderò le coordinate», deglutì, «Kara non sta bene… è stata drogata».
Appena chiuse la chiamata, Kara le si scagliò addosso, afferrandola con foga per il colletto della giacca. «Cosa ti dice il cervello? Non sono stata drogata, non sono mai stata meglio in vita mia».
«Smettila», la spinse ad un tratto.
«Tiri fuori gli artigli, adesso? Vuoi farti sotto anche tu?».
«No», scosse la testa e le rimise il cellulare in tasca. «Tu non stai bene, Kara. La vera te non farebbe così».
«E se fossi la vera io, questa? Ci hai pensato? Se mi stessi svegliando ora?», si mantenne di nuovo la fronte, perdendo l'equilibrio, e Selina la accompagnò a sedere a terra, sul bordo del marciapiede. Cercò di scostarla con palese nervosismo, ma senza successo. «Mi gira la testa, dannazione…».
«Kara», si sedette al suo fianco, «L'ho vista io: una certa Roulette ti ha messo qualcosa nel bicchiere».
«Roulette?», spalancò gli occhi.

Quando Ivy e Harley portarono lo zaino alle due, trovarono Kara addosso a Selina. Non era addormentata, ma era talmente stanca da faticare a tenere gli occhi aperti e le girava la testa. Non era più nervosa, aveva smesso di imprecare, anzi le guardava con insofferenza, come se le dispiacesse. Solo altri pochi attimi di attesa e un'automobile scura si fermò lì davanti. Un ragazzo pelato, snello e in completo, scese dalla parte del passeggero e prese Kara con sé. In auto, Lex Luthor le controllò gli occhi con una lucetta, le ascoltò i battiti cardiaci, le toccò la fronte. La rassicurò che sarebbe andato tutto bene, che ci avrebbe pensato lui. Kara dormì in elicottero fino a Metropolis e una volta lì, atterrati sul tetto di un palazzo, riuscì a camminare e prendere l'ascensore.
«Hai avuto un po' di febbre», era sicura di aver sentito la voce di Lex. «Ti farò un veloce esame del sangue, non ti farà male».
Ricordò un posto tutto bianco; i colori e soprattutto le luci erano molto forti e la costringevano a socchiudere gli occhi. C'erano provette, un banco. Lex la fece sedere e qualcosa di freddo le toccò il braccio destro.
«Quasi finito, Kara».
Era davvero tanto stanca, ma la testa non le girava più. «Roulette», sibilò.
«Cosa? Cosa hai detto?».
«Roulette… È stata lei».
Scorse Lex fermarsi un momento, come soprappensiero, e un rumore la fece voltare. Era la porta. Lena. Era lei. Era lei davvero. Lo sguardo spaventato che la fissava, gli occhi grandi, il fiatone. In quel momento non le interessava che le avesse tenuto nascosto qualcosa, che le avesse mentito e per chissà quanto tempo, che il matrimonio tra le loro madri avrebbe potuto intaccare il loro rapporto né l'imbarazzo tra loro o qualsiasi altra cosa poteva venirle in mente. Lei era lì. Kara si sentì sollevata, vigile. Lei era lì e nient'altro era più importante.
Lena le corse incontro e Kara scese dallo sgabello, raggiungendola e abbracciandola. Si tennero strette e la prima le lasciò un bacio sui capelli, guardando suo fratello con apprensione.


***


Kara si addormentò subito. Lena le restò vicina, sfiorandole con una mano il taglio sopra l'occhio che le avevano medicato, accanto a un livido che solo ora stava venendo a galla. Ne aveva anche uno su un braccio, più esteso, ma fortunatamente non era niente di grave. Lena sorrise appena, pensando a quanto fosse tosta la sua ragazza. Selina Kyle mandò un messaggio al suo telefono per chiederle come stava, dopo averle raccontato, a singhiozzi, cos'era successo quella sera: il pub, Roulette, la rissa, Kara stravolta e arrabbiata. Le inviò un nuovo messaggio e la ragazza s'imbrunì, decidendo di abbassarsi, toglierle un ciuffo biondo dagli occhi e baciarle la fronte, così uscire della camera poco illuminata dalle sole luci attraverso le finestre.
Intanto, Lex era seduto sulla sedia girevole del suo studio lì in casa Luthor. Davanti al pc, sfogliava una galleria di foto ma, appena sentì la porta aprirsi, chiuse la pagina. «Come si sente Kara?».
«Dorme», rispose soltanto, chiudendo la porta dietro di lei, appoggiandosi. Teneva lo sguardo basso. «Hai avuto il risultato delle analisi?».
Il fratello annuì, avvicinandosi di più alla scrivania. «Ho riscontrato qualche valore fuori norma, ma qualsiasi cosa le abbiano dato, l'effetto sta svanendo. Domani avremo la Kara di sempre», si alzò, andando ad appoggiarsi al bordo della scrivania e incrociando le braccia contro il petto. «Non le hanno dato una delle mie pillole. Loro sono fatte per stimolare la mente, ma è come se a Kara fosse stato fatto stimolare il corpo, probabilmente aiutati da una massiccia dose di adrenalina. A giudicare gli effetti, e lo confermano le analisi, Kara è una di quei soggetti particolari a cui le mie pillole avrebbero prodotto effetti collaterali piuttosto consistenti».
Lena fece un cenno con la testa e poi, finalmente, lo guardò negli occhi. «Quando Kara e le sue amiche sono andate via dal pub, si sono scontrate contro un gruppetto di ragazzi armati». Lo vide spalancare un poco la bocca. «Sono entrati nel pub. Lo hanno distrutto, Lex. Mi hanno scritto che è dovuta intervenire la polizia. Tu eri a Gotham per affari. Ne sai qualcosa?», lo guardò assottigliando i suoi occhi.
Lui abbassò la testa ed estrasse un sorriso. «Ho solo fatto ciò che ritenevo più giusto».
A Lena mancò il fiato e, abbassando di nuovo il suo sguardo, aprì la porta della stanza ma non uscì. «Sono stati loro ad aggredire Kara». Aspettò di vederlo con la coda dell'occhio apprendere la notizia, così lo lasciò solo.
Lex tornò a sedersi, riaprendo la finestra del pc e sfogliando la galleria che conteneva le foto del pub a pezzi. Poi prese il cellulare e compose un numero, restando in attesa. «Sì», soffiò, con gli occhi fissi sulle foto. «Ottimo lavoro. Ma… un'ultima cosa: so che vi siete scontrati con una ragazza… Kara Danvers. È la mia sorellastra», prese una pausa, trattenendo il fiato, «Toccatela ancora e sarà l'ultima cosa che farete».




























***

Capitolo fresco fresco, di mercoledì, come avevo detto!
Come avrete notato, Kara è entrata nel pallone! Doveva distrarsi e invece, la sua uscita con le ragazze (anche se una parte di lei si era sicuramente distratta a un certo punto XD), si è trasformata in un disastro. Roulette lavora per Maxwell Lord adesso ed è l'addetta alle pillole che distribuiscono nel locale; peccato che ne abbia gettata una all'interno del bicchiere di Kara senza che lei lo sapesse e gli effetti… eh, sono stati questi. A che razza di pillola sta lavorando Lord?
Senza contare che Kara ha parlato con Roulette senza sapere chi fosse. E che Lex non ha reagito poi così bene nel sapere che Roulette ha venduto a Lord la ricetta delle sue pillole.
Oh, e non dimentichiamo che il senatore Gand vuole essere intervistato da Kara. Cosa avrà intenzione di dire?
Cosa ne pensate della scenetta che avevo anticipato? Mi seccava scrivere attenti alla threesome, insomma XD È che so che dovrebbe essere segnalato (se la storia non è così fin dall'inizio), a meno che le regole del sito non siano cambiate. Io personalmente ne avrei fatto a meno. E quindi sì, una Kara fuori di sé si è lasciata andare e le è piaciuto ricevere quelle attenzioni da parte di Ivy e Harley.
Se non altro, a fine capitolo, Kara è stata accolta dalle braccia di Lena, letteralmente.
Cosa accadrà adesso?

Il matrimonio tanto atteso (?) è arrivato! E sarà per metà… stand alone. O meglio, ci sarà lo svolgimento della trama lineare più qualche salto temporale dovuto. Occhio ai tempi verbali per non impazzire, ricordate: fece qualcosa (presente); aveva fatto qualcosa (passato).
Il prossimo capitolo sarà in realtà una prima parte. Dunque ci rileggiamo venerdì 7 con il capitolo 35 che si intitola La sposa - Prima parte!


   
 
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