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Autore: Ghen    15/12/2018    6 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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36. La sposa - Seconda parte


Sei persone trasportarono la grandissima torta nuziale a tre piani nell'enorme salone del ricevimento. Panna, rose in pasta di zucchero e dei disegni su tutta la superficie. La wedding planner, Janine, era davanti che dettava disposizioni come un vigile, mentre tutti applaudivano. C'erano i Luthor, c'erano i Danvers e tanti bambini che esultavano alla vista di quel dolce gigantesco, la troupe televisiva che aveva seguito attentamente l'ingresso fin dal furgone che lo aveva trasportato, la troupe della CatCo che scattava foto agli invitati e alla famiglia, e gli innumerevoli invitati, appunto, che continuavano ad arrivare in quell'hotel in centro a National City, prenotato completamente solo per loro per due giorni interi. Felipe lo stilista le aveva raggiunte scusandosi per essersi perso i voti, dicendo che in ogni caso si sarebbe commosso; Maggie aveva dovuto trascinare via Jamie quando la bambina lo aveva indicato scambiandolo per un pony arcobaleno della tv. C'era Cat Grant, vestita con estrema eleganza. Marielle che si sentiva un pesce fuor d'acqua. Il sindaco, che era arrivato con la scorta e probabilmente già un po' brillo, per come rideva. Dipendenti della Luthor Corp e amici. Erano presenti diverse famiglie di spicco della città, perfino la padrona di Proiettile con lui in borsetta. C'erano diversi volti noti per la televisione e alcuni della radio locale, alcuni giornalisti non per lavoro, e perfino qualche campione in discipline sportive. Eliza per prima era rimasta spiazzata dalla mole di persone che si stavano presentando per festeggiare il suo matrimonio; ricordava gli inviti, ma mai avrebbe pensato che avrebbero realmente partecipato. Quel ricevimento era un vero e proprio evento; non ricordava così tante facce importanti nemmeno alla festa del loro fidanzamento e, per un attimo, si sentì come se avesse dovuto sostenere un duro esame, dato che molti di loro la guardavano.
«Quando abbiamo… Beh, quando mi hai detto che avremmo dovuto invitare anche loro», indicò Eliza, stringendo Lillian vicino a lei, «e loro, oppure loro, oh, e lui, lei è… non fa scherma?».
«È la campionessa in carica».
«Sì. Ecco, dicevo… quando mi hai detto che avremmo dovuto invitarli, una parte di me era convinta che non si sarebbero davvero precipitati qui, andiamo», rise, «Credevo fosse una formalità. Che si usasse nel tuo mondo».
«Il mio mondo?!», Lillian sorrise, adocchiandola. «Ti svelo un segreto, mia cara», bisbigliò, «Partecipare è la vera formalità. Alla maggior parte dei nostri invitati interessa mostrarsi, farsi riprendere e lasciarsi intervistare su quale vestito indossiamo preferisce. È una nota da spuntare in un'agenda. Non sono qui per noi, sono qui per loro», sorrise, quando la signora le mostrò Proiettile nella borsetta. «Non lasciarti incantare da questo mondo», sottolineò, carezzandole una guancia, «Poiché è come un bell'incarto su una scatola vuota».
Eliza le baciò la mano che le aveva lasciato sul viso, trattenendo un sorriso. «Pensi che non lo sappia? Questo non mi impedirà di andare a farmi rilasciare un autografo». La vide sghignazzare e le scivolò via, dopo averle regalato un bacio.
Lillian la tenne d'occhio mentre si divincolava tra i tavoli tondi e le sedie, andando a infilarsi in discussioni già iniziate in un gruppo di invitati. La vide scambiarsi un bacio con loro, ridere mentre le davano gli auguri. Era certa che, se esistesse qualcuno in grado di rompere il duro muro che divideva quel mondo di facciate dal suo, più umano, quella era proprio la sua neo moglie. Forse lei, davvero, non si sarebbe lasciata comprare.
«Lillian! Eccoti, finalmente! Dove ti eri nascosta?», per poco, Lionel non le aveva urlato, pur conservando un tiepido sorriso.
Vestito verde che esaltava gli smeraldi sulla collana, i capelli appena lavati e ancora umidicci sulle punte, tenuti su da uno chignon, le scarpe nere e ora lucidate; Lillian si era passata le mani sull'abito e lo aveva lisciato, in special modo sul ventre ancora piccolo, sperando di camuffarlo. «Sono andata a cambiarmi per essere più comoda, mio sposo». Si era alzata sulle punte dei piedi per baciarlo e lui aveva ricambiato, stringendola.
«Avresti dovuto avvertirmi, qui tutti ti aspettavano». Lillian non aveva notato, prima di quel momento, quante persone fossero lì al loro ricevimento; quanti volti famosi dell'epoca, importanti; volti che con lei, prima di allora, non c'entravano niente. Era davvero un altro mondo; o così le era parso subito. Lionel le aveva preso un braccetto, invitandola a seguirlo in modo che facesse la conoscenza di qualcuno di loro prima del pranzo.

Eliza non era l'unica a meravigliarsi della quantità di persone importanti presenti in quell'hotel insieme a loro: i parenti Danvers, dal primo all'ultimo, avevano iniziato a comportarsi in modo strano. Se già in presenza della troupe televisiva, in molti avevano iniziato ad atteggiarsi sventolando mani, a fare facce concentrate e fingere di guardare punti lontani, a sistemarsi gli abiti convulsamente e a rinnovarsi il trucco ogni quindici minuti, ora si concentravano per avere un aspetto più signorile, ridendo a battute in discorsi altrui e riprendendo i figli che, come ogni bambino avrebbe fatto, giocavano a rincorrersi tra i tavoli. Odiavano l'idea di fare brutta figura, ora, a confronto con i più pacati Luthor. Invece, Maggie aveva concesso a Jamie di andare a correre con gli altri bambini e giocare, ma a un patto.
«Chi è Rainbow Dash?», domandò Alex, alzando le sopracciglia.
«Un amico di Jamie», ridacchiò lei, andando a rifugiarsi tra le sue braccia e, alzando il mento, indicando lo stilista.
«Ooh, Felipe», sorrise, mentre l'altra le insisteva di fare silenzio, battendole una spalla. Lo tennero d'occhio mentre, con concentrazione quasi maniacale, si rimetteva da un lato il ciuffo di capelli arcobaleno riflettendosi su uno specchietto da borsetta.
«Basta che gli stia lontano. Non voglio che finisca sui giornali come la bambina molesta che importunava lo stilista di una delle spose».
Alex ridacchiò. «Tu ci credi che tutta questa gente stia respirando la nostra stessa aria?».
Maggie le sorrise. «So che avevano invitato anche il capitano Zod, ma a quanto pare ha declinato». Alex si fece più seria e sospirò, tanto che la ragazza si staccò da lei, guardandola negli occhi. «Se Zod fosse colpevole, pensi che Lillian lo avrebbe invitato?».
«Dubito che Lillian conosca tutto di tutti».
«E dai, Alex… Dai il beneficio del dubbio, per una volta. Sappiamo dei Gand e, se fosse uno di loro, il nome salterà fuori con la microspia, prima o poi».
La ragazza si appoggiò contro una sedia, sospirando rumorosamente. «Dovremo ascoltare due giorni di audio, da domani, a proposito».
«Io farò doppio turno, domani».
«Tu», la indicò, «sei davvero furba. Vorrà dire che mi farò aiutare da una delle due piccioncine sfortunate».
Maggie intercettò il suo sguardo e sorrise, osservandole poco lontano dalla torta, in piedi e vicino al muro, che parlavano e sorridevano, lontano da tutto e tutti, in un mondo a parte solo per loro. Si chiesero entrambe di cosa stessero parlando. «Quanto ci metteranno per rimettersi insieme, secondo te?».
Alex mise le braccia a conserte. «Lena le tiene nascosto qualcosa e Kara è su di giri, non le piace che le si nascondano le cose. D'altro canto, le sbava sopra da quando è arrivata e l'ha vista vestita da damigella, stamattina. Lena le ha praticamente detto che le salterebbe addosso. Dunque…», ci pensò, assottigliando i suoi occhi, «do loro pochi giorni. Il tempo di parlarsi e metabolizzare la parentela».
«Stanotte», decise invece Maggie, mentre l'altra sgranava gli occhi. «Do loro fino a stanotte, credimi».
«Ma no».
«Siamo in hotel, si beve, farà caldo tra un po', si ride, si stanno studiando con gli occhi, si vogliono. Stanotte», ribadì, «Vuoi scommettere?».
«Ci sto». Si strinsero le mani, riguardando verso le due. «È troppo presto».
«Vedrai, Danvers».
Lena non riusciva a staccare lo sguardo dalle sue labbra. Brillavano con quel lucidalabbra. Si domandava a che gusto fosse. A che gusto fossero le sue labbra, la sua bocca, la sua lingua. Doveva smetterla, lo sapeva, ma non riusciva a fare a meno di guardarla e pensarla su di lei. Doveva essere l'effetto del matrimonio.
«E allora cammino lungo questo corridoio, sembrava deserto», Kara prese una pausa, guardandola negli occhi, che lei rialzò, «prendo la racchetta del lacrosse per colpire quello che penso sia un ladro, i rumori non smettono un attimo. Mi affaccio alla porta aperta, alzo la racchetta e gliela sbatto in faccia», gesticolò, facendo sorridere Lena. «Ma era solo Mike».
«Mike? Il tuo ex ragazzo?».
«Quel Mike», annuì, roteando gli occhi. «Gli ho fatto il naso rosso, avevo paura che gli uscisse sangue e volevo portarlo da un medico, ma quando mi giro per aiutarlo, lui è sparito o-o meglio, non è sparito, è ancora lì e lo trascino per andare fuori, ma non era Mike! Per me lo era, sapevo che era lui, ma in realtà era solo un enorme e gelatinoso orsetto gommoso».
Lena rise ancora. «Non lo avrai mangiato?».
«No. Per me era Mike e poi era rosso proprio come il suo naso, quindi era per forza lui», scrollò le spalle.
«Fammi capire, Kara Danvers: questa notte sono rimasta al tuo fianco con la paura che potessi sentirti male, e non ho quasi dormito, mentre tu sognavi di essere in compagnia del tuo ex ragazzo sotto forma di orsetto gommoso?».
Lei trattenne il fiato, per poi annuire. «Precisamente», arrossì, puntando altrove il suo sguardo. «Oh, ora si mangia». Indicò i camerieri e la gente che si preparava per andare ognuno al proprio posto, segnati su un tabellone. Salvata dal pranzo, o almeno credeva: la discussione era finita in un attimo imbarazzante, ma Lena era al suo stesso tavolo e, sedendosi, scoprì che le era proprio accanto. Sentiva il suo cuore battere così velocemente. Accidenti, voleva di nuovo Lena con sé più di ogni altra cosa, e da come la guardava e le parlava, sapeva che per lei era lo stesso, ma erano al matrimonio delle loro madri e dovevano stare attente a come si comportavano, oltre al fatto che quel segreto pendeva ancora sulle loro teste tenendo sotto scacco la loro relazione. Alex le si sedette dall'altro lato e le sorrise, portando avanti la sedia. Anche Maggie le sorrise, sistemandosi dopo Jamie, che aveva già morso un pezzo di pane preso nel cesto in mezzo alla tavola. Dopo entrambe sorrisero a Lena che, accorgendosi dei loro sguardi, le aveva ricambiate in modo perplesso.
«Allora, ragazze». Eliza prese la loro attenzione, mentre la telecamera girava intorno al loro tavolo. «Siete pronte per cantare e suonare?».
Lena e Kara si scambiarono uno sguardo, sentendo con una lieve dose di ansia che la telecamera le stava riprendendo. «S-Sì», annuì la seconda, seppur con titubanza.
«Certo», disse anche Lena, più calma, mentre una cameriera serviva il tavolo. «Abbiamo fatto diverse prove, ormai ci verrà naturale».
Lillian era tra Eliza e Lex, quest'ultimo accanto a Lena. Le lanciò un'occhiata. «Ma non vi siete ancora esibite davanti a tutte queste persone», fece notare. «È normale se vi sentiste sotto pressione».
Lena schiuse le labbra, fingendo di dover ancora ingoiare e così prendendo tempo: non poteva di certo mostrare le sue antipatie verso la madre sotto telecamera. Avrebbe tanto voluto che, invece di darsi il cambio per mangiare, la troupe fosse andata tutta a pranzo e farsi così gli affari propri. «Forse all'inizio sarà strano, ma… Io non mi esibisco con pubblico da tempo, come sai, ma sarà come andare in bicicletta e Kara dovrà solo guardare me». Le scoccò un'occhiata. «Le verrà bene». Lillian spense il sorriso.
Lex guardò una e poi l'altra, decidendo di porre fine a quel discorso. «Eliza, il tuo ex marito non si unirà a noi?».
Lei guardava ancora Lillian e alla domanda bevve un sorso di acqua. «Sì, ma sul tardi. Purtroppo doveva lavorare, altrimenti non sarebbe mai mancato». Era sempre grata del fatto che, anche dopo il divorzio, fossero rimasti in buoni rapporti. Certamente non si sentivano tutti i giorni e poteva capitare che non avessero contatti per mesi, ma lui restava il suo migliore amico e questo non sarebbe mai cambiato: lo erano prima di mettersi insieme da giovani, lo erano quando si erano sposati da adulti e lo erano da divorziati. Mezza vita insieme e due figlie meravigliose: non poteva essere diversamente. Eliza rialzò lo sguardo e, in un attimo, lo vide.
«Cosa c'è? Ti senti bene?». Jeremiah l'aveva vista sofferente e le aveva stretto una spalla. «Forse dovresti saltare certe pietanze», le aveva fatto notare mentre lei, stringendo i denti, si era coccolata il pancione.
«Abbiamo scelto un menù apposta che io potessi mangiare. La dietologa è stata molto chiara, Jeremiah: forse Alex vuole solo farmi i dispetti». Si era stretta di nuovo e lui aveva aggrottato lo sguardo.
«E se andassi a sdraiarti?».
«Oh, certo», aveva ridacchiato lei, «Mi faccio accompagnare a casa, una mezz'oretta e torno subito al mio matrimonio».
«Lo so», le aveva sorriso lui, accarezzandole il pancione. «È il nostro matrimonio, ma sei incinta e niente viene prima di questo». Lei aveva voluto sorridere di rimando, ma un dolore fortissimo l'aveva fatta piegare e trattenere il fiato, spaventando tanto suo marito che si era alzato bruscamente dalla sedia e l'aveva fatta cadere a terra, attirando l'attenzione della sala nel locale. «Chiamate il nove uno uno», aveva urlato allora, soccorrendo Eliza.
Si fregò la pancia, ora magra. Con la coda dell'occhio guardò Alex che convinceva Jamie a mangiare le verdure sul piatto. Non le aveva mai raccontato di quando, al suo matrimonio, aveva avuto paura di perderla.
Avevano quasi finito di mangiare che Lex si alzò dalla sedia con un bicchiere in mano e lo fece tintinnare, attirando l'attenzione di tutti, in special modo dei giornalisti della CatCo e della troupe televisiva. «Ed eccoci tutti qui, in questa giornata di festa, di risate e di commozione», scoccò un'occhiata a Felipe in lacrime, in un tavolo vicino. «Dovete sapere che non ero affatto convinto che questo giorno sarebbe arrivato. Quando mio padre, il mio amato padre venuto a mancare un anno e mezzo fa, mi disse che mia madre aveva un'altra relazione, io restai… non sconvolto come potete pensare, ma piuttosto disorientato. Mia madre non è mai stata una di quelle persone a cui basta guardarle per capire tutto di loro; è riservata, non ama le dimostrazioni d'affetto, in special modo se in pubblico. È una persona… particolare. Loro erano separati in casa da anni, non è che mi aspettassi un loro per sempre felici e contenti, al contrario», si sforzò per osservarla, ferma ad ascoltarlo, «Ma se mi avessero detto che uno dei due avrebbe cominciato ad avere una relazione, avrei puntato su mio padre», disse seriamente, eppure qualcuno rise. «Eliza è la persona più buona che io abbia mai conosciuto. Una vera e propria onda di positività nella nostra famiglia; una boccata d'aria fresca. Con lei vicino è tutto nuovo, più bello», la scorse con la coda dell'occhio ringraziarlo, «Con Eliza accanto, anche mia madre è una persona nuova. La rende felice e non c'è niente che conti di più», sorrise, alzando il bicchiere. «Sono contento che una persona come lei, ora, sia come una madre, per me. Per noi». Inquadrò Lena e ringraziò tutti per l'ascolto. «Beh, il pranzo non è ancora finito, non lasciate che si freddi. Buon appetito e grazie a tutti per essere qui a condividere con noi questo splendido giorno». Buttò giù un sorso del bicchiere e tutti fecero lo stesso, per poi applaudire. Anche zia Lorna diede loro un lungo sguardo, mentre applaudiva.

Alla Lord Technologies, intanto, la pausa pranzo stava quasi per finire. La sala mensa era ancora piena di dipendenti. Alcuni finivano la frutta e altri liberavano il tavolino dagli avanzi e dai piatti sporchi, lasciando pulito. Max Lord era comodamente seduto davanti a uno di quei tavolini, in centro alla sala, da solo. Leggeva un giornale mentre sorseggiava caffè dalla tazzina. Il piatto davanti con le sole briciole, il vassoio della frutta quasi pieno, la bottiglia dell'acqua a metà. Un uomo gli si avvicinò chiedendogli scusa per l'intrusione, poi Max lo congedò e, finendo di bere il caffè, aspettò l'arrivo di altri due uomini e una donna: Roulette era arrivata, finalmente, e aveva l'aria lievemente seccata. «Un attimo solo», le disse lui alzando un dito indice, in modo che aspettasse di finire di leggere un trafiletto. «Sì», bofonchiò dopo, «Spiacevole avventura per la nuova apertura a Gotham… sì… Ragazzi del posto, di strada, ah, i lavori procedono spediti e speriamo che, questa volta, Maxwell Lord spenda di più in sicurezza». Lord scosse la testa, ripiegando il giornale. «Mi occupo di sicurezza da anni e mi vogliono insegnare a fare il mio lavoro», delineò un forzato sorriso.
«Quei ragazzi sono spuntati dal nulla, hanno colpito l'omone all'ingresso di soppiatto, cosa pensavi che sarebbe successo? Io di certo non voglio mettermi in fila per insegnarti a fare il tuo lavoro, bello mio, ma è chiaro che qualche allarme ci avrebbe fatto comodo, là dentro», gli fece notare la ragazza e lui alzò gli occhi, guardandola con attenzione e, infine, poggiandosi con la schiena contro lo schienale.
«Non pensi che se avessi voluto qualcosa di specifico, lo avrei installato di persona?».
Lei scrollò le spalle. «E perché non lo hai fatto?».
«Perché non lo volevo: la risposta era già nella domanda». Si alzò, intanto che lei ruotava gli occhi con fare nervoso.
«Mi hai fatto venire fin qui per giocare? Pensavo che avrei coordinato i lavori, in tua assenza», bofonchiò, «I tuoi uomini mi hanno fatto saltare il pranzo, a proposito. La cosa mi rende suscettibile».
Maxwell prese una mela rossa dal suo vassoio e gliela consegnò tra le mani, senza trattenere un sorriso. «Vieni con me, seguimi». Fece un cenno ai suoi uomini di attendere e con lei dietro, che masticava la mela, uscì dalla mensa, percorrendo un corridoio, salendo due scalini, entrando in un altro corridoio con le luci più soffuse che si affacciavano a diversi laboratori divisi da enormi vetrate, così dopo entrarono in un ascensore che li portò a qualche piano più giù, sotterraneo. Un altro stretto e freddo corridoio li portò allora dinanzi a una massiccia porta, che Maxwell aprì scansionando la sua mano destra e dopo immettendo una password. Veronica Sinclair si guardò intorno più volte per rendersi conto di quanti schermi collegati a delle telecamere di videosorveglianza avesse lì dentro. «Vedi, il motivo per cui non ho installato determinati allarmi, a parte quelli silenziosi, è che sarebbero andati contro i miei stessi interessi».
«Ami che le persone ti sfascino il locale?», scrollò le spalle, adocchiando diverse immagini che non provenivano dalla Green Caravel, ma dall'esterno, affacciavano sulle strade.
«No» ridacchiò, «Ma è sfortunatamente un danno collaterale: voglio assicurarmi che la mia clientela, dopo la pillola, abbia a disposizione un luogo sicuro dove sfogarsi. Un allarme non farebbe che creare il panico e porterebbe la polizia sul luogo prima del tempo. L'importante è che io tenga tutto sotto controllo da qui, da questi schermi», ne toccò uno, battendolo con le nocche. «Mi aspettavo incidenti, anche se non di questo tipo».
«Li avrà pagati Lex. Ci scommetto».
Lui sorrise, sistemandosi la cravatta. «Sì, beh, naturalmente il pensiero mi aveva sfiorato».
«Non per farmi gli affari tuoi e via discorrendo, ma», lei si morse un labbro, «non è illegale tenere tutte queste telecamere? Sei fuori molto oltre il locale».
«Capisco le perplessità». Si sedette su una sedia, guardando con una certa fierezza gli schermi. «Ho i permessi accordati dal comune di Gotham: ricevono la loro percentuale sulle pillole, non hanno avuto motivo per negarmi l'installazione. Fa parte del progetto, no? Devo tenere sotto sorveglianza i soggetti finché posso, come ti avevo spiegato. Piuttosto…», sospirò, mettendosi a scrivere sulla tastiera, «Non sei qui per i ragazzi che hanno sfasciato il locale». Una volta finito di digitare, guardò in alto, verso uno schermo alla sua destra: Kara Danvers era lì con le sue amiche, si scontrava con un ragazzo che camminava con altri ragazzi, lo chiamava, lui si avvicinava, Ivy si metteva in mezzo. «Perché non mi hai detto che stavi testando Kara Danvers? Avrei voluto essere informato». Lei aprì bocca, quando lui la interruppe: «E risparmiami i tuoi non sapevo chi fosse, Veronica».
Lei sorrise quasi orgogliosa, ingoiando un boccone. Lasciò una mano sul suo schienale, appoggiandosi con eleganza. «Naturalmente sapevo chi fosse: la sua faccia è apparsa su tutti i giornali più volte per via del matrimonio di sua madre con Lillian Luthor», disse con sufficienza. «Era lì, sul bancone, come un cane bastonato. Volevo conoscerla, era così sconfitta dalla vita che volevo darle qualcosa per tirarsi su», esclamò, stringendo le labbra.
«La pillola rossa cadeva piuttosto a proposito».
Lei annuì. «Quello che non mi aspettavo era la velocità con cui ha fatto effetto». Smise di parlare, incantandosi nel vederla picchiare quel ragazzo per strada e dare inizio alla rissa. «E che violenza…».
«Il suo corpo ha rigettato la pillola», le fece sapere Maxwell, digitando ancora, mostrandole nelle strade successive il suo comportamento, tra sbandamenti e stanchezza. «Hai i tuoi appunti?». Lei annuì, aprendo la borsetta e togliendo un bloc notes, così il giovane uomo sorrise. «Ottimo lavoro», lo aprì, sfogliandolo. «Sono felice dei risultati raggiunti, ma sfortunatamente le pillole rosse non sono ancora pronte», strinse le labbra con disappunto. La scorse ridere e a un certo punto si fece curioso.
«Non vuoi sapere come sia riuscita a entrare nella sua testa?». Veronica lasciò lo schienale e si appoggiò al banco accanto alla tastiera, incrociando le gambe e sorridendo con malizia, tenendo il torsolo con due dita. «La nostra ragazza è innamorata… di Lena Luthor».
Maxwell Lord sgranò gli occhi, abbozzando appena un sorriso. «Cosa?», aggrottò la fronte, per poi restare senza fiato un momento. «Questo spiega qualcosa… Ha senso», sorrise, «Hanno deciso di rendere ancora più forti i legami familiari. Cosa ne pensi? Sapevo che tu e Lena aveste dei trascorsi».
Gettò il torsolo in un cestino e incrociò le braccia al petto. «Lena ed io avremo sempre un legame. E comunque non sono fatti che ti riguardano».
Lui annuì e rise, incassando il colpo.

Lena le sorrise, sedendo sullo sgabello davanti al piano.
Kara ricambiò, sistemando il supporto del microfono.
Oh, c'era davvero troppa gente. Dopo il taglio della torta e altre foto, si erano convinte che la mole di gente fosse misteriosamente lievitata. E ora toccava a loro rendere quell'evento ancora più speciale.
Maggie diede un colpetto a un braccio di Alex e le due si scambiarono un'occhiata divertita. «Allora quanto scommettiamo, Danvers?».
«Mamma?».
«Mmh, vediamo… se vinci tu, ogni volta che siamo insieme cucino io», Alex le scoccò un'occhiata, regalandole un largo sorriso. «Ci stai?».
«Mamma?».
Maggie s'imbrunì. «Questo è se dovessi vincere tu, tesoro, sarebbe come una punizione».
«Mamma?».
Alex scrollò le spalle. «Non mi hai fatto finire, Sawyer: nuda. Cucinerò nuda».
Maggie spalancò gli occhi, diventando rossa.
«Mamma?».
«Accetto», annuì, «Ma solo se la bambina è fuori: non me la traumatizzerai in età prescolare».
«Mamma?».
«Andata», allungò la mano destra per stringere la sua. «Se dovessi vincere io, sarai tu a cucinare nuda per me».
«Mamma?».
«Con il grembiule da cucina», aggiunse velocemente Maggie. «Da te fa più freddo».
«Mamma?».
Alex sorrise a trentadue denti, per poi sussurrare: «E sarò io a slacciartelo quando farà più caldo».
Maggie allungò la mano per stringergliela a sua volta. «Andata anche per m-».
«Mamma?».
«Cosa c'è?», Maggie si voltò dietro di loro con scatto, trovando la bambina dall'altro lato del tavolo che le scrutava con occhi grandi. «Tesoro mio», aggiunse una volta calmata, forzando un sorriso.
La piccola aprì bocca e a più riprese cercò di parlare, riportando il discorso al punto di partenza. «Ma lo shai che… Ma-Ma lo shai che… Ma lo shai che…». Le due la guardavano con tenerezza. «Ma lo shai che… che io… Ma lo shai che io… riesco a gonfiare la teshta? Allora, lo shai?». All'improvviso si tappò il naso stringendolo con una manina e trattenne il respiro, diventando immediatamente rossa; così aprì gli occhietti che aveva chiuso prima della performance, aspettando la loro reazione.
«Wow, è… sei bravissima, amore mio», annuì, guardando Alex con complicità.
«Sì, è vero. L'ho vista proprio gonfiarsi, è stata… Tu l'hai vista gonfiarsi?».
«Altroché», accarezzò il volto di Jamie, che sorrideva con orgoglio, le fossette bene in vista. «Ma non farlo troppo spesso, mongolfiera, o resterai troppo gonfia per giocare». La piccola annuì e corse all'indietro, sbattendo contro una sedia per un capogiro, e poi correndo di nuovo, raggiungendo gli altri bambini dietro un tavolo. «Ho una figlia mongolfiera».
Kara tremò, guardando il pubblico. Era tardi per tirarsi indietro. Sapeva le parole, conosceva la musica, doveva solo concentrarsi: poteva farcela. Corse per un bicchiere di champagne, bevendo quasi tutto in un sorso. Se non altro aveva avuto del tempo per prepararsi, stavolta. Oh, e Lena. Beveva anche lei e appoggiava il bicchiere sul piano. Lena era così bella… Si era sistemata i capelli lisci da un lato, gli occhi chiarissimi erano concentrati sullo spartito, le labbra rosse appena schiuse. E la scollatura… No. Non avrebbe dovuto guardarle la scollatura, accidenti. Doveva concentrarsi sulla canzone, non sulle sue tette. Ma perché finiva sempre per guardargliele? Che si fosse messa i push up? Ma non voleva tornare ancora con lei, non avrebbe avuto senso stuzzicarla… No, no, non aveva i push up. Deglutì. Forse doveva bere un altro sorso.
«Psst», Maggie ridacchiò. «Guarda tua sorella».
Alex spalancò gli occhi e si alzò dalla sedia per muovere le mani e disperatamente attirare la sua attenzione: «La testa di Lena», mormorò, le avrebbe letto le labbra, «è più su». Vide Kara diventare paonazza fin alle punte delle orecchie e così abbassare gli occhi verso il microfono, imbarazzata.
«Ho praticamente già vinto, Danvers», cantilenò.
«Ma no», scrollò le spalle, «Kara si è solo distratta. Ed è pieno di giornalisti e lo sa, l'incosciente».
Le luci del salone si attenuarono fino a diventare soffuse, con un chiarore via via più luminoso verso le ragazze. C'era un brusio in sottofondo, ma nemmeno più i bambini alzavano la voce. Cat Grant fece avvicinare al suo tavolo una ragazza della troupe della CatCo e all'orecchio le diede alcuni suggerimenti, accompagnati da indicazioni; quando la ragazza si allontanò, iniziò ad applaudire e tutti seguirono.
«Ehi», Lena si mise al suo fianco, «Tutto bene? Basta che guardi me, se tutte queste facce dovessero metterti soggezione».
«Lo farò».
Stava per tornare alla sua postazione, ma si fermò all'improvviso, avvicinandosi ancora, furtiva, stringendole un braccio. Poteva sembrare che si stessero solo scambiando gli ultimi appunti, invece… «Ah, Kara: con guarda me, intendo il mio viso, non le mie tette».
L'altra spalancò gli occhi, arrossendo ancora, vedendola allontanarsi con un sorrisetto malizioso stampato in faccia.
Quando la musica partì, non volò più una sola mosca in tutto il salone. Lena era concentrata, Kara deglutì, ascoltando e, infine, socchiuse gli occhi insieme a lei, iniziando a cantare, lasciandosi trasportare.
Alla destra di Eliza, Marielle emise un verso emozionato, battendo un poco le mani. Il gesto aveva subito suscitato un altro applauso ed Eliza sorrise raggiante, fiera di loro. Aveva probabilmente gli occhi lucidi. «Sono bellissime», sussurrò e Lillian, alla sua sinistra, guardò lei e poi loro.
Kara staccò il microfono dal supporto e, con un sorriso, si avvicinò a Lena che le sorrise a sua volta. Non erano due ragazze che ritrovandosi a far parte della stessa famiglia si esibivano per le loro madri. Erano complici; come se entrambe stessero suonando ed entrambe cantando, e non esisteva nessun altro, al di fuori di loro, in quel momento. Erano insieme e sole. Kara la guardava e Lena lo sentiva. Non si toccavano, eppure erano un unico corpo.
Lillian le fissò. Non poteva farne a meno. Ascoltava la musica e le parole, ma non sentiva altro, nella sua testa, che la voce di sua figlia che le diceva di amare Kara. Era vero. Vedeva anche lei la verità, adesso, ma una parte di sé non riusciva ad accettarlo. Per Lena, con Kara era diverso. Ma era sempre diverso.
«Sei diversa», le aveva detto Lionel a un orecchio, quando erano seduti a tavola; l'unica tavolata al centro della sala, mentre gli invitati sedevano in quelle davanti. «Ti trovo più… felice», le aveva accarezzato il viso e lei aveva socchiuso gli occhi e sorriso, lasciandosi coccolare. «È perché siamo marito e moglie? Abbiamo davanti una lunga vita insieme, Lillian».
La festa era continuata sulla pista da ballo. I Luthor avevano sempre amato sfoggiare le proprie doti da ballerini e Lillian aveva riso divertita, vedendo Lorna ballare con un cugino più piccolo, alzando il mento e sculettando come meglio riusciva, solo per poi voltarsi verso di lei e farle la linguaccia. Il signor Luthor l'aveva sgridata poco dopo, però, così entrambe erano tornate serie. C'erano i fotografi, dopotutto. Lionel le avrebbe chiesto di ballare non appena sarebbe tornato dal parlare con alcune persone che non conosceva, non ancora, in fondo alla sala, così se n'era rimasta seduta ad aspettare. E avrebbe continuato se sua madre non l'avesse presa per un braccio e alzata dalla sedia con la forza, lasciandole il segno.
«Mi fai male», si era dimenata, «Smettila! Non qui». Si era guardata intorno, ma erano tutti intenti a ballare e nessuno badava a loro.
La donna le aveva alzato una mano, facendole cenno di tacere. «Anche se ti sei sposata, sei ancora mia figlia e devi rispettarmi. Volevo dirti che c'è qualcuno alla porta per te». Alla porta? «Hai visto tua cugina Bernadette? Non la trova nessuno».
Non aveva risposto ed era corsa fuori, alzando il vestito per non inciampare. Si era guardata una volta sola indietro, poiché non la seguissero i giornalisti o qualcuno dei Luthor, e aveva aperto la porta con una spinta. Era illuminato dai caldi raggi del sole, fermo vicino a un'aiuola fiorita. Vedendola, era subito corso verso di lei.
«Credevo di trovarti in abito bianco».
«Perché sei qui? Ti avevo chiesto di non venire». Lillian era arrabbiata e, tesa, continuava a guardarsi intorno con la paura che qualcuno li vedesse.
«È vero che sei incinta? Così dice in giro Bernadette». Il ragazzo aveva provato a toccarle la pancia, ma lei si era tirata indietro. «Ho visto la chiesa gremita, prima. Non potevo entrare nemmeno volendo, le guardie dei Luthor sono ovunque», anche lui si era guardato indietro, per un attimo. «Non dovevi sposarti con lui».
«Lionel mi ama e tu devi stare lontano da me», aveva digrignato i denti.
«Lui ti ha sposata solo perché gli ha detto di farlo suo padre, lo sai meglio di me. Tra noi almeno c'era qualcosa di vero», si era toccato il petto e poi aveva passato la mano sui capelli lunghi, mostrando nervosismo.
«Non vuoi proprio capire», aveva scosso la testa, «Era finita ancora prima che lui mi chiedesse di sposarlo».
«Non è così! Uscivi con lui, ma tornavi da me e adesso… hai deciso di restare con lui solo perché è ricco e può darti la vita che desideri. E ti ha profanato prima delle nozze».
«Smettila! Tra me e Lionel è diverso, non come credi».
Il ragazzo aveva fatto un passo indietro, abbassando lo sguardo. «Anche tra noi lo era…».
Lillian stava per lasciarlo lì, che un uomo aveva svoltato un angolo del locale accanto a un'aiuola e, guardando il ragazzo, si era piazzato accanto a lei. «È tutto a posto, signora Luthor?».
«… Luthor?», aveva biascicato, sbiancando, guardandola ferito.
«Ti stupisci? Sono una Luthor, adesso». Fu l'ultima volta che lo vide. Seppe che aveva lasciato National City, ma non lo cercò mai. Lui faceva parte del passato, di una vita che aveva ripudiato.
Si era toccata il grembo e si era girata per tornare dentro. Le faceva male, ma pensava che poteva essere per aver rivisto lui. Aveva passato il corridoio del locale con quell'uomo al suo fianco ed era tornata nella sala, ma la musica era bassa e solo i bambini ancora ballavano. Sua madre le si era di nuovo scagliata addosso e le aveva stretto con forza un braccio.
«Sei stata tu l'ultima a vedere Bernadette! Perché non lo dici? Nemmeno al tuo matrimonio riesci a comportarti da adulta». L'aveva lasciata andare solo quando l'uomo, come una guardia del corpo, si era ulteriormente avvicinato. «Dov'è tua cugina?».
Lionel era occorso in suo aiuto, spalleggiandola e cercando di far calmare la donna, ma non era la sola, a quel punto, a essere su di giri: tutti i parenti dalla parte di Lillian si chiedevano che fine avesse fatto la ragazza e li avevano accerchiati. La donna si era calmata solo quando era stato Levi Luthor, padre di Lionel e capofamiglia, avvicinandosi, a chiederglielo con cortesia.
Quelle persone erano una bomba pronta a esplodere alla minima offesa. Odiavano che una di loro stesse sposando un Luthor; erano troppo diversi e molti si erano chiesti spesso quanto avesse potuto durare la loro vicinanza.
Bernadette. Oh, l'ultima volta che l'aveva vista aveva smesso di ghignare. Era piena di sangue. Le proprie mani erano piene di sangue. Si era fatta una doccia, le avevano portato abiti puliti e le avevano rifatto il trucco e i capelli. Bernadette era arrivata in ospedale senza conoscenza. I Luthor conoscevano dei medici, lì. Loro si sarebbero presi cura di lei. Bernadette era viva, ma aveva smesso di ghignare. Lillian aveva preso un bel respiro e poi deglutito, guardando sua madre negli occhi. «Non so dove sia».
La donna aveva urlato ma non era riuscita a colpirla, Levi Luthor l'aveva fermata. Altri erano andati in escandescenza e avevano deciso di lasciare il locale e la festa. La madre di sua cugina era in lacrime, dicendo di volerla andare a cercare, dando la colpa ai Luthor.
«Voi le avete fatto qualcosa», la madre di Lillian aveva puntato il signor Luthor, che la guardava immobile. «La vostra famiglia è veleno e avvelena tutto ciò che tocca».
Aveva chiesto a sua figlia di andare via con loro. Di allontanarsi da Lionel. Di disintossicarsi, una volta per tutte. Ma era tardi: Lillian era una di loro. Se n'erano andati e poche altre volte, da allora, li aveva rivisti, prima di prendere totale distanza.
Lillian si era tenuta stretta a Lionel, la sua nuova famiglia, e il dolore alla pancia si era fatto più forte, costringendola a piegarsi in due. «Lionel…», gli aveva stretto un braccio per cercare aiuto. Il dolore, a quel punto, era diventato atroce. Lo sposo aveva gridato a tutti di andare a prendere una macchina.
Lillian si toccò il grembo e ansimò, ritrovando nella sua testa le parole della canzone. Kara era alle spalle di Lena, adesso. Capì in quel momento che, anche se non accettava il loro rapporto, non sarebbe riuscita a tenerle davvero separate. Intravide Marielle che, faccia in avanti, mimava con la bocca le parole della canzone. Ed Eliza che, invece, era totalmente presa. Le strinse una mano e lei ricambiò, baciandola e riguardando le loro figlie.
La canzone finì. Kara mantenne il microfono con entrambe le mani vicino alla bocca e lasciò gli occhi chiusi finché anche la musica non si affievolì. Anche Lena aveva gli occhi chiusi e tutte e due li riaprirono nello stesso momento. Erano rimaste un'unica cosa fino all'ultima nota e, da quel momento, partirono gli applausi. Le due sorrisero e si misero più vicine. Le telecamere ripresero tutto e più volte gli sguardi incantanti degli invitati, perfino dei bambini. Le involsero le luci dei flash e Cat Grant applaudì più forte, piacevolmente sorpresa. Marielle si alzò in piedi per applaudire.
«Sono davvero, davvero bellissime», esclamò Eliza, per poi passarsi le dita sugli occhi e asciugarli dall'emozione. Le riguardò, mentre a entrambe, imbarazzate, veniva fatta qualche domanda davanti al piano. Si sorridevano e si ricercavano di continuo. «Allora», a un certo punto guardò Lillian, disponendo la mano libera sulle loro unite. «Posso cogliere il momento per chiederti come stai vivendo questa cosa?».
Lillian spalancò gli occhi, incerta su cosa si riferisse.
«Parlo di Kara e Lena. Quelle due si sono innamorate sotto i nostri occhi, eh?», sorrise, riguardandole solo un momento.
«Tu lo sapevi?».
Eliza ridacchiò, roteando gli occhi. «Tu mi sottovaluti, mia sposa. E, non di meno, le ho viste baciarsi, a Natale», strinse le labbra, annuendo. «Ero in cucina, sono uscita un attimo in giardino e loro erano in corridoio, le ho viste dalla finestra. Credevo di aver visto male, all'inizio», rise, scrollando le spalle. «Ma va bene», le scoccò un'occhiata. «Non sapevo come prenderla, ma poi loro non hanno detto nulla e così ci ho pensato un po'… Tanto po'. Meritano di essere felici anche loro, non pensi? Sono due brave ragazze; sono le nostre due brave ragazze».
A Lillian si strinse lo stomaco. Si erano lasciate a causa sua e ora veniva a sapere che non solo Eliza sapeva della loro relazione, ma che perfino l'approvava. Ma nemmeno Eliza sapeva cosa avevano fatto i Luthor a Kara. «Non so se siano adatte per stare insieme».
«Ce lo hanno fatto sentire ora», la corresse, riguardandole. «Sono le nostre figlie e anch'io penso che sia strano, ma è la loro vita e devono viverla come facciamo noi con la nostra».

Ancora furiosa, Rhea Gand aveva setacciato il loro salotto a fondo nella ricerca di qualsiasi cosa che Kara doveva aver lasciato quando era andata a trovarli. Una piccola microspia, sicuramente. Era un bene che la loro domestica, Joyce, stesse pulendo il piano di sopra in quel momento, perché nessuno avrebbe voluto starle vicino. Più furbo era stato suo marito, a uscire proprio quando gli disse che aveva intenzione di mettere a soqquadro quella stanza e il corridoio fino al portone; tutto ciò che Kara aveva toccato o sfiorato doveva essere controllato. Quella stupida ragazzina… Dove l'aveva messa? Doveva esserci. A quel punto, le mancava solo la scrivania di Lar. Sollevò i portapenne, dei documenti, delle cartelline, aprì i cassetti. Uno non voleva aprirsi. A quel punto era certa che avrebbe dovuto escludere i cassetti dalla ricerca, però non amava i segreti. Lo forzò e riuscì a scassinarlo, presa dalla foga. Portò il cassetto sulla scrivania senza curarsi che potesse rovinare qualcosa e iniziò a frugarci dentro. Non trovò microspie di nessun genere, ma qualcos'altro di equamente interessante: dei foglietti. Lar stava preparando un discorso e Rhea gridò di rabbia, accartocciando e strappando tutto ciò che riuscì a trovare all'interno del cassetto, gettandolo sul tappeto. Quella ragazzina era entrata nella testa di suo marito e lo stava tentando a fare passi falsi. Lo aveva messo contro di lei. Kara Zor El lo aveva messo contro di lei.
Un momento… Prese un bel respiro e cercò di calmarsi, colta da un'illuminazione improvvisa: all'asta di inizio anno, Lena Luthor l'aveva fatta sudare per ottenere il quadretto, un quadretto che aveva perso anni prima con Maxwell Lord, che non glielo avrebbe mai consegnato per un'asta poiché aveva troppo valore. Lena Luthor sapeva che lei avrebbe partecipato all'asta, sempre lei faceva domande su suo padre alla cena mesi prima e, sempre lei, era diventata sorellastra di Kara Zor El. Come aveva fatto a non pensarci prima…? Così presa dalla magnificenza del suo quadretto… La serratura di casa scattò intanto che Rhea lo adocchiava, affisso sulla parete.

In sala risuonava nell'aria una musica allegra, portata dagli altoparlanti.
Tutti gli invitati si riversarono al centro per ballare, dopo che i tavoli erano stati sgomberati ai lati e riempiti di stuzzichini e champagne, vini e olive. La tenera zia Lara provò a scatenarsi ma zia Lorna le prese il braccetto per riportarla a sedere e così, dopo qualche attimo, si avvicinò Kara per chiederle di ballare. Zia Lorna, che in quel momento ballava col marito, aprì bocca contrariata ma non osò dire niente. E non osò dire niente nemmeno quando Lillian si sganciò la collana in oro bianco e smeraldi per passarla al collo di Eliza. Era una Luthor anche lei, adesso, anche se avevano deciso entrambe di mantenere ambi i cognomi. Era una decisione che la donna non riusciva del tutto ad accettare, ma dopo la morte di Lionel, era Lillian la capofamiglia dei Luthor e non sarebbe riuscita ed esprimerle i suoi pensieri. D'altronde, non erano più le ragazzine di quando si erano conosciute; si erano allontanate negli anni e ognuna aveva preso in mano la propria vita. Tutto era cambiato, da allora.
Intanto arrivò Jeremiah ed Eliza lo accolse a braccia aperte. Parlarono a lungo loro due e Lillian. Lex chiese di poter fare un ballo con Alex e Lena ballò con Jamie, mentre Maggie scattava loro qualche foto con il cellulare. Cat Grant fu intervistata dalla troupe televisiva e dopo Felipe, ancora in lacrime.
«Keira». La ragazza si mise sull'attenti quando, dopo aver lasciato zia Lara, si era vista arrivare Cat Grant. Le portò le mani sui capelli, cercando di sistemarle un piccolo ciuffo ribelle che continuava a lanciarsi verso l'alto. «Hai una voce meravigliosa, hai qualche altro talento nascosto?».
«Beh, no… non credo». Si lasciò sistemare con attenzione, notando che non le rivolse un'altra sola parola fino a che non ebbe finito:
«Ora vai bene», si toccò il mento, osservandola dall'alto al basso. «Sei pronta. Credo che qualcuna voglia ballare con te».
La signora Grant lanciò uno sguardo e Kara la seguì, scoprendo Lena che, lasciando Jamie a Maggie e Alex, le sorrise. Arrossì, girandosi. «Signora Grant, lei…».
Si portò un dito contro la bocca, facendole cenno di tacere e poi sorrise. «Bella canzone».
Lena le arrivò vicino mentre la donna si allontanava per dare nuove direttive ai suoi dipendenti. «Cosa voleva Cat Grant?».
«Emh… s-sistemarmi i capelli, credo». Le guance si colorarono di rosa, osservandola: era così bella, delicata. «Vuoi ballare?». Le porse una mano e l'altra trattenne un sorriso.
«Kara…».
«Ho ballato con zia Lara appena due minuti fa, non dirmi che sarebbe strano».
Lena rise e così anche lei, prendendole la mano. «Solo un ballo».
«Solo un ballo».
Solo un ballo, era vero; un ballo fatto da sguardi, da parole non dette, da risate e sorrisi maliziosi. Solo un ballo. E poi aprirono la porta del bagno, sbattendo all'interno, chiudendola con un calcio mentre Kara spingeva Lena al muro, bocca contro bocca, mani sui fianchi una e mani sul sedere l'altra.
«A-Aspetta, aspetta», Lena si staccò e prese fiato, assicurandosi che il bagno fosse vuoto.
Kara passò a controllare tutti gli scomparti, ma le porte erano aperte ed erano vuoti. Si precipitò di nuovo addosso a lei che la strinse con forza, scompigliandole di nuovo i capelli. Kara le baciò il collo e Lena trattenne il fiato, chiudendo gli occhi e mordendosi il labbro inferiore.
«Aspetta, aspetta», ci ripensò, respirando a pieni polmoni e allontanandola un attimo. «Non possiamo, Kara… Non-». La baciò di nuovo e Lena cambiò idea, stringendole il vestito, attirandola con forza su di sé.
«No, aspetta… Ha-Hai ragione», fu Kara a tirarsi indietro ma, appena guardò il viso di Lena pieno di desiderio, che respirava con affanno, i suoi propositi svanirono all'istante. La baciò, si separarono solo per prendere aria e si ripresero ancora. Kara le toccò il sedere e Lena aprì le gambe, così la prese in braccio, portandola sul lavandino. Lena la chiuse con i piedi sulle cosce e continuarono a baciarsi, a sentirsi, accarezzandosi con le mani e con la lingua, assaggiandosi.
Si erano così mancate che non riuscivano a controllarsi. Ma la porta del bagno scattò e le due si destarono dall'incantesimo: Lena scese dal banco e Kara aprì l'acqua; intanto che la prima si controllava un tacco con cui aveva rischiato di scivolare, la seconda si guardava allo specchio, sistemandosi i capelli di nuovo imbizzarriti.
«Questi tacchi…», mormorò Lena, «Oggi non riesco a sopportarli». Scambiò un sorriso con la ragazza entrata che si dirigeva verso un altro lavandino. Le vide sul collo il cartellino della CatCo.
«Kara! Ma lo sai che hai davvero una bellissima voce? Siete state entrambe bravissime, wow. Dovresti cantare più spesso comunque, verrei a sentirti! Magari potessi farlo alla CatCo, se ci facessero fare il karaoke. Sarebbe bello, no?».
Kara rise imbarazzata e si girò per avere supporto, ma Lena non c'era già più.

«Lillian sembra tranquilla», mormorò Jeremiah, dopo che la donna si era allontanata per un'intervista veloce. Diede un'occhiata a Eliza, che si toccava la collana, e ansimò quasi infastidito. «Da vera Luthor. Sei una Luthor, adesso?».
Lei bisbigliò, guardandolo appena: «Non ricominciare».
«Avrei voluto che mi parlassi di Lillian Luthor quando avevate iniziato a frequentarvi, non dopo il vostro fidanzamento e i giochi erano fatti. Hai almeno un po' pensato a quello che ti dissi?».
Eliza scosse la testa lentamente, sospirando. «Nulla di più a cose che già da me avevo pensato».
«Dunque ci sei passata sopra?», lui la guardò con aria dura, all'improvviso. «I Luthor hanno avuto molto potere in passato, potrebbero perfino aver avuto a che fare con la morte dei genitori di Kara! Nostra figlia! Io conoscevo quelle persone, Eliza».
«Le conoscevo anch'io. Ti ostini a voler vedere solo il marcio dappertutto, per questo abbiamo divorziato», ribatté lei. «Se fosse così, Lillian me lo direbbe. In ogni caso, adesso i Luthor non sono più quelli di un tempo e devi accettarlo! Guarda», indicò zia Lara che, seduta davanti a un tavolo, passava dei dolcetti a due bambini della famiglia Danvers, «Sarebbe capace di fare del male?».
Lui grugnì. «Ora no. Lara Luthor, sorella maggiore di Levi Luthor. Suo fratello costruisse un impero sopra quello che era già un regno con il loro nome dorato sopra. O così si dice».
«Si sono dette tante cose e molte se ne dicono ancora».
«Voci sì», sospirò, «E prove nessuna».
Eliza a quel punto strinse le labbra, corrucciandosi ma cercando di non dare nell'occhio. «È il tuo lavoro, lo capisco, ma non puoi parlarmi di queste cose al mio matrimonio», lo guardò con gravosità. «Cosa pensavi di ottenere venendo qui a parlarmi di nuovo di questo? Già quando andai a lavorare per la Luthor Corp conoscevo le voci che circolavano su di loro e non è cambiato niente, Jeremiah. Niente. In passato, la sua famiglia poteva essere stata coinvolta in brutte cose, non l'ho mai messo in dubbio, ma è passato. Amo Lillian. Sta cercando di rifarsi una vita e tu le remi contro. Cerca di accettare che ora sono sua moglie».
Lui strinse le labbra e si voltò, ritrovando Lillian che parlava davanti alla telecamera. «Lo sai che non riuscirò mai a fidarmi di loro completamente. Ho accettato che stiate insieme, ora sei sua moglie, va bene, vi ho fatto anche gli auguri, e… vi ho fatto il regalo di nozze, lo hai visto? Sono delle posate, lo sai che non sono bravo con queste tipo di cose», si grattò la nuca imbarazzato, «Ma non chiedermi di fidarmi. Proprio perché nel mio lavoro ne ho sentite troppe… non posso. Non mi metterò in mezzo, ma non posso fidarmi. Cercherò sempre di proteggerti e proteggere le nostre bambine».
Lo aveva fatto da sempre. Avevano portato Eliza in ospedale con un'ambulanza e lui e altri invitati erano rimasti in sala d'aspetto. Jeremiah era stato in preda all'ansia più nera, camminando da una parte all'altra con il cuore in gola, incapace di rilassarsi. Si erano appena sposati e stava succedendo questo… Mille dubbi e perplessità avevano toccato la sua mente, in quel momento: perché non avevano aspettato a fare il grande passo, se aveva mangiato qualcosa che le aveva fatto male, se il bambino stava rischiando la vita.
Anche Lionel Luthor, distante nel tempo, si era trovato in una sala d'attesa. Avevano portato Lillian in ospedale e dopo un'ora ancora non si sapeva niente. Lorna gli era stata vicino, seduti e in silenzio, mentre Levi Luthor e sua moglie insistevano per avere notizie.
E dopo un certo punto, finalmente, un medico li raggiunse. Entrambi in luoghi e in tempi diversi. Jeremiah si era gettato addosso a lui, reggendosi le mani. Lionel si era alzato dalla sedia lentamente.
«Signor Danvers», il medico sorrise, «Sua moglie sta bene, la stiamo dimettendo e può continuare a festeggiare, pur con moderazione. Lei e la bambina erano solo un po' stanche».
Lui aveva tirato un sospiro di sollievo e la famiglia gli si era stretta intorno, mentre continuava a sussurrare, con un sorriso, la parola bambina. Dopo pochi mesi dal loro matrimonio, Eliza mise al mondo Alexandra.
«Signori Luthor», il medico li aveva richiamati vicini e Lionel si era incamminato tremante. «Sono addolorato di dovervi dare una brutta notizia: la neosposa ha perso il bambino. Aborto spontaneo. Le cause potrebbero essere molteplici».
Il dottore parlava ma Lionel non sentiva. Si era estraniato. Tutti si agitavano, Lorna forse gli aveva detto qualcosa, ma lui si era chiuso. Lillian stessa si era chiusa, una volta saputo cos'era successo. Solo quel giorno aveva gridato impotente. Non era più incinta e non lo era più stata per molto tempo, dopo tanti tentativi di avere di nuovo un figlio, fino all'arrivo di Lex dopo anni dal matrimonio.


***


Entrambe le spose si erano cambiate con altri abiti per stare più comode e la maggior parte degli invitati non erano rimasti per la cena, nemmeno molti Luthor e Jeremiah, che doveva tornare a Metropolis. La festa si protrasse oltre la cena per tutti gli altri, con ancora bibite e dolci. La troupe inviata dalla CatCo li lasciarono poco prima della mezzanotte e quella televisiva verso l'una, inquadrando per ultimi i bimbi addormentati con la testa sui tavoli e i bicchieri di plastica vuoti in mano. Anche Jamie era una di loro e Maggie era sicura di averla sentita russare.
«Dobbiamo portare la piccola mongolfiera di sopra», sussurrò Alex, spostandole i capelli sul viso da un lato.
Pian piano, la famiglia e qualche ospite rimasto cominciarono a rifugiarsi nelle camere dell'hotel assegnate, mentre, in sala, gli addetti ripulivano un tavolo dopo l'altro.
Alex e Maggie misero la bambina ancora addormentata sul suo lettino e le rimboccarono le coperte, quando la seconda si accorse di aver lasciato il cellulare in salone. Era molto stanca e uscì dalla camera sbadigliando, incrociando Kara nel corridoio. La vide diventare subito paonazza.
«Devo… Devo… Ho dimenticato di dire a Lena una cosa».
La ragazza sbadigliò ancora e sorrise soddisfatta, considerando di aver già vinto la scommessa.
Kara si portò una mano sul petto: le era venuto un coccolone vedendo Maggie in corridoio, considerando che, se fosse stato qualcun altro, non aveva una scusa pronta. Sospirò e ripensò a Lena. Accidenti, non si erano più parlate dopo il loro incontro nei bagni. Ogni volta che aveva tentato di avvicinarsi, la trovava a parlare con qualcun altro. Doveva essersi pentita di averlo fatto, considerando che avevano deciso di riprovare quel discorso dopo che le aveva detto quella cosa. Ma dopotutto era fortunata, pensò Kara, poiché il matrimonio era passato già da qualche ora e poteva finalmente parlare con lei. E forse non solo parlare. Oh, doveva smettere di ripensare alla sua scollatura.
Kara bussò con decisione e Lena le aprì dopo pochi attimi. Era in vestaglia, aveva lo sguardo assonnato, no, e così tutti i suoi propositi sarebbero svaniti via con quegli occh-
Lena le strinse il colletto del pigiama e la attirò verso di sé, all'improvviso, togliendole il fiato con le proprie labbra sulle sue, insinuando la lingua, lasciandole addosso l'alito caldo. Kara chiuse la porta con un calcio e si spinse dentro, ricambiando al bacio, stringendola sui fianchi.
«M-Mi aspettavi?», si guardò intorno: la camera era identica alla sua, il lettone già smosso, la televisione accesa.
«Ti speravo».
Kara arrossì, tirando in su gli occhiali. «V-Va bene… emh, devi aver bevuto troppo, questa sera».
«No, no», scosse la testa, per poi reggersela un momento. «Non sono ubriaca, Kara, è che volevo parlarti. Ti stavo pensando: devo darti le mie scuse», sibilò con voce troppo calma, in effetti, per essere stata ubriaca. Le prese le mani con le proprie e la accompagnò sul letto, facendola sedere. «Quando ci siamo lasciate, io…», si portò le mani sui capelli, «Ti ho parlato di Jack. Avevo rovinato le cose con lui e non volevo rovinarle con te, temevo… temevo di non essere capace di avere con te la relazione che meritavi».
Kara deglutì, vedendola girare un po' e dopo inchinarsi davanti a lei.
«Ho commesso un grave errore: ti amo, ti amo con tutta me stessa e non voglio tenerti lontana da me», le disse guardandola negli occhi, corrucciando le sopracciglia. «Lascia perdere la dipendenza o qualsiasi altra sciocchezza io abbia detto quella sera: le cose tra me e Jack non avevano funzionato perché sono gay, e non perché incapace di amare».
«Gay?».
«Me lo ha fatto capire Leslie».
«Leslie ti ha fatto capire cosa?», aggrottò la fronte e Lena sorrise.
«Lascia perdere», rise con sincerità, cercando di tornare seria, portandosi una mano sulla bocca. «Sto cercando di dirti una cosa importante, Kara: ho avuto paura di non saper amare perché la mia famiglia non è mai stata esattamente un esempio in campo affettivo. Temevo di scoprire di essere come loro. In special modo dopo che-», si bloccò e le vennero gli occhi lucidi, ma Kara fece una faccia strana, e capì solo in un secondo momento che la televisione la stava distraendo. «Dopo che una cosa che ho scoperto mi stava-».
«Scusami, Lena», la fermò con una mano e guardò la televisione. C'era un'edizione straordinaria del telegiornale e anche Lena si alzò in piedi, spalancando gli occhi, portando una mano contro la bocca e trattenendo il fiato.
Quello… Oh cielo, non stava succedendo davvero… Rhea era in lacrime, la loro casa era stata transennata dalla polizia, il trafiletto recitava la morte del senatore Lar Gand.


























***

Oh, la pausa non poteva che cominciare dopo aver interrotto così la storia.
Ebbene, vi aspettavate questo svolgimento? Cosa sarà successo al senatore? E, ops, Lena stava finalmente per dire tutto a Kara: era il momento giusto, il modo giusto, il discorso giusto, e ora… la verità dovrà aspettare!
Intanto siamo tornati di nuovo indietro nel tempo ai precedenti matrimoni di Eliza e Lillian per scoprire alcune cose in comune e le tremende differenze. Il signor Luthor, come lo chiamava Lillian, ora ha un nome: Levi. Fratello minore della tenera zia Lara. Non sono personaggi di cui dovreste scordarvi, io lo dico.
E Maxwell Lord: ma cosa fa? A quanto pare non era estraneo ai test che faceva Roulette, anche se non sapeva di Kara.
Infine: tra Maggie e Alex, chi si può dire abbia vinto la scommessa?

Piccola nota: sorpresi che Eliza sapesse della relazione delle ragazze?
«Sono contenta per voi», esclamò Kara ad Eliza, «Ti meriti questa felicità».
«Oh, tesoro», la riabbracciò una seconda volta. «Anche tu», le disse con una carezza e un sorriso, per poi lasciarla andare.
Kara non ebbe il tempo di capire a cosa si riferisse che arrivò Lillian. [...]
Capitolo 26. L'amore non basta. La donna scoprì di loro in questo capitolo e questa parte ne parla, a suo modo, con quel anche tu, detto da una Eliza eccitata che ancora non aveva riflettuto sul loro rapporto, ma era Natale, aveva appena annunciato il suo matrimonio, era felice e, a suo modo, era felice di vedere che la figlia aveva trovato anche lei la felicità. Non so se mi avete seguito con tutti questi “felici”, mmh…


Okay, adesso la parte brutta. Per emergenze familiari, non sono riuscita a scrivere in questi giorni (né a rispondere alle vostre recensioni e rimedierò quanto prima), dunque sono rimasta ancora più indietro e, davvero, mi secca, ma dovrò fare una pausa piuttosto lunga per rimettermi un po' in pari. Spero di riuscire a scrivere bene nonostante le feste e il resto, così da non farvi attendere di nuovo tanto presto. Ma non lo prometto; non posso.
Allora, da questo capitolo siamo in pausa e il prossimo arriverà di… martedì. Martedì 29 gennaio. Impostatelo sul calendario! Ah, sì, il titolo. Il prossimo capitolo si intitola Il gioco cattivo. Non perdetevelo :)


   
 
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