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Autore: Babypenguin    23/12/2018    0 recensioni
" C'erano stati giorni in cui scorrevo libero senza che nessuno si preoccupasse di contarmi, senza giudicarmi troppo lungo o troppo breve, ma poi tutto era cambiato e una storia di uomini troppo estesa alle mie spalle mi aveva fatto giudicare per tutto quello che non ero.
In fondo quella parte di me che fregava sempre gli altri era la stessa che ironicamente fregava anche me, più mi si fissava avanzare più io correvo in fretta come un codardo che, cosi facendo, da stupido perdeva se stesso e la sua stessa cognizione, non concedendo a tutti gli spettatori di quella scena il piacere di avermi anche se in una minima parte. Che poi l'avidità non è la mia virtù più meschina, infondo io sono un ombra che scorre senza farsi vedere ma solo facendosi sentire ed amo lasciare una scia dietro i miei passi, quasi a ricordare agli altri che non mi fermerò ad attendere nessuno, perché questa è la mia natura e questa rimarrà.
Imparate a non sottovalutarmi, perché il tempo è tiranno e beh...
Io sono il tempo.
AU Louis!Time Harry!human
Genere: Angst, Sovrannaturale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Gente non ci credo che lo sto davvero facendo.
Scrivo questa storia da, penso, più di cinque anni tanto che i larry che descrivo sono in un modo del tutto inquietante i larry di allora e non è una cosa postuma voluta . L'ho riletta rivista, riscritta, talmente tante volte che ormai credo di aver imparato a memoria l'intero primo capitolo. Per anni sono stata vicina ad abbandonarla, lasciarla lì incompiuta a marcire nel mio pc, ma poi ho sempre, in un modo o nell'altro, continuato a scriverla, riprenderla...
Vi avviso, non sarà una storia semplice, a tratti forse delirante, con un'idea di fondo che forse, è più folle della sottoscritta...
In fondo chi mai penserebbe ad una Larry, con uno dei nostri due amati bimbi come personificazione del tempo? Già rido alle vostre facce, avete letto bene sì e no, non vi e biasimerò se chiuderete in questo istante la storia.
Non so cosa mi sia preso questo pomeriggio, sarà la febbre o forse il tempo( che burlona che sono), non ne ho idea, ma ho deciso di buttarmi, anche se mi mancano circa 3 o 4 capitoli dal poter dire di averla finalmente conclusa anche se è tutto nella mia testolina...
Sarà un viaggio lungo, intricato ed a tratti un po' triste, vi avviso.
Un ringraziamento speciale a Morgana ed a Plinio che con l'ideazione dei loro concorsi mi hanno dato la spinta che mi serviva per buttarmi, quasi quasi la dedico a voi.
Ma bando alle ciance, buona lettura a tutti...

                                                                                     *
" C'erano stati giorni in cui scorrevo libero senza che nessuno si preoccupasse di contarmi, senza giudicarmi troppo lungo o troppo breve, ma poi tutto era cambiato e una storia di uomini troppo estesa alle mie spalle mi aveva fatto giudicare per tutto quello che non ero.
In fondo quella parte di me che fregava sempre gli altri era la stessa che ironicamente fregava anche me, più mi si fissava avanzare più io correvo in fretta come un codardo che, cosi facendo, da stupido perdeva se stesso e la sua stessa cognizione, non concedendo a tutti gli spettatori di quella scena il piacere di avermi anche se in una minima parte.
C'era poi chi, tra quel pubblico di sconosciuti, mi fissava con noia ed insistenza quasi a incitarmi a correre più veloce ed ad andarmene da li il più lontano possibile, ma in fondo non li biasimavol'avermi sempre a portata di sguardo ed in quantità esorbitanti stancava anche i più pazienti.
Ma ancora una volta nessuno di loro sarebbe stato accontentato, anche perché al minimo sguardo annoiato il mio corpo era obbligato a rallentare ed ad avanzare il più lentamente possibile, quasi a prendermi gioco di loro ma fregando ancora una volta me stesso.
Lento e quasi estenuante scorgevo ogni minimo particolare delle più piccole cose, racchiudendole in quelle stanze di ricordi che ormai costruivano il mio stesso corpo.
Un ammasso di ricordi invecchiati e vite vissute.
Se ci ragionate sopra poi il ragionamento non fa una piega, non avete mai valutato il fatto che il semplice gesto di controllare disperatamente una persona nei suoi più piccoli particolari, cercando di scoprirne i suoi segreti più nascosti, vi rubi tutta quella magica pazzia che più la si fissa e più scompare?
Beh, questa è la prova che più si tenta di prendersi una cosa con la forza più si otterrà l'esatto opposto.
Ma non staremo qui a rimuginarci, in fondo da perfetto avido quale sono tutti questi momenti persi a farneticare non ve li rimborserò di sicuro.
Che poi l'avidità non è la mia virtù più meschina, in fondo io sono un ombra che scorre senza farsi vedere ma solo facendosi sentire ed amo lasciare una scia dietro i miei passi, quasi a ricordare agli altri che non mi fermerò ad attendere nessuno, perché questa è la mia natura e questa rimarrà.
Imparate a non sottovalutarmi, perché il tempo è tiranno e beh...
Io sono il tempo.
*
24 Settembre 2084
Staccarsi dal nido famigliare, quel porto sicuro che lui mai avrebbe pensato di poter abbandonare, era stata proprio una di quelle decisioni prese di slancio ma perfette a modo loro, con il sapore del dubbio e delle incertezze li sulla punta della lingua ma con quell'adrenalina forte e potente che, si sapeva, sempre sarebbe stata una garanzia di saggia decisione.
In fondo, nonostante le paure, quell'ansia da prestazione che un po' da sempre era rimasta il suo marchio di fabbrica, aveva sempre saputo fosse la decisione giusta da prendere, spiccare il volo verso un nuovo capitolo di vita che, a braccia ancora incerte, sembrava attenderlo con un sorriso appena accennato e così enigmatico da confonderlo, un po' come se in un modo o nell'altro stesse comunque saltando nel buio più totale; un paragone che, nonostante l'avesse tormentato per quell'intera estate post esame liceale, non era poi così lontano della realtà. Ma in fondo chi tra i tanti diciottenni presenti in tutto lo stato non aveva, anche solo una volta, tentennato di fronte a quello spaventoso avvenire che prendeva il nome di futuro?
E beh per quanto un po' tutti, compreso quello stesso ragazzo dai capelli tanto scompigliati da riuscir a rispecchiare a pieno la sua personalità, rimasero un po' perplessi a quell'improvvisa decisione di andarsene da quella cittadina, grande più o meno come casa sua, per la grande Londra, a casa della nonna materna che, gli aveva lasciato in dote quella piccola villetta di cui subito si era innamorato, alla fine in un modo o nell'altro lo lasciarono andare.
Fu più o meno così che, in quattro e quattr'otto, si ritrovò seduto al sedile anteriore della sua fidata auto, con un sacco di domande, tra la mente, in attesa di un perché e con ancora il rumore dei saluti, soffocati in piccoli singhiozzi, di tutta la sua famiglia da lasciarsi alle spalle, con un'enorme valigia piena di oggetti, di cui forse si sarebbe dovuto sbarazzare molto prima, costipata nel baule, una vecchia canzone di Robbie Seay Band a fare da sottofondo, come nel peggiore dei film squattrinati, ed un cielo plumbeo di pioggia, minaccioso quasi quanto il gatto di sua zia Betty, quel felino aveva decisamente dei seri problemi di autocontrollo, già.
Ma nonostante la pioggia, il freddo dovuto al riscaldamento rotto e non utilizzabile, o semplicemente la tanica della benzina da riempire in buona parte, fu sicuro in quell'istante che niente sarebbe potuto andare storto, niente avrebbe potuto rovinare quella decisione coraggiosa che si prospettava ad essere la più azzeccata e felice della sua intera vita, o almeno così sperava.
Ma in fondo, molto in fondo,  lui lo sapeva, le speranze, nel suo caso, erano sempre state le prime a morire...
*
" I will protect him..." canticchiò allegro tra se e se, picchiettando lieve la pelle rovinata del volante di quella piccola auto che era un po' come una figlioletta per lui. In fondo era dal suo sedicesimo compleanno che quella fidata autovettura, precedentemente appartenuta a sua nonna, l'aveva accompagnato nei suoi migliori viaggi, o perlomeno per quanto il tragitto casa scuola potesse essere entusiasmante e per quanto quella ormai troppo vecchia piccolina potesse essere affidabile.
"Già Shopy proprio così... " gli disse quindi dando poi una pacca amichevole al cruscotto dipinto di rosa che, sua nonna, aveva definito di super tendenza ai suoi tempi ed al quale, lui, non aveva saputo proprio rinunciare, in fondo non era un mistero per nessuno che, quando l'aveva notato la prima volta, aveva semplicemente dato libero sfogo alla sua parte più gay. Fategliene una colpa.
" Because he knows my name..." continuò a canticchiare alzando giusto un po' gli occhi al cielo, intercettando subito quelle enormi gocce di pioggia che continuavano imperterrite a sfrecciare contro il suo parabrezza.
" Devo decisamente trovarmi un ragazzo" canticchiò quindi storpiando le parole della canzone, ridendo tra se e se e scuotendo appena la testa, in fondo doveva ammettere di essere in una situazione leggermente deprimente, niente senza rimedio per carità, ma il semplice fatto che stesse parlando da solo con la sua stessa auto, alla quale per altro aveva pure dato un nome, beh...
La sua vita poteva decisamente migliorare, già.
Ma intanto la pioggia proprio non ne voleva sapere si placcarsi ed i primi lampi all'orizzonte iniziarono ben presto a fargli compagnia, intrecciandosi tra il cielo sempre più vicino al suo mezzo, creando paurose e rumorose forme astratte che da sempre l'avevano, non così celatamente, terrorizzato.
" Ma proprio oggi doveva esserci questo tempaccio?..." borbottò quindi con se stesso prima di sobbalzare spaventato sul sedile di pelle sgualcita, mentre una saetta strideva contro un albero in lontananza tranciandolo di netto davanti ai suoi occhi, sterzò allora all'ultimo beccando in pieno un enorme pozzanghera sul lato opposto della carreggiata, slittando leggermente sulle gomme troppo lisce e umide perché attecchissero perfettamente con il selciato.
" Oh mio Dio!..." quindi urlò posandosi una mano al centro del petto, alzando giusto per un attimo gli occhi verso il cielo completamente nel panico, per poi di nuovo " ...Oh mio Dio!" ripetere con enfasi mentre la canzone alla radio giungeva finalmente al termine lasciando spazio alle ultime news del Tg locale.
" Avrei dovuto dare retta a mia madre, sono ancora troppo giovane per un passo del genere! Accidenti a me!..." iniziò ad inveire contro se stesso avanzando praticamente a passo di lumaca in quel tratto d strada leggermente tortuoso, accendendo i fari antinebbia nonostante fosse giorno e non ci fosse anima viva nei dintorni, constatando immediatamente che sì, pure i fari avevano deciso di abbandonarlo e la benzina stava decisamente finendo.
" Grandioso! " sbuffo al nulla appannando parzialmente parte del finestrino alla sua sinistra con il fiato caldo.
Persino la voce gracchiante della radio accesa sembrava prendersi gioco di lui, assicurasi di rimanere in casa un corno pensò spegnendola con un gesto stizzito della mano, tornando poi a tamburellare le dita sulla pelle ghiacciata del volante, quel Tg poco rassicurante sicuramente non era una compagnia che necessitava in quel momento, probabilmente anche con Leonardo di Caprio sul sedile di fianco avrebbe avuto la stessa reazione, grazie mille, era troppo nevrotico per sopportare qualsiasi rumore se non quello della pioggia sempre più scrosciante.
Riprese poi a concentrarsi sulla stradina di campagna che, come se tutto questo non bastasse, non rientrava per niente nella strada che era solito prendere, quel maledetto albero l'aveva fatto svoltare verso la parte sbagliata e ,in quel modo, si ritrovava tra capo e collo in quella stradina che sua nonna e suo padre gli avevano specificatamente detto di non prendere, con o senza pioggia, poteva andare peggio di così?
Beh probabilmente sì, penso alzando gli occhi al cielo.
" Sono un idiota... " borbottò al nulla seguendo il lieve curvare della stradina mentre, come se tutto quello non bastasse ad intaccare il suo sistema nervoso, il temporale non ne voleva proprio sapere di placarsi ed il sinistro lampeggiare di quella adorabile spia, contrassegnata da una tanica di benzina, non sembrava volerlo rassicurare in alcun modo. E fu solo quando ogni speranza di ritrovare un segno di vita tra quell'infinita distesa di nulla fu ormai esaurita, che il debole bagliore giallastro dei suoi fari, improvvisamente accesi per una grazia divina non ben identificata, illuminò una ammaccata e traballante insegna contrassegnata da un anonima scritta bianca, Doncaster.
Era più che certo di aver già sentito nominare quel luogo dalla sua famiglia.
" Beh, meglio che niente " sussurrò a mezza bocca cercando di non sprecare quelle ultime gocce di carburante. Avanzò cauto seguendo la strada indicata dagli ammaccati cartelli, sperando in qualche modo che quello ad attenderlo dall'altra parte della strada non fosse una sperduta ed abbandonata città di campagna. 
 " Come non detto " si disse una volta superata la prima curva. Davanti a lui una lunga fila di villette diroccate e abbandonate a loro stesse faceva da sfondo ad una decaduta cittadina, probabilmente una volta piena di vita. Tetti sfondati e sventrati da vento e pioggia, finestre frantumate in pezzetti sparsi sul prato secco e zuppo di fango, alcuni muri scrostati dal tempo e le staccionate sradicate dalle zolle di terreno e lasciate in balia del nulla sul ciglio della strada. Qualche gatto randagio che, fradicio e puzzolente, attraversava la strada alla ricerca di riparo e sopratutto nessun segno di vita umana.
" Che ho fatto di male? " si rivolse al cielo zuppo di pioggia, lasciando andare il volante nel momento in cui un piccolo suono in discesa precedette un forte tonfo accompagnato da un tuono poderoso, era definitivamente nella merda fino al collo, giudicò afferrando frustrato il proprio cellulare scarico e senza il minimo campo. Non ci pensò due volte a urlare esasperato contro il nulla lasciando andare il volto sul volante di pelle rosa, premendo con la fronte il gracchiante clacson più simile al muggito di una mucca che ad un normale allarme, ma in fondo, si disse, nessuno si sarebbe potuto lamentare del chiasso a meno che non ci fossero bestiami nei dintorni, meglio chiudere le portiere pensò alla svelta, non era un grande amante dei tori in calore... 
Poi rimase semplicemente in quella posizione per quelli che parvero secoli colpendo ripetutamente il volto sulla pelle ghiacciata autopunendosi per la sua stupidità.
Eppure eccolo li a disperasi per la sua impulsività, solo, al gelo e con la consapevolezza di essere un idiota, perché in fondo lo sapeva perfettamente, sia lui che la sua vita non erano altro che un enorme fallimento, il suo enorme e noioso fallimento. E fu anche sul punto di buttare giusto un occhio sull'enorme dirupo poco prima scansato, giusto per testarne la profondità, e avrebbe anche provato a finire la sua tragicomica esistenza nel più drammatico dei modi o almeno, se non fosse stato per quel lampo un poco più forte degli altri che squarciò il cielo spaventandolo e facendogli finalmente alzare gli occhi verso un piccolo puntino in lontananza, illuminando quella che sembrava l'unica vetrina intatta della cittadina, dove gli parve di osservare due enormi e penetranti occhi azzurri per poco più di alcuni secondi, secondi che gli parvero secoli.
Frastornato spostò lo sguardo sul suo orologio da polso leggendo con orrore l'ormai tarda ora, ripromettendosi in quell'istante che per quanto fosse stato disperato non avrebbe dormito sugli scomodi sedili della sua auto, nossignore.
Non ci pensò due volte ad afferrare la tracolla, posta sul sedile di fianco al suo, ed a correre verso la finestra in cui aveva visto specchiarsi quei due bellissimi occhi chiari riparandosi con il bavero della giacca.
Lottando contro la pioggia corse alla casa stranamente perfettamente intatta, bussando con insistenza alla finestra, alitandoci sopra per osservarne l'interno, ma la polvere doveva aver intaccato soprattutto il vetro interno e niente riuscì quindi a permettergli una buona visuale.
Combattuto si morse il labbro, in fondo dentro quella casa si sarebbe potuto celare qualsiasi cosa, poi si voltò alle sue spalle osservando la sfocata immagine della sua auto rotta sotto quella specie di diluvio universale, fu a quel punto che mandò al diavolo il suo buon senso spingendo con forza la porta...
 Ma, quella non doveva essere la sua giornata fortunata, la vetrina era come sigillata. Voltò quindi lo sguardo cercando una qualsiasi altra via d'entrata e proprio sul retro, appena più in là del suo corpo, una finestrella priva di alcuna protezione lo richiamò a se, sorrise vittorioso correndoci vicino, poi semplicemente la scavalcò lasciandosi finalmente scivolare all'interno della casa.
Un buio opprimente lo avvolse in se una volta che ebbe posato i piedi sul freddo pavimento in cotto, tutto intorno a lui era sconosciuto e quasi si sentì in colpa ad aver profanato un luogo, in quel momento, così intimo e desolato, ma poi gli ritornò alla mente la sua auto rotta e scacciò via il pensiero.
Fuori intanto il temporale non sembrava intenzionato a fermarsi e a tratti il cielo si illuminava di forti bagliori che, più di una volta, gli permisero di osservare parzialmente sprazzi dell'enorme stanza che lo avvolgeva.
Era certo di essere capitato in una grande ed antica libreria polverosa marchiata dal tempo od in un vecchio negozio abbandonato, un profumo di carta e di cenere lo confermarono dopo che un fischio di vento fece sbattere, contro la parete, la finestra alle sue spalle, creando così un forte rimbombo che praticamente lo obbligò ad avanzare verso quello che era sicuro si trattasse del centro della stanza.
Aiutandosi con una mano percorse una fila di scaffali sconosciuti accarezzando il dorso di una infinita serie di libri appartenenti a chissà quale epoca, avanzando finchè più nulla venne percepito dalle sue lunghe e callose dita. Spaventato da quell'improvvisa assenza si bloccò sul posto immobile, avvertendo un forte e rumoroso tuono perforare il cielo.
" In che diavolo di luogo mi sono appena cacciato? " sussurrò rabbrividendo come quella, prima ed unica, volta in cui aveva acconsentito a vedere uno di quei maledetti film Horror in cui la protagonista scappava urlando.
 La sua vita era una barzelletta, già...
Ma il pensiero rimase sospeso come il suo fiato in gola, quando un improvviso ed inaspettato bagliore illuminò l'intera camera, con un caloroso rumore di fuoco mosso dal vento, notò, solo allora, provvista di un grande ed antico lampadario di cristallo ancora a candele. Si guardò intorno meravigliato da tanta sapienza contenuta in un unico luogo, c'erano libri e vinili ovunque, scaffali straripanti di fogli e di dischi antichi, manoscritti e gingilli di ogni genere, un enorme camino intarsiato nel marmo e tappeti preziosi a ricoprire quasi l'intero salone. Tutto in quella stanza sembrava gridare ricordi e doveva ammettere che la cosa lo affascinava non poco. Racchiuse gelosamente dentro di se tutto quello che i suoi occhi riuscivano a catturare, meravigliandosi ogni secondo di più e dimenticandosi per minuti il vero motivo per cui si trovava li. E pensare che si stava semplicemente dirigendo verso Londra, pensò girando su se stesso ed inciampando su un tappeto dai mille colori. Poi il suo sguardo fu catturato da un enorme quadro posto poco più in alto del camino, così che sembrasse che la persona raffigurata al suo interno si trovasse esattamente li al centro della stanza, si avvicinò incuriosito ed a passo lento, guardandosi intorno come per assicurarsi di non essere osservato.
Fu solo quando si trovò a pochi passi dal dipinto e si rese conto dell'immagine così meravigliosamente dipinta, che quasi svenne. Si sentì come se un enorme specchio fosse stato improvvisamente posto di fronte a lui riflettendo la sua immagine in quella tela dipinta, stessi capelli, stesso naso e bocca, persino gli stessi occhi dipinti socchiusi e quasi addormentati in ogni loro più piccola pagliuzza verde. 
Indietreggiò spaventato di qualche passo, inciampando in un piccolo tavolino di cristallo e fu a quel punto che lo sentì. Un clic di disco inceppato e poi una melodia, forte dolce e tanto malinconica, una melodia famigliare in un certo senso ma così triste che subito si domando quanto fosse stato grande il dolore della persona che l'aveva composta, quanto fosse stato straziante quel terribile ma bellissimo dolore...
Ma non ci fu il tempo di una risposta perché un mal trattenuto e sonoro singhiozzo risuonò, a ritmo delle note tra gli intricati corridoi straripanti di libri, quasi come a rispondergli. Si guardò intorno alla ricerca della sua provenienza, ricevendo in cambio solo un altro rumoroso singulto seguito in breve tempo da una altra lunga serie di essi. Posò allora, solo per pochi istanti, gli occhi sul grande quadro e fu un attimo, un secondo in cui gli parve di vedere una piccola e singola lacrima scivolare sulla guancia del dipinto, lacrima che sparì un secondo più tardi. Più confuso di prima e spaventato in un certo senso, prese ad avanzare cauto tra i corridoi alla ricerca del pianto che continuava, sempre più forte, a risuonare tra gli scaffali, ma per sua sorpresa fu più facile del previsto trovare il ragazzo scosso da quel forte e rumoroso pianto di dolore. Rannicchiato contro una parete e vestito con dei larghi abiti. sedeva un piccolo e gracile ragazzo poco grande di lui, con la testa posata sulle ginocchia e le spalle scosse da forti tremori dovuti a potenti singhiozzi che, ancora, risuonavano in echi profondi per la casa.
Il ragazzo non poté fare a meno di provare una forte stretta al cuore per quel piccolo ragazzino indifeso, che era sicuro fosse anche colui che poco prima aveva scorto dalla finestra. Quasi colpì se stesso quando la sua mente vagò ad immaginare quei due enormi occhi azzurri annacquati da lacrime amare. Immagine che ben presto fu sostituita da una vera scena quando, il ragazzo in questione, probabilmente consapevole della presenza di qualcuno, alzò gli occhi verso di lui bloccandosi con la bocca socchiusa e gli occhi rossi, talmente pieni di lacrime, da apparire prossimi a scoppiare. Lo vide aprire le labbra come se stesse per dire qualcosa, ma poi una smorfia gli deformò il viso facendogli tremare il labbro inferiore e poi scoppiare in un urlo agghiacciante che risuonò per ore nelle sue orecchie, mentre il pianoforte della melodia strideva al massimo della sua potenza, anche quando il corpo esanime del ragazzino cadde a terra ai suoi piedi piangendo ed urlando istericamente frasi senza senso. In un infinito e lungo susseguirsi di " Perché me le hai insegnate? Perché!" di " Vattene! " e di " Ti prego non andartene... ".
Il ragazzo più grande si guardò intorno confuso e spaventato da un dolore così grande che non osò neanche immaginare a cosa fosse dovuto, indeciso tra il confortare il ragazzo o scoppiare a sua volta in un pianto isterico, soprattutto ora che aveva una perfetta visuale dei due occhi blu sommersi di dolore.
Alla fine optò per la prima lasciandosi cadere sulle ginocchia al fianco del ragazzino, ora intento a scalciare e tirare pugni all'aria, cercando di afferrargli i polsi per impedirgli di farsi male e cercando con gli occhi, che non ne volevano sapere di lasciare i suoi, di rassicurarlo.
" Shh... " sussurrò spingendolo ad appoggiarsi alla parete dietro di lui ed inginocchiandosi in mezzo alle sue gambe aperte per non bloccare il contatto visivo che sembrava, in qualche modo, riuscire a calmarlo.
" Ha... H... " lo vide provare a balbettare qualche parola a cui non prestò particolare attenzione.
" Shh... Calmati " ripeté allungando una mano per raccogliere quelle piccole gocce che, a quel balbettio, erano nuovamente cadute dai suoi occhi arrossati.
Non seppe perché ma quel gesto fece scattare qualcosa nel cervello del piccolo ragazzo che, senza pensarci due volte, si lanciò sul corpo del più grande a peso morto, stringendolo con forza e facendolo cadere con la schiena a terra, notò solo allora sommersa da un' infinita serie di fogli strappati sul pavimento, da una copertina rigida sfatta e malridotta e da un foglio stranamente completamente intatto nella forma, ma raggrinzito e sbiadito da quelle che sembravano gocce di pioggia.
Il ragazzo non ebbe la forza di staccarselo di dosso, avvertendo l'incavo tra il collo e la spalla completamente sommerso dalle lacrime del piccolo ragazzino, prendendo allora a disegnare dei piccoli disegni rassicuranti sulla sua schiena.
" Harry... " avvertì chiaramente provenire dalla sua spalla e poi di nuovo, quel nome sconosciuto biascicato come in una sorta di preghiera.
" Io... io non sono Harry, mi dispiace... " lo scostò lentamente da se rotolando le loro posizioni e sedendosi a cavalcioni tra le sue gambe.
Si fissarono negli occhi per quelli che parvero secoli, interrotti poi dalla mano estremamente fredda del ragazzo sotto di lui che gli sfiorò una guancia con delicatezza, raccogliendo poi una piccola lacrima che non si era quasi accorto di aver versato, portandosela alle labbra e baciandola con delicatezza. Il cuore di Edward fece una capriola a quella vista, non notando quasi le lacrime ormai cessate del più piccolo.
Chi diavolo era quel ragazzo?
" Scusami... " disse finalmente ad alta voce il più piccolo, permettendo all'altro di scoprire finalmente la meravigliosa voce che solo una persona del suo aspetto avrebbe potuto possedere.
Aveva la voce di un angelo...
Si separarono lentamente finché anche la punta delle loro dita non fu a debita distanza, facendo in modo che un lungo silenzio imbarazzante prendesse il controllo della situazione.
" Come ti chiami ? " ruppe il silenzio il ragazzo dagli occhi azzurri prendendolo in contro piede, quasi come se fosse abituato a piangere per ore per poi fare finta di niente.
" Cosa ti è successo ? " rispose invece senza quasi pensarci.
" Sarebbe una storia troppo lunga da raccontare " borbottò, scuotendo la testa ed abbassando lo sguardo con un piccolo sorriso.
" Beh, io ho decisamente tempo " lo interruppe allungando una mano per coprire quella dell'altro, a quella prima frase corsa ad accarezzare il libro distrutto al suo fianco, indicando con l'altra lo scosciare insistente della pioggia sui loro capi. Lo osservò sorridere, guardare le loro mani intrecciate e poi scuotere la testa.
" Fidati, non ne hai... " sospirò staccandosi da quel contatto e dirigendosi deciso verso un grammofono con un vinile ormai finito pressato sopra. " Nessuno ne ha " continuò dandogli le spalle e facendo ripartire quella strana melodia, Edward giurò di aver visto le mani del ragazzo tremare appena già alla prima nota.
Poi si voltò incollando nuovamente i loro sguardi, quel ragazzo nascondeva qualcosa, ne era certo, pensò quasi ad alta voce per poi staccare il contatto visivo abbassando il capo verso il punto in cui le loro dita poco prima si sfioravano, dedicandosi infine a quella canzone.
Gli era così famigliare, così da pelle d'oca che...
" ... ma le persone questo piccolo particolare non sembrano capirlo..." sussurrò dal nulla il ragazzo davanti a lui interrompendo i suoi pensieri, camminando nella sua direzione con le braccia a stringersi il busto come a proteggersi ed a darsi calore.
"Mi chiamo Edward... " sussurrò quindi, alzandosi da quel pavimento freddo pieno di fogli strappati e raggiungendolo a grandi falcate, mentre il solo di pianoforte si confondeva con la pioggia, afferrandogli il viso con mani tremanti ed alzandogli il mento con i polpastrelli per allacciando i loro occhi, occhi nei quali il ragazzo di fronte a lui fu felice di perdersi almeno un ultima volta.
" Beh, allora Edward ti va di ascoltare una storia?..."
Ed annuire non fu mai così semplice...
*

90 anni prima...
1 Aprile 1994
Era da quando aveva deciso di non lasciare più quella dimora che- come nella speranza di rivedere, prima o poi, quel volto famigliare salutarlo da oltre quella stessa spessa porta che l'aveva risucchiato l'ultima volta pochi anni prima-aveva preso l'abitudine di osservare, alle ultime ore della sera, il sole calare oltre quella collina, una volta piena di alberi, che faceva da sfondo alla finestra della sua stanza, proprio in quel punto in cui tanto tempo prima si era sentito veramente felice. Amava sedersi ai piedi del letto con un tazza di thè bollente incastrata tra le dita, una tazza che la maggior parte delle volte rimaneva lì ad attendere gelida e sola, proprio come lui.
Dimenticata, superata, abbandonata in un angolo da quelle stesse dita che ormai, da quando se n'era andato, si divertivano a sporcarsi di inchiostro proprio in quei momenti antecedenti alla notte, a scrivere piccoli pensieri, piccoli ricordi incastrati tra le pagine di una vita che sembrava divertirsi ad non avere più una fine.
E proprio in una di quelle sere gelide e piovose, senza stelle e luna a fargli compagnia, perso ad osservare malinconico le luci dell'enorme villa incastrata tra quei pochi alberi rimasti e quell'enorme cantiere che da anni ormai aveva preso possesso di parte dei suoi ricordi più felici, vide una macchina in lontananza farsi largo, tra pioggia e fango in un piccolo sentiero tortuoso ed in salita, a singhiozzi e con parte del paraurti quasi interamente sventrato, provato da quell'unico fanale giallognolo a farsi largo tra la nebbia fitta dei campi. 
Pensò che fosse triste, una malinconica ed desolata scena che, senza che potesse farci nulla, si impresse nei suoi ricordi, una stampa indelebile che si premurò persino di attestare con una vera fotografia che col tempo diede persino per perduta, sommersa in quell'album di tempi passati, anni vissuti, e vite trascorse degne del più vecchio e solo tra gli anziani.
E non si premurò di zoomare su quei volti, su quelle persone passeggere di quella strana auto che tanto l'aveva rapito, semplicemente lasciò scivolare a terra quella pellicola. 
Poi attese lo scoccare delle nove stiracchiandosi come un piccolo gattino bisognoso di coccole, alzandosi da quello scomodo pavimento accostando la tenda sul vetro appannato, girandosi verso il baratro che il soppalco della sua dimora andava a creare ed incamminandosi verso quello scaffale maledetto che ogni notte diventava il suo incubo giornaliero.
Infine si rannicchio ai piedi di esso, attendendo quel cono di luce perlacea che avrebbe nuovamente illuminato un'ulteriore volume polveroso al quale avrebbe dovuto mettere una fine, sfogliandone le pagine.
Come, rileggendo la storia della madre precedente ad Elizabeth*, più simile ad una vera mamma che ad una semplice compagnia, alla quale era toccata anni prima la triste sorte, iniziò a piangere a dirotto come non avrebbe più fatto per molti anni avvenire, bagnandone le pagine; e come, troppo preso a notare le similitudini con quella volta di pochi mesi prima in cui aveva dovuto dire addio a lui, non avvertì un grande frastuono oltre la coltre di pioggia, beh...
Questo è solo l'inizio della nostra storia.





Ed eccomi di nuovo, ringrazio chi è arrivato fin qui, ditemi cosa ne pensate, siete curiosi? Spero di si...Un ultima cosa, l'ultima parte so che sembra non avere senso,(e vi avviso che alcune parti di esso non ne avranno per un po', sorry, ho una mente malvagia) me ne rendo conto, ma abbiate fiducia, pezzo dopo pezzo tutto diverrà più chiaro, alla prossima, baci. 
  
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