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Autore: ChiiCat92    25/12/2018    0 recensioni
"Odiava dover tornare a casa dopo il lavoro, odiava dover tornare a casa dopo il lavoro e sapere che c’era un lungo week-end che lo separava dal tornarci, ma ancor di più odiava dover tornare a casa dopo il lavoro e affrontare da solo le due interminabili settimane di vacanze natalizie. Ah, sì, poi c’era quella faccenda della festa di Natale obbligatoria per tutti i dipendenti.
Si alzò, ma lasciò il cappellino sulla scrivania: almeno a quella vergogna non si sarebbe piegato."
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Saix
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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24/12/2018

 

Last Christmas


Il ticchettio delle dita sulla tastiera era un suono quasi ipnotico. Ormai le stringhe di numeri che gli scorrevano davanti agli occhi gli apparivano tutte uguali ma la cosa non gli rendeva più complicato il lavoro, anzi. Quella serie monotona era familiare e piacevole, e la sua mente trovava riposo nella ripetitività del compito.

Qualunque altra persona sarebbe impazzita a fare un lavoro così diciotto ore al giorno, sei giorni a settimana, ma non lui, non Saïx. Il lavoro d’ufficio gli piaceva, tutto era ordinato, preciso, rispondeva ai suoi rigidi schemi mentali senza opporsi con scomode domande. La logica binaria che muoveva i programmi del suo computer non poteva sbagliare se lui non sbagliava, e di solito non sbagliava mai.

Era confortante, in qualche modo assurdo e complesso che era noto solo a lui.

Saïx spostò lo sguardo dallo schermo all’orologio a parete, il cui suono veniva coperto dalla velocità delle sue dita sulla tastiera.

Le 17:55, il che voleva dire ancora cinque minuti di lavoro. Gli ultimi cinque minuti di lavoro.

La parte più seccante di tutta quella faccenda era tornare a casa alla fine della giornata. Non gli piaceva, non voleva, aveva già fatto tutti gli straordinari possibili, coperto i suoi colleghi, e rinunciato ai giorni di ferie. Nonostante tutto lo Stato credeva che ad un certo punto dovesse tornare a casa. Allucinante, vero?

Che senso aveva tornare in un appartamento vuoto, alla sua vita vuota, a fissare il soffitto aspettando solo che arrivasse il giorno successivo per poter tornare a lavoro?

Se avesse potuto, sarebbe rimasto a dormire sotto la scrivania per non dover neanche perdere il tempo necessario a raggiungere l’ufficio.

Che fosse perché la solitudine gli era diventata intollerante, che fosse perché si rendeva conto di quanto pateticamente irrilevante fosse come essere umano, che fosse perché non voleva accettare l’idea di avere solo vuoto e oscurità al suo fianco, chi lo sapeva. Preferiva evitare di pensarci, e respingere ogni tentativo di pensiero come un esercito respinge l’invasione di un nemico.

17:59.

Saïx tirò un lungo, lento, sconfortato sospiro. Chiuse il programma su cui stava lavorando e poi spense il computer.

Per un attimo rimase immobile a fissare il monitor nero, poi gli occhi d’ambra scivolarono sul cappellino da Babbo Natale rimasto sulla scrivania.

Odiava dover tornare a casa dopo il lavoro, odiava dover tornare a casa dopo il lavoro e sapere che c’era un lungo week-end che lo separava dal tornarci, ma ancor di più odiava dover tornare a casa dopo il lavoro e affrontare da solo le due interminabili settimane di vacanze natalizie. Ah, sì, poi c’era quella faccenda della festa di Natale obbligatoria per tutti i dipendenti.

Si alzò, ma lasciò il cappellino sulla scrivania: almeno a quella vergogna non si sarebbe piegato.

I cubicoli dei colleghi erano già tutti vuoti, i suoi passi rimbombavano nei corridoi.

Doveva avere una smorfia sofferente sul volto. Avrebbe preferito andarsene a casa piuttosto che essere costretto a quella farsa.

Non che ce l’avesse con il Natale in sé, il problema erano le persone e l’essere costretto ad interagirvi.

Quand’era giovane le feste di Natale erano per lo più festeggiate con i suoi genitori, dato che sia i nonni paterni che quelli paterni erano morti quando lui era piccolo e non aveva zii. Quel genere di feste non gli dispiacevano, perché erano silenziose, discrete, e non c’era ipocrisia.

Il salone dei congressi era stato adibito a pista da ballo, un gigantesco albero di Natale era stato addobbato in un angolo e su un tavolo apparecchiato con una tovaglia rossa addossato ad una parete era stato preparato un buffet di tutto rispetto.

Saïx sentì distintamente il canto monotono e sottovoce di Micheal Bublè, e il cicaleccio continuo dei colleghi.

Il pop di una bottiglia di spumante gli annunciò che era elegantemente in ritardo per la festa di Natale e allora aumentò il passo.

Mentre camminava sistemò il nodo della cravatta, lisciò pieghe inesistenti sulla giacca e inghiottì imbarazzo e fastidio insieme ad una boccata di bile.

“Last Christmas, I gave you my heart.” cominciarono a cantare gli Wham! dallo stereo. Saïx alzò gli occhi al cielo ed entrò nella stanza.

I colleghi non si voltarono ad accoglierlo, troppo impegnati a sorseggiare spumante, a sghignazzare, a scuotere i campanelli sugli imbarazzanti maglioni di lana che in quell’unica giornata era consentito indossare al posto di giacca e cravatta.

“But the very next day you gave it away.”

Saïx si avvicinò al tavolo, guardingo. Temeva di essere coinvolto nella fittizia felicità collettiva. Riuscì a versarsi da bere passando inosservato, come fosse parte dell’arredamento.

“This year, to save me from tears I'll give it to someone special.”

Dio, come odiava quella canzone.

Solo per fame prese una tartina, ma la mangiò come se fosse avvelenata: lentamente, facendo rotolare ogni boccone sulla lingua prima di mandarlo giù.

La prima strofa della canzone si ripeté, stesse parole, stesso malinconico tono sofferente.

I colleghi esplosero in un’ovazione quando qualcuno tirò fuori un rametto di vischio. Una delle ragazze della reception, fasciata in uno strettissimo tubino rosso fuoco, lo sollevò sopra la testa cinguettando un lascivo “chi vuole un bacio?”. Ovviamente, si scatenò una rissa per accaparrarsi il privilegio di baciare quelle morbide labbra rosee.

“Once bitten and twice shy

I keep my distance

But you still catch my eye

Tell me, baby

Do you recognize me?”

« Preferiresti essere a casa, eh? »

Saïx avvertì uno spiacevole brivido risalirgli la schiena. Quando si volse e lo vide sentì lo stomaco annodarsi e ridursi alle dimensioni di uno spillo.

I capelli rossi, ordinati in una coda, erano schiacciati sotto un cappellino da Babbo Natale; indossava giacca e pantaloni, la camicia leggermente sbottonata; occhi verdi d’intensità tale da illuminargli tutto il viso lo squadravano gioviali.

Axel.

Saïx sentì il nome risalirgli lungo la gola ma non avvicinarsi neanche per errore alle labbra.

Ecco incarnato uno dei motivi per cui odiava essere lì.

Non rispose alla sua domanda, che comunque era del genere che non accetta risposta, e lo guardò mentre si serviva un bicchiere di champagne e addentava una tartina.

La sua sola presenza lo metteva a disagio, un disagio tanto forte da farlo stare male, come se fosse esposto ad una fonte di calore che lentamente, inesorabilmente, lo bruciava fino alle ossa.

“Well, it's been a year

It doesn't surprise me

(Merry Christmas!) I wrapped it up and sent it

With a note saying, ‘I love you’ I meant it.”

« Neanche a me piacciono particolarmente le feste aziendali. » continuò Axel, dal momento che Saïx non sembrava propenso ad avere una qualche sorta di comunicazione civile con lui.

Questo perché Saïx ricordava perfettamente cos’era successo l’ultima volta, lo scorso Natale.

“Now, I know what a fool I've been

But if you kissed me now

I know you'd fool me again.”

Ricordò il momento in cui aveva deciso di lasciarsi andare, di essere più di un numero, di provare, almeno una volta, almeno per un attimo, a concedersi qualcosa. Aveva gioito così tanto del calore di Axel, della sua essenza, del profumo del suo corpo che aveva creduto che le cose sarebbero cambiate, che avrebbe avuto piacere a tornare a casa, che avrebbe concluso in fretta il lavoro e chiuso velocemente il computer per tornare da lui.

Era stato ingenuo da parte sua pensare che potesse esistere un sentimento del genere, e ancora più ingenuo era stato credere che potesse manifestarsi in Axel.

A volte si chiedeva ancora cosa Axel ricordasse di quella notte, e che sapore avesse per lui quel ricordo. Ma dal momento che aveva smesso di parlargli e che lo evitava nel corridoio e, soprattutto, che sembrava follemente innamorato del suo giovane fidanzato, Saïx conveniva con se stesso quando si diceva che per lui era stata solo una scappatella, un piacere consumato sotto i rami dell’albero di Natale.

Saïx controllò l’orologio, furtivamente, sperando di vedere che fosse passato abbastanza tempo da giustificare la sua fuga.

18:20.

Deglutì a fatica, aiutandosi con un sorso di champagne. Quanto meno l’azienda non lesinava sulla qualità di cibi e bevande per quelle feste.

« Hai fretta di andare da qualche parte? » gli chiese Axel, un sorriso su quelle labbra.

A Saïx bastò fare un leggero sforzo mentale per richiamare alla memoria la loro consistenza.

« Sono solo un po’ stanco. » fu la meschina giustificazione che gli rivolse.

Stanco di continuare a fingere che tutto quello gli piacesse, stanco di nascondere che gli dispiacesse la presenza di Axel.

Intanto, gli Wham! tornarono a cantare il ritornello della canzone.

“Last Christmas, I gave you my heart

But the very next day you gave it away

This year, to save me from tears

I'll give it to someone special.”

Saïx rimase a lungo a guardare come le lucine intermittenti dell’albero giocavano a creare ombre sul viso di Axel, ammirò profilo del suo naso, il mento, la curva del collo.

Aveva mai smesso di desiderarlo?

« Axel! Vieni qui, ci stiamo scambiando i regali! » una ragazza del gruppo di colleghi, visibilmente brilla, lo chiamò agitando una mano.

« Sì, arrivo. » rispose lui, abbozzando un sorriso. Buttò giù l’ultimo sorso di champagne e sospirò, poggiando il bicchiere sul tavolo. « Tu non vieni? »

« Non credo ci siano regali per me, ed io non ne ho fatti a nessuno. » fu l’acida risposta. Si pentì di quel tono un attimo dopo, ma ormai era troppo tardi.

Qualcosa nello sguardo di Axel disse a Saïx che avrebbe voluto sentire una risposta diversa, e si morse la lingua, impedendosi di scusarsi.

Fosse stato per lui non gli avrebbe rivolto neanche la parola.

Axel scrollò le spalle e raggiunse i colleghi, senza aggiungere una parola.

 

Per le due ore successive, Saïx partecipò passivamente alla festa, al discorso del capo, agli auguri di Natale. E non riuscì a staccare gli occhi da Axel neanche per un attimo.

Dopo aver stretto una quantità di mani imbarazzante, andò a prendere il cappotto consapevole del fatto che lo strazio era finito.

Sentiva ancora la voce di Axel alle spalle, rumoroso e ingombrante come sempre, come lo era nei suoi pensieri.

La neve e il freddo dell’esterno tagliarono fuori qualsiasi cosa, mozzandogli il fiato.

La neve cadeva a grossi fiocchi dall’alto, silenziosa e pesante, tutto intorno era bianco, abbacinante contro la luce dei lampioni.

Doveva aver cominciato a nevicare nel pomeriggio, e lui, chino sul suo computer, non se n’era neanche accorto.

Rimase qualche attimo a fissare la neve che cadeva dal cielo, rabbrividendo dentro il cappotto, e si strinse meglio la sciarpa intorno al corpo.

Le scarpe, non adatte a camminare sulla neve, producevano uno strano suono ovattato mentre camminava, e dovette stare attento a dove metteva i piedi per non scivolare.

La sua macchina era stata risparmiata, anche se qualche altra ora di nevicata costante l’avrebbe seppellita inesorabilmente.

Salì, sbattendosi forte la portiera alle spalle. Gli battevano i denti per il freddo e già rimpiangeva il suo caldo cubicolo.

Quando fece girare la chiave nel quadro, però, il motore rantolò senza accendersi.

« No, ti prego. » mormorò, ignorando il cuore che aumentava i battiti.

Non se lo meritava, non era giusto.

Tentò ancora, dando un po’ di gas. Magari il motore era solo freddo, bastava essere insistenti e si sarebbe acceso.

Niente. La macchina traballava un po’ e rimaneva spenta.

« Merda! » imprecò, dando un colpo contro il volante.

Aprì il cofano e scese. Il freddo gli tagliò il viso con una folata di neve e tremò ancora.

Non sapeva neanche cosa sperava di trovare guardando il groviglio di meccanismi del motore.

« Qualche problema? »

Saïx strinse i pugni, avrebbe voluto urlare che non c’era nessun problema, che era tutto a posto, che non aveva bisogno di nulla, ma quando si volse incrociando lo sguardo di Axel ogni rimostranza si spense.

« Non si accende. » borbottò con un gran sospiro.

« Dai, ti do un passaggio. »

“No”, avrebbe dovuto rispondere “No, grazie”. Invece si limitò a sbattere il cofano, prendere le chiavi dal quadro e seguire il rosso.

Seduto in macchina al fianco di Axel teneva le mani strette sulle ginocchia, stringendo tanto da farsi male. Teneva la testa lontana da lui, in modo da impedirsi di guardarlo.

C’erano diversi pacchetti sul sedile posteriore. Ovvio, era il beniamino dell'ufficio.

Quantomeno, in macchina faceva caldo, gli tornò la sensibilità alle dita. Tutto il corpo formicolava dolcemente, e avrebbe tanto voluto dire che era merito dell'aria riscaldata.

« Non è stata proprio la migliore delle feste, vero? »

« Mi sembra che tu ti sia divertito. »

Saïx colse con la coda dell'occhio Axel stringere le dita intorno al volante.

« Devi sempre rispondere così male? » si volse giusto un attimo, distraendosi dalla guida, poi tornò a fissare la strada. « Cercavo di fare conversazione. »

« Non ho voglia di fare conversazione. » sbottò Saïx.

Se avesse potuto allontanarsi di mille chilometri l'avrebbe fatto. Rimpianse di essere salito in macchina con lui.

« Essere un po’ più socievole non ti ucciderà. »

« Puoi solo portarmi a casa, grazie? »

Axel inchiodò. Con violenza e all'improvviso, tanto che Saïx si ritrovò a lanciare un urlo. La cintura gli impedì di sbattere contro il parabrezza, e trattenne anche il cuore.

« SEI IMPAZZITO?! » strillò. Davanti a loro la strada buia, innevata e probabilmente ghiacciata si srotolava a perdita d'occhio. Sarebbe potuto succedere qualsiasi cosa, nessuno sarebbe corso in loro aiuto.

« Adesso voglio che mi spieghi perché ti comporti così. »

« Così come?! »

« Così, come uno stronzo. » lo disse con tanta violenza che Saïx si sentì quasi schiaffeggiare da quella parola.

« Sei tu lo stronzo. » riuscì a dirgli, allucinato.

« Io. »

Si guardarono negli occhi per un lungo, infinito attimo. La macchina borbottava sommessamente, non forte abbastanza da coprire il fioccare lento della neve sul parabrezza.

« Ah. » disse poi Axel, con un sospiro. Si appoggiò al sedile, si passò una mano sul viso. Poi accese di nuovo il motore.

Caldo e silenzio riempirono nuovamente l'abitacolo, con il ritmico ondeggiare dei tergicristalli che spostavano la neve morbida che si depositava sul vetro.

Axel guidò con attenzione, rispettò i limiti di velocità, i semafori, gli stop, e arrivò sotto il palazzo di Saïx venti tranquilli minuti dopo.

« Grazie. » sussurrò, sganciando la cintura. Non osava alzare lo sguardo su Axel, ma non riusciva neanche a scendere dall'auto. « Mi dispiace. » gli riuscì di dire, con le labbra incollate dalla vergogna.

Axel allora lo afferrò per un braccio, tirandolo a sé. Con l'altra mano gli prese il viso e lo costrinse a baciarlo. Anche se Saïx avrebbe potuto ritrarsi non lo fece.

Quel bacio ebbe il potere di riscaldarlo dall'interno, come la prima volta che si erano baciati. Aveva il leggero sapore dello champagne che aveva bevuto, ed era morbido esattamente come ricordava.

Quando si allontanò da lui era sconvolto. Perché gli era piaciuto, ed era sbagliato.

« Il tuo fidanzato… » mormorò, battendo piano le palpebre come per allontanare l'orrore che provava per se stesso.

« Non c'è nessun fidanzato. »

« Ne parli ogni giorno. »

« Mento ogni giorno. »

« Perché? »

Per tutta risposta Axel lo baciò di nuovo.

Avrebbe avuto tempo e modo di chiedergli spiegazioni per il suo comportamento. Avrebbe avuto anche modo di arrabbiarsi per come l'aveva trattato.

Non adesso.

Adesso le mani bramavano la sua pelle, le sue labbra volevano più baci, il suo corpo lo voleva addosso.

Tutto sommato, il Natale cominciava a piacergli.


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The Corner 

Giusto una storiella veloce per augurare a tutti buon Natale! 
Come sempre, per la mia Musa.

Chii
   
 
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