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Autore: Koa__    26/12/2018    11 recensioni
La sera della vigilia di Natale, Sherlock di malavoglia rientra a casa. È arrabbiato perché tutti sembrano preferire le feste al lavoro e si rifiuta di farsi coinvolgere dall’atmosfera natalizia. A Baker Street intanto, John e Rosie si stanno preparando per andare a cena da Mycroft e Lestrade, i quali hanno organizzato una festa per quella stessa sera. Ma Sherlock si rifiuta di seguirlo, ritenendo il Natale un stupidaggine e per questo i due litigano. Rimasto solo, Sherlock riceverà la visita del fantasma di Mary Morstan, la quale è tornata per annunciare la venuta di tre spiriti che lo porteranno a vedere i Natali passati, il Natale presente e i Natali futuri.
[Ispirato al: "Canto di Natale" di Charles Dickens]
‘Storia partecipante al ‘Mille e una fiaba contest’ indetto da Emanuela.Emy79 ”
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La fine




 
Risero alcuni di quel mutamento,
ma egli li lasciava ridere e non vi badava;
perché sapeva bene che molte cose buone,
su questo mondo,
cominciano sempre col muovere il riso in certa gente.
 






Il pendolo stava battendo le otto e trenta quando Sherlock Holmes aprì gli occhi. Aveva un gran mal di testa e più tentava di ricordare quale assurdo sogno avesse fatto, più il dolore aumentava d’intensità. Il vago senso di nausea che lo colse appena dopo essersi guardato attorno con aria smarrita, divenne ben presto molto più che consistente. Fortuna che non aveva niente nello stomaco, altrimenti l’avrebbe rovesciato sul tappeto. A esser strano non era però il malessere che lo aveva colto, quanto il fatto che sentisse un gran freddo. Se ne rese conto nel momento in cui tentò di ricordare cosa gli fosse successo, seppur inutilmente. Eppure doveva esser accaduto qualcosa, perché il gelo che sentiva e che interessava tutto il corpo era inspiegabile, specialmente se si considerava che stava a meno di un metro dal caminetto accesso. Avrebbe dovuto sentire caldo e avere le guance arrossate per la vicinanza con il fuoco, ma non era così. Se ci fosse stato John avrebbe senz… «John!» esclamò, balzando in piedi con uno scatto fulmineo. Soltanto allora ogni cosa gli tornò in mente: Musgrave, la villa di Mycroft, il cimitero, i tre spiriti. Ciò che aveva vissuto, dal volare sopra i tetti al camminare per le strade aggrappato al pollice di un gigante, non era stata una fantasia, era accaduto per davvero. E sì, John provava dei sentimenti per lui e non si trattava di amicizia, ma c’era dell’altro. Aveva usato la parola “innamorato” e Sherlock non aveva la minima idea di che cosa fare adesso. Senz’altro era meglio calmarsi e ragionare perché ripeterselo non serviva a molto. Aveva i pensieri fin troppo svagati e una forte sensazione d’irrealtà addosso; era successo veramente? Oppure stava ancora sognando? Imperterriti gli occhi non facevano che cadere sulle sue mani, esaminate ora con scrupolosa attenzione. Le scrutava nemmeno si fosse trattato di un indizio importante per catturare un colpevole. Le sentiva gelide ed erano arrossate per il freddo, anche i capelli erano umidi e sia la vestaglia che i pantaloni dovevano essersi bagnati. Non poteva essersi raffreddato in quel modo stando seduto in poltrona, se ne rese conto mentre ancora le fissava e intanto che lo faceva si domandava come fosse possibile che si trovasse lì sano e salvo. Che il triste destino che gli era stato predetto fosse stato cancellato per sempre? Se era così gli spiriti dovevano avergli concesso una seconda possibilità, il che significava che John non si sarebbe suicidato.
«Devo andare da lui.» Si sentiva deciso come non mai ed era tanto emozionato, che non riusciva a star fermo. Marciava a passo svelto per il soggiorno, facendo avanti e indietro in cerca di una soluzione, le dita gli si agitavano frenetiche e tamburellavano sulle cosce come se fossero state impegnate nell’esecuzione di una sinfonia. I denti mordevano incessantemente le labbra e intanto pensieri illogici saltellavano per la mente eccitata, mezze parole e fiumi di discorsi si mescolavano gli uni agli altri. Il solo denominatore a tutto quel caos era John Watson. Doveva raccontargli tutto, dirgli del fantasma di Mary e della tomba bianca, di come la sua ostinazione a rimanere solo aveva rischiato di farlo uccidere. Ma se l’avesse presa male? Forse non doveva farlo, oh Dio non lo sapeva! Magari era meglio omettere quella parte, in fondo chi sperava di convincere? Nessuno avrebbe creduto a una storia del genere e John avrebbe pensato che lo stesse prendendo in giro e si sarebbe arrabbiato ancora di più. Al tempo stesso, però, si domandava come poteva sperare d’iniziare una relazione se gli mentiva fin da subito. O come avrebbe pensato di poterlo convincere di un cambiamento tanto radicale, avvenuto senza alcun fatto eclatante. Neanche a questo John avrebbe creduto. Ah, era tutto così complicato. Qualsiasi cosa decidesse di fare, sarebbe stato comunque a rischio di sbagliare. Nell’indecisione preferì non rimuginarci troppo, ora doveva soltanto raggiungerlo e doveva farlo il prima possibile. Senza perdere altro tempo, Sherlock corse quindi in direzione del corridoio. Stava già per sparire oltre la porta quando, inaspettatamente, fermò il proprio passo. Aveva smesso di nevicare, osservò volgendo lo sguardo al cielo che s’intravvedeva sopra Baker Street, tuttavia dubitava di riuscire a prenotare un taxi. Anche se ne avesse trovato uno, tra le strade sporche e il traffico del centro, chissà quanto tempo avrebbe impiegato ad arrivare e lui doveva fare il più presto possibile. Quindi no, non aveva altra scelta. Doveva agire e doveva farlo subito e la soluzione era una e una soltanto, tutto ciò in cui si ritrovò a sperare mentre si avviava verso la camera da letto, fu di sperare che gli andasse bene.
 

Non era mai stato veloce a spogliarsi, al contrario, Sherlock Holmes era un uomo preciso e metodico in ogni cosa riguardasse la propria persona. Stando a John era perché era un vanesio senza speranza e teneva al proprio aspetto, oltre che agli abiti che indossava, in maniera a dir poco esagerata. Affermazione che si avvicinava pericolosamente alla verità, anche se non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce. Eppure quella sera si tolse ogni abito e li gettò a terra senza badare al rischio di sgualcirli o rovinarli. Vestaglia, camicia e pantaloni videro dunque il pavimento e da lì non parevano essere pronti a venir raccolti e una manciata di minuti più tardi era già vestito di tutto punto. Aveva scelto il completo migliore che possedeva, grazie al quale avrebbe certamente fatto una gran figura. Ciononostante una parte di lui gli suggeriva che indossare anche la giacca, che ora gli penzolava tra le dita, sarebbe stato un errore. Se voleva dimostrare d’essere cambiato e d’averlo fatto per davvero, se voleva che si rendesse conto che quella che aveva davanti era una persona convinta di quanto stava dicendo, allora gli sarebbe servito un gesto eclatante. Qualcosa che l’Holmes di sempre non avrebbe mai fatto e che usciva completamente dal personaggio che si era costruito. Un gesto folle, un qualcosa che sapeva perfettamente dove andare a trovare. Lì e in quei frangenti, assieme alla consapevolezza giunse anche il sorriso, il primo onesto dopo tanto tempo. Era ampio e trasbordante di felicità, in tutto e per tutto simile a quello visto sul viso dello Sherlock bambino. Emozionato, lasciò quindi cadere la giacca che si depositò con leggerezza sul pavimento, dopodiché volò al piano di sopra. Sì, sarebbe sembrato ridicolo conciato in quel modo e non era nemmeno sicuro che gli entrasse, ma doveva farlo. Per John.


L’auto che Mrs Hudson possedeva, e che (a sua detta) usava soltanto nei casi d’emergenza, era posteggiata in un garage nella vicina Bickenhall Street. Tecnicamente nessuno avrebbe dovuto saperlo, ma dato che non c’era granello di polvere che potesse sfuggirgli, era piuttosto sicuro persino di dove avesse nascosto le chiavi. A Mrs Hudson non sarebbe affatto piaciuto e alla prima occasione ne avrebbe approfittato per sgridarlo, adesso però non poteva preoccuparsi anche di questo. Si sarebbe fatto perdonare e comunque, quella era o non era un’emergenza? Lo era eccome, si convinse mentre recuperava il mazzo giusto e lo faceva sparire in una delle tasche del cappotto. Cinque minuti più tardi era fuori di casa vestito di tutto punto: sciarpa e cappotto allacciati per bene, un paio di guanti a scaldargli le mani e, nel passo, una fretta indiavolata. Corse e lo fece al meglio che poteva. Lo fece persino dopo che fu salito su quella meravigliosa macchina sportiva. Corse e lo fece svicolando tra le strade di Londra, con una mappa mentale in testa che lo aiutava a scegliere le vie meno trafficate. Corse davvero, rischiando quasi di uscire di strada e sperando che il tempo non passasse troppo alla svelta.
«Sono già le nove meno cinque» mormorò, accelerando il passo. Aveva appena parcheggiato l’auto e si stava incamminando verso il portone d’ingresso camminando ad ampie falcate, quando le parole di Lestrade gli erano tornate in mente. Mycroft avrebbe aspettato non oltre le nove per mettersi a tavola e Sherlock non voleva assolutamente che John si sedesse per cenare senza di lui. In effetti si trattava di un pensiero stupido e decisamente sciocco, ma in quel momento non sentiva un granché razionale. Aveva il sentore che quella cena fosse il confine oltre il quale non era più possibile tornare indietro. Scioccamente credeva che, se fosse arrivato per il dessert, John non lo sarebbe stato a sentire. Non era vero, ovviamente, ma ormai tutta la sua sicurezza stava venendo meno. L’eccitazione era scomparsa, al suo posto era rimasto un qualcosa di più difficile da gestire e che insinuava nella sua mente dubbi fastidiosi. Cercò di convincersi di non avere niente da temere e intanto si sforzava di ricordare le parole di quella confessione, quasi avesse il potere di fargli muovere passi in avanti.
“Sono innamorato pazzo di lui.” Aveva detto così? Gli sembrava che avesse usato termini del genere, ma non era più certo di nulla. No, non doveva tremare e nemmeno avere tanta paura. Perché lo stomaco gli si torceva e il cuore batteva così forte? Era il timore di esporsi a farlo reagire in quel modo oppure era l’aspettativa? La risposta non la trovò mai e non che non volesse chiarirsi con se stesso, ma sentiva di non averne la forza. Era come trovarsi dentro a una bolla di sapone che gli faceva percepire ogni cosa in modo ovattato, guardava la casa e sentiva il vociare delle persone all’interno, però in modo distante e lontano. Fu il tintinnio delle chiavi che teneva saldamente strette in una mano a risvegliarlo, e a fargli capire che non era arrivato fino a quel punto rischiando di fare un incidente, per poi andarsene con la coda tra le gambe e soltanto perché aveva paura. Era venuto per John e per il loro futuro insieme, non poteva scappare proprio adesso. Quindi, e con ancora le dita che non la smettevano di torcersi a vicenda, Sherlock aprì la porta. Non si precipitò all’interno come si era immaginato di fare, al contrario procedette con lentezza. Nelle orecchie, soltanto il battito del proprio cuore, così rumoroso da sovrastare tutto quanto il resto. Assordante, al punto che si stupì che nessuno si fosse ancora accorto della sua presenza. Eppure stava già sulla soglia di un salotto finemente decorato per il Natale, con sciarpa e cappotto ancora addosso, le guance arrossate per il freddo e la bocca aperta, a voler esprimere un concetto che però stentava a uscire. Nessuno si accorse della sua presenza, soltanto John. Fu lui il primo a chiamarlo, lo fece a mezza voce e con fare incredulo, quasi in un sussurro ma sufficiente a far voltare tutti quanti verso la porta. Di nuovo tentò di parlare, ma il fiato era mozzato e il respiro mancava. I suoi occhi, scuriti ora dalle luci rade del soggiorno, sembravano non volerla proprio smettere di restar fissi in quelli di John Watson. Sorridere fu naturale tanto quanto il rendersi conto di amarlo pazzamente.
 

Se avesse avuto la fortuna d’essere più lucido, Sherlock avrebbe senz’altro notato che il chiacchierare si era quietato. Nessuno si azzardava ad aprir bocca, al contrario si erano tutti come immobilizzati e tutto quel che facevano era rimpallare lo sguardo tra lui e John, quasi aspettassero che succedesse qualcosa di eclatante. Per esempio, poco lontano dal mobile bar c’era Mrs Hudson, aveva in mano un bicchierino di sherry e intanto sorrideva e lo faceva con quell’aria consapevole di chi aveva capito già tutto quanto o non avesse aspettato altro che quel momento. Alla sua destra, Mycroft e Lestrade stavano uno a fianco dell’altro. La loro vicinanza a sottolineare l’intimità di una relazione ormai consolidata e un’espressione di stupore in volto. E poi ancora Molly che ballava con tizio bassetto dai capelli rossi, e Mike Stamford, e Dimmock e anche tanta altra gente che al momento era ben poco importante. Insomma erano tutti quanti lì, a guardare uno Sherlock Holmes che invece non badava ad altri che al suo John. Sentiva soltanto lui, vedeva soltanto lui. Percepiva il suo respirare accelerato, tentando al contempo di dedurre malamente i suoi pensieri. La sorpresa aveva lasciato spazio a un sorriso aperto e meraviglioso. John che non gli toglieva gli occhi di dosso e che sembrava aver già capito tutto. Ogni traccia d’infelicità sparita, soltanto una gioia incontenibile e un desiderio d’abbracciarlo, trattenuto a stento da mani strette a pugno.
«Mi dispiace.» Qualcuno aveva riso, Sherlock scommise che fossero quelli di Scotland Yard, al solito i più scemi del villaggio. Non diede troppo peso a quel divertimento, al contrario preferì proseguire per la propria strada. Aveva una confessione imbarazzante da fare e, della gente, non gliene importava proprio niente.
«Sono stato uno stronzo, un grandissimo e gigantesco stronzo e io non so come tu faccia a voler stare con uno come me.» Era stato allora che lo aveva raggiunto, nonostante le gambe gli tremassero e le ginocchia sembravano venire meno da un attimo all’altro. Lo guardava perché voleva farlo, tuttavia di tanto in tanto gli occhi sfuggivano e si dirigevano su altro. Il tappeto non era poi così interessante, ma Sherlock si ritrovava troppo spesso a fissarlo. Avrebbe voluto parlargli e avvicinarsi ancora, ma lo temeva. Aveva paura di scoprire quella che sarebbe stata la reazione di un John che invece continuava a boccheggiare, incredulo. Sarebbe stato il momento migliore per provare a usare il suo talento speciale per le deduzioni, ma in lui non riuscì a vedere altro che sorpresa. Sherlock era troppo ottenebrato da se stesso, accecato dal proprio bisogno intossicante di sapere che era vivo e che stava bene. Doveva toccarlo, voleva stringerlo a sé e chiedergli se tutto quello era reale. Aveva una necessità vibrante di saperlo, d’essere sicuro che non fosse tutto quanto un sogno. Quella sua disperata richiesta si tramutò infatti in un’implorazione accorata, detta quasi gridando e inginocchiato a terra. Il volto rivolto verso l’alto, a un John che non capiva. Le mani guantate erano ora giunte come in una preghiera.
«Dimmi che non è troppo tardi e, ti prego, dimmi che è tutto vero. Che tu sei qui e che io sono qui.» Glielo aveva letteralmente urlato e poi aveva stretto le sue gambe come in una morsa, tanto da far traballare l’equilibrio di John. Era uno strano abbraccio, insolito e anche intimo, molto più imbarazzante di quanto si sarebbe aspettato. Una parte di sé gli disse che avrebbe dovuto preoccuparsi della figura che stava facendo, ma Sherlock invece se ne fregava. Non gliene importava nulla del decoro o dell’orgoglio, perché John era lì e stava bene e soltanto questo contava.
 

Fu la voce di Mycroft a risvegliarlo. Soltanto allora sciolse la stretta per poi ricadere sul tappeto dal quale non si mosse più. Lo sguardo si perse tra le fiamme del camino acceso e scoppiettante, cercava in loro risposte che, sapeva, non sarebbero mai arrivate. Era vero che John lo amava? E se sì, lo avrebbe accettato anche con tutte le sue stranezze e il carattere impossibile? Non uno di quei ciocchi di legno pareva saperlo e un poco ne fu deluso, aveva creduto che tra loro potesse nascondersi una sorta di spirito del fuoco che tutto sapeva e al quale avrebbe potuto domandare se stava o meno facendo giusto. Non successe assolutamente niente, ovviamente il legno era soltanto legno. Attorno a lui, però, qualcosa stava accadendo. Suo fratello aveva invitato tutti quanti a uscire e nessuno aveva obiettato, uno dopo l’altro gli invitati erano quindi spariti oltre la porta e soltanto dopo che anche l’ultimo se ne fu andato, Sherlock ebbe il coraggio di sollevare il viso. John, ancora incredulo, aspettava soltanto che parlasse. Era il momento, dunque, pensò prendendo un gran respiro. Il loro rapporto sarebbe cambiato e non era detto che sarebbe finita bene, ma ormai aveva accettato quel rischio ed era troppo tardi per tornare indietro.


«Scusami per tutto questo.» Esordì con queste esatte parole, rivolgendosi a lui in modo chiaro e senza tentennamenti. La verità a tutti i costi, anche a quello di essere deriso. Determinato nel fare una buona impressione, si tirò quindi in piedi e alzò il mento, doveva guadarlo negli occhi o non sarebbe servito a niente.
«Non avrei dovuto saltarti addosso così, ma avevo bisogno di sapere che eri vivo perché stasera mi è successa una cosa che mi ha spaventato. E anche se so che stenterai a crederci, ho promesso a me stesso che da oggi in avanti nessuna bugia ci sarà fra di noi.»
«Neppure io voglio bugie o fraintendimenti, Dio sa se non ce ne sono stati già abbastanza fra me e te» aveva detto John e dopo che gli aveva parlato, lo aveva preso per mano invitandolo a sedere su un divanetto. Questo era piuttosto piccolo, a stento conteneva due persone. Faceva certamente parte di quell’arredamento di pregio che Mycroft tanto amava e che Sherlock invece faticava a trovare di una qualche utilità. In quel momento però, quella stretta dormeuse gli fece il medesimo effetto di un’oasi in un deserto. Sedersi fu d’aiuto a placare un cuore che seguitava a martellargli dentro al petto. Sentiva la testa leggera e tanto che avrebbe potuto essere benissimo staccata dal corpo. La voce faticava a uscire e temeva che avrebbe fatto scena muta, ma per fortuna John arrivò in suo soccorso.
«Sono felice che tu sia venuto, ero sicuro che avresti fatto uno dei tuo miracoli. Anche se Lestrade continuava a dirmi che facevo male a sperare. Io però avevo bisogno di crederci, anche se potrà sembrarti stupido non ho mai smesso d’esserne convinto. Lo sapevo o, meglio, speravo che tu volessi stare con me stanotte. Ti ho anche pregato.»
«E io ti ho sentito» annuì Sherlock, sorridendo appena. Avevano già fatto un discorso simile, dopo che era tornato a Londra a seguito di quei terribili due anni di lontananza. John gli aveva confessato d’averlo pregato di tornare. Questa non era una situazione poi tanto diversa.
«Comunque non credo di meritarmelo perché come al solito ti ho trattato male, avrei dovuto rispettare la tua decisione di non venire oppure rimanere a casa con te, ma ero così deluso dal fatto che tu non volessi trascorre la viglia di Natale con me e Rosie che ho perso la testa.»
«Hai fatto bene invece» lo interruppe, con decisione «sono stato uno stronzo e meritavo che tu me lo dicessi. John, tra noi due le cose devono cambiare perché comportandomi come ho fatto finora sto facendo del male a te come a me stesso. L’ho capito soltanto questa sera e dopo un’avventura che definirla assurda sarebbe un eufemismo.»
«Che cosa ti è successo?» gli domandò e soltanto a quel punto, col fiato ancora corto e il cuore in gola, Sherlock prese a raccontare.
 

Spiegarlo non fu facile perché per la prima volta in vita sua non era pienamente sicuro di ciò che stava dicendo. Sherlock era quel tipo di persona che tenta sempre di convincere gli altri d’avere ragione. Quella volta, però, dubitava dei suoi stessi sensi e tanto che per tutto il tempo aveva tenuto lo sguardo puntato a terra. Non aveva avuto il fegato d’incrociare il proprio riflesso, che scorgeva appena da quel piatto d’argento posato sul tavolino da tè, il quale si trovava esattamente accanto al sofà. Neppure era riuscito a incatenare gli occhi di John ai propri, nonostante gli iniziali propositi anche in questo aveva fallito. Quindi non aveva idea di come il suo racconto fosse stato recepito, quel che sapeva per certo era che John era rimasto fermo davanti a lui e altrettanto sicuramente le loro mani erano ancora intrecciate. Un gesto che di rado si erano concessi e che stavano vivendo come la cosa più naturale del mondo, tra loro non c’era alcuna traccia d’imbarazzo. Nemmeno dopo che fu il silenzio ad avvolgerli.
«E quindi lo sai.» Lo aveva detto parlando quasi sottovoce, come se si fosse trattato più di un pensiero sfuggito al controllo, che di un’affermazione vera e propria. In effetti sembrava averlo convinto, insomma gli aveva creduto. Ciononostante ancora non lo guardava direttamente negli occhi, segno che un qualcosa lo turbava. Forse stava faticando a concepire fantasmi e spiriti o magari non gli andava giù il non aver potuto parlare con Mary, Sherlock non poteva dire di saperlo. Tutto ciò che sapeva era che non aveva fatto domande. La precisione con cui gli era stata descritta la conversazione avvenuta con Lestrade non aveva lasciato in lui alcun dubbio.
«Non avresti dovuto saperlo in questo modo, avrei voluto dirtelo guardandoti negli occhi. Ma un po’ me lo aspettavo, cioè, non credevo sarebbe successo così. Io pensavo che lo avessi capito da solo. Che lo avessi dedotto da come mi comportavo quando ero con te, perché su questo mi son sempre sentito un cretino. Un illuso che sperava di nasconderti qualcosa.»
«Ma io non lo avevo capito. John, credermi» gli disse e soltanto a quel punto i loro occhi si incrociarono. Sherlock percepì distintamente il proprio cuore fare una capriola e lo stomaco torcersi d’emozione. Non poteva credere che stesse succedendo davvero.
«Non ti sto mentendo, perché se soltanto l’avessi intuito prima… invece mi ero convinto che da un momento all’altro saresti tornato a casa con qualche ragazza. Già mi vedevo farti da testimone per la seconda volta e a dover amare un’altra delle tue mogli, quando in realtà desideravo ben altro. L’avrei sopportato, sì, lo avrei fatto e questo perché m’importa solo che tu sia felice. Però non nego che sarebbe stata dura dover sopportare di nuovo l’idea che tu avessi scelto un’altra persona invece di me.»
«Sherlock, non m’interessano le altre. Mi interessavano un tempo, ma ora è diverso e non perché Mary non c’è più e devo pensare a Rosie, lo è per te. È per te che è diverso. E lo so che è spaventoso e so anche che stiamo rischiando di rovinare la nostra amicizia, che è la cosa a cui tengo di più, ma hai ragione: stiamo soffrendo entrambi ed è ora di dirti la verità. E la verità è che mi sono innamorato di te come un cretino» enunciò, stirando un sorriso dolce. «E se tu lo vuoi…»
«Ma certo che lo voglio» rispose Sherlock con foga. Aveva lasciato la presa sulle sue mani e si era levato di forza i guanti, che ora giacevano a terra. Con quelle stesse, ora, gli circondava il volto arrossato. Voleva baciarlo, ma oltre a non esser sicuro di saperlo fare per bene, sentiva che era ancora il momento giusto.
«Ti voglio da sempre, tu non sai quanto ti voglio. Non lo sai. Per troppo tempo ho provato a soffocare quello che provavo, ho cercato di cancellarlo e di convincermi di essere una macchina senza sentimenti. Non ha funzionato, non ci sono riuscito. Tu eri più forte di tutto il resto e lo sarai sempre.»


Su di loro, il silenzio scese di nuovo. E di nuovo tutto ciò a cui furono capaci di lasciarsi andare fu un sorriso. Timido e impacciato su volti arrossati per l’imbarazzo. Sherlock voleva così tanto baciarlo, che l’eccitazione gl’ingarbugliava i pensieri. Era felice perché John gli aveva creduto, ma al tempo stesso era completamente perso. Imbambolato a fissarlo senza sapere cosa dovesse fare adesso. Come avrebbe dovuto comportarsi? Erano una coppia? Non lo erano? C’erano tante cose che non sapeva o delle quali non era sicuro.
«Ti potrò sembrare egoista, ma voglio sentirmelo dire.»
«Lo so» espirò, soffiando fuori tutta la pesantezza che provava e che gli gravava pericolosamente sul cuore. «Ma prima sappi che stare con me non sarà facile.»
«Ah, già perché hai forse un pessimo carattere?» lo interruppe. «Mangi e dormi a orari impossibili? Quando non lavori sei una calamità naturale? Sei lunatico, odioso, stronzo e saccente? Sei un petulante “so tutto io” che vuole sempre avere ragione? Sei Mr ultima parola? Oh, mio Dio sono sconvolto!» proseguì, ridacchiando appena. «Sherlock, conosco già i tuoi difetti e se fossi diverso da come sei probabilmente non mi sarei mai innamorato di te. È facile, è molto facile, Sherlock. Molto più di quel che credi. Lo so come sei fatto e so anche che litigheremo, so che sarà impossibile certe volte riuscire a ragionare, ma Cristo! Ti rendi conto che io mi diverto anche a litigarci con te? Che mi piace persino quando mi fai incazzare, perché mi fai andare fuori di testa come nessuno è mai riuscito a fare. E ho impiegato troppo tempo per capirlo e accettarlo, ma adesso che ne sono sicuro non voglio più negarlo o tornare indietro.»
«Io non riesco a credere che tu sia innamorato di me» osservò invece lui, lasciando trasparire un velo di amarezza. Ne era sempre stato convinto, nessuno lo avrebbe mai amato in quel modo perché non pensava d’aver niente da offrire. Ed era sicuro che la gente riuscisse a percepirlo stando assieme a lui. Eppure eccolo lì, con l’uomo che aveva appena giurato d’amarlo e che dopo anni non aveva smesso di sorprenderlo. «Ma sappi, John Watson, che sei un illuso se pensi di amarmi più di quanto io amo te. Un illuso, sai? Tu non lo sai quanto, non lo sai e ti giuro che passerò la vita a cercare di dimostratelo perché tu sei l’unica cosa di cui mi sia mai importato e se adesso mi dici che è me che vuoi, allora sarà me che avrai. Incondizionatamente e per tutto il tempo che vorrai.»
 

C’erano così tante altre cose che avrebbe voluto dirgli, ma invero non fece proprio in tempo ad aggiungere altro che John lo artigliò per le braccia e lo strinse a sé. Poco più tardi, già lo stava baciando. Ed era un bacio lieve e a fior di labbra, ma che per Sherlock valse più di qualsiasi altra cosa avesse mai fatto prima. Un bacio che divenne profondo e appassionato, pur restando dolce. Un bacio che fu lento e poi veloce, che fu erotico e delicato. E intanto c’era lui, lievemente piegato all’indietro, con John che già un po’ gli era salito sopra. Lui che ci provava a dirgli che non aveva nessuna esperienza in queste cose e che era pessimo a baciare, ma che non riusciva a finire una frase. John non sembrava essere disposto a dargli retta e neppure a considerare la possibilità che fosse incapace nelle arti amatorie. Anzi continuava a lambire le sue labbra e nemmeno smetteva stringerlo o di accarezzarlo. Non la smetteva di far andare le mani su e giù lungo la schiena. Oh, che cosa non erano quelle dita, piccole ma esperte e se solo non fosse stato tanto impacciato dai vestiti chissà cos’altro sarebbe potuto accadere.
«Togliti questo coso» gli ordinò, quasi gli avesse letto nel pensiero. Stava per farsi aiutare a slacciare il cappotto (non che ne avesse bisogno, ma si stava rendendo conto di quanto fosse eccitate il permettergli di svestirlo) che se ne ricordò. Aveva indossato il suo maglione natalizio, quello Sherlock aveva sempre ritenuto orribile. Se l’era messo per fare impressione, ma ancora non gliel’aveva mostrato.
«Aspetta» gli disse, scostandosi appena e levandosi in piedi. John parve contrariato, ma subito si mostrò interessato «c’è una cosa che ti devo far vedere.»E poco più tardi, a inondare il salotto della villa di Mycroft non c’era più il silenzio, né sussurri appena udibili. Al contrario, una sonora risata invadeva il soggiorno. Sherlock era arrossito vibratamente e si sentiva un po’ scemo, in effetti sapeva di essere ridicolo vestito in quel modo. Oltre a essere di dubbio gusto, infatti, le maniche erano troppo corte, il collo troppo stretto e la vita era decisamente molto alta.
«Lo so, sembro un idiota» mormorò, affondando il naso nel collo di un John che era subito corso ad abbracciarlo. «E sono anche brutto.»
«Stai davvero male, piccolo, ma se volevi fare colpo sappi che ci sei riuscito.»
«Era per dimostrati che ero cambiato davvero» ammise, perdendosi nel profumo che John aveva e che gli pareva ancora più intenso lì sul collo. «Se posso indossare questo orrore, posso fare qualsiasi cosa, giusto?»
«Giusto, meravigliosa creatura e io ti amo da morire. Però promettimi che non cambierai mai da come sei. Voglio soltanto che tu mi faccia capire che cosa ti passa per la testa, se sei felice o preoccupato e che se avremo problemi ne parleremo. Giurami soltanto questo e basta.» E dopo che gli ebbe risposto, giurando che lo avrebbe fatto, si baciarono di nuovo. E poi lo fecero ancora, e ancora, e ancora. Fino a crollare sul pavimento. Fino a doversi scostare, nell’attimo stesso in cui si resero conto di non esser soli. Perché per lasciarsi andare avrebbero dovuto aspettare e un po’ gli dispiacque, ma in compenso, ciò che aspettava entrambi al di là della porta valeva l’attesa. Sherlock se ne disse sicuro mentre decideva d’intrecciare le dita con le sue e mostrarsi al mondo come una vera coppia. Un ultimo bacio a ricordargli che era tutto quanto vero e un sorriso incredibile sul volto di John.
 

Ciò che nessuno di loro due sapeva era che, nel corridoio, un gruppetto di persone se ne stava assiepata davanti alla porta. Appiccicati uno all’altro, tentavano di capire che cosa stesse succedendo là dentro e come mai Sherlock fosse arrivato così di corsa. Mrs Hudson doveva aver spifferato tutte le sue convinzioni a chiunque glielo domandasse (e non soltanto), perché ora persino Mrs Stamford si era convinta che stessero facendo l’amore o quasi. Eppure, ancora c’era chi tentava di spiare all’interno. Come Lestrade, per esempio, che se ne stava accucciato davanti alla toppa con l’occhio puntato sulle minuscole figure di Sherlock e John. Un Greg Lestrade che malediva quell’idiota del suo compagno, perché non aveva un sistema di videocamere nel soggiorno.
«Assurdo, Mycroft» gli aveva urlato, pur sussurrando. «È assurdo. Spii tutto e tutti e non hai spie in casa tua. È ridicolo» bofonchiò, tentando di scorgere il labiale di Sherlock, anche se inutilmente. In effetti, no, non sapevano nulla di tutto questo e nemmeno del fatto che la piccola Rosie avrebbe bussato alla porta qualche minuto più tardi, chiedendo al padre di alzare la voce perché: «Papi, lo zio Mycroft non ha capito quello che hai detto a papilock.» E nemmeno sapeva che quella notte sarebbero rimasti lì a dormire, perché il suddetto zio Mycroft aveva fatto preparare delle camere tutte per loro, in una delle quali c’erano tanti giochi e un lettino lilla per la piccola Rosie. A dire il vero, Sherlock e John neppure sapevano che la cena l’aveva preparata Lestrade in persona, nonostante il ritardo, e che era stato aiutato da Mycroft (il quale sapeva tutto di cucina, ma che era pessimo a mettere in pratica la teoria). No, non sapevano dei loro genitori, che sarebbero venuti a pranzo per il giorno di Natale e neanche del fatto che l’intera famiglia Holmes sarebbe andata a Sherrinford a trovare Eurus. Non sapevano che Mycroft aveva chiesto a Lestrade di sposarlo e ignoravano che lui e John avrebbero fatto l’amore per la prima volta proprio nella camera da letto che stava al piano di sopra. Non sapevano dell’abbraccio tra fratelli o che lui e John sarebbero stati svegliati da una Rosie allegra e saltellante, pronta a scartare i regali. Non sapevano dell’imbarazzo nel farsi beccare nudi, delle battutine di Lestrade, delle congratulazioni di Mrs Hudson e neanche della rabbia di Mrs Hudson, dopo che aveva notato un piccolo segno sulla sua macchina. E non sapevano che sarebbero rimasti insieme fino alla fine dei loro giorni. Salvo gli spiriti. Oh, gli spiriti sapevano ogni cosa. Ed erano gli stessi che avevano scarrozzato Sherlock Holmes tra Natali passati e futuri e che ora osservavano il frutto del loro lavoro finalmente ripagato. Beh, loro erano più che certi che sarebbe andata così.
 
 
 
 

Fine
 
 
 
 
Note: Per un caso fortuito sono riuscita a trovare una fanart (questa qui) in cui Sherlock indossa il maglione di John, mentre John ha un completo “alla Sherlock”. La mia idea è nata indipendentemente da questa fanart, che ho trovato soltanto in un secondo momento. Naturalmente non è mia, né l’ho fatta io.
 
Ringrazio chi ha seguito questa storia e in particolar modo chi l’ha recensita. Per quanto riguarda il futuro, al momento non ho nessun progetto in mente. Tante idee come sempre, ma è più la mia indole da “distributore di prompt” che voglia di scrivere. Non so dire quando mi rivedrete da queste parti, quindi auguro a tutti buone feste e un felice 2019.
Koa
   
 
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