Capitolo 3
Del prezzo di una maledizione
So some say love is a burning thing
That it makes a fiery ring
All that I know love as a caging
thing
Just a killer come to call from
some awful dream
And all you folks, you come to see
You just to stand there in the
glass looking at me
But my heart is wild, and my bones
are steel
And I could kill you with my bare
hands if I was free
(Phosphorescent, A song for Zula)
La neve si
sciolse e venne la
primavera. Il bosco attorno alla tomba del dio degli inganni
tornò a tingersi
dell’incantevole sfumatura blu dei giacinti. Trascorsero le
settimane, i mesi.
Le foglie appassirono e caddero dai rami e Hallerbos divenne scarlatta
e
dorata. Infine, come sempre, calarono dal freddo e profondo nord i
venti gelidi
dell’inverno e la neve imbiancò di nuovo ogni
cosa.
“Avresti
potuto almeno tentare di
spezzare la maledizione. Nostro padre ti punì per la tua
arroganza e per il disprezzo
che mostrasti verso gli abitanti di questo mondo. Quel tempo, forse,
è passato.”
Thor posò una cassa di libri d’ogni genere e sorta
sul tavolo perennemente
ingombro di carte, compassi e astrolabi del dio degli inganni.
Loki
ghignò. Con le mani incrociate
dietro la schiena, fissava i fiocchi bianchi che danzavano mossi appena
dal
vento, la mente persa in un ricordo che il susseguirsi delle stagioni
non
poteva rendere lontano. “Ritieni che possa apprezzare le mie
ultime azioni?”
L’altro
dio sospirò passandosi una
mano tra i capelli chiari. “La sua intenzione non
è mai stata vendicarsi di te,
ma farti rinsavire e punire la tua arroganza. Lo sai.”
“Punire
e vendicare hanno significati
assai simili,” fu la replica asciutta
dell’ingannatore. “Ma non m’importa
– non
mi è mai importato – cercare un intento salvifico
nelle azioni ambigue del dio
delle forche. L’ho tradito e non me ne pento. L’ho
ripagato con la stessa
moneta,” rispose vibrante e altero com’era sempre
stato.
Thor
notò che la postura fiera del
fratello nascondeva una tensione e una rigidità inconsuete.
Non volle indagare
oltre sul fremito che scuoteva il dio degli inganni svelando la furia
che
ancora lo corrodeva, né sull’ombra scura che gli
velava lo sguardo. Andò via
dalla gabbia circondata di rune con più domande che
risposte, come sempre era
successo negli ultimi mille anni, ma stavolta un dubbio in
più gli punse il
cuore. Si chiese come mai il recinto in cui era costretto Loki
funzionasse nonostante tutto; cosa
mancasse, ancora,
perché la maledizione fosse definitivamente spezzata. Per
molti anni,
l’ingannatore si era arrovellato nel tentativo di comprendere
il senso di una
punizione doppiamente orrenda, perché ritenuta oscura come
una sciarada e
ingiusta. Era stato per tentare di liberarsi, che aveva deciso di
dedicarsi
all’ambizioso progetto di creare una biblioteca che
contenesse tutti i volumi
di Midgard e dei Nove Regni. Thor, come sempre, si era lasciato
incantare dalle
sue teorie e lo aveva aiutato, reperendo per lui i testi e i libri che
l’altro
non poteva materialmente trovare. Da diversi decenni –
secoli, forse – il
tonante si era convinto che Loki sapesse esattamente cosa dovesse fare
per
liberarsi, ma che non fosse disposto a pagarne il prezzo. Tentare di
spezzare la
maledizione probabilmente era troppo rischioso, inutile e crudele
persino per
l’insolente e astuto dio degli inganni. Mentre affondava con
gli stivali nella
neve allontanandosi quel tanto che bastava affinché suo
fratello non vedesse il
portale per Asgard aprirsi davanti ai suoi occhi, gli tornò
in mente che Loki
gli aveva curiosamente chiesto notizie e informazioni sul mondo degli
Æsir.
Cosa mai fatta prima e celata abilmente sotto un finto disinteresse
volto a
mascherare qualcos’altro: dov’era andato a finire
lo specchio incantato, dono
di Frigga, che aveva permesso al dio degli inganni di vedere ogni
luogo,
persona o volto, nei Nove Regni tutti?
Affacciato alla
finestra, Loki vide
Thor andare via, ma non provò rimpianto per la solitudine in
cui era appena
precipitato. Lo invidiò, piuttosto. Una volta di
più, provò rancore per la
libertà che gli era stata negata e di cui era assetato da
troppi secoli. Eppure,
quel pensiero tremendo era destinato a svanire in fretta dalla sua
mente – o
meglio, ad essere momentaneamente archiviato –
perché qualcun altro varcò il
cerchio maledetto di rune. Lo avvertì l’onda di
seiðr che si sprigionò durante
l’inopportuna violazione, lo confermò
l’ululato rabbioso di Fenrir. Loki uscì
nella neve. Feroci raffiche di vento si erano alzate portando con
sé l’annuncio
di un’imminente tormenta. Avanzò nel candore
irreale e, a un tratto,
assottigliò le palpebre e la vide. Una figurina barcollante
stretta in un
mantello che incespicava in mezzo al bianco, capelli d’oro
sciolti sulle spalle.
Sigyn.
Era tornata. La
vide cadere a terra,
nella neve. La raggiunse in fretta, la prese tra le braccia: come la
prima
volta che l’aveva vista, era priva di sensi. La
sollevò e s’accorse che era più
leggera e, in mano, stringeva lo specchio che le aveva donato per
illuderla che
potesse tornare e che, tra loro, ci fosse un legame eterno. Era
un’utopia,
ovviamente. La portò davanti al camino posto
nell’immenso salone del suo
palazzo incantato, come allora. Uno strano presentimento lo morse.
C’era, nel
volto della ragazza, un pallore inspiegabile, sospetto. La sua bellezza
era
intatta e il tempo non l’aveva ancora ghermita con le sue
dita adunche eppure, come
le rose, stava sfiorendo.
Lei,
lentamente, si riprese e sbatté le
palpebre, ma fu il colpo violento di tosse a farla svegliare del tutto,
a
scuoterle le spalle esili. Guardò Loki negli occhi e gli
rivolse un sorriso
tirato, dopotutto mesto. “Alla fine sono tornata da te. Non
me ne sono mai
andata, in realtà. Il mio cuore non ha lasciato questo posto
neppure per un
istante – ero con te e ho interrogato lo specchio ogni
giorno.”
Il dio degli
inganni annuì e ravvivò
con l’attizzatoio le fiamme del camino. Pensò a
quanto fossero crudeli le
Norne, all’ingiustizia racchiusa nel destino degli uomini. Le
sfiorò la guancia
morbida e umida e si concentrò sul suo sguardo dolce e
febbricitante, non sul
sangue che le macchiava appena le labbra dolci e le dita.
Lei comprese che
sapeva e trattenne a
stento le lacrime. “Ho vissuto, sai Loki? Ci ho provato,
dopotutto. Solo,
pensavo che avrei avuto più tempo,” disse, e le
sue labbra tremavano. “E quando
hanno detto…” Si morse le labbra, incapace di
proseguire, e scoppiò in lacrime
perché il destino era stato ingiusto e crudele e beffardo,
molto più di quanto
non fosse stato il dio degli inganni. L’Ase la strinse a
sé mentre lei si
sfogava sul suo petto. Decise che avrebbe ucciso le Norne, un giorno.
“Ho
provato a vivere, ma il mio cuore
era qui e morire tra le tue braccia era l’unica cosa che
volessi prima che…”
Non
disse nulla, Lingua d’Argento. Consolò il
pianto disperato della ragazza affondando le dita nella massa
d’oro dei suoi
capelli, riflettendo sul fatto che quel momento si sarebbe scolpito con
forza
nella sua testa e avrebbe avuto fino alla
fine del tempo la stessa atroce intensità, senza
sfumare mai nella
nostalgia[1].
Se solo fosse tornata prima, il seiðr di cui era signore e
padrone avrebbe
potuto curare i suoi polmoni malandati, mangiati dalla malattia.
Conosceva
incantesimi capaci di sanare il corpo degli dèi e degli
uomini e li avrebbe
usati, per salvare lei. Sigyn singhiozzava e piangeva sul suo petto e,
nonostante tremasse, la sua pelle scottava. Sarebbe stato meglio,
pensò l’Ase,
se la morte l’avesse ghermita ormai vecchia, dopo una vita
lunga e piena,
quando l’oro dei suoi capelli sarebbe scomparso per lasciare
il posto
all’argento della saggezza. Ma così no, maledette
Norne cieche e crudeli.
Sigyn
tossì ancora, allontanandosi
dalla sua presa quel tanto che bastava per guardare il suo volto. Le
condizioni
già critiche si erano aggravate per il lungo viaggio cui si
era ostinatamente sottoposta
per esaudire l’ultimo desiderio della sua breve vita mortale,
perché peggio di
morire quando si è ancora giovani c’è
solo farlo lontano da chi si ama. “Dimmi
che sono tua. Se non sarò tua, non sarò di
nessuno e io voglio andarmene
sapendo di appartenerti in qualche modo, Loki.”
Voleva che
mentisse. L’Ase le scostò
una ciocca ondulata dal viso e rifletté sul fatto che il
cuore e lo spirito
sono di chi li possiede; possono essere offerti e donati ad altri, ma
rimangono
sempre del loro proprietario. Si chiese se avesse ragione, mise in
dubbio il
suo ragionamento. Decise che le avrebbe mentito, però, e
mentre i petali della
sua rosa cadevano inevitabilmente a terra e il bellissimo fiore moriva,
le
sussurrò parole che lei forse non udì
né colse del tutto, ma certamente
immaginò, in quell’attimo che separa la vita dalla
morte. Se n’era andata
davvero tra le sue braccia.
♥
C’è
chi dice che tremò la terra, chi
racconta che, da qualche parte, nel mondo, eruttò un vulcano[2].
Il dio degli inganni non s’accorse che il seiðr era
sfuggito momentaneamente al
suo controllo o forse non gli importò. Osservò
gli occhi grigi ormai ciechi di
Sigyn e riconobbe che la dolcezza li aveva abbandonati. Erano solo
pupille
vuote di un corpo inerte che era lei senza tuttavia esserlo.
Sospirò, tenendola
ancora tra le braccia, domandandosi se i cancelli
dell’oltretomba l’avrebbero
spaventata, e si accorse che una parte di lui – quella che
aveva desiderato con
cieca furia ogni cosa, dal trono di Asgard all’ammirazione di
Padre Tutto – non
era ancora disposto a lasciarla andare. Provò rabbia e
desolazione e rancore
per quel sentimento indegno che s’era infilato nel suo petto
come un pugnale.
L’universo intero gli diventò ancora
più intollerabile, ma ciò che detestò
di
più fu se stesso e la sua indegna natura d’Ase,
che lo portava a rammaricarsi
per una rosa sfiorita troppo presto. Si accorse di non riuscire a
piangerla, si
chiese se avrebbe dovuto o voluto farlo. Scoprì di avere lo
sguardo velato, ma
la sua Lingua d’Argento si era improvvisamente annodata.
“Un
dio degli Æsir, un principe di
Asgard, non può soffrire così la perdita di una
sola mortale.” Loki alzò lo
sguardo umido e si trovò dinanzi un vecchio orbo, con un
mantello lacero e un
cappello floscio sulla testa[3].
Di fronte a
quell’immagine, trovò la
forza d’inghiottire la cosa che gli mordeva l’anima
e alzò il mento con
fierezza, senza smettere di stringere il corpo di Sigyn. Non riusciva a
lasciarla andare – sarebbe venuto il momento, ma non ora.
“L’ennesima
delusione, padre?” La sua voce, nonostante tutto, era sicura
e beffarda, come
sempre.
Odino si
accostò al figlio maledetto
e rinnegato senza, però, mutare il suo aspetto,
perché così si era sempre
mostrato su Midgard. “La tua rosa è appassita,
purtroppo. Ti ci sono voluti
mille anni per vederla, ma adesso anche tu hai scorto la bellezza degli
umani.
Sono deboli, fragili, effimeri. Hai ricordato cosa vuol dire amarli o,
forse,
lo hai scoperto per la prima volta,” azzardò,
increspando le labbra in un
ghigno storto.
“Ti
sbagli, Padre Tutto: li odio
ancora, i midgardiani, più di prima.” Loki chiuse
le palpebre di Sigyn per non
dover vedere le sue pupille cieche e senza luce. “La loro
vita è una beffa
crudele, una lotta contro il tempo. Cosa sei venuto a fare? Volevi
vedere da
vicino il mostro che hai rinchiuso? Compiacerti dell’ennesima
sconfitta della
bestia?”
Il dio delle
forche e della poesia
scosse la testa canuta. “Non godo del dolore che agita il
petto di mio figlio. Hai pagato.
Hai compreso.
Tornerai a sbagliare – è nella tua natura, in
fondo – ma non oggi. Puoi tornare
ad Asgard, se lo vorrai.”
Il dio degli
inganni pensò alle guglie
d’oro della città degli Æsir, alla
libertà che gli era stata negata e rifletté
che Sigyn sarebbe diventata polvere e lui, che pure del seiðr
era il padrone,
non aveva potuto fare niente per evitarlo.
Odino
s’accostò a Loki e, col suo
unico e terribile occhio, fissò la ragazza e
ripensò a quello che gli avevano
detto i corvi e Thor. “Ha saputo trovare la bellezza della
Bestia che Asgard
rinchiuse,” osservò con voce di re, “ti
ha permesso di vedere la sua. I figli e
le figlie degli uomini hanno una vita breve come un battito di ciglia,
rapida
come un soffio del cuore e, quando muoiono, lo fanno per sempre.
Eppure, quanta
forza c’è in loro! Nonostante le sue condizioni,
ha deciso di tornare da te, di
restarti accanto, di mantenere fede alla promessa che ti fece. Se tu
sei il dio dell’inganno,
lei senz’altro sarà la
dea della fedeltà,”
disse e le sue
parole ebbero la forza di una sentenza, di un ordine, di un disegno
definitivo.
Il
seiðr, che in un altro luogo, in
un altro tempo, aveva permesso a Padre Tutto di salvare su un picco di
ghiaccio
Loki stesso, mutò la natura mortale della ragazza che
l’Ase teneva ancora tra
le braccia. Si oscurò il cielo, tremò di nuovo la
terra. Il dio degli inganni
strinse più forte il corpo della donna tornata fin
là per morire al suo fianco
e tentò di fermare quel gesto malsano.
“Come
osi toccarla? Come osi mutare
la sua essenza? Era perfetta e bellissima ed è morta come
voleva, in
questo posto. Tu non puoi scegliere il suo destino e strapparla al suo
riposo e
nemmeno io.”
Odino sorrise.
Assottigliò il suo
unico occhio blu e si compiacque dell’altera difesa del
figlio ribelle.
Riconobbe in lui il sagace politico di cui aveva sentito la mancanza,
il figlio
che aveva allevato, il principe che aveva istruito. Decise che
difendere la
natura di quella fanciulla morta tra le sue braccia era il gesto nobile
di un
dio degli Æsir con la stoffa di un re. “Sei sempre
stato così cieco con ciò che
ti riguarda più da vicino. Chiedilo a lei:
sceglierà.”
Prima che il dio
degli inganni potesse
lanciarsi nell’ennesima arringa o difesa, Sigyn si
risvegliò. Batté le
palpebre, emise un sospiro profondo. Guardò l’Ase
negli occhi e gli sorrise. La
rosa di Midgard, magnifica e fragile, aveva ripreso vita, la
maledizione cui
Loki stesso si era condannato era stata davvero totalmente e
inesorabilmente
spezzata. “Ho promesso che ti sarei rimasta accanto per sempre.” Fu così
che il tempo tornò a non avere più
significato.
Fine
Note Autore
Le fiabe sono
archetipi. Raccontano
bisogni, speranze, paure. La fiaba della Bella e la Bestia è
la mia preferita
tra tutte e l’ho amata in ognuna delle sue molte versioni. Ho
amato la
trasposizione Disney, ovviamente, con l’abito color oro di
Belle; ho amato
quella di Perrault, che mi veniva raccontata da mia nonna, dove il
padre di
Belle commetteva l’imperdonabile errore di cogliere una rosa
dal giardino della
Bestia, e ho amato anche, intensamente, il più antico nucleo
di questa fiaba:
il mito raccontato da Apuleio di Amore e Psiche. Conosco anche la
vicenda –
straziante e dolce – della vera figura che ispirò
la Bestia, Petrus Gonsalvus
(e ne ho scritto). Ma nella mia testa c’è sempre
stata l’idea che Inganno e
Fedeltà fossero loro, la Bella e la Bestia. Questo
è un AU eppure non lo è: ho
immaginato che il dio norreno Loki fosse stato incatenato da Odino in
un tumulo
in Belgio intorno all’800 d.C.; che, nel 1883, la mortale
Sigyn, come Belle,
divenisse sua prigioniera in virtù di un sacrificio
d’amore, complice una rosa.
Che la sete di conoscere e scoprire unisse entrambi; che
l’amore non avrebbe
potuto evitare l’allontanamento e, come nella fiaba, fosse
l’elemento
salvifico. In questo senso, la punizione di Odino/fata è
stata crudele e
lungimirante. Come avviene con Thor (qui relegato, assieme a Fenrir, in
veste
di Lumiere), anche Loki sconta su Midgard un supplizio volto a punire
la sua
tracotanza, il cui valore salvifico si rivela solo con
l’Amore. L’altro
elemento della fiaba Disney è la Rosa, che rappresenta il
Tempo e la
Maledizione. Qui Loki non tiene il fiore sotto una teca,
perché quel fiore è
Belle/Sigyn, mentre il Tempo è ciò che la
Bestia/Loki deve fronteggiare, seppur
in un’accezione totalmente differente.
Il
mio finale, certo, è più tragico, ma si
accosta alla fiaba: la Bestia rinuncia al suo vello fatto
d’arroganza per amore
di Belle. La Bella scopre la verità dietro
l’apparenza e torna dal suo amore a
ogni costo. L’incantesimo, alla fine, si scioglie. Questa
minilong partecipa
con orgoglio al contest “Villains against Heroes, indetto da
missredlights. La
dedico a quanti mi hanno sopportato durante la sua stesura
e… se l’avete amata,
mettetela nelle liste! Partecipa alla campagna Fai felice
un’Autrice! ♥
Piccole
precisazioni:
·
Il
bosco di Hallerbos è in Belgio e, nel mese di aprile, si
trasforma davvero in
un luogo di sogno: https://www.hallerbos.be/en/.
·
Il
codice autografo di Dante che Sigyn mostra a Loki in realtà
non esiste. Della
grafia del Sommo Poeta abbiamo solamente alcune descrizioni fatte da
alcuni
commentatori del Quattrocento che ebbero tra le mani, effettivamente,
dei testi
autografi dell’Alighieri.
·
Nel
testo sono presenti riferimenti a Borges, Perrault, Dante, Apuleio,
Umberto Eco
e all’Edda Poetica e in Prosa.
·
Generalmente
adotto la grafia Ase/Asi (come ed. Garzanti e Adelphi) per il nome
degli dèi
norreni. Stavolta ho scelto di adottare la versione Ase/Æsir
in luogo di Áss/ Æsir
perché più musicale a un orecchio italiano.
Uguale discorso per Æsinna.
·
Nella
mitologia norrena le figure di Loki e Lodhur (colui che diede il
bell’aspetto
agli uomini) spesso si confondono. Studi hanno attestato che si tratta
di due
entità diverse, tuttavia, per esigenze di copione, stavolta
li ho accorpati
anche io.
Grazie per
essere giunti fin qui e per aver preferito, ricordato, seguito e
recensito. Questo è il mio regalo per voi.
Shilyss