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Autore: Sophie Ondine    25/12/2018    5 recensioni
Dal testo:
-Un giorno, non ti è dato sapere come, non ti è dato sapere quando, tu e il tuo amore vi incontrerete nuovamente. Non avrete ricordi della vostra vita precedente, ma verrete attratti l’una all’altro senza neanche accorgervene, non potrete fare niente per impedirlo. Quello che è accaduto in questa vita, si ripeterà nuovamente e ancora e ancora, fino a quando il vostro amore non troverà realizzazione. È questo il destino delle anime gemelle.-
***
Cosa succederebbe se due anime, separate nella vita precedente, si reincarnassero? Che cosa attira una semplice ragazzina con la passione per il teatro verso un gelido demone? Nonostante la Vita si diverta a metterli sempre l'uno contro l'altra, cosa farà il Destino?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Rin, Sesshoumaru | Coppie: Inuyasha/Kagome, Rin/Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sangue, solo sangue attorno a lei. Tutto ne era stato invaso: il suo kimono, le sue mani, il terreno sotto le sue gambe, ormai impregnato di quel liquido caldo dall’odore ferroso.
Stringeva tra le sue braccia un corpo, il corpo di un uomo. Lo stringeva con tutte le sue forze, per paura che qualcosa o qualcuno potesse portarglielo via. Il volto dedll'uomo ormai era una maschera senza espressione, vuota, senza vita.
La ragazza piangeva calde lacrime, disperata. Non poteva crederci che fosse davvero successo, proprio a lui: l’essere più forte, colui che era inavvicinabile, irraggiungibile, ora giaceva esamine tra le sue minute braccia.
Lo guardò con gli occhi annebbiati dalle lacrime: nemmeno l’Oscura Mietitrice era riuscita ad alterare i suoi tratti fieri; anche nella morte lui sembrava il solito e fiero demone.
I capelli argentei si erano riversati sul terreno gravido di sangue, il suo sangue, e qualche ciocca era stata contaminata da una screziatura scarlatta. Il kimono era brutalmente squarciato all’altezza del petto, da cui sgorgava prepotente il sangue.

-Ti prego… non lasciarmi… sola- piangeva la ragazza.


In quel momento qualcuno le poggiò una mano sulla spalla, lei però non si voltò.

-Rin, devi essere forte- le disse la voce, appartenente ad una vecchia donna.
-E come posso farcela?- strillò lei, avvinghiandosi ancora di più al corpo del demone, come se fosse l’unica cosa che avesse senso nella sua vita.
L’anziana donna sospirò.

-Credi nella reincarnazione?- chiese pacatamente.

La giovane si voltò per la prima volta di scatto, un barlume di speranza comparve negli occhi nocciola. Se poteva esserci anche una sola possibilità per lei e il suo amato demone di potersi incontrare ancora una volta, l’avrebbe sfruttata, in un ultimo disperato tentativo.


-Che… che cosa intendi, Kaede?- domandò lei, quasi come se la stesse supplicando.


-Credi in una seconda possibilità? In un altro incontro tra te e lui?-

-Oh, Kaede, se solo fosse possibile, non esiterei a crederci- singhiozzò lei con gli occhi pieni di lacrime.

Kaede sollevò gli angoli della bocca, formando un lieve sorriso sul suo volto. La giovinezza, la speranza, l’ingenuità della ragazza le trasmettevano solo tanta tenerezza. Avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per poterla rendere felice, quella piccola umana divenuta ormai come una figlia.


-Un giorno, non ti è dato sapere come, non ti è dato sapere quando, tu e il tuo amore vi incontrerete nuovamente. Non avrete ricordi della vostra vita precedente, ma verrete attratti l’una all’altro senza neanche accorgervene, non potrete fare niente per impedirlo. Quello che è accaduto in questa vita, si ripeterà nuovamente e ancora e ancora, fino a quando il vostro amore non troverà realizzazione. È questo il destino delle anime gemelle-


La ragazza l’ascoltò attentamente e altre calde lacrime scesero sul suo viso, ma erano lacrime di speranza, l’ultimo appiglio per poter sopravvivere alla sua assenza.

-Se è questo quello che deve accadere, ci crederò- disse, guardando di nuovo il demone.
Si soffermò su ogni piccolo dettaglio sul suo viso: il naso, le labbra, le palpebre che in quel momento crudelmente la privavano delle sue amate iridi ambrate.
Un’altra lacrima le cadde lungo la guancia. Si chinò sul volto del demone. Ciò che le aveva detto la vecchia Kaede doveva per forza essere vero, come avrebbe mai potuto mentirle, con il rischio di farle solo ancora più del male? E anche se quella storia delle anime gemelle non fosse stata vera, lei ci avrebbe creduto fermamente, con ogni fibra del suo essere, fino a quando la sua volontà e la sua fede non avrebbero smosso lo stesso universo, gli dei in persona.

-Sesshomaru… un giorno ci incontreremo di nuovo- disse lei, prima di donargli un ultimo, gelido bacio.


***

La sveglia scattò puntuale alle sette del mattino in punto. Il trillo acuto e penetrante martellò le orecchie della povera bambina, che si svegliò di soprassalto. Ci mise un po’ a realizzare dove fosse, tanto profondo era ancora il suo sonno. Sbattè più e più volte le palpebre e poi cominciò a strofinarsi gli occhi cisposi con le dita.
Il suo futon era ancora caldo e invitante e sembrava che qualsiasi cosa attorno a lei le stesse suggerendo di rimanere a dormire ancora un po’: il futon comodo e accogliente, la coperta pesane e calda che la faceva sentire protetta dal terribile acquazzone che si era riversato sulla città quella mattina di novembre. Poteva sentire, a finestre chiuse, lo scroscio della pioggia al di fuori della sua cameretta.
Quanto sarebbe stato bello poter poltrire ancora un po’, pensò la bambina mentre con la manine minute si tirava il piumone fin sopra il naso. Ma l’idillio durò ben poco, perché sua nonna sbattè violentemente l’anta della porta scorrevole della sua camera, facendo un gran baccano e prendendo di sorpresa la povera bambina.

-Rin! È ora di alzarsi, non fare la poltrona!- la rimproverò l’anziana donna con tono duro.

La bimba si alzò di scatto a guardare sua nonna, quasi supplicandola di non sottoporla alla tortura di dover abbandonare il caldo giaciglio.

-Nonna, non mi sento molto bene oggi, non posso restare a casa a dormire un po’?- propose subito la piccola Rin, sperando che la nonna per una volta cedesse al suo buon cuore e accontentasse il suo desiderio.

-Non provare a fare la furba con me, signorinella. Ora tu ti alzerai da quel letto e verrai a fare colazione giù in cucina con me-
Rin sbuffò frustrata da quella risposta. Scostò dal suo corpicino il piumone e, a malincuore, si avviò verso il bagno per prepararsi ad un’altra giornata di scuola. Ci mise un po' per prendere coraggio e lavarsi la faccia con l'acqua fredda che proveniva dal rubinetto. Sospirò più volte e mormorava fra se e se incitamenti, il cui unico destinatario era lei stessa.
-Coraggio, ce la puoi fare!- esclamò un secondo prima di spruzzarsi l'acqua sul viso e lavarsi via dalla faccia anche quel briciolo di speranza di poter passare tutta la mattinata a dormire a casa.
Quando ebbe finito di prepararsi, scese al piano di sotto a fare colazione con  sua nonna, la quale l’attendeva pazientemente. Per ingannare l’attesa aveva acceso la televisione, sintonizzandola su un vecchio film occidentale. Rin prese posto e si servì subito di un po’ di riso in bianco preparato per la colazione.

-Hai dormito bene, bambina mia?-domandò la nonna tra un boccone e l’altro.
Attese una risposta, che però non arrivò mai.
Kaede riformulò la domanda, ma ancora una volta la risposta non arrivava. Spazientita si voltò verso la nipote.
-Rin, ma mi stai ascoltando?- sbottò.
La bambina, richiamata alla realtà, rivolse i suoi occhi verso la nonna, con un’espressione sorpresa e perplessa. Dal suo viso si poteva capire che non aveva sentito neanche una parola di quello che la nonna le aveva detto.

-Non c’è niente da fare: quando c’è qualche film in tv, te ti perdi in un mondo tutto tuo- sospirò l’anziana, mentre scuoteva leggermente la testa.

-Scusa nonna- balbettò la bambina, arrossendo di vergogna.
Non era carino non ascoltare le persone quando ti parlano, questo le avevano sempre insegnato, ma quando si trattava di libri e film, Rin si catapultava in un mondo tutto suo, dove a nessuno era concesso entrare. Bastava che in televisione ci fosse un film discretamente interessante, che subito tutto il resto del mondo perdeva di colore e spessore, si appiattiva e passava in secondo piano. Fin da piccola le piacevano le storie che venivano raccontate, vi si immergeva totalmente. Spesso e volentieri provava a recitarle da sola. Le venne in mente sua madre e i suoi incitamenti quando Rin allestiva uno spettacolo teatrale improvvisato: non c’era scenografia, non esisteva un sipario e il palco era solo un perimetro immaginario tracciato sul tatami. La fantasia era l’unico ingrediente, ma quanto era divertente, perché tutto era possibile.

-Non ti preoccupare. Volevo solo sapere se avessi dormito bene- continuò la nonna con tono dolce.
Dormito bene? Beh era una parola un po’ troppo grossa. Era da un po’ di sere che faceva sempre lo stesso sogno, che ora faticava a ricordare. I contorni erano sfuocati e i volti dei protagonisti del suo sogno faticavano a imprimersi sulla tela della memoria.
-Sì, ho dormito profondamente- mentì alla nonna e si portò un altro boccone di riso in bocca.
Ricordava vagamente che nel sogno c’era una ragazza, una ragazza che piangeva la morte di qualcuno. Altro non ricordava. Se provava a chiudere gli occhi per immaginare la scena, vedeva soltanto del rosso, come se quello fosse il colore dominante dell’intera scena. Ad ogni modo Rin non se ne diede molta pena, le era capitato molte volte di sognare qualcosa di simile. La sua mentalità da bambina, per ora, non le permetteva di porsi altre domande.

Una volta finita la sua colazione, Rin portò la sua ciotola al lavandino, pulì i suoi utensili e poi corse su in camera sua per preparare la cartella.
Trafficò con i quaderni ed i libri scolastici per un bel po’, ancora non aveva imparato a memoria il suo orario. Cercò sulla sua scrivania anche un’altra cosa: un copione. Rin faceva parte del club di recitazione della scuola elementare dove andava e si stava preparando per lo spettacolo di fine anno; dopo le lezioni si sarebbe fermata alle prove con gli altri piccoli attori come lei. Adorava recitare, era divertente e le riempiva il cuore di felicità. La nonna e la mamma l’avevano portata spesso a teatro a vedere qualche rappresentazione: la prima della sua vita fu “Il mago di Oz” e ricordava ancora con un certo timore negli occhi, la paura che l’aveva assalita quando la perfida Strega dell’Ovest aveva fatto il suo ingresso in scena. Forse fu per il trucco verde sulla faccia o per l’interpretazione appassionata dell’attrice, ma Rin scoppiò subito a piangere, rifugiandosi tra le braccia della madre.

-Rin, sbrigati o perderai l’autobus!- la riportò alla realtà la voce della nonna dal piano di sotto.
La bambina si ridestò dai ricordi, raccattò tutto quello che le serviva e si precipitò giù per le scale. Prima di abbassarsi per infilare le scarpe, si voltò verso l’antica cassettiera all’ingresso, rivolse lo sguardo verso una fotografia contenuta in un portafoto dal contorno semplice di colore nero. Al suo interno era contenuta una foto, leggermente sgualcita ai bordi. Rin sorrise, poi sussurò:- Ciao, mamma-

 

***

La scuola elementare di Rin era piuttosto grande ed ospitava sia le scuole elementari che le medie. I club erano numerosi, ma quello di teatro godeva di una buona reputazione: gli spettacoli, benchè non fossero tenuti da professionisti, erano curati nei minimi dettagli e gli studenti ricevevano preziosi insegnamenti dai loro insegnanti.
Rin volle iscriversi al club di recitazione fin dal suo primo giorno di scuola, moriva dalla voglia di farlo. Ormai erano quattro anni che ne faceva parte e con gli anni era riuscita a migliorare ed anche a farsi una cerchia di amici abbastanza stretti. Nonostante fosse una bambina piuttosto socievole, la sua più grande amica però era solo una: Kanna Miura.

Le due bambine si erano conosciute lentamente: ognuna rimase affascinata dall’altra, si erano guardate incuriosite alle prime lezioni del club, e con il tempo la loro voglia di conoscersi si era tramutata in un sentimento di amicizia. Le differenze tra loro erano palpabili, non solo a livello fisico, ma anche a livello caratteriale: se una era un vulcano di energia, l’altra era calma e silenziosa; se una aveva il viso incorniciato da lunghi capelli neri, l’altra vantava capelli chiarissimi che si sposavano perfettamente con il colore della pelle.
Le bambine si trovavano entrambe alle prove, le lezioni erano finite da un pezzo. Tutti i membri della compagnia del teatro delle elementari si sentivano eccitati: lo spettacolo di Natale si avvicinava sempre di più. Per quell’anno era stato deciso di portare sulle scene una delle opere più famose di Dickens, “Il canto di Natale”. A Rin era toccato il ruolo del fantasma dei natali passati, parte che sembrava le calzasse a pennello in quanto il primo dei fantasmi dell’opera dickensiana era descritto come un personaggio luminoso, allegro. Kanna doveva rivestire i panni del fantasma del natale futur, altro ruolo assegnato tenendo conto della naturale propensione della bambina: silenziosa, delle volte glaciale e dal portamento elegante e senza movimenti superflui.
Le due amiche erano sedute leggermente in disparte, in attesa del loro turno.

-ehi Rin…- sussurò Kanna, cercando di non farsi sentire dagli altri: non era rispettoso verso i compagni che stavano recitando.
-Sì?- domandò Rin sorpresa. Di solito Kanna parlava durante le prove solo se strettamente necessario o se proprio non poteva aspettare a dirle qualcosa, cosa che accadeva piuttosto raramente.

La bambina aprì il suo copione apparentemente a caso e, con lentezza quasi studiata, poggiò sulle gambe della piccola Rin due cartoncini rettangolari di colore giallo.
Rin osservò meglio ciò che Kanna le aveva messo sotto gli occhi. In un primo momento non capì, ma con un’occhiata più attenta lesse “Il mercante di Venezia”. Afferrò i biglietti con entrambe le mani e se li portò più vicini al viso, come se avesse paura di aver letto male e che quel titolo se lo fosse inventato la sua mente birichina. Lesse ancora una volta e sul visino le si disegnò un sorriso estatico.
-Ma… dici sul serio?- bisbigliò Rin, cercando di domare l’ondata di eccitazione che sentiva travolgerla come un’onda anomale in quel preciso momento.
Kanna abbozzò un sorriso divertito:-Papà li ha ricevuti in omaggio in ufficio e mi ha detto che potevo portarci chi volevo. Verrà anche lui con noi, per accompagnarci-
“Il mercante di Venezia”, Rin non sapeva di cosa parlasse per la precisione, ma poco le importava, sarebbe stata attenta per tutta la durata dello spettacolo per poter capire. La cosa più importante era poter andare a teatro ed ora la sua migliore amica le stava offrendo quell’occasione.

Da quando la mamma era morta, la piccola non aveva avuto molte occasioni per andare a teatro: la nonna doveva lavorare molto per poter permettere alla nipote una vita dignitosa, magari riuscendola a viziare di tanto in tanto.
Si voltò verso Kanna e, sempre in silenzio, con il sorriso stampato sulle labbra disse:- Grazie!-
In risposta, l’altra si limitò ad annuire lievemente con la testa.

 

***

Subito dopo le prove, sia Rin che Kanna si erano precipitate a casa: i compiti per il giorno seguente non erano pochi e loro desideravano con tutto il cuore godersi lo spettacolo di quella sera, senza il pensiero della scuola. Rin, appena messo piede in casa, si era fiondata in camera sua e subito ripiegata sulla scrivania di fianco al suo letto. Aveva in mente un solo pensiero: lo spettacolo di quella sera, “Il mercante di Venezia”. Durante il tragitto verso casa Kanna le aveva detto che lei e suo padre sarebbero passati a prenderla per ora di cena, avrebbero cenato in un ristorante di fianco al teatro e poi avrebbero potuto godersi la rappresentazione.
La luce aveva fatto spazio alla sera in un batter d’occhio, subito le strade si erano lasciate ricoprire dal quel sottile velo nero, i lampioni erano stati accesi e la città si apprestava ad indossare scintillanti gioielli luminosi.
Nonna Kaede era intenta a preparare un infuso commissionatole da una delle sue clienti più strette. In fondo era contenta che sua nipote avesse ricevuto quell’invito, così lei avrebbe potuto portarsi avanti con il lavoro arretrato e la piccola Rin un ricordo piacevole.

La piccolina riuscì a salvarsi per il rotto della cuffia e i compiti furono completati in tempo. Dopo essersi lavata accuratamente e pettinata altrettanto minuziosamente, aprì l’armadio alla ricerca di un vestito adatto per la serata. Non erano molti, ma Rin aveva già le idee chiare: avrebbe indossato un vestito di velluto blu, dalla gonna ampia e il colletto bianco. Lo indossava esclusivamente per eventi che lei reputava speciali.
Le era stato confezionato dalla nonna per il suo ultimo compleanno, lo aveva copiato da una rivista di moda.
Rin si vestì accuratamente: si infilò il vestito, scelse le calze e le scarpe da abbinarci, indossò un bracciale regalatole da sua mamma anni prima.

Poco prima di scendere giù in cucina per chiedere un opinione alla nonna, le capitò di incontrare la sua immagine nello specchio. Si guardò con attenzione ed ebbe a sensazione che mancasse qualcosa, vedeva riflessa una bambina banale, per niente originale. Si studiò con attenzione, piegando la testa di lato e strizzando gli occhi in cerca di un’ispirazione improvvisa. Subito le venne in mente un’idea geniale: agguantò un elastico poggiato sulla piccola cassettiera e, con mani esperte, si acconciò i capelli in una pettinatura del tutto personale. Quando ebbe finito, si concesse alcuni minuti per ammirare il lavoro fatto. Sorrise: quel codino di lato le stava davvero bene.

-Come sei carina, bambina mia- disse una voce alle sue spalle. Rin vide il riflesso della nonna nello specchio.
Si voltò con un grande sorriso e la nonna si sentì pervadere da un senso di calore senza eguali. Da quando sua figlia era morta, la piccola Rin era l’unico tesoro che le fosse rimasto a questo mondo, e vederla così sorridente, con gli occhi che luccicavano, la faceva sentire in completa pace con se stessa. La vecchiaia e la vita le avevano tolto tantissime cose ed aveva giurato a se stessa che per la sua unica nipote si sarebbe impegnata al massimo per farla sentire felice e protetta.

Il suono del campanello costrinse entrambe ad interrompere quel momento di intimità familiare.
-Credo che Kanna sia arrivata-la informò la vecchia Kaede, mentre l’aiutava ad indossare il cappotto.

 

***

Che storia meravigliosa.
Rin non riusciva a pensare ad altro da quando il sipario di velluto rosso aveva lasciato posto alla scenografia che evocava l’antica città lagunare.
Lei e Kanna, scortate dal padre di quest’ultima, avevano riservati i posti in platea: quarta fila dal palcoscenico. Non potevano sperare in qualcosa di meglio.
L’eccitazione era così forte che Rin non aveva avuto molta voglia di mangiare, face uno sforzo per non offendere il signor Miura, che tanto gentilmente si era fatto carico della soddisfazione di due bambine. Rin guardava rapita, come se fosse sotto l’effetto di un incantesimo, gli attori sul palcoscenico. Come si muovevano, il modo in cui parlavano, in cui modulavano la voce, così potente che pure gli spettatori in balconata erano in grado di capire ogni singola parola di ogni singola battuta. Tutto appariva così naturale, niente era forzato e l’energia che trasmettevano contagiosa.

Rin se ne sentì pervasa, completamente. Un sorriso le si dipinse sul volto. Li invidiava, tremendamente. Avrebbe tanto voluto esserci lei sul palco, non le importava avere il ruolo della protagonista: le sarebbe bastato solo recitare, far parte di quel mondo fluttuante, sospeso tra la realtà e la fantasia.
Quello che provava nel club di recitazione era niente rispetto alla gioia che avrebbe avuto nel far parte di una compagnia di attori professionisti.
Il cuore dentro al petto, sembrava essere impazzito: batteva forte, eccitato. Rin emise un sospiro.
Un giorno anche io farò parte di uno spettacolo del genere, pensò invasa da un sentimento di speranza che inondava ogni cellula del suo esile corpicino.

Quando lo spettacolo si concluse, la piccola battè le mani talmente forte da farle diventare tutte rosse.
Kanna, che aveva notato quel dettaglio, disse ridendo:-Ma Rin, non starai esagerando?-. Ovviamente la diretta interessata non aveva ascoltato neanche una parola della domanda della sua migliore amica e, con impeto crescente, seguitò a sfogare la sua ammirazione per ogni singolo attore che veniva presentato.
Una volta che il palcoscenico fu vuoto e le luci di nuovo accese, Rin sembrò ritornare alla realtà. Quando si voltò incontro gli occhi divertiti di Kanna, la quale, con la sua solita calma e dolcezza le disse:-Sono contenta che ti sia piaciuto-
-Moltissimo, Kanna. Non so come ringraziarti. È stato uno degli spettacoli migliori della mia vita- esclamò traboccante di gratitudine.
Il padre di Kanna si intromise in quel siparietto tra le due amiche e annunciò loro di alzarsi per poter far ritorno a casa, dopotutto il giorno dopo c’erano le lezioni scolastiche ad attenderle.

Rin subito si alzò in piedi, ma, forse a causa dell’eccitazione, mise un piede in fallo ed inciampò su lei stessa, cadendo all’indietro. Era pronta a sentire sotto di lei l’urto del suo sedere con il pavimento freddo e lucido del teatro ma così non fu, al contrario precipitò su qualcosa di più morbido. Aprì istintivamente gli occhi, per capire cosa l’avesse salvata da un livido bello grosso sul sedere.
Guardò verso l’alto e le incontrò: due iridi ambrate, belle e profonde, leggermente fredde.
Rin sbattè le palpebre più volte per mettere a fuoco il suo salvatore. La bambina rimase sbigottita nel vedere davanti a lei un ragazzo grande, molto più grande di lei.

Arrossì per la vergogna.

-Mi… mi scu-scusi, signore- balbettò lei, sentendosi subito intomorita.

Il ragazzo la guardava senza battere ciglio, anche se uno sguardo più attento avrebbe scovato in quella maschera di perenne indifferenza, una nota di fastidio. In fondo quella mocciosa gli era precipitata sulle gambe, impedendogli di muoversi. Lui non rispose e Rin si sentì ancora più mortificata. Cercò di rialzarsi subito, aiutata anche da Kanna e da suo padre, i quali erano accorsi in suo aiuto.

-Mi scusi, spero non le abbia fatto male- tentò di scusarsi il padre di Kanna con il ragazzo, mentre rimetteva in piedi una Rin rossa in faccia come un peperone.
Il ragazzo, con una lentezza quasi estenuante, si alzò in piedi, rivelando la sua statura notevole e la figura longilinea.
-Nessun disturbo- si limitò a dire.
Rin, nascosta dietro la frangetta, spiò il volto del giovane. Capì subito che si trattava di uno youkai, lo aveva capito dai segni demoniaci che adornavano il volto pallido e fiero. Una mezza luna di colore viola regnava sulla fronte, incorniciata da una frangia di capelli argentati.
Il ragazzo sembrava alla bambina bello come un principe.
Chissà quanti anni aveva: diciotto, venti?

-Andiamo, Sesshomaru- lo chiamò una voce.

Il ragazzo non si scompose. Con un lieve cenno del capo salutò il terzetto che aveva davanti agli occhi e, con la tipica eleganza dei demoni antropomorfi, si avviò verso l’uscita del teatro.
Rin lo seguì con lo sguardo.

Che bello quel principe.

  
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