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Autore: Kuro Nekomiya    02/12/2018    10 recensioni
Il ragazzo smise di trattenere il respiro e si rilassò, abbandonandosi mollemente su una delle sedie poste di fronte alla scrivania.
Vi ci affondò la schiena e posizionò gli avambracci sopra i braccioli, tirando un forte sospiro.
Sapeva fosse una follia.
Sapeva che quel messaggio non l’avrebbe mai raggiunta.
Eppure...
Quella necessità, quella nostalgia che gli stavano avvelenando l’anima...dovevano pur voler dire qualcosa.
***
Dopo qualche attimo, il treno sfrecciò velocemente nei dintorni del quartiere Bunkyo e il maestoso Tokyo Dome fece capolino tra gli edifici della città. [...] Rimase in silenzio ad osservare il grande edificio, concentrandosi in maniera spasmodica sui riflessi di luce che s’irradiavano fin lì dalle parti metalliche della struttura esterna, e sull’imponente insegna che ne recava il nome sulla facciata frontale.
Cos’era...quella sensazione assurda di nausea allo stomaco che sentiva?
Genere: Angst, Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Purin Fon/Paddy, Taruto Ikisatashi/Tart
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La Teoria delle Bolle*.






 
Pianeta Terra, Gennaio 2010.




La luna era piena, quella sera.
Ogni volta che la vedeva rimaneva ad osservarla per ore, stregato dalla sua misteriosa eleganza.
Non lo aveva mai detto a nessuno, ma da tempo, specie a notte fonda, sgattaiolava fuori dai tunnel e dai laboratori sotterranei per gironzolare tra le verdi foreste di pini vicine alla loro base.
Si strinse con più insistenza nel largo cappotto di camoscio che gli avevano prestato gli umani e sfregò le mani tra loro, per generare più calore.
Fece scorrere lo sguardo più in basso, seguendo con estrema lentezza la linea dell’orizzonte, lì dove il cielo dava spazio alla terra e alla superficie del lago, incastonato tra rilievi collinari e montuosi come una pietra preziosa.
Gli umani lo chiamavano Motosuko** ed era il più profondo di un gruppo di cinque laghi posti a sud-ovest dell’intero conglomerato distrettuale di Tokyo, parecchio lontano dal centro della città dove, anni fa, aveva lottato contro le Mew Mew.
Lanciò nuovamente lo sguardo al pallido astro luminoso che troneggiava nel cielo, spaziando con gli occhi sulla volta celeste limpida e scura.
Era bello poter rimanere lì, in quel silenzio così vivido e surreale, a fantasticare su una realtà diversa.
Una realtà più serena, più facile…
Una realtà dove il cielo fosse sgombro dalle fortezze volanti di Deep Blue.
Sette anni fa, a seguito del loro approdo sul pianeta azzurro, Deep Blue, loro Signore e padrone, ottenne il suo completo risveglio.
In seguito, egli comprese che la Mew Aqua originale, il Cristallo che avevano così a lungo cercato, non era altri che nel suo corpo.
Non appena scopertolo, come era evidente, ne attinse i poteri.
Fu una carneficina.
Le Mew Mew, ragazzine frutto della mutazione genetica di Ryou Shirogane e combattenti della prima linea dell’intera umanità, strenue avversarie dei loro tentativi di conquista della Terra, non furono in grado di sconfiggerlo.
Le aveva viste morire come mosche.
Una per una.
Dopo essersi sbarazzato di loro, per Deep Blue fu un gioco da ragazzi.
Fece riemergere dagli abissi del pianeta, grazie agli immensi poteri del Cristallo, una serie di numerose fortezze volanti, identiche a quella che aveva fatto comparire a Tokyo nel corso delle battute finali della guerra.
Si trattava di strutture altamente tecnologiche, provenienti da tempi ormai perduti della loro civiltà.
A primo impatto potevano dare l’impressione di essere solamente delle navicelle spaziali, ma in realtà nascondevano uno scopo ben più letale e pericoloso.
Erano armi.
Armi di distruzione di massa per la precisione, grazie alle quali era possibile azionare il potere della Mew Aqua originale ed utilizzarne la forza distruttiva per dominare intere popolazioni con il terrore.
Grazie al rinnovato ritorno alla sua forma completa, Deep Blue fu in grado di richiamare l’intero popolo dal loro pianeta, compreso l’esercito.
In pochi mesi, gli umani vennero messi in ginocchio e dovettero arrendersi al volere del loro nuovo Signore.
Tutto ciò accadde ormai sette anni fa.
Ma chissà da quanti secoli Deep Blue stava cogitando su questo piano meschino ed immondo.
Come avevano potuto non accorgersene?
Quanto erano stati sciocchi.
Ma il più sciocco di tutti era stato proprio lui.
Quando giunse sulla Terra non era che un bambino egocentrico ed immaturo.
Non aveva idea di che cosa fosse la guerra, né la violenza.
Per lui, quello con le Mew Mew non era altro che un gioco idiota fondato su di una supremazia fittizia, quella che si raccontava tra sé e sé alla fine di ogni giornata, dopo aver subito l’ennesima sconfitta.
L’ennesimo smacco in pieno volto.
Il primo tra loro ad accorgersi delle losche macchinazioni di Deep Blue fu Kisshu.
Al suo ricordo, gli occhi gli si inumidirono di pianto.
Si strofinò con forza la manica del cappotto sul viso, nel tentativo di asciugare le gocce salate scivolate sulle guance. Mandò giù un groppo di saliva e strinse di più le ginocchia al petto, proteggendosi dall’ennesima folata di vento fresco che gli sferzò addosso.
Nonostante ai tempi non fosse riuscito ad ammetterlo, lo ammirava davvero tanto.
Avrebbe voluto essere arguto e coraggioso almeno la metà di lui…
Era un vero leone, uno che credeva davvero nelle sue azioni e nelle sue idee…
Morì poche ore dopo il risveglio di Deep Blue.
D’altronde, quello stronzo non aspettava altro che ucciderlo…
Aveva dimostrato numerose volte un certo risentimento nei confonti di quel sottoposto ribelle, insofferente alle sue direttive.
Un risentimento reciproco, che Kisshu pagò con la vita.
E lui, invece?
Non poté fare niente.
Perché non aveva idea di che cosa fosse la guerra, né la violenza.
E aveva scoperto che non gli piaceva.
Così, nel mezzo della confusione della battaglia, aveva disertato.
Una scelta di cui non andava in nessun modo fiero e che preferiva di gran lunga non raccontare in giro.
Col tempo, però, aveva accettato i risicati lati positivi di quell’azione: aveva imparato qualcosa di nuovo su sé stesso e aveva capito da che parte stare.
Pai fu decisamente l’ultimo a cambiare barricata.
Dopo il risveglio avvenuto di Deep Blue, che aveva fedelmente seguito per mesi, non fu più lo stesso.
Nonostante fosse un evento atteso da lungo tempo, aveva forse compreso che c’era qualcosa di profondamente sbagliato in quella guerra.
Era forse colui che, tra tutti, si era più atrocemente violentato per fingersi un altro, per continuare a ricoprire il ruolo di braccio destro, di esecutore di Dio…
Dopo aver eliminato le Mew Mew, Deep Blue non si curò più di lui e Pai rimase quasi ucciso negli scontri.
Riuscì a salvarlo in extremis e a darsi alla macchia insieme a lui, ormai prigionieri sulla Terra. Fino a che Shirogane, l’ideatore del Mew Project miracolosamente salvatosi, si mise in contatto con loro e insieme s’accordarono per mettere in atto un nuovo piano.
Da quello sparuto gruppetto di poveracci formatosi sette anni fa erano via via cresciuti, costruendo una rete segreta di resistenza il cui scopo era quello di trovare il modo per rendere innocui i poteri distruttivi della Mew Aqua.
La cellula ribelle aveva le sue basi nel sottosuolo, lontana dall’area di Tokyo, blindata e messa a ferro e fuoco dall’esercito alieno, e contava tra le sue fila sia alieni che esseri umani.
A quella considerazione un sorriso malinconico s’abbozzò appena sulle sue labbra, e un tenero ricordo riaffiorò alla mente.
«Noi due siamo amici!»
Lo diceva in occasione di ogni loro incontro, con l’entusiasmo dei suoi dieci anni e quella vocina così tremendamente acuta.
Strana ironia che le due razze che si erano giurate guerra si ritrovassero ora a collaborare in nome della libertà e di un futuro migliore.
«Tu ne saresti contenta, vero?» Mormorò l’alieno dai capelli ramati.
Purin…
Purin era morta.
Eppure ricorreva incessantemente nei suoi ricordi, nei suoi sogni…
Tormentandolo lentamente, prosciugandolo…
Non aveva potuto fare niente per salvarla.
E anche se ne era estremamente convinto, non riusciva ad accettare la sua inettitudine…
Non riusciva ad accettare di averla persa per sempre.
Di averla condannata per sempre quel giorno, quando mise per la prima volta piede sul pianeta degli umani…
Carico delle ingenuità sue e della sua gente.
Ingenuità calpestate da quello che aveva preteso essere il loro Salvatore e liberatore…
Aveva sempre più bisogno di evadere da quella soffocante realtà, quella realtà in cui Purin non era potuta crescere serena e felice come avrebbe meritato.
Quella realtà in cui Purin non c’era più.
Taruto sospirò e scrollò le spalle, scacciandosi di dosso tutti quei tremendi pensieri di autobiasimo.
Erano inutili alla sua missione...
Scattò in piedi e diede un ultimo, deciso sguardo alla luna, prima di infilarsi nel folto della pineta e ripercorrere a ritroso il percorso che lo aveva condotto fino a lì.
Aveva un’idea folle per la testa, e si era convinto una volta per tutte che quella fosse la serata perfetta per realizzarla.




 
***    




Si fece rigirare tra le mani la piccola capsula di rame e, servendosi di un minuscolo scalpello appuntito, incise con molta attenzione un caramella stilizzata sulla sua superficie.
«Ecco fatto...» Mormorò l’alieno tra sé e sé, tutto intento a delineare l’ultimo tratto dell’involucro in plastica del dolciume.
Concluso il suo lavoro, mise a contatto la capsula con un sensore piatto posto sulla scrivania e collegato al computer tramite cavo usb.
Grazie a quell’aggeggio era riuscito a registrare all’interno di quel pezzetto di metallo un messaggio vocale, che con un po’ di fortuna si sarebbe diffuso nello spazio*.
«Se Pai sa che sono qui mi ammazza...» Constatò, facendo scorrere il dito indice sulla piattaforma del mouse e facendo muovere il cursore fino al tasto play.
Cliccò, e dalle casse ai lati del pc si diffuse la sua voce a bassissimo volume.

Ciao Purin.
Come stai?
Sono Taruto. Ti ricordi di me?


L’alieno dai capelli rossastri rimase in silenzio e ascoltò il messaggio dall’inizio alla fine, con il cuore in gola.
Di tanto in tanto, si mordicchiava il labbro inferiore, nervoso.
Dopo essersi assicurato del contenuto della capsula, la rimosse dal sensore e la infilò in un macchinario alto e stretto, a ridosso del lato destro della scrivania sulla quale si trovavano i computer di lavoro del laboratorio.
Premette un paio di tasti posti sul display e selezionò l’attivazione della rampa di lancio. Questa, nascosta all’interno di un tubo trasparente, aveva origine dal lato superiore del lanciatore, il macchinario di cui sopra, e penetrava nel terreno soprastante fino a raggiungere il suolo all’altitudine di zero metri sul livello del mare.
Il suo scopo era quello di lanciare oggetti dai laboratori sotterranei a precisi punti della superficie o dello spazio.
Taruto settò infine la misura dell’energia da imprimere all’oggetto e selezionò le coordinate: un punto casuale all’interno del Sistema Solare.
Esitò qualche attimo, durante i quali ricontrollò agitato tutti i dati, facendoli velocemente passare sotto la sua supervisione, e infine premette il pulsante di avvio.
Il lanciatore fece il minimo rumore prima di far schizzare la capsula fuori dal laboratorio nel giro di brevissimi secondi.
A quel punto, il ragazzo smise di trattenere il respiro e si rilassò, abbandonandosi mollemente su una delle sedie poste di fronte alla scrivania.
Vi ci affondò la schiena e posizionò gli avambracci sopra i braccioli, tirando un forte sospiro.
Sapeva fosse una follia.
Sapeva che quel messaggio non l’avrebbe mai raggiunta.
Purin era morta
Eppure...
Quella necessità così forte...quella nostalgia che gli stavano avvelenando l’anima, in quella fredda serata d’inverno...dovevano pur voler dire qualcosa.
E lui ci voleva credere.
«Chissà che non ti ricordi ancora di me...» Disse sottovoce, con tono incredibilmente dolce, rimanendo a fissare l’asettico e oscuro soffitto della galleria.




 
 ***



 
Pianeta Terra, Gennaio 2010.




«Purin Ring Inferno!» Esclamò la ragazzina, e una strana creatura a forma di cactus rimase imprigionata all’interno di una sostanza gelatinosa, simile ad un budino.
MewPurin sorrise e, con la spinta di una molla, eseguì un balzo altissimo, pronta a dare il colpo di grazia al nemico.
«Sei finito!» Gridò in sua direzione, prima di piombargli addosso in picchiata con un calcio volante.
A seguito di quella mossa micidiale il budino si polverizzò in una pioggia di luce e il Chimero sparì a sua volta, senza lasciare traccia.
La Mew gialla riatterrò al suolo senza alcun danno ed esultò, lanciando le braccia al cielo e scatenandosi in una danza della vittoria.
«HO VINTO!» Dichiarò euforica, correndo qua e là come una scimmietta impazzita, prima che tutto si facesse ovattato.
Una melodia che aveva già sentito varie volte risuonò nelle sue orecchie…
...
Aprì piano gli occhi, cercando di mettere a fuoco il luogo in cui si trovava.
Riconobbe in pochi attimi il soffitto della sua stanza e l’acuto squillare della sveglia del suo cellulare, sul comodino a sinistra del letto.
La ragazza se ne lamentò con uno sbadiglio, prima di afferrare l’apparecchio tra le mani e pigiare sull’icona dello swap per mettere fine alla suoneria.
Lanciò un’occhiata all’orologio. Segnava le 6.45 in punto, prova definitiva che non poteva più starsene lì a dormire a che doveva assolutamente trascinarsi fuori dal letto.
«Che sogno assurdo...» Commentò poi con voce impastata, prima di alzarsi a sedere e stiracchiarsi la schiena energicamente.
Portò le gambe sulla sponda laterale del letto e infilò i piedi nelle pantofole, non senza lamentarsi della gelida temperatura fuori dalle sue coperte.
Raggiunse l’ampia finestra posta sulla parete est della stanza e tirò le tende, scoprendo un tiepido, timido sole all’orizzonte che spuntava da sotto alcune nuvole.
Purin sorrise soddisfatta a quella vista ed uscì dalla stanza, diretta verso il bagno.




 
***




Solo mezz’ora dopo era già pronta per uscire di casa.
Col cappottino infilato e la morbida sciarpa avvolta attorno al collo, prese il mazzo di chiavi posto sul mobiletto di fronte alla porta d’entrata. Individuò tra di esse la chiave che le serviva e la inserì nella toppa, facendovela girare dentro con un gesto deciso.
La serratura scattò in un attimo e lei aprì appena l’uscio.
«Heicha-chan, vedi di sbrigarti anche tu ad andare a scuola!» Raccomandò la giovane biondina alla sorella minore, voltandosi in direzione della cucina in attesa di un suo feedback.
«D’accordo…!» Sentì mugugnare la ragazzina dopo pochi secondi, con voce evidentemente assonnata.
La sorella più grande sorrise e aprì del tutto la porta, uscendo di casa.
Percorse il vialetto a grandi passi e spalancò il cancelletto esterno, canticchiando allegramente a bocca chiusa.
Si tirò su il cappuccio, per coprirsi per bene le orecchie dal freddo, e oltrepassò la soglia, richiudendo l’anta di metallo con delicatezza.
Proseguì dunque di buona lena, la borsa di scuola in spalla, diretta verso la stazione della metro che l’avrebbe portata all’Istituto Superiore Ishigaki, che frequentava brillantemente da quasi tre anni.
Mancava ormai poco al diploma…**
Abbozzò un sorriso sulle labbra.
Le spiaceva abbandonare il luogo dove aveva studiato per tre anni, si era fatta tanti amici e aveva vissuto molti momenti speciali.
Tuttavia, era ancor più elettrizzata per il suo futuro: sognava di sfondare nelle arti marziali, campo in cui, nel corso dei tornei studenteschi e regionali giovanili, aveva già ricevuto numerosi riconoscimenti.
Ridacchiò felice tra sé e sé all’idea di diventare un’atleta di successo.
Alzò gli occhi al cielo, inspirando l’aria freschissima di quella mattina.
«È proprio inverno!» Commentò ad alta voce.
Fece vagare lo sguardo ancora più in alto, attirata dall’allegro ed invitante cinguettare di uccellini appollaiati su di un albero costeggiante un parcheggio.
Tuttavia, proprio in quel momento una luce aranciata in mezzo al cielo attirò la sua attenzione.
Aveva quasi la forma di una gemma ed oscillava velocemente a zig zag in mezzo alle nuvole, senza fare il minimo rumore.
Non poteva essere un aereo, né un elicottero…
«UN UFO!» Esclamò sconvolta Purin, indicandolo eccitata con l’indice di una mano.
Non appena formulò quell’ipotesi la lucetta svanì nel cielo nebbioso così com’era comparsa, senza lasciare traccia.
Sgranò gli occhi e tremò tutta, colta dall’entusiasmo.
Era la prima volta che ne vedeva uno!
«Devo dirlo subito ad Aiko ed Hana!» Dichiarò ad alta voce, prima di estrarre lo smartphone dalla tasca del cappotto.
Sbloccò lo schermo, premette con un dito sull’icona verde di Line* ed aprì la chat in prima posizione, il gruppo de Le tre raggianti scimmiette. Selezionò la tastiera in basso e cominciò a digitare.
Ma prima che potesse concludere il messaggio, l’applicazione si bloccò a metà.
Purin tormentò il display touch per alcuni secondi, senza alcun successo.
«Si è completamente impallato!» Esclamò arrabbiata.
Fece scivolare il pollice verso il basso, decisa a terminare l’applicazione una volta per tutte quando, poco prima che lo facesse, Line tornò a funzionare.
Da tutto quel premere e pigiare, però, la tastiera si mosse da sola e scrisse un assurdo quanto inquietante messaggio pronto per essere mandato.
Ti ricordi di me?
Purin lo lesse tutto d’un fiato e un intenso brivido di paura le percorse la schiena.
A seguito di tale, improvvisa ed inaspettata reazione, lasciò la presa sul suo cellulare ed indietreggiò, facendolo cadere a terra.
«Ma cosa diavolo…!» Sputò tutta allarmata, raccogliendolo immediatamente per accertarsi che non si fosse rotto.
Cos’era stata quella sensazione di poco prima?
Lei non era affato un tipo fifone ed impressionabile, eppure…
Riattivò lo schermo e riaprì l’applicazione in standby, stupendosi per la seconda volta non appena notò che quello strano, anarchico messaggio era scomparso, lasciando posto alla tastiera vuota.
«Questo cellulare si droga...» Borbottò la bionda tra sé e sé, digitando questa volta il messaggio giusto.
Dopo averlo inviato, lanciò un’occhiata rapida all’orario scritto sul display e sospirò.
7.25.
«Sarà meglio sbrigarsi!» Asserì, rimettendo il cellulare in tasca e riprendendo il cammino verso la metropolitana, questa volta di corsa.




 
***  




«Pssst! Purin-chan!» La richiamò sussurrando una voce a lei familiare, nel mezzo di tutti i passeggeri che occupavano il vagone.
Si voltò alla sua sinistra, direzione da cui aveva sentito pronunciare il suo nome, e scorse quasi immediatamente le amiche Aiko e Hana, sue compagne di classe.
La biondina sorrise loro non appena le vide, le saluto con un gesto della mano e s’infilò tra la folla, raggiungendole in un batter d’occhio.
«Allora? Che è questa storia degli ufo?» Domandò incuriosita Aiko, una ragazza molto femminile, dai lunghi capelli scuri e un paio di grandi occhi azzurri.
«Non ci crederete mai!» Esclamò lei, tutta entusiasta, «Ma sulla via della stazione ho visto questa luce in cielo...e poi improvvisamente, puff! È sparita tutta d’un colpo!» Descrisse con enfasi, gesticolando animatamente.
Alle affermazioni dell’amica, Aiko e Hana si scambiarono uno sguardo piuttosto perplesso.
«Sicura che non fosse una lanterna?» Proruppe Aiko, portandosi una mano al mento.
«Chi lancerebbe una lanterna in cielo alle sette di mattina?» Replicò Purin, aggrottando la fronte.
«Un aereo?» S’inserì più timidamente Hana, una ragazza minuta e bassa di statura dai capelli rossicci raccolti in uno chignon disordinato.
Purin scosse la testa.
«No ragazze, si muoveva in maniera stranissima, era per forza un ufo.» Concluse infine, portandosi le mani ai fianchi.
Aiko sospirò a quel gesto: quando l’amica si metteva in quella posizione, distoglierla da una qualche idea era davvero impossibile e parlarle ulteriormente sarebbe stato privo di senso.
In quel momento, la metro uscì all’esterno della galleria, percorrendo un breve tratto all’esterno della città.
Gli occhi castani di Purin vennero colpiti da luminosi raggi di sole, arricchendosi di sfumature nocciola e dorate.
Sorrise a quella vista. Le belle giornate assolate riuscivano a metterle addosso un’energia incredibile e sentiva di poter scalare la vetta del mondo.
Anche Aiko e Hana si voltarono sorprese verso i finestrini alle loro spalle, portandosi una mano agli occhi, e rimasero in silenzio ad osservare il panorama urbano di Tokyo.
Dopo qualche attimo, il treno sfrecciò velocemente nei dintorni del quartiere Bunkyo e il maestoso Tokyo Dome fece capolino tra gli edifici della città.
La ragazza dai capelli scuri saltellò esaltata a quella vista.
«Ragazze, ma ci pensate! Tra meno di un mese ci sarà il concerto dei Cyclons**. Non vedo l’ora!~» Strepitò eccitata, seguita da una Hana piuttosto felice all’idea, che le afferrava le mani e condivideva con lei il suo entusiasmo.
Purin, invece, rimase in silenzio alle loro spalle ad osservare il grande edificio, concentrandosi in maniera spasmodica sui riflessi di luce che s’irradiavano fin lì dalle parti metalliche della struttura esterna, e sull’imponente insegna che ne recava il nome sulla facciata frontale.
Cos’era...quella sensazione assurda di nausea allo stomaco che sentiva?
L’era salita un’ansia tremenda tutta di colpo, come quando aveva visto il disco volante.
S’accorse di aver trattenuto il respiro per tutto il tempo fino a quando il Dome non sparì dalla sua vista, coperto dai grattacieli circostanti. Il treno proseguì verso la galleria sotterranea, facendo ripiombare il vagone nel buio, illuminato solo dai led alimentati dalla corrente elettrica.
Già, ora si che riusciva a ricordare…
Allungò il braccio sinistro e poggiò una mano sulla spalla dell’amica Aiko, che si voltò in sua direzione.
«Ragazze...» Balbettò la ragazza dal corto caschetto biondo.
Aiko sussultò impercettibilmente, un velo di preoccupazione nello sguardo.
«Oddio Purin-chan, che succede? Sembri pallida...» Commentò, notando come la fredda luce delle lampade creasse sul viso della ragazza di fronte a lei uno strano effetto ottico che prima non aveva affatto notato.
«Ma...voi non avevate sentito di quella notizia? Mi pareva di averla letta...» Aggiunse ancora, abbassando gli occhi.
«Quale notizia, Purin-chan?» La incoraggiò Hana, lo sguardo puntato su di lei.
Purin s’inumettò le labbra, che scoprì essere stranamente asciutte, e tornò a guardarle con espressione accigliata.
«...Sul Tokyo Dome. Non era a rischio crollo?» Chiese, cercando conferma dai loro visi.
Le amiche parvero confuse.
«Rischio crollo? Oh mio Dio...non mi pare proprio, vero Hana?» Ribatté Aiko, interrogando la compagna accanto a lei.
La ragazza con lo chignon scosse la testa flebilmente.
«Già...nemmeno io ne ho sentito parlare. Sei sicura?» Asserì, domandandole conferma.
Purin rimase ammutolita per alcuni secondi, prima di tirare un sospiro.
«...No...forse avete ragione, mi sto confondendo con qualcos’altro...» Rispose lei, lasciando la presa di Aiko. Hana si portò una mano alla bocca, un risolino che le usciva dalle labbra.
«Ancora addormentata stamattina, Purin-chan?» La prese dolcemente in giro lei.
La biondina sorrise, ridacchiando nervosa, ma l’amica dai capelli mori anticipò qualunque sua battuta.
«No!» Esclamò a quel punto la studentessa, frugando energicamente nella sua borsa. «Si tratta di certo di un calo di zuccheri! Tieni, Purin-chan.» Concluse infine, estraendo una caramella tonda dalla carta rossa e porgendogliela con un grande sorriso a trentadue denti stampato in viso.
Purin ricambiò la sua allegria e l’arraffò con gioia, scartandola alla velocità della luce e infilandosela in bocca.
La fece sciogliere sulla lingua, gustandone il sapore zuccherino. Sapeva di mela e frutti rossi.
Quante ne mangiava da bambina…
Chissà come mai non le acquistava più da tempo?
Abbassò gli occhi castani e si guardò distrattamente la punta delle scarpe da tennis, che la scuola le permetteva di usare al posto dei mocassini in dotazione.
Le macchie di sporcizia sulla punta di gomma attirarono la sua attenzione per un lasso di tempo più lungo di quanto ne sarebbe mai valsa la pena.
Perchè quel giorno era così distratta?
Non era proprio da lei...eppure…
Non riusciva a farne a meno...
...
Ti ricordi di me?
All’improvviso, le tornò alla mente la strana frase che le era comparsa sulla tastiera del cellulare quasi come una voce, confusa e distorta.
S’agitò ed indietreggiò di un passo, finendo per inghiottire la caramella tutta intera.
Tossicchiò un paio di volte, aggrappandosi ad uno dei sostegni della metro, quando Aiko le prese la mano libera e la strattonò.
«Ma che fai? Vieni, dobbiamo scendere!» Disse, prima tirarla con lei verso le uscite.
Non s’era nemmeno accorta che il treno s’era fermato in stazione.




 
***




Si fece rigirare la matita tra le dita con incredibile destrezza, stando attenta a non farla cadere sul banco. Sembrava quasi un numero da circo, e invece era la prima volta che lo faceva…
Senza interruzione, da due minuti interi.
In sottofondo, la voce della professoressa di scienze riempiva l’aula al pari di una noiosa litania.
La senti parlare:
«Ebbene, i quasar, come dicevo...sono galassie lontanissime dal nostro Sistema Solare, caratterizzate da un nucleo brillantissimo e da una fortissima emissione di onde radio...» Gracchiò la donna, sistemandosi gli occhiali sul naso. «Ma nella cultura popolare sono considerate la patria degli alieni, voi lo sapete meglio di me, vero ragazzi?*» Aggiunse poi la donna, rivolgendosi allegra a loro.
La biondina ebbe un brivido a quelle parole e si distrasse irrimediabilmente, facendosi sfuggire dalle mani la matita con cui si stava gingillando.
Ma che diavolo aveva quella giornata?!
S’erano tutti fissati con gli alieni o cosa?!
Alzò lo sguardo dalla sua matita, ormai rotolata sulle pagine del libro di testo e lo posò sulla professoressa Makie, intenta a rispondere all’ennesima domanda assurda di Momiji-kun, il giullare della classe.
Questa volta, le aveva chiesto se gli alieni avessero la pelle verde e gli occhi gialli…
Purin alzò gli occhi al cielo, provando pena per l’evidente imbarazzo dell’insegnante, quando una pallina di carta le arrivò sulla guancia e ruzzolò sopra il suo banco.
L’afferrò subito e l’aprì, trovandoci dentro il disegno in super deformed di un elfo dalle orecchie lunghe, i capelli spettinati e una specie di spada laser in mano.
Si voltò verso la persona che le aveva lanciato quello scarabocchio, Aiko, seduta alla sua sinistra nel banco più vicino alla finestra e impalata a fissarla con sorriso divertito.
Purin la guardò interrogativamente, come a chiederle che cosa significasse il suo disegno, e l’amica s’abbassò un poco sul banco, coprendosi la bocca con una mano.
«È un alieno!» Sussurrò.
«Anche tu?!» Le chiese Purin sottovoce.
Lei replicò subito: «Sei tu che hai cominciato con ‘sta storia degli alieni, stamattina!»
La compagna col caschetto biondo non seppe cosa rispondere, e a quel punto Aiko lanciò uno sguardo d’intesa all’amica Hana, seduta alla destra di Purin e che le fissava entrambe cercando di capire cosa si stessero dicendo.
«Piu tardi andiamo alla nuova caffetteria che ha aperto vicino alla stazione?» Propose la mora, cambiando totalmente discorso.
«Quale caffetteria?» Domandò Purin, ignara.
«Parli del Caffé Mew Mew?» S’inserì allora Hana, spalmandosi sul suo banco per non farsi vedere dalla professoressa.
Aiko annuì energicamente con la testa.
«Dicono che fanno dei dolci spettacolari!» Commentò lei.
Purin si sorresse il mento con il dorso della mano, rimanendo per un attimo in silenzio.
Aiko era la più modaiola tra loro e sapeva sempre tutto di qualunque novità possibile ed inimmaginabile.
Chissà come faceva ad essere sempre così informata…
«Non l’ho mai sentito...» Replicò a quel punto la biondina.
«Allora ci andiamo!» Rispose la ragazza coi capelli lunghi facendole l’occhiolino.
Purin sorrise. «Oggi non ho il club, quindi...d’accordo. Ci sto!»



 

***  




Si soffermò per l’ennesima volta sui dettagli delle colonne a sostegno del locale, percorrendo con lo sguardo le linee sinuose della cupola e le pareti di colori allegri e variopinti.
Con quel nome aveva creduto fosse un cat café**, e invece si trattava di un maid café in piena regola, con tanto di cameriere vestite di pizzi e merletti.
Si guardò attorno. Erano le cinque del pomeriggio e quella doveva essere l’ora di punta: il locale era stracolmo di gente, per lo più studentesse, coppiette e qualche sporadico gruppo di amiche un po’ più grandicelle ed appena uscite dal lavoro, sedute a prendersi un té o una bevanda calda e parlando del più e del meno.
Fissò Aiko ed Hana, sedute di fronte a lei.
Anche loro discorrevano in maniera concitata di argomenti che non aveva del tutto afferrato.
Abbassò lo sguardo sulle sue ginocchia e si strinse nelle gambe, come se se ne vergognasse.
Non riusciva a spiccicare una parola, quel giorno.
Eppure era una tale casinista e chiacchierona...

Si sentiva davvero strana...come chiusa in una palla di vetro piena d’acqua.
Il mondo le arrivava ovattato, confuso, le sue percezioni erano rallentate...e lei si sentiva impotente, incapace di assorbire gli stimoli del mondo esterno.
Forse le ci voleva una bella dormita e sarebbe tornata come nuova.
Un break per ricaricare le energie e ritornare alla carica…
«Le vostre bevande, prego!» Esclamò con voce squillante la stessa cameriera che si era occupata delle loro ordinazioni, avvicinandosi al loro tavolo.
Aveva un grazioso caschetto di capelli rossi e un bel sorriso, allegro e cordiale, le decorava il volto.
Purin abbozzò un mezzo sorriso, facendosene contagiare, poi l’osservò in silenzio.
Con una mano sorreggeva un grande vassoio tondo. L’abbassò verso di loro per poggiare sul loro tavolino una tazza di cioccolata alla gianduia per Hana e una teiera per lei ed Aiko, contenente un delicato thé di rose che l’amica dai capelli scuri aveva voluto assolutamente provare.
«Vi posso lasciare anche questi pasticcini come entrée? Offre la casa.» Affermò ancora la ragazza, mettendo al centro un piatto con quattro piccole paste.
Le amiche rimasero piacevolmente sorprese da quell’omaggio e vi s’avvicinarono con occhi pieni di luce.
«Sono delle tart!» Esclamò ammirata Hana.
«Delle tart?» Domandò Purin, osservando i dolcetti.
Si trattava di piccole crostate composte da una base in pastafrolla e una farcitura di crema pasticcera, frutta e gelatina.
«Pancia mia fatti capanna!» Proruppe Aiko, fiondandosi sulla tart con le fragole.
Se la mise in bocca in un sol boccone e la masticò lentamente, estasiata.
«È buona da piangere!» Commentò, ancora a bocca piena.
L’amica dai capelli rossicci prese allora la crostata con il kiwi.
Contrariamente alla compagna, ne assaggiò un piccolo boccone e lo fece sciogliere sulla lingua, sorridendo soddisfatta.
«Sono ottimi!» Disse, condividendo l’opinione di Aiko.
Quest’ultima puntò il suo sguardo su Purin.
«Tu non ne prendi?» Le chiese, indicando il piatto davanti a loro.
Purin sbatté gli occhi e scrollò le spalle, concentrandosi sulle…tart poste sul tavolo.
Ne era rimasta una con noce e pistacchi, immersi assieme nella gelatina, e una con uno spicchio di banana e un ricciolo di vaniglia.
Scelse per istinto quest’ultima e se la portò alle labbra, dandovi un morso.
Si fece rigirare pastafrolla e frutta in bocca, gustandoselo piano.
Era davvero buono…
Mangiò il pezzetto restante della crostata, focalizzando la sua attenzione sul sapore, quando all’improvviso…
Si coprì la bocca d’istinto, continuando a masticare in silenzio.
Era un sapore così familiare, così caldo e nostalgico…
Le ricordava qualcosa che non riusciva nemmeno a definire, di tempi che sentiva così distanti e lontani...
Tempi che quasi non ricordava d’aver vissuto...
Tempi di quando era un’eroina...
Un’...eroina?
«Ta...ruto...» Si fece sfuggire dalle labbra.
Una sensazione di bruciore la colpì agli occhi come fiamma viva e il suo cuore prese a battere ad un ritmo nuovo, come se fosse tornato all’improvviso da un’aldilà sconosciuto.
Un’aldilà in cui c’era…
«Emh...è vero che ho detto che sono buoni da piangere, ma...» Cominciò Aiko, guardandola con apprensione mista a divertimento. «...Non intendevo in senso...come dire...letterale...» Concluse.
«...Eh?» Domandò confusa Purin, sfiorandosi la guancia destra con una mano.
Era rigata da lacrime leggere e silenziose…
Lacrime che non riusciva in alcun modo a fermare, come se volessero riempire anni luce di vuoto...
Fremette.
Le veniva da piangere…le veniva da piangere in una maniera atroce, e non sapeva nemmeno perché.
«S..scusatemi!» Balbettò la bionda, tentando maldestramente di asciugarsi gli occhi. «Vado un momento in bagno!» Le avvertì poi, alzandosi di scatto e lanciandosi velocemente verso la porta della toilette del locale.
L’aprì energicamente, in gran fretta e la richiuse dietro di sé, appoggiandovi nervosamente la schiena.
Perché aveva reminescenze di quel volto…?
Non riusciva a vedere nient’altro, nella sua testa…
Il volto di un ragazzino dagli occhi dorati e le orecchie elfiche, tremendamente simile a quello che Aiko aveva disegnato in classe su quel foglietto stropicciato.
Si portò una mano al viso e si guardò attorno, confusamente.
La toilette era vuota...una vera fortuna.
Non le piaceva affatto piangere...soprattutto davanti agli altri.
Deglutì, cercando di calmare i singhiozzi, eppure…
Si sentiva talmente irrequieta...non ci capiva più niente.
Quelle immagini, quel volto…
Diventavano via via più nitide.
Riusciva a delineare la linea del suo naso a patata, le pagliuzze giallo citrino nei suoi occhi dorati, la fossetta sulla guancia, il sorriso sghembo che le pareva di conoscere da sempre, e quei canini appuntiti che sbucavano dalle labbra…
Sentì una stretta al cuore.
Lo ricordava come se fosse ieri…
Quell’alieno l’aveva intrappolata sotto al Tokyo Dome.
E a causa di quei grossi Chimeri insetto rischiava di crollare tutta la struttura, ma…
Lui ci aveva ripensato e l’aveva salvata.
Aveva salvato tutti…
Lei era MewPurin, una supereroina.
Taruto era il suo...
La ragazza si tenne la testa tra le mani e s’accorse della sua immagine riflessa nello specchio di fianco a lei, posto di fronte ai lavandini della toilette.
Occhi rossi, espressione sconvolta e spaventata...
Aveva un aspetto orribile.
Rimase a fissarsi, scossa e senza parole, quando una voce che le suonava familiare le arrivò quasi come una vibrazione, dritta ai timpani, facendole girare ancor di più la testa.
Era un messaggio.


 
Ciao Purin.
Come stai?
Sono Taruto. Ti ricordi di me?
Io non riesco a dimenticarti.
I momenti che ho passato con te sono stati brevi ed evanescenti, tanto che...ho paura volino via per sempre.
Quanto sono sciocco, eh?
...
Vorrei che fossi ancora qui…
Vorrei guardarti negli occhi castani, soffermarmi sul tuo bel sorriso...e sentire la tua voce.
E pensare che quando ero bambino mi stavi pure un po’ antipatica!
Chissà come sarebbe finita se fossi stato meno stupido, se non fosse andata a finire così...
Magari sarei qui ad abbracciarti.
Magari ti bacerei…
Beh, dubito che questo messaggio ti raggiungerà mai...anche se un po’ ci spero.
Forse è per questo che non sto morendo di vergogna nell’ammettere tutte ‘ste cose!
...
Beh..
Ovunque tu sia, spero che tu sia felice.
Mi manchi…
Con affetto, Tuo...Taruto.
 

La ragazza tese le orecchie e restò ad ascoltare fino all’ultima parola, boccheggiando.
Non era possibile. Non poteva essere possibile…
Si lasciò cadere a terra, in ginocchio.
Il suo sguardo, rabbuiato e triste, si concentrò distrattamente sulle piastrelle bianco latte del pavimento, mentre si portava le dita alla bocca.
Cominciò a mordicchiarsi le unghie, nervosa.
Non potevano incontrarsi. Non si sarebbero incontrati mai più.
Ma perché stava così male per uno che non aveva mai visto?
Perché sentiva quel groppo allo stomaco?
Ti ricordi di me?
Riecheggiò nella sua testa.
Purin serrò le labbra socchiuse.
Rimembrava una voce diversa, più acuta ed immatura...ma era senz’altro la sua.
Quale crudeltà era quella, quale tortura?
Perché l’aveva costretta a ricordare?
La Purin che cercava non era lei…
Eppure le sembrava così reale
Non poteva essere finzione, magia, illusione...non voleva crederci.
«Taruto...anche tu mi manchi.» Piagnucolò, tirando su con il naso.
«Dove sei?» Soffiò infine, stringendosi nelle braccia.
Nessuno rispose.
Era sola.









 
***
Note~

* La Teoria delle Bolle o Teoria dell’Universo a Bolle, è una teoria basata sulla fisica quantistica, la quale ipotizza l’esistenza di più Universi (forse infiniti) affiancati gli uni agli altri come una sorta di bolle.
Essendo che sono una pippa in fisica (figuriamoci la quantistica), questo è il massimo che vi posso riassumere. Se siete curiosi/e al riguardo, vi invito a spulciare Google.
** Il Motosuko o Lago Motosu è un lago della Regione dei cinque Laghi situata nella prefettura di Yamanashi, ai piedi del Monte Fuji.
* La capsula è molto liberamente ispirata al Voyager Golden Record, un disco lanciato nello spazio nel 1977 a bordo delle sonde Voyager, sul quale sono stati incisi immagini, suoni e musiche che testimonino l’esistenza di buona parte della cultura umana a qualunque civiltà aliena o umana del futuro che la ritrovi.
Gli studiosi affermano che, visto l’immensità dello spazio, le probabilità questo reperto venga ritrovato sono remotissime, ma...questa è un’opera di finzione, fatemi sognare plis.
** Facendo un breve calcolo sulle età della serie e sulla sua durata (che viene misurata in circa un anno), ne risulta che:
All’inizio della serie, ossia circa Aprile 2002, Purin ha 10 anni compiuti, 11 da compiere in Agosto;
Alla fine della serie, circa Marzo 2003, Purin ha 11 anni compiuti, 12 da compiere in Agosto;
Nel Gennaio 2010, Purin ha 18 anni compiuti, 19 da compiere in Agosto :)
Essendo che la scuola giapponese comincia ad Aprile e termina a Marzo, mancano due mesi al diploma.  
* Line è un’app di messaggistica del tutto simile a Whatsapp o Telegram. Beh, sappiate che in Giappone e in gran parte dell’Estremo Oriente, si usa Line, non Whatsapp :)
** Emh si, ho usato il nome americano degli alieni dato dalla 4Kids, i Cyclons, per crearci il nome di una boyband JPop, spero mi perdonerete xD
* Voi ridete e scherzate, ma ‘sta battuta la disse veramente la mia prof di Scienze della Terra quando spiegò i quasar al liceo...xD
** I Cat café o Neko café, come dice il nome stesso, sono locali in cui, pagando una certa tariffa, è possibile accarezzare o giocare con i gatti offerti dalla struttura. Esistono anche vere e proprie caffetterie con queste caratteristiche.
Sono parecchio popolari in Giappone ed è possibile vederli anche in alcuni Anime (il primo esempio che mi salta alla mente al momento è quello che si vede ne La Forma della Voce, che tralaltro vi consiglio di vedere se non lo conoscete xD)





 

Note dell’Autrice~

Ciao a tutti/e ★
Prima di parlare di questa OS, volevo ringraziarvi per aver letto fino a qui :)
Spero che l’abbiate apprezzata! Per quanto riguarda me, si trattava di un esperimento. È la prima volta che scrivo una storia dal pov di Purin e di Taruto e, in generale, una storia vagamente Tarurin, quindi mi auguro di aver fatto un buon lavoro :)
Mi piace il risultato finale, specie perché mi ha permesso di creare un world building fantascientifico distopico. Progetto di scrivere ancora qualcosa di simile in futuro, nel fandom e al di fuori di qui. Se vi piacciono queste cose, sarò lieta di essere al vostro servizio xD
Non so se tutti/e lo avete capito, ma i due protagonisti, Purin e Taruto, fanno parte di due timeline e/o dimensioni diverse, ma parallele (un classico!).
Nel corso della narrazione le due dimensioni si sfiorano tra loro per pochi minuti, permettendo al messaggio di Taruto di essere consegnato a destinazione (in maniera molto poco scientifica, ma fatemi sognare plis).
Nella timeline di Taruto Deep Blue ha vinto la guerra, mentre in quella di Purin gli alieni non sono mai sbarcati sulla Terra, lei non è mai diventata una Mew Mew e così via.
Si vede però che qualche simpaticone ha comunque voluto mettere su un Caffé Mew Mew senza Project xD
Se vi era già chiaro Alleluja, se non vi era chiaro...adesso lo sarà xD
Sono una patita del concetto di timeline e/o realtà alternative, queste cose mi sturbano in maniera inverosimile.
Last but not least :)
Questa OS è dedicata ad una persona, mia carissima amica e compagna di merende, disagi, dolori e gioie.
Si, sei tu MewLeemoon
Tanti auguriiii~
Spero che sia piaciuta anche a te xD
Mi farete un grande piacere se dedicherete una poco del vostro tempo per farmi sapere che ne pensate di ‘sto esperimento...  
A bientôt stelline~★
  
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