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Autore: Itsamess    31/12/2018    3 recensioni
[Soulmates!Stucky][accenni Clintasha]
In un Universo Alternativo, al compimento dei diciassette anni, sui polsi ti compaiono due nomi. Sul polso destro il Segno di Eros, sul polso sinistro il Segno di Thanatos. Il primo è il nome della tua anima gemella, il secondo quello del tuo nemico mortale.
Quando riceve i propri Segni, Bucky Barnes ha appena mandato la propria domanda di applicazione all’esercito, esce con una ragazza nuova ogni venerdì sera e detesta indossare quelle stupide camicie da damerino con i polsini abbottonati, ma non può rischiare che qualcuno si accorga che il suo Segno di Eros è un nome maschile.
Steve Rogers pensava che la vita si fosse stancata di prenderlo a pugni, ma evidentemente quello che ha vissuto fino a questo momento era soltanto il primo round.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff, Steve Rogers
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Let's be soulmates'
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Eros & Thanatos & all of their friends
 
 
 
31 dicembre 2013
 
Steve Rogers si trovava nel futuro da poco, ma se c’era una cosa che aveva compreso del XXI secolo era che la gente amava chiedersi a vicenda che piani avesse per Capodanno.
 
Era una domanda che sentiva di continuo, ripetuta come un mantra negli ascensori e nei bar: sembrava che l’arrivo dell’anno nuovo gettasse tutti in una strana agitazione, come se si trattasse di un evento di chissà quale importanza e non di un martedì sera come tanti altri. Le persone si affrettavano a trovare feste, cene, crociere, spettacoli teatrali – qualsiasi cosa pur di poter dire che avevano trascorso quella in modo speciale.
 
Forse era per questo che così tanti avevano accettato l’invito al Gran Gala di Capodanno organizzato all’ultimo piano del quartier generale S.H.I.E.L.D: la sala - decorata con piccole lucine bianche e oro e fili di cristalli – era letteralmente gremita uomini e donne in abito da sera, in un tripudio semovente di colletti inamidati e strascichi di satin.
 
Lo sguardo di Steve passò in rassegna i pochi volti noti che si riuscivano ad intravedere nella folla: il primo a catturare la sua attenzione fu Fury, seduto in un angolo in fondo alla sala, solo ad un tavolo per  due. La fronte era increspata dalla sua solita aria torva, ma di tanto in tanto lo si poteva sorprendere a tenere il tempo con il piede. Davanti a lui, appena a qualche metro di distanza, c’era invece quella ragazza, Sharon. Stava chiaccherando con un gruppo di colleghe, ma non doveva prestare molta attenzione alla conversazione, perché continuava a lanciargli sguardi - discreti di per sé, ma troppo frequenti per essere casuali. E infine - accanto al pianoforte a coda - c’erano Tony e Pepper, che ballavano piano abbracciati, incuranti di tutto e tutti.
 
«Schifosamente adorabili, non è vero?» commentò appena dietro di lui Natasha. Nella sua voce, Steve colse una sfumatura di disprezzo – o, forse, perfino di invidia.
 
«Già. Sono proprio una bella coppia» rispose, senza voltarsi a guardarla. «Com’è che dite al giorno d’oggi? Si sono trovati»
 
Natasha arricciò le labbra in una smorfia infastidita.
«Ė facile trovarsi quando si ha un nome idiota come Pepper Potts. Quante ce ne saranno, in America?»
 
«In realtà il suo vero nome è Virginia. Pepper è soltanto un soprannome»
 
«Davvero?»
 
«Non sai quante cose si scoprono a chiacchierare con le persone» replicò Steve, sorridendo, e voltandosi finalmente verso di lei.
 
Natasha era se possibile ancora più bella di quanto gli era sembrata all’inizio della serata, avvolta in un abito di velluto rosso scuro lungo fino ai piedi. Le maniche del vestito si allungavano fino ai polsi. Non portava né anelli, né bracciali, quasi che la sua pelle lattea – quasi scintillante sotto le file di luci – fosse il vero gioiello da mettere in mostra. Per il resto, portava i capelli raccolti in uno chignon elegante e severo, da ballerina, e dei lunghi orecchini dorati che danzavano avanti e indietro ad ogni suo movimento.
 
«Per tua informazione, ho provato più di una volta ad intavolare una conversazione con Pepper» puntualizzó Natasha, facendo molta attenzione a sottolineare quel soprannome che lei doveva trovare ridicolo «Ma a quanto pare le vado a genio… Credo abbiamo il sospetto che fra me e Tony ci sia stata una storia, in passato»
 
«Ed è la verità?»
 
Natasha inclinò la testa e gli rivolse uno sguardo di improvviso interesse.
«Se lo fosse?» chiese in un sussurro «Sareste per caso geloso, Capitano Rogers?»
 
Steve si sentì avvampare e borbottò delle mezze scuse poco convincenti. La sua era stata solo curiosità, un mezzo tentativo di fare conversazione ad una festa in cui conosceva letteralmente cinque persone, eppure Nat sembrava averla interpretata come un'avance.
Possibile che-
 
Natasha scoppiò a ridere.
«Oh mio Dio, dovresti vedere la tua faccia in questo momento! Rilassati, era solo una battuta!»
 
«Certo, lo avevo capito» replicò a denti stretti Steve, quando in realtà non riusciva a capire.
Conosceva Nat da più di un anno e con lei aveva condiviso missioni, riunioni, pomeriggi di addestramento e serate al bar – esperienze che, unite l’una all’altra come disegni rilegati in un unico blocco per gli schizzi, gli facevano pensare che fossero qualcosa di più che colleghi, bensì amici. L’aveva vista flirtare per gioco, per noia, per scommessa e in qualche occasione anche per soldi. Sapeva che era abituata ad usare la propria sensualità come una risorsa, eppure ancora non riusciva ad abituarsi a vederla scherzare con tanta leggerezza su una sfera che lui considerava tanto privata.
 
«A proposito, ci sono novità?» buttò lì casualmente Nat, giocherellando con la flute di champagne «Sei uscito con qualcuna, di recente?»
 
«Troppo impegnato, lo sai» replicò Steve, a cui sembrava di aver dato la stessa risposta ogni volta che Natasha gli aveva posto quella domanda «Ho il mio lavoro, la palestra, i miei hobby…»
 
«Essere triste non è un hobby» lo interruppe lei, prima di aggiungere in un tono di voce un po’ meno aspro «Dovresti svagarti, ogni tanto… Incontrare persone nuove, farti una risata, farti una scopata, cose così»
 
Steve la fulminò con lo sguardo.
«Potresti… moderare il linguaggio? O quantomeno abbassare la voce?
» la rimproverò, prima di abbandonarsi ad un sorriso divertito. Scosse la testa. «Davvero, Nat, apprezzo il tentativo, ma sono a posto così»
 
«A posto così.» ripeté lei, inarcando un sopracciglio con aria scettica «Quindi vorresti farmi credere che non ti piacerebbe stare con qualcuno? Avere quello che hanno Tony e Pepper? Trovare la tua… anima gemella e altre stronzate da persone normali?»
 
Prima che lui potesse rispondere, l’attenzione di Natasha si spostò su qualcuno alle spalle di Steve e la donna fece  un cenno della mano perché li raggiungesse.
 
«Oh, alcol, sia ringraziato il cielo» mormorò - più a sé stessa che a Steve – nel veder arrivare un cameriere, che reggeva un vassoio ancora intatto di flute di champagne.
 
«Nat… ne hai già presi cinque bicchieri» le fece notare Steve sottovoce.
 
Lei sospirò. «Ma certo che li hai contati»
Allungo verso il cameriere entrambe le mani e prese altri due calici.
«Grazie»
 
Fu in quel momento che lo sguardo si Steve si soffermò sul polso di Natasha. Si trattò di un movimento velocissimo – la mano di lei che afferrava la flute, la manica di velluto che rivelava una lunga cicatrice biancastra, tutto intorno al suo polso.
 
Incurante del bicchiere che aveva in mano, Steve le afferrò il braccio. «Quando te la sei fatta?»
 
«Rilassati, Steve, non è un taglio autoinflitto»
 
Il volto di lui non si distese.
«Ah, come se questo potesse tranquillizzarmi.»
 
Natasha si divincoló dalla presa, anche se nei suoi occhi Steve intravide una scintilla di riconoscenza, come se in fondo fosse felice di vedere qualcuno preoccuparsi per lei.
«Risale ai tempi del mio addestramento.» spiegò in tono sbrigativo «E sì, ho una cicatrice uguale anche sull’altro polso, ma non pensare che ti dirò nient’altro. Non da sobria, almeno»
 
Natasha mantenne la promessa e per le successive due ore non toccò più l’argomento. Lei e Steve continuarono a chiacchierare del più e del meno – pirati, proiettili, primi appuntamenti da dimenticare – mentre la sala andava svuotandosi. Di tanto in tanto, le cicatrici avevano fatto capolino dagli orli del vestito, ma Natasha le aveva sempre nascoste con noncuranza. Steve sapeva che dovevano essere in qualche modo legate ai Segni di Eros e Thanatos, eppure non osava farle una domanda diretta.
Peccato che Natasha invece non si facesse nessun problema a riguardo.
 
«Avanti, dimmi che nome hai sul destro. È qualcuna che conosco?» stava infatti chiedendo «È l’agente 13?»
 
«No! Sharon è molto carina ma… no, non è lei»
 
«Ne sarà molto delusa. Non ti ha staccato gli occhi di dosso tutta la sera»
 
«Davvero? Non ci ho fatto caso» mentì Steve.
 
«Se non è lei, allora chi è?» chiese ancora una volta Natasha, che evidentemente stava cercando con tutte le proprie forze una distrazione alla noia della serata.
 
«Non mi sembra giusto che tu possa farmi una domanda del genere ma io non possa chiederti delle tue cicatrici»
 
A quelle parole, lo sguardo di Natasha si accese: c’era una sola cosa al mondo che amasse più delle trattative, ed era intromettersi nella vita privata di Steve Rogers.
«Mi stai proponendo uno scambio? Io ti dico la verità sui miei Segni e tu me la dici suoi tuoi?»
 
«Oppure restiamo entrambi in silenzio finché non ci viene in mente un altro argomento di conversazione» mormorò lui, ma Natasha non lo stava già più ascoltando.
 
Il suo sguardo era fisso su un punto indefinito della sala, come se stesse cercando di ricordare qualcosa che a lungo era rimasto in fondo al cassetto della sua memoria.
La sua voce era fredda e distante quando disse: «Non sono tagli, sono bruciature.»
 
«Non devi raccontarmelo per forza»
 
«Non fa niente. Sono cicatrici, ormai. Non fanno più male. Faceva parte del mio addestramento, dell’addestramento di tutte le Vedove Nere. La notte prima di compiere diciassette anni la passavi in una specie di cella, con gli occhi bendati, controllata a vista dalle Vedove più anziane. Non appena i Segni iniziavano a manifestarsi venivi legata e marchiata a fuoco sui polsi, in modo da coprire i Segni di Eros e Thanatos. Una procedura non esattamente piacevole, ma necessaria
»
 
«Necessaria?» chiese Steve senza capire
 
«Certo. Anzi, oserei dire che si tratta della cosa più utile che impara una Vedova Nera. Oltre al parcheggio parallelo e alla perfetta linea di eyeliner, ovvio»
 
«E quale sarebbe questa importante lezione di vita?»
 
La voce di Natasha tornò fredda «Che non ti puoi fidare di nessuno. Senza Segni non puoi sapere chi è il tuo nemico mortale, quindi tratti chiunque come se potenzialmente lo fosse. D’accordo, forse è per questo che ho dei seri problemi a fidarmi della gente, ma è merito di queste cicatrici se sono ancora viva.»
 
Steve annuì, mentre davanti agli occhi gli scorrevano i ricordi di tutte le missioni nelle quali Natasha aveva intuito il pericolo anche solo mezzo secondo prima di lui e lo aveva trascinato via dall'esplosione, via dal precipizio, via dalla traiettoria del proiettile. Ripensò al suo sguardo diffidente, ai suoi cellulari usa e getta, ai suoi alias. Forse davvero era merito della sua cicatrice sul segno di Thanatos se considerava tutto una minaccia e riusciva a sopravvivere. Forse davvero era stata una benedizione, quella di essere stata marchiata in un modo tanto brutale.
 
Ma c’era un altro lato della medaglia, un altro polso da considerare. Steve ricordò il modo in cui Natasha aveva guardato Tony e Pepper, con un’invidia e un desiderio che probabilmente non ammetteva neanche a se stessa. Ricordò la sua fissazione per la vita sentimentale degli altri. Ricordò gli abiti stretti e il rossetto rosso e il modo in cui Natasha flirtava spudoratamente con chiunque le capitasse a tiro, come il principe della fiaba che prova ad infilare una scarpetta di cristallo a tutte le ragazze che incontra.
Se non fosse stato un pensiero sciocco e romantico, Steve avrebbe pensato che anche Natasha, non potendo sapere chi fosse il suo Segno di Eros, lo cercasse sul polso di tutti.
 
«Sarà, però in questo modo non sai nemmeno chi sia la tua anima gemella.» le fece presente lui piano.
 
Natasha gli rivolse un sorriso triste.
«Ma lui lo sa. Se avesse voluto fare una mossa, l’avrebbe già fatta. Non che mi importi, comunque.»
Bevve un ultimo sorso dal suo bicchiere, gettando la testa all’indietro in un gesto che tradiva rabbia verso sé stessa. Guardò l’amico negli occhi e concluse dicendo: «Non abbiamo più diciassette anni, Steve. Se vuoi una cosa devi andare a prendertela.»
 
«Di cosa stavate parlando?» domandò in quel momento Clint,  arrivando loro alle spalle. Si era tirato a lucido: indossava un completo nero, un papillon e il suo solito sorriso sghembo.
 
«Di anime gemelle» rispose Natasha, incrociando le braccia sul petto come se si fosse offesa  «Steve non vuole dirmi il nome della sua.»
 
«Beh, è una questione molto privata.» concesse Clint. Sembrava essere improvvisamente arrossito, ma forse era soltanto un effetto del vino.
 
«E questa è una serata molto noiosa. Una ragazza deve pur divertirsi»
 
«Ci sono altri modi di divertirsi» commentò Clint, a disagio, ma le sue parole caddero nel vuoto.
 
Natasha infatti non lo so stava già più ascoltando: «Cos’ hai da nascondere, Steve? Sei tu il mio Eros? C’è il mio nome sul tuo polso destro?»
 
«O magari sei sul suo polso sinistro e sta aspettando di avvelenarti dall’inizio della cena.» intervenne Clint, togliendoli dall’impiccio «Quindi che ne dici di lasciare in pace il Capitano Rogers, smettere di bere questo champagne potenzialmente letale e concedermi un giro di valzer?»
 
Lei annuì distrattamente e i due si allontanarono  verso il pianoforte - Natasha a passi incerti, Clint con il braccio fermo sul fianco di lei per reggerla. Sarebbero stati una bella coppia, si ritrovò a pensare Steve. Li vide iniziare a ballare quasi svogliatamente e Steve mimó con le labbra un grazie in direzione di Clint, che fece solo un cenno con il capo.
 
---
 
La vista della città dalla terrazza era incantevole: un mosaico di neon colorati di lampioni e cartelloni pubblicitari nel buio della notte. Faceva freddo. Steve si strinse nelle spalle in un tentativo di ripararsi dal vento, mentre l’aria gelida gli schiariva la mente e riportava a galla vecchi ricordi di un'altra notte che aveva passato sveglio.
 Sembrava una vita fa – e per qualche verso lo era.

Tre luglio 1925, la notte prima del suo diciassettesimo compleanno.
Lui e Bucky erano seduti sui gradini di una casa a schiera. Il giorno dopo l’intera città si sarebbe vestita a festa per celebrare l’indipendenza, ma in quel momento regnava una quiete increspata solo di tanto in tanto dai garriti di qualche gabbiano, insonne quanto loro.
 
Bucky stava fumando una sigaretta che si era rollato da solo. Il labbro gli era completamente guarito nel giro di qualche settimana, ed ora restava solo una vaga cicatrice che a suo dire faceva tanto uomo vissuto. Lui e Steve se ne stavano lì a chiacchierare e guardare le stelle nella calda e umida notte di Brooklyn. Tutto ad un tratto, Bucky aveva tirato fuori dal borsone un muffin - è della mensa, quindi sarà una merda, ma non ho fatto in tempo a trovare niente di meglio - e una piccola candelina azzura. L'aveva accesa avvicinandola alla sigaretta che stava ancora fumando.
«Buon compleanno, Stevie.»
 
«Non avresti dovuto»
 
«Certo che avrei dovuto. Avanti, esprimi un desiderio.»
 
Steve aveva scrollato le spalle con modestia. «Non lo so- Non so cosa chiedere.»
 
«Beh, è l’ultima notte in cui hai diciassette anni. Domattina quando ti sveglierai avrai due bei nomi scritti sui polsi… Com’è che li chiamano?»
 
«Eros e Thanatos»
 
«E bravo nerd. Lo sapevo che il latino era il tuo forte»
 
«In realtà è greco antico.»
 
«Nerd» aveva ripetuto Bucky, scompigliandogli i capelli. «Quindi, Eros e Thanatos… Se fossi in te esprimerei come desiderio che il nome della tua anima gemella sia quello di Betty Miller. O almeno quello della cameriera che c’è sempre da Joe’s la domenica, sai quella con gli occhi azzurri. Come si chiama? Kristy, Kayleen…»
 
Ma Steve aveva pensato che avrebbe voluto il suo nome. Se lo poteva sentire nelle ossa. Bucky, era sempre stato Bucky.
 
«Kimberly. Si chiama Kimberly.» disse invece.
 
«Pensa a Kimberly, allora.»
 
Steve aveva annuito, ma dentro di sé aveva continuato ad urlare il nome di Bucky.
Aveva chiuso gli occhi. Aveva soffiato sulla candelina.
 
Il suo desiderio era stato esaudito, alla fine. Il nome di Bucky spiccava fiero sul suo braccio destro, scritto nella grafia sghemba dell’amico. James Buchanan Barnes, un nome tanto lungo da cingergli il polso come un bracciale di inchiostro.  
 
Steve si coprì nuovamente il Segno abbottonando con attenzione il polsino della camicia. Da qualche parte, al di là della porta-finestra che separava la sala dalla terrazza, Steve sentì la folla di invitati urlare tre due uno buon anno, strascicando inutilmente tutte le vocali presenti nella frase.
Un altro anno se ne era andato, grazie a Dio.

 
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Steve avrebbe voluto lasciare la festa il più in fretta possibile e senza avere altre conversazioni private con nessun altro, si trattasse di amici, nemici o semplici curiosi. Sfortunatamente, in fila per riprendere il cappotto al guardaroba incontrò Clint, e si sentì in dovere di ringraziarlo per aver distolto Natasha dal suo interrogatorio di poco prima.
 
«Figurati. Natasha sa essere piuttosto insistente, a volte. L’alcol le fa questo effetto, perfino quando si tratta  di uno champagne leggero come quello servito in questo posto.»
 
Steve abbozzò un sorriso.
«Non fa niente. So che non lo faceva con cattiveria.»
 
«Natasha non gioca neanche a freccette con cattiveria, ma se ti colpisce per sbaglio fa male lo stesso» rispose Clint, in tono comprensivo «Quindi ti chiedo scusa da parte sua. Questa storia dei Segni di Eros e Thanatos… fa sempre scattare qualcosa dentro di lei, e finisce per passare il segno. Ma anche se sbaglia nei modi, il suo consiglio non è così  sbagliato, dopotutto… a prescindere dal nome che hai sul polso, dovresti provarci»
 
«Nel mio caso non è così semplice»
 
«Non è mai semplice, Cristo, si tratta di anime gemelle! Quando io ho incontrato Nat mi trovavo a Budapest con il compito di ucciderla… Ci credi, pensavo di essere un Situs Inversus, sai, che i miei marchi di Eros e Thanatos-»
 
«Fossero scambiati di posto, lo so. Il destro per Thanatos e il sinistro per Eros. Ne ho sentito parlare, una volta»
 
«Era una delle mie prime missioni per lo S.H.I.E.L.D., quindi ero piuttosto nervoso. Credevo che quella misteriosa ragazza di nome Natalia Alianovna Romanova fosse la mia nemica mortale. E invece guardami adesso, a portarle champagne e a tentare di baciarla sotto al vischio. Se la vita non è strana…»
 
Steve inconsciamente si sfiorò il polso sinistro, quello dedicato al proprio segno di Thanatos.
 «Puoi dirlo.» mormorò a bassa voce.
 
«Quindi provaci, buttati… tanto, qual è la cosa peggiore che ti possa capitare? Che questa persona ti dica di no?
»
 
«Non può dirmi di no» mormorò Steve, tenendo lo sguardo basso «Non può dirmi più nulla perché è morto. Settant’anni fa.»
 
Clint, che fino a quel momento aveva mantenuto un’espressione distesa e rilassata, di colpo si acciglió. Era chiaro che non aveva considerato questa eventualità.
«Mi dispiace, io non- »
 
«Non potevi saperlo. Non è una cosa di cui parlo, di solito.» rispose in tono sbrigativo, infilandosi il cappotto con il sollievo di chi ha appena trovato un alibi. Scosse la testa e provò a mentire, a Clint e a sé stesso, dicendo: « E comunque è passato tanto tempo, ormai non ci penso quasi più.»
 
 
---

Notte di Capodanno, 1937.
 
Dopo la morte dei loro genitori, condividere un piccolo appartamento sulla settantaduesima era sembrata la scelta più ovvia dal punto di vista pratico, per risparmiare sull’affitto e la bolletta dell’acqua e altre storie che due persone si raccontano quando scelgono di compiere un passo simile. La verità era che a vent’anni Steve e Bucky in mano non avevano niente, se non la mano dell’altro.
 
Quel venerdì sera era la notte di Capodanno e se Bucky aveva scelto di trascorrerlo con l’ennesima ragazza carina che gli aveva sorriso per strada, Steve lo stava passando in casa, a disegnare. Bucky lo prendeva sempre un po’ in giro, per questo – come fai a preferire la compagnia di due pezzetti di legno a quella delle ragazze che ti procuro io? – e non serviva a niente ripetergli che quei pezzi di legno erano matite acquerellabili e che aveva dovuto impegnare un orologio per comprarle.
 
La mano correva veloce sul foglio, disegnando dai ricordi il volto di un ragazzo dalla mascella squadrata e gli occhi gentili – lo stesso ragazzo che, in quel momento, stava entrando in punta di piedi nell’appartamento.
 
«Sei ancora sveglio?» esclamò Bucky in tono sorpreso, notando la sua silhouette sul davanzale della finestra. Steve disegnava sempre lì, sfruttando la luce del lampione per non dover accendere quella di casa. «Credevo che avessi lezione presto in Accademia domani.»
 
«Non riuscivo a dormire» gli rispose Steve. Notò che l’amico aveva i capelli bagnati e in mano aveva un giornale tutto fradicio e spiegazzato. Naturale: da vero cavaliere, Bucky doveva averlo usato per riparare dalla pioggia la ragazza con cui era uscito, finendo però per bagnarsi lui stesso.
«Come è andato l’appuntamento?»
 
«Bene dai...»
 
«Siete andati al Rialto alla fine?» domandò Steve, chiudendo in fretta il blocco degli appunti «Com’era il film?»
 
Bucky scosse la testa.
«Steve… Apprezzo il tentativo, ma non dobbiamo parlarne per forza»
 
«Perché?»
 
«Perché mentre io ero fuori a divertirmi tu eri qui a disegnare nature morte e a guardar cadere la pioggia» rispose Bucky in tono stanco. Si avvicinò al frigorifero e si versò un bicchiere di latte.
 
«Detto così lo fai sembrare molto deprimente.»
 
«Perché è deprimente!» ribattè lui. Non sembrava arrabbiato, quanto più… deluso. Si strinse nelle spalle. «È solo che non capisco perché tu non sia voluto venire con noi. La cugina di Betty era in città proprio questa settimana, e lei dice che è molto simpatica…potevamo fare un’altra delle nostre uscite a quattro, l’altra volta ci eravamo divertiti.»
 
«L’altra volta eravamo stati a Coney Island, avevamo fatto un giro sulle montagne russe e io mi ero sentito male sulle scarpe della cugina di Betty. Sulle sue scarpe nuove» gli fece presente Steve, che evidentemente ricordava quella serata in modo un po’ diverso.
 
«D’accordo, forse non era stata la miglior uscita a quattro della storia» ammise Bucky «Ma gli imprevisti succedono, no?»
 
Steve non rispose nulla, e tornò a guardare fuori dalla finestra, dove una pioggerellina leggera continuava ad accarezzare una New York addormentata.
«Andiamo, sai anche tu che sarebbe stato un disastro se fossi venuto anche io. Non ci so fare con queste cose… Ma sono felice per te, dico davvero. Betty sembra molto carina.»
 
«È un vero schianto. Poi stasera indossava un vestito tanto stretto che non avevo neanche bisogno di usare la mia immaginazione. Dio benedica chi ha inventato le gonne a ruota!» concluse lui ridendo.
 
«Già… Siete andati in un bel posto?»
 
Bucky si strinse nelle spalle.
«In realtà siamo andati a casa sua»
 
«Oh, wow»
 
«Davvero. Non mi aspettavo che succedesse già al terzo appartamento, ma i genitori di Betty erano fuori città per chissà quale festa di Capodanno e allora…» spiegò «Non potevo dirle di no»
 
Steve non disse nulla, anche perché non trovava che ci fosse nulla da dire.
Bucky aveva tutto il diritto di uscire con chi voleva. Solo perché vivevano insieme non significava nulla, alla fine serviva a risparmiare sull’affitto e sulla bolletta. Erano soltanto due amici che condividevano l’appartamento.
Niente di più.
 
«Sono felice per te, Buck» ripetè Steve. Magari dicendolo un’altra ventina di volte sarebbe suonato più vero.
 
«Grazie, amico…» disse l’altro, avvicinandosi. La fioca luca proveniente dalla finestra creava delle strane ombre sul suo volto che sarebbero state bellissime da disegnare, pensò Steve «Ma in realtà non è andata esattamente come avrei voluto»
 
«Cosa intendi?»
 
«Siamo andati a casa sua. Io e Betty eravamo sul divano e... l’ho baciata»
 
«Oh.»
 
«Questa era la parte bella» puntualizzò Bucky.
 
«Ok.»
 
«Il problema è che… beh, le cose da quel momento ci sono un po’ sfuggite di mano e nella foga del momento mi devo essere sbottonato la camicia, non lo so… non so bene come sia successo, ma Betty mi ha visto il polso»
 
«Quale?»
 
«Ha importanza?» domandò stancamente Bucky, sfregandosi una mano sul volto «Lo sai che ho il tuo nome su entrambi i polsi, proprio come tu hai il mio su entrambi i tuoi. Comunque, avevo il 50% di possibilità di farla franca, e ovviamente mi è andata male. Ha visto il mio polso destro, quello di Eros. Non indossavo la fascetta, quindi ha letto il tuo nome.»
 
Steve trattenne il respiro.
«E tu cosa le hai detto?»
 
«Mi sono inventato che ero un Situs Inversus e che quello che aveva letto era il mio Thanatos. Ci ha creduto, o almeno spero.» aggiunse Bucky, prima di sprofondare con un gemito nella vecchia poltrona sfondata che avevano in soggiorno «Le ho detto che Steven Grant Rogers era un coglione che avevo incontrato al porto, un tipo tanto idiota che definirlo il mio nemico mortale era comunque un complimento per uno come lui.»
 
«Mi dispiace» mormorò Steve con un filo di voce, mentre il senso di colpa si faceva strada sul suo petto.
Non stava parlando solo di quella serata: ricordava fin troppo bene il giorno del diciassettesimo compleanno di Bucky, quando l’amico era venuto a prenderlo dopo scuola con un occhio nero e il labbro spaccato. Suo padre non aveva preso bene l’idea di avere un figlio finocchio, con un nome maschile impresso sul polso destro. Bucky non aveva detto niente. Si era medicato il labbro con del gin e aveva scrollato le spalle, sostenendo che quella delle anime gemelle era comunque una cazzata e che in ogni caso suo padre sarebbe ripartito presto. Non mi importa aveva ripetuto tutto il tempo, e Steve gli avrebbe anche creduto, se non lo avesse visto continuamente grattare e sfregare quel nome sul polso, nella speranza di vederlo svanire.
«Mi dispiace» ripeté «Non volevo crearti dei guai con Betty»
 
«Fanculo Betty, non me ne frega niente di lei. Sono stato stupido io a non coprire questi Segni del cazzo.» ribatté Bucky, scuotendo la testa «Avrei potuto indossare delle fascette, come tutti. Oppure, che ne so, metterci del cerone, come quel tipo che lavorava in officina che aveva scritto sul polso il nome della cugina.»
 
«Solo che io non sono tua cugina.» disse piano Steve, senza osare guardarlo in faccia.
 
Bucky si alzò dalla poltrona e gli si avvicinò fino a fermarsi di fronte a Steve.
«No, infatti» ammise, e dolcemente gli sollevò mento per poterlo guardare negli occhi «Tu, Steven Grant Rogers, sei il mio migliore amico e non vorrei cambiarlo con niente al mondo.»
 
«Ma Betty-»
 
«Betty si è bevuta la storia del Situs Inversus. Almeno per ora»
 
«Ma sai che non può durare… quando vedrà  il mio nome anche sull’altro polso-»
 
«Non è una cosa di cui ci dobbiamo preoccupare ora» tagliò corto Bucky, allontanandosi dall’amico «Poi non è che mi piacesse più di tanto. Ha una risata davvero stridula, ora che ci penso»
Steve rimase a guardarlo togliersi le scarpe, scalciandole via con rabbia. Sapeva che l’amico stava solo giocando la vecchia carta della volpe che non riesce ad arrivare all’uva e si lamenta che fosse troppo acerba, eppure non si sentiva in vena di farglielo notare. Bucky si sbottonò la camicia, ancora umida di pioggia.
«Eros e Thanatos, che stronzata. C’è qualcuno che abbia davvero trovato l’amore in questo modo?»
 
«Non che io sappia» ammise Steve, ripensando ai propri genitori e a quelli di Bucky, che si erano sposati più per convenienza che per amore.
 
«Appunto. E anche l’idea di un “nemico mortale”…» disse facendo le virgolette con le dita «soltanto i supereroi dei fumetti ne hanno uno, no? Le persone normali non hanno “nemici mortali”»
 
«Parla per te, per favore» obbiettò Steve «L’altra sera hai finito le uova e non ti sei nemmeno degnato di scrivere un biglietto… Se non è una pugnalata alle spalle, questa.»
Scoppiarono a ridere contemporaneamente, come se qualcuno avesse sincronizzato i loro cuori di nuovo all’unisono. Non erano mai riusciti a rimanere arrabbiati l’uno con l’altro per più di un pomeriggio.
«Sul serio, però» riprese Steve «come possiamo essere i segni di Thanatos l’uno dell’altro?»
 
«Ok. La verità è che non lo so, d’accordo? Non riesco ad immaginare di farti del male.» disse Bucky, prima di ricordare di tutti i piccoli incidenti nei quali aveva accidentalmente ferito l’amico «Non volontariamente, almeno»
 
«Nemmeno io»
 
«Te l’ho detto, questa cosa dei Segni è una stronzata….» concluse Bucky per l’ennesima volta. Si era ormai tolto la camicia e i jeans a favore di un paio di pantaloni leggeri per la notte «Una storia messa in giro dall’industria dei cioccolatini e delle pistole per vendere di più. Come se tu fossi davvero la mia anima gemella.»
 
«E come se tu fossi la mia… » ribattè l’altro, fingendo di rabbrividire «Terribile. Non voglio nemmeno pensarci.»
 
Bucky si finse offeso.
«Hey! Sarei un’anima gemella grandiosa e lo sai» esclamò, colpendolo – con delicatezza, per non fargli male sul serio – con uno dei cuscini del divano. La risposta di Steve non tardò ad arrivare, e dieci minuti dopo i due si ritrovarono distesi sul tappeto del soggiorno, ansimanti e felici, in mezzo ad una nevicata di piume.
 
La mano di Bucky si spostò piano sulla gamba di Steve, risalendo dal ginocchio su fino alla coscia e si posò sul suo inguine.
«Buck» gemette.
 
«Shh. Lo so, lo so…» ammise l’altro «Avevamo detto che non sarebbe più successo. Se vuoi mi fermo. Dimmelo se non ti va-»
 
Steve scosse con fermezza la testa - non era mai stato sicuro di niente in tutta la sua vita – e premette la mano di Bucky sul proprio corpo. È vero, si erano ripromessi che non sarebbe più successo, ma c’era qualcosa che li attirava l’uno all’altro, come un filo invisibile che poteva anche attorcigliarsi con quelli di altre Betty lungo il cammino, ma continuava ad unire loro due e loro due soltanto.
Forse si trattava di quei nomi gemelli che portavano sulla pelle – quei nomi che Bucky aveva ricoperto di morsi umidi e lascivi come se volesse strapparli via – o forse si trattava di un legame invisibile agli occhi ed estraneo ai piani del destino.
 
Quando fu tutto finito, Bucky crollò con un sospiro accanto all’amico, esausto ma soddisfatto. Il suo petto si alzava e si abbassava in fretta. Aveva ancora il fiatone, ma sulle labbra c’era l’accenno di un sorriso.
Abbassò gli occhi sul proprio Segno di Thanatos, sul braccio sinistro.
«Tu ed io… ci distruggeremo a vicenda, un giorno di questi.»
 
 
 
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31 Dicembre 2013
 
Bucky non posseva più un Segno di Thanatos, avendo perso il braccio sinistro.
Al suo posto, c’era soltanto un pezzo di metallo.
 
Il polso destro invece era coperto da cicatrici, ma non erano che le ennesime su un corpo che ormai era poco più di un’arma.
 
In un russo scalcinato, Rumlow gli porse un fascicolo.
«Soldat?»
 
Il Soldato D’Inverno lo aprì. All’interno c’era la foto del bersaglio, un uomo dal viso gentile. Sembrava quasi familiare.
«Pronto ad obbedire.»
 
 




 
Angolo dell’autrice
 
Non pensavo che avrei scritto ancora su EFP, e invece eccomi qui, ad ammorbarvi anche l’ultimo dell’anno.
Ringrazio chiunque sia arrivato fin qui, di cuore, e vi auguro un sereno 2019 almeno fino al mese di Aprile, quando il nostro cuore verrà fatto a pezzi dai fratelli Russo.
 
Ps: ho una mezza idea di scrivere una Clintasha in cui si raccontano meglio del loro lato della storia perché li amo troppo come coppia. Ma ultimamente leggo molto e scrivo poco, quindi non faccio promesse.
 
Ancora auguri (:
 
 
  
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