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Autore: ChiiCat92    28/11/2018    0 recensioni
"L’aria cominciava a farsi gelida ma il cielo era così terso che le stelle sembravano a portata di mano: sarebbe bastato allungare le dita per toccarle, immergendole nella loro fredda luce.
Isa si diede dello stupido per quei pensieri, così illogici e distanti che non potevano essere venuti dalla propria mente.
La colpa di quei pensieri era il ragazzo dalla chioma rossa accucciato sulla sua spalla.
Lui era la sua irragionevole certezza."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Saix
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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31/10/2018

 

What If?


L’aria cominciava a farsi gelida ma il cielo era così terso che le stelle sembravano a portata di mano: sarebbe bastato allungare le dita per toccarle, immergendole nella loro fredda luce.

Isa si diede dello stupido per quei pensieri, così illogici e distanti che non potevano essere venuti dalla propria mente.

La colpa di quei pensieri era il ragazzo dalla chioma rossa accucciato sulla sua spalla.

Lui era la sua irragionevole certezza.

Avrebbe voluto dirgli che si era fatto tardi, che forse era il caso di tornare a casa, che quantomeno avrebbero potuto infilarsi in macchina invece di rimanere sdraiati sul cofano dell’auto.

Ma Isa non disse nulla, la mente era scollegata dalla bocca, la lingue inerme tra i denti.

Benché la schiena si stesse intorpidendo per il freddo non si sarebbe mosso per niente al mondo.

Nel silenzio udiva il respiro di Lea, regolare, forte, e poteva vedere l’abbassarsi e l’alzarsi ritmico della sua cassa toracica. Lo guardava vivere, mentre uno strano senso di angoscia gli stringeva i polmoni.

Così inerme, così fragile. Un battito di palpebre e sarebbe scomparso, soffiato via dal vento come sabbia.

Si agitò, a disagio per i suoi stessi pensieri, come se il solo cambiare posizione potesse allontanarli.

« Tutto bene? » mormorò Lea, alzando lo sguardo su di lui.

Le stelle erano bianche, rosse o blu, e Isa si chiese confusamente perché non fossero anche verdi, come gli occhi profondi di Lea, più luminosi di qualsiasi astro.

« Tutto bene. » rispose lui, battendo le palpebre per scacciare qualsiasi, oscuro pensiero nascosto appena al di là di quelle parole.

Lea piegò la testa da un lato per guardarlo meglio, ad Isa sembrò un cucciolo perplesso di fronte un ordine del padrone.

Il rosso si sollevò sulle braccia, le sopracciglia corrugate. Per un attimo coprì la visuale sul cielo stellato, gettando ombra sul viso di Isa come la Luna durante un’eclissi.

« A cosa pensi? » chiese.

Isa si perse ad osservare le sue labbra, la forma della mascella, il collo, e immaginò senza troppa difficoltà il corpo magro che si nascondeva sotto la giacca: l’aveva visto così tante volte che avrebbe potuto disegnarlo ad occhi chiusi.

« Niente. » fu la sua risposta, desincronizzata rispetto ai suoi pensieri. Così inerme, così fragile. « Pensieri stupidi. » aggiunse poi, allontanando lo sguardo da quello luminoso di lui.

Quell’angoscia, quella stretta intorno ai suoi polmoni. Gli sembrava di non riuscire a respirare, per quanto l’aria fredda della notte si sforzasse di entrargli dalla narici, dalla bocca, a rapidi singhiozzi.

« Okay, quali sono questi pensieri stupidi? »

Lagnoso, insistente, capriccioso: Lea. Isa vide come le dita fremevano, pronte a saltare su di lui per toccarlo. Moriva dalla voglia di sentire il calore della sua pelle, ma non l’avrebbe fatto, non finché non avesse risposto alla sua domanda.

« Non mi va di parlarne. » sospirò Isa, quasi frustrato.

« Ah! » Lea gli puntò un dito contro, accusatorio. « Allora stavi pensando a qualcosa e non è tutto a posto! »

« Complimenti, Sherlock. » lo canzonò lui con una scrollata di spalle.

Gli avrebbe dato ragione, ma non il privilegio di godersela.

Lea emise un mugolio, lento e scostante come quello di un animale infastidito, ma si sporse finalmente verso di lui, le mani sul suo petto. Anche attraverso la stoffa Isa poté sentire il gelo delle sue dita sulla pelle calda, tanto da provocargli un lungo brivido. A differenza di quelli che gli dava il freddo della notte, quello era un brivido di piacere.

« Non mi piace. » sussurrò Lea, un broncio sulle labbra. Isa avrebbe voluto baciarlo e baciarlo e baciarlo ancora, finché non le avesse consumate.

« Cosa non ti piace? » come se non lo sapesse.

Isa sapeva leggere la sua mente, i suoi pensieri, il suo sguardo, non aveva bisogno di domandare: Lea gli dava tutto ciò di cui aveva bisogno. Forse in modo inconscio, sicuramente in modo ingenuo.

Per questo, quando sospirò e si accucciò con le gambe strette al petto, seppe subito qual era la risposta.

« Non mi piace quando non mi parli. »

Così inerme, così fragile.

Con quella poca luce i capelli di Lea assumevano un colore scuro, come di una fiamma opaca, e stretto in se stesso sembrava un bambino.

Isa si costrinse ad allontanare quel pensiero, quell’angoscia, che continuava a tornare perché in fondo non se ne andava mai davvero.

« Lea. » lo richiamò, perché mal tollerava quando faceva i capricci, nonostante il suo tono di voce fosse una colata di miele.

Lea impiegò un tempo infinito per chiedere: « Stai pensando a quello che ha detto il dottore, vero? »

In quel momento Isa ricordò quello che aveva studiato al liceo durante le lezioni di Geografia Astronomica.

Le stelle, quei meravigliosi, romantici puntini luminosi nel cielo notturno, in realtà erano corpi morti che, dopo la loro spettacolare esplosione, avevano mandato in viaggio la luce attraverso lo spazio. La vera fortuna era di vivere in quel preciso momento storico: prima o poi il cielo sarebbe diventato nero.

Era fortunato, quindi, a poter godere della luce delle stelle, di aver alzato gli occhi al cielo ogni notte per trent’anni e averle trovate lì ad aspettarlo. Bugiarde e bellissime come sempre, con la loro promessa di falsa eternità. Come Lea.

« Anche se fosse? » rispose lui, concitato ma sottovoce, per non disturbare l’Universo, per non avere l’attenzione del Fato su di loro. « Anche se ci stessi pensando? »

« Ne abbiamo già parlato. » candidamente, Lea si sporse per prendere una mano di Isa, un sorriso scintillante ma triste sulle labbra rosee. « Va bene così. »

« Va bene per te. » non rifiutò la presa, anzi, lo afferrò bruscamente per tirarselo addosso, tanto da strappargli un gemito di sorpresa. « Non hai pensato neanche per un attimo se...potesse andare bene anche a me. »

Dire quelle parole, imbevute di un veleno che lo stava consumando lentamente, gli brucio la lingua e la gola come se avesse vomitato acido, eppure sentì subito un gran benessere diffondersi in tutto il corpo. L’aveva detto, dopo aver tenuto per sé quel pensiero finalmente l’aveva detto.

Lea parve stordito, batté le palpebre come a metabolizzare l’informazione, poi si ritrasse, come poté almeno, perché Isa non gli permise di lasciargli la mano.

« È la mia vita. » il risentimento rendeva tremula la sua voce.

« È la nostra vita. »

« Isa, non puoi… »

« Posso. » a briglia sciolta, ormai non aveva niente da perdere, perché l’ultima cosa che gli era rimasta era Lea. « Potresti sconfiggerlo con la chemioterapia, potremmo ancora avere una possibilità. Si parla di anni, anni che guadagneremmo per vivere insieme. »

« È una possibilità. » lacrime d’argento rendevano cristallino il suo sguardo, e vibrante come la luce delle stelle a cui tanto quegli occhi somigliavano. « Contro mesi di sofferenza per una terapia che non è detto che funzioni. Voglio vivere gli ultimi sei mesi che mi rimangono con dignità, non in un letto. »

« E se ti amassi fino alla fine? » Isa poggiò una mano sulla sua guancia. Era freddo, il naso rosso, tremava sotto gli strati di vestiti. « E se ti amassi oltre la fine? »

« Non puoi… »

« Posso. »

Lo tirò nuovamente a sé, ma stavolta con più dolcezza, per baciarlo, per sentire se il suo sapore fosse diverso sotto quel cielo, con tutto quel freddo, immerso in quella luce.

Lea si aggrappò a lui, le mani strette alla sua giacca erano quelle di un bambino spaventato.

Ormai l’aria era gelida, il respiro si condensava in nuvolette bianche, il cielo però rimaneva terso, e le stelle erano già tutte nelle loro tasche.

Lea si strinse ad Isa, affondando il viso nella sua spalla, aspirando a fondo il suo profumo. Si sentiva fatto di cristallo sporco, non scintillante, non perfetto, ma irregolare e pronto a sgretolarsi.

Isa gli accarezzò la schiena, le spalle, le braccia, come per esorcizzare il male che aveva dentro, che lo stava lentamente spegnendo. Non poteva vederlo, non poteva sapere cosa gli stava facendo, in che modo lo stava uccidendo, così come non poteva sapere quale delle migliaia di stelle che brillavano sulle loro teste era solo luce morta.

« Fino alla fine? » mormorò ad un tratto Lea, la voce ovattata, il viso e le labbra premute contro il collo di Isa.

« Fino alla fine. »

« E se non dovessi farcela? »

« E se ce la facessi? »

« Ho paura. »

Isa lo strinse, di più, sperando che alla fine la pressione li avrebbe fusi insieme, così da potergli fare sentire che anche lui aveva paura, una paura folle, perché non era abbastanza forte da riuscire a dirlo.

« E se… » tentò ancora Lea, ma Isa gli impedì di andare oltre: gli sollevò il viso per il mento e affondò le labbra nelle sue.

E se il mondo dovesse finire, ti amerò comunque oltre, e se anche dovessi sparire, ti amerò fino alla mia morte.

Lea non aggiunse altro, non ci provò neanche quando si separò da Isa, tornò semplicemente a poggiarsi a lui, in silenzio, a contemplare il cielo.

Rimasero immobili abbracciati finché all’orizzonte il nero della notte non cominciò a sfumare nel rosa chiaro dell’alba, finché Lea non fu l’unica stella rimasta, e Isa l’unica persona a guardarla.



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The Corner 

Lo so, è praticamente passato un mese dal 31 di Ottobre, però ci tenero a finire questo progetto, quindi...ecco qui l'ultima shot del Writober. Il merito di questa shot è tutto della mia Musa (così come ogni cosa che faccio, mi pare ovvio), ma lei ci teneva particolarmente quindi...ho concluso solo per te, me ne devi una! 

Chii
   
 
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