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Autore: shilyss    12/12/2018    57 recensioni
Fable! AU La Bella e la Bestia
1882: Nel tentativo di rintracciare il padre disperso, la giovane Sigyn incappa in una leggenda vecchia di mille anni: una maledizione antica impossibile da spezzare che parla di dèi immortali e di antiche vendette.
“Una vita per una vita,” le ripeté l’ingannatore piegando leggermente il capo di lato. “Non sai a che stai rinunciando. Il tuo sacrificio è inutile, doloroso, francamente stupido,” sentenziò a denti stretti. […] “Io sono il dio del caos e degli inganni. Sono il mostro delle fiabe che vengono raccontate ai bambini, sono la bestia che ha sconvolto Asgard e Midgard e tutti i Nove Regni. Resterò qui fino al Ragnarok.” […] Si riscosse, un lampo divertito gli attraversò lo sguardo. “E sia. Questa è la mia prigione e, d’ora in poi, sarà anche la tua. Accetto lo scambio.”
La storia della Bella e la Bestia come non l’avete mai letta.
[ ♦ Storia Vincitrice del contest Villains against Heroes indetto da missredlights sul forum di EFP, a pari merito, e Vincitrice del Premio "Miglior Hero" ♦ ]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3

Del prezzo di una maledizione

 

So some say love is a burning thing

That it makes a fiery ring

All that I know love as a caging thing

Just a killer come to call from some awful dream

And all you folks, you come to see

You just to stand there in the glass looking at me

But my heart is wild, and my bones are steel

And I could kill you with my bare hands if I was free

(Phosphorescent, A song for Zula)

 

 

La neve si sciolse e venne la primavera. Il bosco attorno alla tomba del dio degli inganni tornò a tingersi dell’incantevole sfumatura blu dei giacinti. Trascorsero le settimane, i mesi. Le foglie appassirono e caddero dai rami e Hallerbos divenne scarlatta e dorata. Infine, come sempre, calarono dal freddo e profondo nord i venti gelidi dell’inverno e la neve imbiancò di nuovo ogni cosa.

“Avresti potuto almeno tentare di spezzare la maledizione. Nostro padre ti punì per la tua arroganza e per il disprezzo che mostrasti verso gli abitanti di questo mondo. Quel tempo, forse, è passato.” Thor posò una cassa di libri d’ogni genere e sorta sul tavolo perennemente ingombro di carte, compassi e astrolabi del dio degli inganni.

Loki ghignò. Con le mani incrociate dietro la schiena, fissava i fiocchi bianchi che danzavano mossi appena dal vento, la mente persa in un ricordo che il susseguirsi delle stagioni non poteva rendere lontano. “Ritieni che possa apprezzare le mie ultime azioni?”

L’altro dio sospirò passandosi una mano tra i capelli chiari. “La sua intenzione non è mai stata vendicarsi di te, ma farti rinsavire e punire la tua arroganza. Lo sai.”

“Punire e vendicare hanno significati assai simili,” fu la replica asciutta dell’ingannatore. “Ma non m’importa – non mi è mai importato – cercare un intento salvifico nelle azioni ambigue del dio delle forche. L’ho tradito e non me ne pento. L’ho ripagato con la stessa moneta,” rispose vibrante e altero com’era sempre stato.

Thor notò che la postura fiera del fratello nascondeva una tensione e una rigidità inconsuete. Non volle indagare oltre sul fremito che scuoteva il dio degli inganni svelando la furia che ancora lo corrodeva, né sull’ombra scura che gli velava lo sguardo. Andò via dalla gabbia circondata di rune con più domande che risposte, come sempre era successo negli ultimi mille anni, ma stavolta un dubbio in più gli punse il cuore. Si chiese come mai il recinto in cui era costretto Loki funzionasse nonostante tutto; cosa mancasse, ancora, perché la maledizione fosse definitivamente spezzata. Per molti anni, l’ingannatore si era arrovellato nel tentativo di comprendere il senso di una punizione doppiamente orrenda, perché ritenuta oscura come una sciarada e ingiusta. Era stato per tentare di liberarsi, che aveva deciso di dedicarsi all’ambizioso progetto di creare una biblioteca che contenesse tutti i volumi di Midgard e dei Nove Regni. Thor, come sempre, si era lasciato incantare dalle sue teorie e lo aveva aiutato, reperendo per lui i testi e i libri che l’altro non poteva materialmente trovare. Da diversi decenni – secoli, forse – il tonante si era convinto che Loki sapesse esattamente cosa dovesse fare per liberarsi, ma che non fosse disposto a pagarne il prezzo. Tentare di spezzare la maledizione probabilmente era troppo rischioso, inutile e crudele persino per l’insolente e astuto dio degli inganni. Mentre affondava con gli stivali nella neve allontanandosi quel tanto che bastava affinché suo fratello non vedesse il portale per Asgard aprirsi davanti ai suoi occhi, gli tornò in mente che Loki gli aveva curiosamente chiesto notizie e informazioni sul mondo degli Æsir. Cosa mai fatta prima e celata abilmente sotto un finto disinteresse volto a mascherare qualcos’altro: dov’era andato a finire lo specchio incantato, dono di Frigga, che aveva permesso al dio degli inganni di vedere ogni luogo, persona o volto, nei Nove Regni tutti?

 

Affacciato alla finestra, Loki vide Thor andare via, ma non provò rimpianto per la solitudine in cui era appena precipitato. Lo invidiò, piuttosto. Una volta di più, provò rancore per la libertà che gli era stata negata e di cui era assetato da troppi secoli. Eppure, quel pensiero tremendo era destinato a svanire in fretta dalla sua mente – o meglio, ad essere momentaneamente archiviato – perché qualcun altro varcò il cerchio maledetto di rune. Lo avvertì l’onda di seiðr che si sprigionò durante l’inopportuna violazione, lo confermò l’ululato rabbioso di Fenrir. Loki uscì nella neve. Feroci raffiche di vento si erano alzate portando con sé l’annuncio di un’imminente tormenta. Avanzò nel candore irreale e, a un tratto, assottigliò le palpebre e la vide. Una figurina barcollante stretta in un mantello che incespicava in mezzo al bianco, capelli d’oro sciolti sulle spalle. Sigyn.

Era tornata. La vide cadere a terra, nella neve. La raggiunse in fretta, la prese tra le braccia: come la prima volta che l’aveva vista, era priva di sensi. La sollevò e s’accorse che era più leggera e, in mano, stringeva lo specchio che le aveva donato per illuderla che potesse tornare e che, tra loro, ci fosse un legame eterno. Era un’utopia, ovviamente. La portò davanti al camino posto nell’immenso salone del suo palazzo incantato, come allora. Uno strano presentimento lo morse. C’era, nel volto della ragazza, un pallore inspiegabile, sospetto. La sua bellezza era intatta e il tempo non l’aveva ancora ghermita con le sue dita adunche eppure, come le rose, stava sfiorendo.

 Lei, lentamente, si riprese e sbatté le palpebre, ma fu il colpo violento di tosse a farla svegliare del tutto, a scuoterle le spalle esili. Guardò Loki negli occhi e gli rivolse un sorriso tirato, dopotutto mesto. “Alla fine sono tornata da te. Non me ne sono mai andata, in realtà. Il mio cuore non ha lasciato questo posto neppure per un istante – ero con te e ho interrogato lo specchio ogni giorno.”

Il dio degli inganni annuì e ravvivò con l’attizzatoio le fiamme del camino. Pensò a quanto fossero crudeli le Norne, all’ingiustizia racchiusa nel destino degli uomini. Le sfiorò la guancia morbida e umida e si concentrò sul suo sguardo dolce e febbricitante, non sul sangue che le macchiava appena le labbra dolci e le dita.

Lei comprese che sapeva e trattenne a stento le lacrime. “Ho vissuto, sai Loki? Ci ho provato, dopotutto. Solo, pensavo che avrei avuto più tempo,” disse, e le sue labbra tremavano. “E quando hanno detto…” Si morse le labbra, incapace di proseguire, e scoppiò in lacrime perché il destino era stato ingiusto e crudele e beffardo, molto più di quanto non fosse stato il dio degli inganni. L’Ase la strinse a sé mentre lei si sfogava sul suo petto. Decise che avrebbe ucciso le Norne, un giorno.

“Ho provato a vivere, ma il mio cuore era qui e morire tra le tue braccia era l’unica cosa che volessi prima che…”

 Non disse nulla, Lingua d’Argento. Consolò il pianto disperato della ragazza affondando le dita nella massa d’oro dei suoi capelli, riflettendo sul fatto che quel momento si sarebbe scolpito con forza nella sua testa e avrebbe avuto fino alla fine del tempo la stessa atroce intensità, senza sfumare mai nella nostalgia[1]. Se solo fosse tornata prima, il seiðr di cui era signore e padrone avrebbe potuto curare i suoi polmoni malandati, mangiati dalla malattia. Conosceva incantesimi capaci di sanare il corpo degli dèi e degli uomini e li avrebbe usati, per salvare lei. Sigyn singhiozzava e piangeva sul suo petto e, nonostante tremasse, la sua pelle scottava. Sarebbe stato meglio, pensò l’Ase, se la morte l’avesse ghermita ormai vecchia, dopo una vita lunga e piena, quando l’oro dei suoi capelli sarebbe scomparso per lasciare il posto all’argento della saggezza. Ma così no, maledette Norne cieche e crudeli.

Sigyn tossì ancora, allontanandosi dalla sua presa quel tanto che bastava per guardare il suo volto. Le condizioni già critiche si erano aggravate per il lungo viaggio cui si era ostinatamente sottoposta per esaudire l’ultimo desiderio della sua breve vita mortale, perché peggio di morire quando si è ancora giovani c’è solo farlo lontano da chi si ama. “Dimmi che sono tua. Se non sarò tua, non sarò di nessuno e io voglio andarmene sapendo di appartenerti in qualche modo, Loki.”

Voleva che mentisse. L’Ase le scostò una ciocca ondulata dal viso e rifletté sul fatto che il cuore e lo spirito sono di chi li possiede; possono essere offerti e donati ad altri, ma rimangono sempre del loro proprietario. Si chiese se avesse ragione, mise in dubbio il suo ragionamento. Decise che le avrebbe mentito, però, e mentre i petali della sua rosa cadevano inevitabilmente a terra e il bellissimo fiore moriva, le sussurrò parole che lei forse non udì né colse del tutto, ma certamente immaginò, in quell’attimo che separa la vita dalla morte. Se n’era andata davvero tra le sue braccia.

 

 

C’è chi dice che tremò la terra, chi racconta che, da qualche parte, nel mondo, eruttò un vulcano[2]. Il dio degli inganni non s’accorse che il seiðr era sfuggito momentaneamente al suo controllo o forse non gli importò. Osservò gli occhi grigi ormai ciechi di Sigyn e riconobbe che la dolcezza li aveva abbandonati. Erano solo pupille vuote di un corpo inerte che era lei senza tuttavia esserlo. Sospirò, tenendola ancora tra le braccia, domandandosi se i cancelli dell’oltretomba l’avrebbero spaventata, e si accorse che una parte di lui – quella che aveva desiderato con cieca furia ogni cosa, dal trono di Asgard all’ammirazione di Padre Tutto – non era ancora disposto a lasciarla andare. Provò rabbia e desolazione e rancore per quel sentimento indegno che s’era infilato nel suo petto come un pugnale. L’universo intero gli diventò ancora più intollerabile, ma ciò che detestò di più fu se stesso e la sua indegna natura d’Ase, che lo portava a rammaricarsi per una rosa sfiorita troppo presto. Si accorse di non riuscire a piangerla, si chiese se avrebbe dovuto o voluto farlo. Scoprì di avere lo sguardo velato, ma la sua Lingua d’Argento si era improvvisamente annodata.

 

“Un dio degli Æsir, un principe di Asgard, non può soffrire così la perdita di una sola mortale.” Loki alzò lo sguardo umido e si trovò dinanzi un vecchio orbo, con un mantello lacero e un cappello floscio sulla testa[3].

Di fronte a quell’immagine, trovò la forza d’inghiottire la cosa che gli mordeva l’anima e alzò il mento con fierezza, senza smettere di stringere il corpo di Sigyn. Non riusciva a lasciarla andare – sarebbe venuto il momento, ma non ora. “L’ennesima delusione, padre?” La sua voce, nonostante tutto, era sicura e beffarda, come sempre.

Odino si accostò al figlio maledetto e rinnegato senza, però, mutare il suo aspetto, perché così si era sempre mostrato su Midgard. “La tua rosa è appassita, purtroppo. Ti ci sono voluti mille anni per vederla, ma adesso anche tu hai scorto la bellezza degli umani. Sono deboli, fragili, effimeri. Hai ricordato cosa vuol dire amarli o, forse, lo hai scoperto per la prima volta,” azzardò, increspando le labbra in un ghigno storto.

“Ti sbagli, Padre Tutto: li odio ancora, i midgardiani, più di prima.” Loki chiuse le palpebre di Sigyn per non dover vedere le sue pupille cieche e senza luce. “La loro vita è una beffa crudele, una lotta contro il tempo. Cosa sei venuto a fare? Volevi vedere da vicino il mostro che hai rinchiuso? Compiacerti dell’ennesima sconfitta della bestia?”

Il dio delle forche e della poesia scosse la testa canuta. “Non godo del dolore che agita il petto di mio figlio. Hai pagato. Hai compreso. Tornerai a sbagliare – è nella tua natura, in fondo – ma non oggi. Puoi tornare ad Asgard, se lo vorrai.”

Il dio degli inganni pensò alle guglie d’oro della città degli Æsir, alla libertà che gli era stata negata e rifletté che Sigyn sarebbe diventata polvere e lui, che pure del seiðr era il padrone, non aveva potuto fare niente per evitarlo.

Odino s’accostò a Loki e, col suo unico e terribile occhio, fissò la ragazza e ripensò a quello che gli avevano detto i corvi e Thor. “Ha saputo trovare la bellezza della Bestia che Asgard rinchiuse,” osservò con voce di re, “ti ha permesso di vedere la sua. I figli e le figlie degli uomini hanno una vita breve come un battito di ciglia, rapida come un soffio del cuore e, quando muoiono, lo fanno per sempre. Eppure, quanta forza c’è in loro! Nonostante le sue condizioni, ha deciso di tornare da te, di restarti accanto, di mantenere fede alla promessa che ti fece. Se tu sei il dio dell’inganno, lei senz’altro sarà la dea della fedeltà,” disse e le sue parole ebbero la forza di una sentenza, di un ordine, di un disegno definitivo.

Il seiðr, che in un altro luogo, in un altro tempo, aveva permesso a Padre Tutto di salvare su un picco di ghiaccio Loki stesso, mutò la natura mortale della ragazza che l’Ase teneva ancora tra le braccia. Si oscurò il cielo, tremò di nuovo la terra. Il dio degli inganni strinse più forte il corpo della donna tornata fin là per morire al suo fianco e tentò di fermare quel gesto malsano.

“Come osi toccarla? Come osi mutare la sua essenza? Era perfetta e bellissima ed è morta come voleva, in questo posto. Tu non puoi scegliere il suo destino e strapparla al suo riposo e nemmeno io.”

Odino sorrise. Assottigliò il suo unico occhio blu e si compiacque dell’altera difesa del figlio ribelle. Riconobbe in lui il sagace politico di cui aveva sentito la mancanza, il figlio che aveva allevato, il principe che aveva istruito. Decise che difendere la natura di quella fanciulla morta tra le sue braccia era il gesto nobile di un dio degli Æsir con la stoffa di un re. “Sei sempre stato così cieco con ciò che ti riguarda più da vicino. Chiedilo a lei: sceglierà.”

Prima che il dio degli inganni potesse lanciarsi nell’ennesima arringa o difesa, Sigyn si risvegliò. Batté le palpebre, emise un sospiro profondo. Guardò l’Ase negli occhi e gli sorrise. La rosa di Midgard, magnifica e fragile, aveva ripreso vita, la maledizione cui Loki stesso si era condannato era stata davvero totalmente e inesorabilmente spezzata. “Ho promesso che ti sarei rimasta accanto per sempre.” Fu così che il tempo tornò a non avere più significato.

 

Fine

 

Note Autore

Le fiabe sono archetipi. Raccontano bisogni, speranze, paure. La fiaba della Bella e la Bestia è la mia preferita tra tutte e l’ho amata in ognuna delle sue molte versioni. Ho amato la trasposizione Disney, ovviamente, con l’abito color oro di Belle; ho amato quella di Perrault, che mi veniva raccontata da mia nonna, dove il padre di Belle commetteva l’imperdonabile errore di cogliere una rosa dal giardino della Bestia, e ho amato anche, intensamente, il più antico nucleo di questa fiaba: il mito raccontato da Apuleio di Amore e Psiche. Conosco anche la vicenda – straziante e dolce – della vera figura che ispirò la Bestia, Petrus Gonsalvus (e ne ho scritto). Ma nella mia testa c’è sempre stata l’idea che Inganno e Fedeltà fossero loro, la Bella e la Bestia. Questo è un AU eppure non lo è: ho immaginato che il dio norreno Loki fosse stato incatenato da Odino in un tumulo in Belgio intorno all’800 d.C.; che, nel 1883, la mortale Sigyn, come Belle, divenisse sua prigioniera in virtù di un sacrificio d’amore, complice una rosa. Che la sete di conoscere e scoprire unisse entrambi; che l’amore non avrebbe potuto evitare l’allontanamento e, come nella fiaba, fosse l’elemento salvifico. In questo senso, la punizione di Odino/fata è stata crudele e lungimirante. Come avviene con Thor (qui relegato, assieme a Fenrir, in veste di Lumiere), anche Loki sconta su Midgard un supplizio volto a punire la sua tracotanza, il cui valore salvifico si rivela solo con l’Amore. L’altro elemento della fiaba Disney è la Rosa, che rappresenta il Tempo e la Maledizione. Qui Loki non tiene il fiore sotto una teca, perché quel fiore è Belle/Sigyn, mentre il Tempo è ciò che la Bestia/Loki deve fronteggiare, seppur in un’accezione totalmente differente.

 Il mio finale, certo, è più tragico, ma si accosta alla fiaba: la Bestia rinuncia al suo vello fatto d’arroganza per amore di Belle. La Bella scopre la verità dietro l’apparenza e torna dal suo amore a ogni costo. L’incantesimo, alla fine, si scioglie. Questa minilong partecipa con orgoglio al contest “Villains against Heroes, indetto da missredlights. La dedico a quanti mi hanno sopportato durante la sua stesura e… se l’avete amata, mettetela nelle liste! Partecipa alla campagna Fai felice un’Autrice! ♥

Piccole precisazioni:

·         Il bosco di Hallerbos è in Belgio e, nel mese di aprile, si trasforma davvero in un luogo di sogno: https://www.hallerbos.be/en/.

·         Il codice autografo di Dante che Sigyn mostra a Loki in realtà non esiste. Della grafia del Sommo Poeta abbiamo solamente alcune descrizioni fatte da alcuni commentatori del Quattrocento che ebbero tra le mani, effettivamente, dei testi autografi dell’Alighieri.

·         Nel testo sono presenti riferimenti a Borges, Perrault, Dante, Apuleio, Umberto Eco e all’Edda Poetica e in Prosa.

·         Generalmente adotto la grafia Ase/Asi (come ed. Garzanti e Adelphi) per il nome degli dèi norreni. Stavolta ho scelto di adottare la versione Ase/Æsir in luogo di Áss/ Æsir perché più musicale a un orecchio italiano. Uguale discorso per Æsinna.

·         Nella mitologia norrena le figure di Loki e Lodhur (colui che diede il bell’aspetto agli uomini) spesso si confondono. Studi hanno attestato che si tratta di due entità diverse, tuttavia, per esigenze di copione, stavolta li ho accorpati anche io.

Grazie per essere giunti fin qui e per aver preferito, ricordato, seguito e recensito. Questo è il mio regalo per voi. 

Shilyss



[1] Citazione da una mia storia omonima.

[2] L’esplosione del vulcano Krakatoa ispira questo brano: in realtà il vulcano eruttò ad agosto, mentre io l’ho spostata a dicembre. L’onda d’urto fu una delle più potenti della storia di Mid…ehm, della Terra.

[3] Così appare Odino agli uomini nell’Edda.

   
 
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