Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: QueenVictoria    12/12/2018    23 recensioni
Cosa aveva letto negli occhi di quei giovani terrorizzati? Ragazzini appena arruolati quasi a forza, intrappolati in una realtà che non lasciava scelta, neppure quella di decidere come morire. Accettando quell'ordine, si era preso carico della responsabilità di ognuna di quelle singole vite. Era lui il soldato più forte, era quello il suo ruolo.
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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ATTENZIONE! SPOILER TERZA SERIE
Questa one shot è ambientata subito dopo gli avvenimenti del capitolo 84 del manga.




La sera scendeva lentamente sopra il distretto di Shiganshina, le ombre si allungavano per le strade ingombre di calcinacci e sulle rovine delle case. L’aria era carica di cenere e odore di legno carbonizzato, in lontananza un quartiere bruciava ancora.
 
Hanji guardava l’orizzonte senza realmente vederlo. Sentiva il bisogno di stare qualche momento da sola lontana da tutto, forse nascondersi dal resto di quel mondo che ora aveva scoperto essere immensamente grande.
 
Il destino aveva voluto che le cose andassero in quel modo. Erwin li aveva condotti fin lì, ma quel luogo era divenuto la sua tomba. Chissà se al momento della partenza, mentre sguainava sorridente la spada davanti ai cittadini esultanti di Trost, aveva pensato che avrebbe potuto non fare più ritorno. Forse sì. Sembrava vivere di scommesse ma in realtà era un uomo tremendamente realista. Forse lo sapeva che a vedere quella cantina non sarebbe mai arrivato, ma aveva voluto accompagnarli lo stesso, fin dove possibile.
 
E ora, per suo volere, era lei il nuovo comandante. Cosa avrebbero fatto adesso?
 
Sospirò. Il cuore ancora scosso dagli avvenimenti di poche ore prima. La battaglia. La sconfitta. E infine quella decisione.
Levi non le aveva spiegato le sue ragioni, d’altronde non era tenuto a farlo. Erwin aveva dato a lui la siringa con il pieno potere decisionale su come usarla. Il compito era stato affidato a lui e lui aveva deciso. E non c’era niente altro da dire.
 
Lei però avrebbe fatto una scelta diversa. Forse solo per rispetto, o forse solo per paura.
 
Ma era inutile rimuginarci sopra. Niente avrebbe più riportato indietro Erwin. Né Moblit, né tutti gli altri. I volti di tutti i compagni caduti le passarono davanti agli occhi. Strinse i denti, cercando di vincere l’angoscia.
Erano rimasti soli. Lei, Levi e sette soldati.
 
Si lasciò cadere in ginocchio. Aveva freddo. E paura.
 
Cosa ne sarà di noi?
 
Qualcosa di caldo la avvolse leggero. Sussultò, colta di sorpresa.
Levi, in piedi vicino a lei, le aveva lasciato cadere addosso la sua mantella. D’istinto se ne chiuse i lembi sul davanti, avvolgendosi in quel tessuto morbido che tratteneva ancora un po’ del calore di lui. Non lo aveva sentito arrivare, doveva averla seguita da lontano quando poco prima si era separata dal gruppo con la scusa di un’ultima perlustrazione. Non se ne stupiva, faceva spesso cose del genere. A dire il vero, da che aveva memoria, non c’era stato un solo momento doloroso in cui l’avesse lasciata sola.
 
“Come stanno i ragazzi?” chiese.
 
“Hanno trovato delle verdure in un vecchio orto abbandonato e stanno cuocendo una minestra. Si sono sistemati qua sotto, nelle stanze del corpo di guardia.”
 
Le reclute erano cresciute molto negli ultimi mesi. Ma a quale prezzo? Perché dei ragazzi così giovani avevano dovuto vedere così tanta morte e distruzione? Avevano visto morire troppi compagni. E contro due di loro erano stati anche costretti a combattere, gridando per la rabbia e per il dolore del sentirsi traditi, piangendo perché sapevano di non avere scelta.
Armin, appena ripresa conoscenza, aveva saputo di aver divorato Berthold. Cosa provava adesso quel ragazzo?
Quei giovani soldati le erano stati affidati direttamente dal comandante in persona e non poteva non sentirne la responsabilità. Avrebbe dovuto istruirli, guidarli, proteggerli. Eppure, cosa era riuscita a fare davvero per loro?
 
 
Levi le si inginocchiò accanto posandole una mano sulla spalla. Volse lo sguardo lontano, lungo la pianura. Rimase immobile per un lungo momento, poi la attirò bruscamente verso di sé stringendo le braccia attorno a lei.
 
Hanji spalancò gli occhi, colpita da quel gesto improvviso e del tutto inaspettato, ma lo lasciò fare. Certo che quando voleva una cosa se la prendeva senza complimenti...
Si sentì imbarazzata, quando era mai successa una cosa simile? Proprio lui, che evitava qualsiasi contatto. Era una situazione anomala, più di qualsiasi gigante. Ma adesso andava bene. Socchiuse gli occhi, appoggiandosi alla sua spalla, la fronte sulla sua guancia. Aveva bisogno di quell’abbraccio caldo, aveva bisogno di sentirsi al sicuro. E questo, forse, valeva anche per lui.
 

 
Il capitano continuava a guardare un punto lontano all’orizzonte. Si sentiva stanco. Incredibilmente stanco.
 
Erano passate solo poche ore da quando, in piedi sui tetti delle piccole case della periferia, aveva visto tutti i loro piani distruggersi.
 
La Bestia, vigliacca, rimaneva lontana a lanciare mucchi di pietre che ricadevano come frane sui soldati e sui cavalli. Senza nemmeno avvicinarsi, li stava ammazzando tutti.
 
“Ti ordino di uccidere il Gigante Bestia” aveva detto Erwin “E per farlo dovrai sacrificare le vite di tutti i soldati che si trovano qui… e la mia.”
 
Con quell’ordine gli aveva detto addio.
 
Ucciderò il Gigante Bestia.
 
Aveva ascoltato l’ultimo discorso del suo comandante mentre incoraggiava le reclute a seguirlo nell’avanzata finale. “Daremo un senso alla morte dei nostri compagni caduti!”
Cosa aveva letto negli occhi di quei giovani terrorizzati? Ragazzini appena arruolati quasi a forza, intrappolati in una realtà che non lasciava scelta, neppure quella di decidere come morire.
 
Accettando quell’ordine, si era preso carico della responsabilità di ognuna di quelle singole vite. Era lui il soldato più forte, era quello il suo ruolo.
 
Erano partiti assieme, loro a cavallo lungo la pianura mentre lui da solo correva verso le mura. Come non mai aveva sentito l’urgenza di arrivare al gigante, prima che li sterminasse. Non sarebbe riuscito a salvarli tutti, ma almeno qualcuno… forse. Volando prima appeso alle mura, poi ai giganti immobili schierati in fila, si era avvicinato in sordina alla Bestia distratta dagli altri. Raggiunto ognuno di quei mostri doveva rallentare e colpirlo, per coprirsi le spalle per dopo.
 
Presto! Doveva fare presto!
 
L’angoscia di quei momenti gli stringeva ancora il cuore, non riusciva a fermare quelle immagini che gli scorrevano davanti agli occhi. Gli sembrò di rivivere quei minuti interminabili: il brusio del dispositivo di manovra lanciato al massimo, la stretta delle cinghie attorno al corpo, la polvere che saturava l’aria. Poco lontano, le grida dei soldati.
E poi in lontananza un’esplosione. Era stato il Gigante Colossale? Quante vittime aveva fatto? Dov’erano i ragazzi, Hanji e la sua squadra? No, anche loro no. Per favore, no.
 
Presto! Presto!
 
Mucchi di pietre arrivavano ancora da lontano, i soldati morivano sotto quella pioggia crudele, cadendo sul terreno o travolti dai cavalli dei compagni. Ogni momento era una vita innocente che si spegneva.
 
Perdonatemi.
 
E poi finalmente, aveva raggiunto la Bestia e l’aveva assalita con tutta la sua forza. Due lame dritte negli occhi e poi subito via le braccia e le gambe, per impedirne i movimenti.
 
Tagli secchi, profondi a tranciare assieme pelle carne e ossa. Solchi carichi di forza, carichi di odio, carichi della rabbia e del dolore per tutto ciò che era consapevole di aver perso. Nelle sue grida, c’era il peso di ogni singola vita che aveva visto spegnersi in quegli anni.
 
Quanto era amaro il sapore di quella vendetta.
 
Per un momento aveva pensato di avercela fatta, tirando fuori quel bastardo dalla collottola del gigante. Quel miserabile che lo guardava con gli occhi sbarrati, mentre giaceva immobile privo degli arti e immerso nel vapore. Ma poi quel mostro a quattro zampe sbucato dal nulla gli era saltato addosso, e per salvarsi aveva dovuto mollare la sua preda.
 
“Ammazzatelo!” quell’uomo aveva avuto ancora la forza di parlare, e ciò che restava del gruppo di giganti immobili si era buttato su di lui.
 
Quanti erano? Dieci? Venti? Non gli importava, sapeva che doveva batterli e riprendersi il suo nemico. E di nuovo, gridando dalla rabbia, aveva ucciso. Erano tanti, affamati, ingordi. Ma lui era più veloce, e lo sapeva. Saltava continuamente da un corpo all’altro, atterrando con le lame sguainate a tagliare le carni.
 
Le bombole del gas erano sempre più leggere, sarebbero durate abbastanza? Aveva ancora quattro lame nuove nelle fondine.
 
I suoi ricordi diventarono confusi, come se una cortina di nebbia gli impedisse di vederli chiaramente.
 
Giganti, giganti sbucati da ogni dove, giganti dagli occhi assenti, la bocca spalancata, le mani protese. Vicini, attorno a lui. Lunghe braccia che si agitavano, grosse mani che cercavano di afferrarlo.
 
Ad ogni colpo le lame si facevano meno affilate.
 
Ne aveva ucciso un altro, poi un altro, e un altro ancora. Uno più piccolo che quasi gli aveva afferrato una gamba, per liberarsi si era avvicinato troppo a un altro che aveva cercato di sollevarlo all’altezza dei suoi quindici metri.
 
Un’altra lama spezzata. Quante ne aveva ancora?
 
Tanti, troppi, chini su di lui quasi gli toglievano la luce. E in quella penombra artificiale, scivolando sull’erba bagnata dal loro sangue, aveva temuto fosse arrivata la sua fine.
 
Ucciderò il Gigante Bestia.
 
Quasi senza fiato, ancora circondato da loro, aveva cercato la forza in quella promessa.
 
No. Non morirò qui. Sopravviverò. Troverò il Gigante Bestia e lo ucciderò.
 
Ce l’avrebbe fatta. Per Erwin. Per tutti i soldati che avevano dato la loro vita per coprire la sua avanzata. E con la disperazione di chi sa di non avere scelta, era riuscito ad abbatterli tutti.
Infine, chiusi gli occhi, era crollato in ginocchio sull’erba scivolosa e ricoperta di sangue, ossa e brandelli di carne. Il calore dei giganti che si scioglievano accanto a lui, la pelle ustionata dal loro sangue bollente.
 
Quando finalmente era riuscito di nuovo a respirare con calma si era alzato in piedi. Attorno a lui, lungo la pianura, il silenzio più assoluto. Dov’erano i soldati?
 
E poi la corsa verso l’interno del distretto, col cuore in gola. Dove stava scappando la Bestia? Dov’erano gli altri?
 
Infine, quella terribile scelta.
 

 
“Levi… mi fai male…” le parole di Hanji lo riportarono alla realtà. Si rese conto che stava stringendo spasmodicamente le braccia attorno al suo corpo.
 
“Scusa…” riuscì a mala pena a rispondere lasciando subito la presa, imbarazzato per aver perso il controllo in quel modo.
 
“Non preoccuparti, devo avere io qualche costola incrinata” rispose lei con la voce di chi riesce a appena a respirare.
 
Si accorse di avere gli occhi umidi, vide le proprie lacrime cadute sul viso di lei.
 
Stavo piangendo?
 
Si ritrasse bruscamente sciogliendosi dall'abbraccio, si asciugò le guance con il dorso della mano e voltò il viso dalla parte opposta. Rimase immobile, in silenzio. Perché quelle lacrime gli erano uscite proprio adesso, senza che se ne rendesse conto?
 
 
Anche lei se lo era chiesto. Lo conosceva troppo bene per non capire che nemmeno lui aveva ancora superato quello che era successo, ma per lui era difficile esternare i suoi sentimenti e quelle lacrime dimostravano quanto ne fosse provato. Levi, che si sentiva sempre in obbligo di mostrarsi forte davanti agli altri, adesso, forse per la prima volta, si era lasciato andare.
 
Quando poco prima la aveva attirata verso di sé, si era resa conto di quanto stesse male. Era rimasta stretta a lui anche per quello, erano entrambi in pezzi e avevano bisogno del calore di un abbraccio.
Lo aveva sentito tremare leggermente, mentre stringeva i denti perso nei suoi ricordi. Poi quel singhiozzo represso, gocce tiepide le erano cadute sul viso, scendendo lungo le guance. Era talmente immerso nei suoi pensieri da non accorgersi di piangere; non se lo sarebbe mai concesso.
Era doloroso sentirlo soffrire in quel modo, ma in quel momento, come non mai, lo aveva sentito incredibilmente vicino. Era rimasta allora accoccolata tra le sue braccia, sperando che non si rendesse conto di cosa stava accadendo, sentendosi quasi in colpa nel rubargli quell’intimità e quella confidenza che sapeva lui non avrebbe mai condiviso.
Ma ad un certo punto aveva iniziato a stringerla troppo forte, fino quasi a non lasciarla respirare, una fitta alle ossa l'aveva costretta a parlare.
 
Ora quel momento si era spezzato. Il giovane guardava un punto lontano all'orizzonte, forse solo per sfuggire al suo sguardo perché lei non vedesse gli occhi ancora umidi di quelle lacrime che non avrebbe mai voluto mostrarle. Aveva alzato di nuovo quella barriera dietro al quale usava nascondersi. Eppure era stato lui ad abbracciarla all'improvviso, quasi aggrappandosi a lei.
 
Forse avrebbe dovuto chiedergli qualcosa. No. Lo avrebbe allontanato ancora di più. Se voleva che lui le aprisse il suo cuore, avrebbe dovuto farlo lei per prima. Si adagiò lentamente su di lui, appoggiando la tempia sul suo collo, lasciandogli scivolare la braccia attorno ai fianchi per abbracciarlo di nuovo.
 
“Appena chiudo gli occhi vedo Moblit bruciare nel calore dell’esplosione, non riesco a non vedere quell’immagine. Quando Berthold si è trasformato eravamo troppo vicini… l’intera squadra è stata sterminata davanti ai miei occhi. Moblit mi ha salvata lanciandomi in un pozzo, così però ha rinunciato alla sua vita”.
 
“Ho paura Levi” continuò “ora che Erwin ci ha lasciati, cosa ne sarà di noi?”
 
Lui chiuse gli occhi soppesando quelle parole.
 
Ora che Erwin ci ha lasciati.
 
Aveva detto “Ora che Erwin ci ha lasciati”. Non “Ora che lo hai lasciato morire” e non “Ora che hai fatto questa scelta senza pensare a quanto sarebbe ricaduta su di me”.
 
Aveva accettato la sua decisione. Non voleva rendergliela più pesante di quanto già non fosse.
 
Quelle parole lo sollevarono un poco, si rese conto di quanto gli fosse necessario suo sostegno. Sentì il bisogno di stringersi ancora a lei, nascondendo il viso tra i suoi capelli semi sciolti e spettinati, mentre lasciava cadere le ultime difese.
 
“Ho lasciato morire i soldati per distrarre il Gigante Bestia e non sono riuscito a batterlo. Ho ancora addosso il peso delle loro vite.”
 
Parlava lentamente, il tono di voce basso e quasi incolore.
 
“Mi ha scatenato addosso l’inferno. Mentre lottavo con quei mostri schifosi, per un momento, ho avuto paura di non farcela. Per la prima volta in vita mia ho pensato di non essere abbastanza forte.”
 
Fece una lunga pausa, la ragazza lo sentì fare un respiro profondo, quasi stesse cercando di calmarsi.
 
“Quando finalmente ce l’ho fatta… ho avuto paura di essere rimasto solo. Avevo sentito quell'esplosione in lontananza… quando sono entrato nel distretto stavo ancora inseguendo i giganti… ho visto che c’era fumo e … fuoco dappertutto. Hanji, non sai quanto sono stato sollevato quando ho capito che eri viva.”
 
Hanji, imbarazzata, si chiese come avrebbe dovuto interpretare quelle parole. Non che fosse un discorso molto compromettente ma… non era da lui parlare in quel modo. Le stava forse dicendo che era importante per lui? No, non era quello il momento di farsi domande. Era il momento di rimanere in silenzio e rifugiarsi assieme in quel piccolo mondo che si era appena creato; caldo, rassicurante e infinitamente fragile. Passarono i minuti, rimasero immobili e in silenzio, stretti l’uno all’altra.
 
Ad un tratto lui si sciolse dall’abbraccio, si staccò leggermente e abbassò lo sguardo a fissare le pietre della pavimentazione sotto le loro ginocchia.
 
“Sarai un ottimo comandante, Hanji, perfettamente all’altezza del tuo ruolo.” Fece una piccola pausa, come fosse incerto su come continuare. “È stata una decisione di Erwin, non può essere sbagliata.”
 
Si alzò in piedi, si allontanò di qualche passo e rimase immobile a guardare la pianura, voltandole le spalle.
 
Lei si strinse nella mantella, ancora un po’ frastornata da quello che era successo. L’aveva stretta tra le braccia e aveva condiviso con lei i suoi sentimenti. Una cosa incredibile da parte sua. Probabilmente i fatti di quel giorno avevano lo provato a tal punto da crollare in quel modo. Adesso però sembrava tornato sulle sue, quasi se ne fosse pentito.
 
“Sei la donna più intelligente e forte che conosca. Ce la farai senza problemi.” Quelle parole la colsero di sorpresa. Alzò la testa di scatto a guardarlo, mentre  lui, immobile, continuava a darle la schiena.
 
Le aveva fatto anche un complimento? Adesso forse avrebbe dovuto dire qualcosa lei.
 
“Tu non mi lascerai sola, vero?” fu l’unica cosa che riuscì a chiedergli.
 
“L’ho mai fatto?”
 
“No.” Sorrise lei.
 
E poi un lungo silenzio.
 
 
 
“CAPITANOOOOOO! LA CENA È PRONTA!!!”
 
La voce di Connie li scosse entrambi, salvandoli da quel momento imbarazzante.
 
“Andiamo” disse il capitano con la sua solita voce distaccata mentre si voltava e le passava accanto per raggiungere il bordo delle mura.
 
Hanji si alzò a sua volta, domandandosi se non avesse sognato: era lo stesso Levi di poco prima? No, forse avrebbe dovuto chiedersi se quello di prima fosse il vero Levi. In ogni caso ormai non era più importante.
La fasciatura sull’occhio si stava sciogliendo, cercò di sistemarla alla meno peggio mentre camminava verso di lui.
 
“Non camminare senza guardare dove vai, vuoi finire di sotto?”
 
Lei si fermò di colpo ben conscia di essere abbastanza lontana dal bordo da non considerarsi in pericolo.
 
“Vieni, ti porto giù io” le disse con una voce brusca che non ammetteva repliche, mentre tendeva le braccia verso di lei.
 
“Non serve, ce la faccio benissimo…” cercò di rispondere con tono rassegnato, ma non aveva voglia di discutere e obbedì.
 
Lui senza ascoltarla le prese un braccio e se lo passò attorno alle spalle. Rimase a guardarla un momento “Dovremmo medicare meglio quell’occhio” le disse con tono preoccupato.
 
“Mah, non lo so. Mi sa che è andato, non credo ci sia molto da fare. Beh… adesso come farai a prendermi in giro se non potrai più chiamarmi quattrocchi?” chiese lei cercando di scherzare.
 
Sembrò ignorarla. Impugnò le else e sparò i rampini al margine della muratura, poi la prese in braccio bruscamente, ancora avvolta nella sua mantella, e iniziò velocemente la discesa. Dopo qualche secondo si fermò all’improvviso poco sopra la finestra, puntando i piedi contro la parete. Il piccolo contraccolpo la fece sussultare, e si ritrovò seduta sulle sue gambe abbracciata a lui sospeso nel vuoto.
 
“No. Tu sarai sempre la mia quattrocchi.” Le disse sottovoce.
 
La “mia” quattrocchi?
 
Hanji aprì la bocca per rispondere, ma senza riuscire a dire niente.
 
Quasi non si accorse della mano di lui che le era scivolata dietro la testa, l’elsa fredda sulla nuca.
Rimase a guardare il suo volto vicinissimo, persa in quegli occhi grigi stranamente caldi. Un soffio di vento improvviso scompigliò i capelli a entrambi. Dietro di loro, in lontananza, la luce rossastra degli ultimi fuochi. Cenere e braci volavano ancora nell’aria.
Le si avvicinò lentamente e posò appena le labbra sulle sue. Un bacio breve, delicato, quasi timido, che la lasciò completamente senza fiato. Si accorse di tremare, tremavano entrambi.
 
Chiusero gli occhi, fronte contro fronte, in quella situazione tanto dolce quanto assurda; abbracciati nel buio, sospesi nel vuoto a cinquanta metri di altezza, affidati alla forza di due cavi d’acciaio fissati chissà dove. Davvero non erano stati in grado di trovare un momento migliore? Il cuore di entrambi batteva così forte…
 
 
“CAPITANOOO!”
 
La voce di Connie pochi metri sotto di loro li fece sussultare.
 
“Ah, siete già qui?!” esclamò quasi a scusarsi di aver gridato.
 
“Spostati che sennò ti arriviamo sulla zucca!” replicò il capitano con il consueto tono brusco.
 
Il soldato non se lo fece ripetere e si ritirò immediatamente dentro la finestra.
 
“Andiamo, i mocciosi hanno fame!” le sussurrò sorridendo nel buio.

 
   
 
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