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Autore: Lodd Fantasy Factory    13/12/2018    0 recensioni
James e Jon fissarono inconsciamente lo squarcio che si era aperto fra gli specchi: si chiesero quale realtà terribile celasse al suo interno. Le tenebre apparivano definite, come drappi consistenti agitati in modo spasmodico da entità ignote, lasciando di quando in quando spazio ad una miriade di volti fra le innaturali pieghe.
Poi, la porta a vetrate s'incrinò.
Erano senza via di fuga.
In trappola.
Genere: Azione, Fantasy, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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03,

...

 

 

In quella fredda mattina di Gennaio, con le feste ormai chiuse nel cassetto dei ricordi, la città si era immersa già da un pezzo nel caos di vite che la animava. I bar erano gremiti di clienti, e negli uffici si faceva il conto alla rovescia per l'agognata pausa. Ma la giornata di James iniziava solo ora, scandita dal rimbombare noioso e ripetitivo della sveglia tra le sorde pareti della stanza. I freddi colori della pioggia tingevano il mondo fuori dalla finestra, ricreando lo stesso effetto di un dipinto sbavato.

La serata precedente era trascorsa alla stregua di tante altre per il giovane scrittore, tra la faziosa stesura del nuovo capitolo del suo romanzo, “Il sole che non tramonta sui giusti”, presto interrotta dall'arrivo dei soliti amici che, non sapendo dove andare, si erano riversati in massa nel suo studio. E così, tra fumo, risate e qualche buon bicchiere di whisky, la notte era sfumata fra i bagliori dell'alba, ancora una volta.

Era mezzogiorno.

Era lunedì.

Era già in ritardo!

«Jon, dannazione, ancora tu? Ora mi alzo!» esclamò, tirandosi a sedere. Fosse rimasto sdraiato un secondo in più, le coperte lo avrebbero avvolto come una larva, e custodito sino ad un mesto risveglio, a pomeriggio inoltrato.

Rispose alla chiamata sbadigliando, con la sua solita voce profonda, quasi un eco dell'oltretomba. Chop, il meticcio pezzato dalle orecchie a sventola, si rotolò nel suo cesto. Tale padrone, tale cane.

James possedeva una dote più unica che rara, invidiata da pochi ma detestata da molti: il ritardo cronico. Gli riusciva naturale arrivare tardi, pur quando l'appuntamento era proprio a casa sua. Un secondo talento, del tutto inutile a causa del primo, era la capacità di prepararsi in cinque minuti.

 

Jon lo aspettava spazientito, in piedi davanti all'entrata della palestra, col suo solito fare frenetico, da oltre trenta minuti. Ai suoi piedi si estendeva una pozza che pareva un lago, alimentata a mo' di cascata dal rigagnolo che si riversava dal vecchio canale di scolo della struttura alle sue spalle.

«Sempre puntuale, vero? Più sicuro della morte!» scherzò, tirando poi su col naso, infreddolito.

«Bhe... sì! Ma vedi il lato positivo: porto con me l'estate!» rispose James, alludendo ad un tiepido raggio di sole che adesso si affacciava sull'ingresso della palestra. Sul viso aveva stampato un ghigno divertito, oltre alle pieghe lasciate dal cuscino. Malgrado il clima pungente e la pioggia, non avrebbe mai rinunciato al tipico completo d'allenamento estivo.

«Ricordami di venire quaranta minuti più tardi, la prossima volta. Anzi, meglio di no, mi fregheresti sul tempo, e riusciresti ad essere in ritardo sul mio stesso ritardo. Dovresti farti controllare: non è tanto normale, sai?» lamentò Jon con fare scherzoso, dirigendosi poi verso gli spogliatoi, poco prima dell'infuriare dell'ennesimo temporale.

L'ampio seminterrato del palazzo che ospitava la palestra era più freddo del solito. Le luci lampeggiavano di quando in quando, mentre il brusio della sala attrezzi era stranamente quieto. Marjin, il proprietario, li fissò di sottecchi da dietro la scrivania, quasi cercasse di nascondere le profonde occhiaie ed una vaga noia.

Quel giorno, più di tutti gli altri, i due avvertirono una corrente gelida spirare fra i macchinari, benché fosse evidente che nessuna delle finestre era stata lasciata aperta. I soliti volti comuni, a cui da tempo erano abituati, si trascinavano da un attrezzo all'altro, ignari della loro presenza, come fossero solo dei corpi vuoti che vagavano verso l'oblio.

Forti dell'indifferenza che avevano sempre mostrato nei confronti degli altri atleti, timorosi di venir risucchiati in futili discorsi che avrebbero strappato tempo prezioso all'allenamento, presero la situazione in modo positivo.

«Avanti Jon, oggi dobbiamo superare il limite!» affermò James, mentre l'amico completava a fatica l'ultima serie in panca.

«L'ho fatto per Khyren, e per chi mi ha voluto bene!» ribatté Jon, dopo aver concluso.

Era una battuta che aveva perso lo smalto e la carica che era in grado di suscitare un tempo ma, a fatica, riusciva talvolta a strappare loro un sorriso. Alludevano ad un carismatico personaggio inventato dal giovane scrittore in una delle sue storie, ove era supportato dal fido compagno di avventure Phoenix.

Quando James si sdraiò e protese le mani verso il bilanciere, sollevandolo, avvertì una strana sensazione viscida. Saldò la presa sull'impugnatura e spinse con tutta la forza che aveva per portarsi avanti nell'esercizio; ma, quando arrivò in alto, vide la sbarra di ferrò scomporsi in una miriade di piccoli serpenti.

Il terrore lo afferrò.

«Sei pazzo!?» esclamò Jon, che prontamente aveva afferrato il bilanciere prima che potesse schiacciare l'amico con tutto il peso. Lo rimise sui fermi con uno sforzo sovrumano.

«Serpenti! Ma che diamine...?» urlò James, spolverandosi in modo frenetico, come se tentasse di levarsi qualcosa di dosso. Tutti all'interno della palestra lo fissarono con vuota disapprovazione. «Che avete da guardare?» mormorò scuotendo la testa, sedendosi di nuovo sulla panca.

«Serpenti?» lo derise Jon. «Dovresti pensare a dormire la notte. E vedere meno film Horror. Avanti, non battere la fiacca. Qualsiasi cosa dovessi vedere questa volta, non mollare il bilanciere, perché non ti aiuterò!».

James si sentì all'improvviso svuotato delle proprie energie. Il peso che stava provando a sollevare pareva un macigno insostenibile, malgrado fosse ben inferiore rispetto ai suoi standard. Gli tremavano le braccia. Era sul punto di cedere di nuovo.

«Forza, è l'ultima serie!» sì sentì spronare.

Strinse allora i denti, e spinse con tutto se stesso. Il peso divenne tanto leggero che non vi fu più bisogno del supporto di Jon, completò l'esercizio con cinque sollevamenti extra.

«Grazie» sussurrò trafelato, quando si mise a sedere. L'amico, però, pareva impegnato in un altro macchinario, dall'altra parte della sala, troppo distante per aver seguito la sua serie. Si guardò attorno, ma dubitava che qualcun altro si fosse degnato di aiutarlo.

Cercando di non far caso all'accaduto, raggiunse Jon per ultimare il programma d'allenamento; ed in men che non si dica, tra le solite risate, scemenze e battute di dubbio gusto, i due furono già all'ultima ripetizione dell'esercizio finale.

James si era lasciato alle spalle la fiacchezza, mostrando una buona condizione fisica, malgrado le poche ore di sonno e la fame. Gli ultimi colpi si presentarono tuttavia come uno scoglio, ma giunse in suo soccorso ancora una volta quella voce:

«Forza, non mollare: è l'ultima serie!».

Come accaduto sulla panca, riuscì ad ultimare la tabella con facilità, superando la sfida. Si tirò su di fretta, sperando di sorprendere l'amico darsela a gambe levate, e così mettere fine a quello stupido scherzo. Ma lo vide già lontano, con in mano i tappetini per l'addome, ultimo gruppo muscolare della giornata. Fu in quel momento che si accorse di avere ancora gli occhi di tutti gli astanti su di sé.

«Questa devi spiegarmela» brontolò, avviandosi poi verso la stanza dai molti specchi, adibita per gli esercizi addominali. «Ho qualcosa di strano oggi? Perché tutti continuano a fissarmi?».

La zona era immersa della penombra, e due ragazze erano appartate sul fondo, come intente ad eseguire degli esercizi di yoga, una davanti all'altra, in piedi.

James tirò un sospiro di sollievo, fiero del fatto che a breve l'allenamento si sarebbe concluso.

Ciò che non sapeva, però, era che presto niente sarebbe più stato lo stesso ai suoi occhi.

 
   
 
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