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Autore: marwari_    23/12/2018    0 recensioni
“Baciami.” Mormorò il fantoccio; e lei lo fece. [S02E10]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ethan Chandler, Vanessa Ives
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Disclaimer: Storia originariamente ideata e scritta in inglese su fanfiction.net  » Somnium e successivamente tradotta. Entrambe le versioni sono state realizzate da me.

Penny Dreadful
Titolo: Somnium
Set: Season 2, episode 10
Words count: 2k8
Personaggi: Vanessa Ives, Ethan Chandler
Genre: introspettivo, malinconico, drammatico
Rating: Arancio - tematiche delicate

 

Vanessa aveva assaggiato quella che sarebbe potuta essere la sua vita.
Sulla lingua aveva ancora il sapore di quel bacio, le sue narici conservavano il profumo dell'acqua di colonia e il delicato sentore di lavanda che proveniva dagli abiti dei bambini. Le sue orecchie già sentivano la mancanze delle loro vocette allegre.

“Sei molto crudele.” Ringhiò, ma la sua voce la tradì, spezzandosi sul finale.

“Al contrario, sono generoso.” Il fantoccio replicò. “Pensaci, Vanessa: niente più sofferenza, niente più agonia.”

“A quale prezzo?” Aveva alzato la voce, i suoi occhi bruciavano di collera. “La mia anima mi appartiene!”

“La tua anima appartiene a me.” Continuò, con la voce calma ed atona, che identica era la sua.

“Devo consegnarla volontariamente.” Disse Vanessa, anche se la sua fede stava vacillando. Dove stava la verità?

“Mi consegnasti volontariamente la tua anima quando uccidesti quell’uomo nella brughiera.” Sussurrò, come se fosse stato un segreto. “Nel momento in cui il suo sangue ricadde sulle tue mani, tu diventasti mia.”

“Stai mentendo.” Disse lei, indietreggiando.

“Davvero?” Chiese, poi fece una pausa. “Fai cessare tutto questo, mia adorata. Pensa alla vita che potresti avere.”

“Stai mentendo!” Ripeté, ma stava già considerando le sue parole e il fantoccio lo sapeva.

“Baciami.” Mormorò il fantoccio con voce suadente. “Fallo e le tue pene finiranno. Baciami.” Disse, e lei lo fece.

 

Vanessa si aggrappò alla cosa più vicina che aveva; le sue dita si serrarono sullo schienale in legno della sedia. La testa le girava terribilmente e, i suoi piedi nudi, a fatica riuscivano a stare fermi sul pavimento ligneo, come se questo si stesse muovendo sotto di lei.

Aveva funzionato?

Era al sicuro adesso?

Era davvero lì, in quella realtà tranquilla ed immacolata che le era stata mostrata?

Vanessa prese un profondo respiro quando comprese di aver riacquistato il controllo del proprio corpo e lasciò che le sue pupille dilatate vagassero per la stanza: riconosceva quel luogo, anche se la carta da parati era differente e lo era anche la mobilia, quella era la sua stanza personale nella residenza Londinese di Sir. Malcolm.

Si voltò verso la toeletta, a cui apparteneva la sedia a cui ancora era aggrappata, ed osservò a lungo il riflesso che le stava restituendo lo specchio.

I suoi occhi non erano più cerchiati da quell’alone nero, i suoi capelli corvini, sciolti, erano ondulati e lucenti; la sua carnagione, pur mantenendo il suo caratteristico pallore, sembrava molto più sana di quella che ricordava.

Vanessa raddrizzò la schiena, sospirando appena quando vide la sottile sottoveste bianca che le fasciava il corpo asciutto come una seconda pelle, lasciandole le spalle scoperte.

Tutto sembrava tranquillo, più sicuro, eppure lei rimaneva la stessa.
Quella sensazione di vuoto non se n'era andata, ma era mutata: ora temeva l’ignoto, quelle cose della sua nuova vita che attendevano solo di essere scoperte.

“Vanessa.” Si voltò di scatto verso il luogo di provenienza di quella voce. Sembrava quella di Ethan, dall’altra stanza. Non osò rispondere. “Vanessa, il marmocchio piange.”

Sentì un brivido gelido solcarle le vertebre della schiena. Come se tutto il sangue le fosse stato drenato dal corpo.

Vanessa seguì il suono sconosciuto con lo sguardo, finché non notò la culla accanto al letto.

Non era come nella sua visione, allora. Ethan era lì, ma i bambini erano più piccoli – in fasce, persino; forse non erano nemmeno due, ancora, ma solo uno. Meglio, pensò, vederli crescere. Ma quello, dunque, era il bambino o la bambina?

Vanessa camminò silenziosamente verso alla culla, mentre il cuore le martellava contro le costole.

Quello era suo figlio, eppure non lo era. Non lo aveva partorito o portato dentro di sé per mesi interi. Poteva veramente essere in grado di amarlo?

Temeva che il suo cuore fosse deperito. Era stato naturale, tuttavia, nella sua visione, abbracciare quella bambina, quindi forse le sarebbe venuto naturale anche con quel bambino.

Si avvicinò ancora, fino a poter scorgere la coperta di seta che avvolgeva il più piccolo corpo che avesse mai visto, poi un giocattolo a forma di lupo, ed infine dei sottilissimi capelli scuri. Quella creatura aveva gli occhi chiusi, le sue labbra rosee, al contrario, erano spalancate, mentre gridava con così tanta ira che le sue guance si erano tinte di rosso.

Anche se deformato dal pianto, trovava il viso di quel bambino incredibilmente grazioso; qualcosa scattò dentro di lei.

Vanessa pensava di non essere fatta per amare.
Non era mai stata spaventata, in vita sua, nemmeno quando i demoni graffiavano le sue viscere per poter emergere, nemmeno quando le voci notturne le avevano sussurrato nell’ombra, mai. Mai fino ad allora.
Eppure, nonostante tutto, non sentiva quel bambino totalmente suo.

“Vanessa?” Ethan la chiamò di nuovo, ma questa volta era più vicino. Lui entrò nella stanza, infatti, le sue dita impegnate ad allacciarsi la cravatta. “Hai intenzione di lasciarla piangere tutta la notte?”

Ah, una femmina. Sorrise involontariamente al pensiero di aver avuto una bambina: aveva sempre desiderato una figlia.

Anche se le sue parole potevano sembrare scortesi, Ethan stava sorridendo, divertito dal quel suo fare impacciato che stava dimostrando in quel momento. Probabilmente lui si sarebbe aspettato altro, da una madre con sua figlia, era comprensibile.

Si avvicinò il più possibile, osservando la bambina, studiandola, persino, come se si fosse trattato di un pesce in una vasca d’acqua.
Il pianto della bambina era leggero, simile al ronzio di un’ape, difficile da udire da un orecchio non allenato.

“Ha i polmoni deboli.” Commentò Vanessa con un breve sospiro. Si rese subito conto di non aver dimostrato nemmeno un’emozione con quella frase. C’era qualcosa che non andava – era forse lei? Forse aveva solamente bisogno di accettare l’idea.

“Dalle tempo.” Disse Ethan, raggiungendola e poggiando la mano sulla sua spalla. Vanessa poteva sentire il tepore del suo respiro contro il collo. “Prendila in braccio, si calma sempre.” Le suggerì, lasciandola nuovamente da sola.

Sbirciò oltre la sua spalla, osservandolo per un istante mentre tornava alle sue amministrazioni, afferrò la giacca, sistemandosi i vestiti davanti allo specchio.

Sembrava tutto così normale e Ethan sembrava così tranquillo e contento della sua vita. Forse poteva essere felice anche lei.

Si piegò sulla culla, spostando la coperta dal corpo della bambina per prenderla in braccio. Non era abituata a quel peso quasi inesistente, né alla morbidezza dei suoi arti, che penzolavano dal suo piccolo corpo come se fossero stati elementi a parte da tutto il resto; non era pronta affatto – capì – tanto che la fece quasi cadere.

Quell’istante di terrore la costrinse a stringere quella creatura, tenendo quel delicato corpicino fermo contro il proprio petto.
Le venne naturale sostenerle la testa con una mano, che conteneva perfettamente il suo fragile cranio, mentre con l’altra la sorreggeva, le dita che carezzavano la pelle vellutata della sua piccola schiena.

Vanessa sorrise quando si rese conto che sua figlia aveva smesso di piangere nel momento esatto in cui si era accoccolata sul suo seno.

Voleva essere la sua coperta, voleva sentire il suo sottile respiro sul collo e il tepore del suo corpicino contro il proprio. Ma ciò non avvenne.

La pelle della bambina era fredda come la pietra. Morbida, ma incredibilmente gelata. Era come se fosse fatta di argilla.

Di nuovo, sentì una scarica di terrore attraversarle le membra.

“È fredda.” Mormorò Vanessa preoccupata. Si girò di scatto, rivolgendosi verso Ethan mentre, inconsciamente, aveva preso a cullare la bambina.

Forse era malata, forse era quello il motivo per cui i suoi polmoni erano così deboli.

Era a causa del suo patto? Aveva rinunciato alla sua anima per quella realtà corrotta?
Doveva forse chiedere al Padrone di risparmiare sua figlia? Era così, dunque: sarebbe stata costretta a chiedere favori per sempre?

“Che ti aspettavi?” Domandò Ethan. Era il ritratto della tranquillità. Vanessa lo guardò attraverso lo specchio; i suoi occhi chiari erano inquieti, tutto il contrario di quelli di lui. “Era un fantoccio, dopotutto.”

Vanessa percepì un dolore lancinante diramarsi dentro di lei, dal più profondo del suo essere fino alla punta delle dita. Quella creatura che stava stringendo, sua figlia, non era nemmeno del tutto umana?

All’improvviso, immagini di migliaia di bambole apparvero davanti ai suoi occhi, che la fissavano dall’alto, che ridevano di lei. Era diventata come Evelyn.

No, non poteva crederlo.

“Cosa vuoi dire?” La sua voce giunse roca, titubante.

Ethan si bloccò per un momento, poi accennò una risata, voltandosi verso di lei con un’ombra di rimorso nei suoi occhi.
“Sì, certo – mi dispiace.” Disse con un sorriso. “Perdonami. Ho promesso che non ne avremmo parlato più.” Chiuse le distanze fra di loro e la baciò senza alcuna esitazione.

Vanessa non riuscì nemmeno a muovere le labbra per rispondere al bacio. Si limitò ad osservarlo mentre si spostava verso la creatura che aveva tra le braccia, posando un leggero bacio sul dorso della sua mano, che ancora fasciava la testa della bambina.

“Ethan.” Lo chiamò, la sua espressione seria e compassata, anche se avrebbe tanto voluto gridare. “Parlami.” Richiese con fermezza.

“Vanessa te l’ho già detto: non serbo rancore verso di te perché non puoi avere figli, te lo giuro.” Sussurrò lui. Un altro brivido, un’altra coltellata. Quella realtà era anche più terribile di quando si aspettasse. “Del resto, avere lei è stata la cosa più vicina al concepimento; la sua nascita è stata magnifica.”

Vanessa lo guardò a lungo negli occhi. Sembrava così sincero, così felice e oh, così bello. Poteva convivere con tutto quello? Poteva essere felice ed appagata con quella vita? Avere tutto ciò che desiderava, anche l’impossibile?

“Davvero?” Si sforzò di chiedere. Doveva sapere di più.

“Il nostro Padrone è generoso.” Annuì Ethan. “I tuoi poteri grandi, io – io non te l’ho detto, ma è stato affascinante.” Lei continuava a fissarlo, sperando che fosse abbastanza per spronarlo a continuare con il suo racconto. Lui, però, non sembrava essere convinto. “Sei sicura di volerne parlare?”

“Solo per questa volta.” Disse lei.

Lui sembrò soppesare la sua frase, poi, sospirò. Un singolo cenno del capo e proseguì.

“Nostra figlia non è meno reale di qualunque altro bambino, né meno mia figlia, questo lo sai.” Mormorò lui, guardandola dritta negli occhi. Lei annuì. “Il modo in cui è venuta al mondo è stato glorioso. Hai dato vita ad una bambola dandole solamente un nome.” Stava sfoggiando un sorriso luminoso, adesso. “Ma non mi importa com’è entrata nelle nostre vite, mi basta avere la nostra bellissima Claire.”

Claire, come sua madre.
Quando Ethan le abbracciò, lei socchiuse gli occhi, crogiolandosi nel suo profumo e nel suo calore.

Le sue stesse parole, la sua stessa voce le ingombrarono la testa, mentre i ricordi del passato, di quella volta in cui stava con Peter, riaffioravano prepotenti nella sua mente: “Devi dar loro dei nomi o non prenderanno mai vita.” .
Improvvisamente, si rese conto che lei non era diventata come Evelyn. Lei era Evelyn.

Poteva veramente essere soddisfatta in quel mondo dove niente era reale, dove quella menzogna era l’unica vera fonte di felicità? Poteva vivere in un mondo dove lei era l’oscurità? Forse, fintanto che fosse riuscita a rimanere fedele a se stessa e ad Ethan – il suo Ethan, il suo salvatore.

“Dovresti andare a letto e portarla con te, adesso.” Sospirò lui, separandosi da loro con la fronte appena corrucciata. “La luna piena è stanotte.”

Vanessa annuì. Conosceva il suo segreto, o meglio, credeva di sapere, anche se non aveva mai ricevuto alcuna conferma. Era contenta che, almeno in quella realtà, potesse parlare con lui apertamente; forse avevano persino trovato un modo per combattere o controllare la bestia che era dentro di lui.

Prese un profondo respiro, piegando il capo sulla testa di Claire.
Il suo naso sfiorava leggero i suoi capelli. Odorava di buono, sfiorare la sua pelle era piacevole, anche se era gelata.

Sì, forse poteva essere felice.

Quando sollevò lo sguardo su Ethan, però, notò che aveva indossato il suo cappello di feltro.

“Dove stai andando?” Domandò lei quasi subito, la fronte corrugata.

“Fuori.” Disse lui semplicemente.

“Ucciderai qualcuno.” Continuò, confusa e disorientata.

Ethan piegò le labbra in un sorriso storto.
“Dovrebbe essere quello lo scopo, mia adorata.” Si sistemò la giacca lungo i fianchi e si diresse verso la porta. “Il Padrone ha bisogno di vittime per cibarsi.”

 

Vanessa guardò fissò in silenzio la porta chiusa davanti a lei.

Claire si agitò appena tra le sue braccia, risvegliandola dallo stato trascendentale in cui era caduta; dalla sua piccola bocca, provenne il più sottile dei mormorii.

Lei la strinse più forte, appoggiando nuovamente le labbra sulla testa della bambina.
Sì, le veniva naturale, eppure – eppure, era tutta una farsa.

Prese a camminare dolcemente, cullando la bambina e stringendo il suo corpicino freddo al proprio petto e, d’un tratto, si accorse di stare intonando una melodia.

Vanessa non conosceva quella canzone, ma era sicura di averla già sentita e, in qualche modo, quelle parole si erano insediate nel suo cervello. Forse era la stessa ninnananna che usava sua madre per farla addormentare.

I ask one kiss from your sweet lips, and that is all I crave.”

Ma non le importava, non ora.

Ethan. Quel mostro non era il suo Ethan.
La donna che amava non era Vanessa, perché lei non si sentiva se stessa.

Aveva combattuto quelle forze per tutta la vita e adesso era diventata una di loro.
Aveva perduto la sua battaglia proprio alla fine.

Non era quella la vita che voleva, neppure quella felicità e la pace che cercava.

Erano loro l’oscurità, schiavi del male. Erano liberi dalle pene e dalle sofferenze, ma avevano condannato il mondo a viverle al posto loro. Avevano lasciato che quelle forze maligne si scatenassero sulla terra, così tutto era stato ricoperto dalle tenebre, dalla paura e dal sangue.
Non poteva vivere in quel modo.

My breast is cold as the clay, my breath is earthly strong.

Vanessa avanzò verso il centro della stanza, e solo allora si accorse di odiarla: tutto quel bianco, quei colori chiari – quella non era lei.
Loro non erano puri come volevano far credere.

Odiava quel posto ed odiava se stessa perché aveva permesso che tutto ciò potesse accadere.
Odiava quell’Ethan che amava uccidere e a cui piaceva servire il Padrone del male, che era anche il suo.

Odiava sua figlia, quella finta creatura che respirava solamente grazie a lei e alle sue terribili nefandezze.

Lei stessa era stata quella debole.

La sua mano tracciava forme invisibili sulla pelle morbida della sua schiena, rassicurandola mentre cullava la bambina.
Le sue labbra lambivano i suoi morbidissimi capelli corvini con delle carezze simili a baci.

Lo odiava, odiava tutto. Voleva uccidere quel sogno – quell’incubo.
Sì, voleva che tutto cessasse.

And if you kiss my cold, clay lips, your days will not be long.”
Le sue dita affusolate raggiunsero lente il suo fragile collo.
Circondò la sua piccola gola con il pollice e l’indice, finché i polpastrelli non si toccarono tra loro, poi, strinse.

Udì uno schiocco ovattato e sentì il peso aggravarsi, nel suo abbraccio, mentre la testa di Claire ricadeva all’indietro.

Vanessa non osò guardare.

Tra le sue braccia, percepiva null’altro che rigidi pezzi di legno.
Lasciò andare, scavalcando la massa informe di ciocchi che erano caduti a terra con un leggero tonfo.

Aveva già ucciso un uomo, non era stato affatto difficile uccidere un fantoccio.

Avrebbe potuto uccidere anche Ethan, se solo ne fosse stata capace. Anche se quella era solamente un’ombra di quello vero, lo amava ugualmente.
Vanessa non avrebbe potuto ucciderlo, ma era in grado di porre fine a tutto quello – poteva uccidere un’altra persona, lordarsi le mani un’ultima volta.. con il suo stesso sangue.

Vanessa camminò verso la finestra, guardando mentre la luna piena, argentea, si faceva strada tra le nuvole più alte.
Aprì le imposte e, inerpicandosi sui cuscini del davanzale interno, si arrampicò sul parapetto.

L’aria era fredda e Londra giaceva ai suoi piedi, addormentata.
La città che aveva odiato trasformata in un caos di case che ancora bruciavano, lamenti costanti ed agonia.

Una tormentata spettatrice del suo dolore più grande.

Era stato tutto un inganno, una bugia contorta e beffarda per la quale era caduta.

Aveva condannato quelle persone solo per avere la pace; tuttavia la sua vita non era altro che una farsa.
Aveva tradito tutti, lei stessa compresa.

Non aveva mai voluto una figlia fasulla e non aveva mai voluto un Ethan fasullo.
Vanessa voleva il proprio. Desiderava la sua vecchia vita, quella vera – non quella depravata illusione.

When we will meet again, sweetheart? When we will meet again?” Cantò ancora, la sua voce poco più che un sussurro afono.

Vanessa sbattè le palpebre, lasciando cadere le lacrime che si erano affollate sulle sue ciglia. Erano anni che non piangeva.
Esse caddero giù, a lungo, finché non toccarono il marciapiede.

Chiuse gli occhi, immaginando il suo corpo fluttuare nel vento, delicato e leggero come una piuma.

Meglio l’oblio, pensò, meglio un mondo in cui era dannata, rispetto a quella pace che non era la sua.
Meglio aspettare Ethan nell’oltretomba, piuttosto che avere il guscio vuoto di lui adesso.

Un ultimo respiro su questa terra, e poi, saltò.

When the autumn leaves that fall from the trees, are green and spring up again.

   
 
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