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Autore: Nat_Matryoshka    03/01/2019    1 recensioni
"Nella stanza riempita della luminosità fredda di un mattino nevoso, i suoi capelli brillano più del fuoco. Vorrebbe avvicinarsi, affondarci il viso per inspirare il suo profumo e dirle tutto quello che non riesce ad esprimere, ma non è ancora arrivato il momento giusto."
[Sypha/Trevor || post stagione 2 della serie Netflix]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sypha Belnades, Trevor Belmont
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Lights will guide you home
 
 



 
“Ho freddo, Trevor.”

La confessione, per un attimo, la scuote come se l’avesse gridata, anche se le è uscita in un sussurro inghiottito dalla notte autunnale, tanto che quasi si pente di essersi lasciata andare a quell’atto di presunta debolezza. Trevor si volta verso di lei.

“Ho freddo” ripete Sypha, questa volta con più urgenza, senza più la paura di disturbarlo: glielo legge negli occhi assonnati, che in fondo non gli dispiace essere svegliato in quel modo, e l’abbraccio in cui la stringe conferma quell’impressione. Per quanto il fuoco bruci poco lontano dal carro, al sicuro nel focolare improvvisato che hanno creato prima di addormentarsi, l’aria umida si attacca alle ossa e fa tremare, soprattutto sotto alle poche coperte che sono riusciti a trovare. Trevor sposta il mantello perché la scaldi meglio, mormorando parole che non riesce a capire, e per un attimo il suo profumo le annebbia i sensi. Sa di legno, di cavallo, di erba secca. Di birra, perché all’ora di cena non è riuscito a resistere e in fondo anche lei voleva bere, e hanno diviso una brocca ascoltando le storie degli altri avventori, senza parlare. Un altro fuoco scoppiettava alle loro spalle, lui ogni tanto la osservava, distogliendo in fretta lo sguardo ogni volta che lei sembrava coglierlo. 

“Adesso?” sussurra, ed è l’unica parola intellegibile che Sypha riesce a cogliere. Se fosse sveglia ridacchierebbe, ma il torpore dell’alcool la intontisce, rende quel momento così piacevole da impedirle ogni movimento. “Meglio” risponde, strofinando la testa contro il suo petto. Non smette di muovere il viso finché non avverte il suo mento poggiarsi tra i capelli biondo rossicci, mentre le braccia di Trevor si sistemano attorno a lei  la cingono e cercano di scaldarla ancora di più.
Prima di addormentarsi, lo sente inclinare la testa verso il basso per cercare di incontrare le sue labbra in un bacio goffo, che sa di alcool ed è dolce e imperfetto come tutti quelli che si sono scambiati fino a quel momento (forse per questo è così bello?). Riesce a malapena ad afferrarle il labbro superiore, lo trattiene per un attimo tra le sue e poi lo lascia andare, mormorando qualche altra parola senza senso mentre scivola nel sonno. Le resta addosso il calore del suo corpo ed una sicurezza che mai avrebbe pensato di provare lì, durante una notte d’autunno, in un carro di legno fermo nella radura di un bosco che non hanno ancora esplorato del tutto.

Il mattino dopo, non ricorda se ha sognato qualcosa o no. Trevor la lascia dormire per qualche minuto, posandole una carezza gentile sui capelli prima di alzarsi e lavarsi. Sypha fa finta di dormire, e lui finge di crederci.
 
 


*
 
 
Alcuni boschi perdono le foglie, altri si tingono di rosso, giallo e marrone. La regione di Braila li accoglie e, grazie alle soste nei piccoli borghi vicini, Sypha riesce a comprare le coperte di cui hanno bisogno.
Non sono molte, anche le provviste scarseggiano, ma Trevor le divide con attenzione e le assicura che basteranno finché non raggiungeranno un villaggio più grande. La speranza è che siano sufficienti fino al momento in cui ritroveranno la famiglia di Sypha, anche se nessuno dei due vuole dirlo ad alta voce per paura che la sorte si metta in mezzo e ostacoli i loro piani. Ogni tanto la ragazza sogna suo nonno che le sorride e la chiama angelo mio, e quando si sveglia sente un groppo alla gola che non riesce a trasformarsi in lacrime.

Le foglie scricchiolano sotto di loro, fanno da tappeto alle ruote di legno del carro mentre scivolano sui sentieri di terra battuta che collegano un villaggio all’altro. Sypha inspira l’aria fresca che sa di sottobosco e chiude gli occhi quando un raggio di sole filtra  tra i rami color rame e le sfiora il viso, facendo splendere i suoi capelli quasi fossero intrecciati di fili d’oro. Accanto a lei, Trevor tiene salde le briglie e ogni tanto interrompe il silenzio per punzecchiarla o per fare qualche commento sulla natura che li circonda, interrompendosi solo quando lei gli appoggia la testa sulla spalla. Dopo i primi momenti di imbarazzo, quando il loro viaggio era appena agli inizi e non sapevano bene come comportarsi, hanno imparato a concedersi quei momenti di intimità senza pensarci troppo su, felici solo di avere l’altro accanto e di poter viaggiare insieme: il tempo di sondare il terreno è finito. I cavalli tirano il carro strada dopo strada, ogni tanto Sypha si addormenta e Trevor resta fermo per paura di svegliarla, bloccato in una strana posizione semi-sdraiata perché non si stacchi da lui. Vorrebbe prenderla in braccio e sistemarla nel groviglio di coperte che chiamano affettuosamente “il rifugio”, così che i sobbalzi del loro mezzo di trasporto non la sveglino, ma il suo calore leggero è così piacevole che non riesce  ad allontanarsi. Si ritrova ad arrossire, a sperare che dorma abbastanza profondamente da non vederlo.

Quando cala la notte e le stelle sostituiscono le nuvole in cielo, raccoglie delle pietre per costruire il focolare ed accende il fuoco, poi si siedono uno accanto all’altra a mangiare. Le fiamme crepitano, le loro chiacchiere riempiono l’aria e per un attimo è come essere di nuovo tutti assieme, lui lei ed Alucard, a fare piani e combattere per vedere un’altra alba e rimettere a posto il mondo. Sypha  rovescia la testa all’indietro, ride per una battuta di Trevor fino a farsi spuntare le lacrime dagli occhi, ed è così contagiosa che anche lui non può fare a meno di ridere come un ragazzino. Da quanto tempo non gli capitava di essere così felice, non lo sa nemmeno lui, e alla fine non è importante.

Le stelle restano lì anche mentre sistemano il carro perché li accolga per la notte. Spesso Sypha gli chiede di restare sveglio per un po’ a guardare le stelle con lei – le ha studiate così a lungo da conoscerle quasi perfettamente – e, per quanto il viaggio possa averlo stancato, non riesce a dirle di no. Appoggiati ad un tronco o al lato del carro si godono lo spettacolo dei puntini argentati che coprono il cielo formando disegni intricati dai nomi affascinanti, che la ragazza gli indica con passione. Pegaso, Cassiopea, Orsa Maggiore. Trevor si sofferma ad osservare il dito affusolato che gli indica quelle stelle lontane e dentro di sé pensa che, se potesse tornare indietro al momento in cui l’ha guardata salutare la sua famiglia, saprebbe esattamente cosa dire per consolarla.

La notte scorre come le giornate, la sua mano è vicinissima anche se sembra lontana; una volta tornati nel carro, tra il calore delle coperte e quello dei loro corpi, la sente agitarsi appena mentre cerca di prendere sonno e, per un attimo, deve trattenersi dalla tentazione di farle scivolare le dita sotto al tessuto sottile della sottoveste, per sentire se anche la pelle di Sypha scotta come la sua.
 
 

*
 
 
Riescono finalmente a mettersi sulle tracce dei Parlatori quando l’inverno è ormai alle porte, e viaggiare nei giorni piovosi diventa sempre più difficile. A poca distanza da Braila sono costretti a fermarsi nelle taverne anche durante il giorno a causa della neve che cade sempre più spesso, ma a nessuno dei due dispiace granché: Sypha insiste di avere molto da studiare, Trevor è notoriamente un amante dei caminetti accesi e dei boccali di birra, ma la verità è che trascorrere del tempo in una camera calda è decisamente un diversivo piacevole. Soprattutto quando capita la possibilità di dormire in un vero letto, con un materasso imbottito e lenzuola appena lavate.

Se sulle prime l’idea di dividerne uno avrebbe imbarazzato entrambi, ora li rende felici. Tutte le notti sotto le stelle hanno insegnato loro il valore dell’attesa, la pazienza di attendere le mosse dell’altro senza affrettare nulla, godendosi solo un momento dopo l’altro. Sypha lo abbraccia con la sua solita dolcezza spontanea, aspetta che lui le posi un bacio sulla fronte come fa sempre quando si prende una pausa dalla lettura di qualche strano libro che lei gli ha prestato, poi si gira dalla sua parte quando sono distesi vicini e traccia il contorno delle cicatrici con i polpastrelli. Si sofferma su quella che corre sopra e sotto l’occhio, ne sfiora delicatamente i contorni irregolari, passa la mano sulla guancia, sorride quando la barba le pizzica la mano (ehi, non la faccio da due giorni, ma non mi pare sia un problema, no?) e accetta un nuovo bacio sulla punta del naso, offrendone in cambio uno sulle labbra, che nella sua delicatezza lascia comunque una traccia. Trevor ha una collezione di cicatrici sul petto, alcune piccole, altre più estese, ricordi di risse e combattimenti più o meno lontani che preferirebbe lasciarsi alle spalle: Sypha non chiede mai nulla al riguardo. Aspetta che sia lui a raccontare, gli appoggia la testa sul petto e guarda le sue labbra muoversi nel raccontare quelle storie, dando vita a volti e luoghi che non ha mai visto.

Ogni tanto ride per un aneddoto improvviso, più di una volta è stata sul punto di piangere ed ha fatto finta di soffiarsi il naso nascondendo gli occhi, anche se una lacrima l’ha tradita.  Si è addormentata e non si è accorta, nel buio, di tendere le braccia verso di lui fino ad avvolgerlo del tutto, incontrando il suo bisogno di tenerla stretta. Perché un conto è provare ad avvicinarsi passo dopo passo quando il sole è alto nel cielo, vincere i se stessi del passato, un conto è farlo di notte, quando le candele e il caminetto si sono spenti e tornano ad essere la ragazzina senza radici e l’ultimo superstite della propria famiglia. Allora Trevor la abbraccia senza più trattenersi, le affonda la testa nella piega del collo e fa scivolare finalmente le dita sotto al tessuto della sottoveste, con dolcezza, fermandole sul ginocchio perché non si spaventi, timidamente, perché non si ritragga distruggendo la bolla di serenità che quelle quattro mura hanno creato. Sypha non si muove, forse dorme già, eppure preme la testa contro il suo petto e lo invita a stringerla di più.

Da quella distanza riesce a sentirlo: la sua pelle è davvero calda. Viva e bollente, preziosa come seta e altrettanto liscia. Meriterebbe solo di essere coperta di baci.
 

*
 
 
Il sorriso del nonno di Sypha li accoglie in un mattino gelido, quando ormai Braila si avvicina e i villaggi somigliano di più a piccoli paesi, una realtà di case e botteghe sparse per un territorio molto più grande di quelli che sono abituati a conoscere. I compagni Parlatori li salutano agitando le mani, la ragazza corre come una bambina verso l’uomo e gli butta le braccia al collo senza riuscire a smettere di parlare, cercando di condensare tutte le loro avventure in un discorso lunghissimo e disordinato. Trevor resta in un angolo, incerto se annunciarsi o rimanere in disparte per non rovinare l’incontro, finché non è Sypha ad invitarlo ad avvicinarsi, un sorriso enorme sul viso che vale più di qualunque richiesta. Anche suo nonno gli sorride, accogliendolo.

Si fermano tutti assieme in una locanda e Trevor non riesce a togliere gli occhi di dosso alla ragazza, riscaldato dal suo entusiasmo: è felice, glielo legge in ogni piega del sorriso, in ogni gesto delle mani e del corpo. Fa domande ai compagni, risponde alle loro, cerca di coinvolgere anche lui, tanto che dopo un po’ riesce ad abbandonare l’iniziale imbarazzo e a sentirsi più a suo agio con gli altri. L’Anziano è un’autorità, i giovani gli parlano chinando la testa con deferenza, ma resta sempre una persona paziente e aperta, pronta a dispensare consigli e ad accarezzare i capelli di Sypha ogni volta che la nipote gli rivolge la parola. A Trevor resta difficile ammetterlo, eppure quella gentilezza lo rende più felice di quanto possa definire a parole. Tanto che, dopo il pasto, mentre la compagna è impegnata a discutere con gli altri Parlatori, si avvicina alla finestra da cui il nonno di Sypha osserva il cortile esterno coperto di neve.

Le voci degli altri avventori e dei cuochi arrivano attutite, quasi nevicasse anche all’interno. I vetri sono appannati da un velo sottile di condensa, le sagome delle case e del campanile in lontananza appaiono ovattate, ammorbidite.

“Grazie per aver protetto mia nipote” l’uomo spezza il silenzio, guardandolo con quegli occhi placidi, circondati da piccole rughe sottili come ragnatele. “È l’unico membro della famiglia che mi rimane. Quando è partita con te, tempo fa, non avrei mai osato sperare che tornasse… e invece siete qui, e lei è felice e in salute. Un povero vecchio come me non potrebbe desiderare di meglio. Non so come ringraziarti.”

Trevor, senza nemmeno accorgersene, abbassa gli occhi. Non pensa di meritare un ringraziamento, per cui borbotta qualche parola indistinta, imbarazzato. L’uomo se ne accorge e sorride, indulgente.

“Ho visto come la guardi, ragazzo… e anche lei, quando ti allontani cerca sempre di incontrare il tuo sguardo. Siamo rimasti separati per tanto tempo, solo ora che la rivedo mi rendo conto di quanto sia cresciuta, più di quanto già non fosse. È ancora più forte, più saggia, non ha paura di mostrare il suo lato più gentile… non so se è anche merito tuo, ma nel caso, sappi che ti ringrazio di nuovo.”
Volta la testa prima di arrossire e posa lo sguardo sulla ragazza, impegnata a gesticolare animatamente mentre racconta quello che sembra il resoconto del loro arrivo nel villaggio. Alza una mano con fare teatrale, le fiamme dorate del camino le danzano negli occhi e Arn, il Parlatore dai riccioli scuri si preme una mano sulla bocca, profondamente stupito. La verità è che è sempre stata forte, coraggiosa ed intelligente: una ragazza che non ha avuto paura di esporsi, di proseguire anche quando la vita che aveva sempre conosciuto si allontanava da lei. Non glielo ha mai detto direttamente, ma ha sempre ammirato quella sua testardaggine, il desiderio di non staccarsi dalla strada scelta, per quanto difficile da percorrere potesse dimostrarsi… se non si è lasciato andare lungo il cammino, se non ha permesso alla propria tristezza di soffocarlo, in realtà è anche merito di Sypha. Può aver contribuito a difenderla dai pericoli, ma è stata lei a rendersi la donna che è ora.

La donna di cui si sta innamorando.

Nella stanza riempita della luminosità fredda di un mattino nevoso, i suoi capelli brillano più del fuoco. Vorrebbe avvicinarsi, affondarci il viso per inspirare il suo profumo e dirle tutto quello che non riesce ad esprimere, ma non è ancora arrivato il momento giusto.

“In ogni caso, sono certo che anche lei ti ricambia.” L’uomo gli sfiora gentilmente una manica con le dita, lievi come foglie autunnali. “Per quel che può valere, ragazzo… hai la mia benedizione. Siate felici, lo meritate entrambi.”

Prima che Trevor possa rispondere (o arrossire di nuovo, o tentare di rispondere e arrossire allo stesso tempo, dopo essersi accorto delle implicazioni di quella frase) l’Anziano si allontana con un sorriso enigmatico, lasciandolo alla sua confusione. Sypha si alza e sposta due sedie, perché possano riprendere entrambi posto accanto a lei.
 
 


*
 
Non appena la neve smette di cadere con regolarità, possono finalmente riprendere il cammino.

La loro strada si separa nuovamente da quella dei Parlatori e, per quanto Sypha lo sapesse bene fin dall’inizio, l’addio a suo nonno è malinconico come aveva immaginato. L’Anziano la stringe a sé per una manciata di minuti che scorrono lenti come giornate estive, poi le accarezza una guancia e la guarda negli occhi per un po’, senza dire nulla. Tra le promesse della ragazza di non cacciarsi in troppi guai, la richiesta di rivedersi presto a Braila e altre frasi spezzate che si alternano agli abbracci, ha il tempo di asciugarle una lacrima silenziosa che le scivola dagli occhi. Le dà una spintarella gentile e Sypha sale di nuovo sul carro, il cuore pesante le impedisce di proferire parola per qualche ora. Trevor cerca a lungo le parole giuste con cui consolarla, ma la paura di dire qualcosa di sbagliato lo ferma: si limita ad offrirle la solita spalla mentre guida il carro verso la destinazione successiva, finché le difese di Sypha non si abbassano e, una volta arrivati in un luogo adatto ad accamparsi, si scioglie finalmente in un pianto liberatorio.

Non l’ha mai vista piangere in quel modo, con i singhiozzi che scuotono completamente il suo corpo magro e le labbra che tremano; la fragilità di quel dolore lo disorienta. Una volta di più si ritrova a non sapere esattamente cosa fare, anche se una voce dentro di lui gli ripete che persino le persone forti come lei hanno i loro momenti di debolezza, che ne hanno bisogno per andare avanti e affrontare i propri sentimenti, invece di soffocarli nell’apatia (tu l’hai fatto fin troppo spesso)… eppure resta fermo, a tormentarsi, mentre la ragazza singhiozza rannicchiata in un angolo, così piano che è quasi difficile sentirla. Poi qualcosa distrugge quell’impasse e lo porta ad avvicinarsi lentamente, ad appoggiarle prima una mano sulla spalla e a tirarla verso di sé, perché percepisca la sua presenza e capisca, senza tante parole difficili da pensare e mettere insieme, che non è da sola.

Sypha si lascia andare. Smette di piangere dopo qualche attimo, un temporale che si ritira cessando di piovere, e all’ora di cena è tornata la Parlatrice affettuosa e pungente che conosce bene.

Quella sera, nel tepore delle coperte di lana e del mantello di pelliccia – finalmente pulito – che Trevor ha disteso sotto di loro come materasso, si accorge di non riuscire a prendere sonno. Si gira senza tregua cercando di non disturbare la ragazza, ma è impossibile trovare una posizione confortevole quando le assi di legno sembrano essere diventate più dure che mai. Si accorge di rimpiangere il letto della taverna e quel pensiero un po’ gli dispiace, pensava di essersi abbastanza abituato ad una vita di vagabondaggi da non restare più impressionato dalla comodità di un materasso imbottito. E invece…

“Trevor?”

È Sypha ad interrompere quel suo rigirarsi da anima in pena: questa volta si alza su un gomito e lo guarda dritto negli occhi, illuminata appena dal chiarore leggero del falò che sta per spegnersi. Probabilmente non si è mai addormentata, e il pensiero che possa averlo aspettato sveglia senza avere il coraggio di parlare lo riscalda e lo mette in agitazione al tempo stesso.

Cosa ci succede, Sypha?

“Non riesco a dormire” confessa lui, e come al solito apre le braccia perché si accoccoli nella sua stretta e dorma accanto a lui, come hanno sempre fatto fino a quel momento per riscaldarsi. Lei lo accontenta. Ma quando arriva all’altezza del suo viso, invece di appoggiare la testa sul cuscino di stracci arrotolati lo sovrasta per un attimo e, con la rapidità di chi teme di pentirsi, preme le labbra sulle sue. Non per un bacio leggero, inesperto e breve, a cui sono abituati: un bacio vero. Uno che lo spinge ad aprire la bocca, che gli strappa un gemito e  lo porta a stringere il corpo sottile della ragazza contro il suo quasi d’istinto, spingendola sotto di sé. In un attimo sta rispondendo a quel bacio come se avesse sete e la bocca di Sypha fosse l’unica sorgente rimasta in un deserto che nemmeno sa come immaginare, la mordicchia nei punti sbagliati e la fa ridere con la barba che la punge un’altra volta, poi continua a baciarla ancora e ancora e scopre che, in fondo, non è difficile come immaginava.
Sotto le coperte di lana indossa una sottoveste sottile che si attacca al corpo, Trevor la sposta per poter raggiungere meglio la pelle nuda e si meraviglia nel non  sentirla spostarsi, né rifiutarlo. Sypha gli permette di alzare il tessuto fino al ventre, di accarezzare il ginocchio come ha già fatto e poi la coscia, la linea tiepida che la unisce al fianco, la pancia piatta, la piccola conca dell’ombelico. Inspira lentamente e la sente fremere sotto di sé, ma non è spaventata, non gli sembra riluttante, se lo fosse probabilmente lo avrebbe già carbonizzato con uno dei suoi incantesimi, pensa tra sé, e gli scappa un sorriso. Una delle sue mani è stesa vicino alla testa, le dita affusolate bevono la luce della luna che le fa brillare di un argento splendente.

Continua a baciarla ma questa volta si prende il suo tempo: fa scivolare le dita verso l’alto, sfiora la cassa toracica esitando, sempre attento a cogliere le sue reazioni. Compie un passo più azzardato, copre un seno con il palmo della mano e, quando le dita ruvide sfiorano la pelle delicata del capezzolo, la sente trattenere il respiro.
Quel suono riesce ad eccitarlo più di qualunque gemito. Con un misto di imbarazzo e anticipazione, percepisce la sua erezione premere contro il cavallo dei pantaloni.

Mentre riprende a baciarla con più forza, mettendo da parte il tessuto che gli impedisce di toccare liberamente la sua pelle, qualcosa lo blocca: non sarebbe giusto. Sypha merita di più che essere presa in un impeto di passione, per quanto anche lei lo stia ricambiando e sfiori le sue labbra per invitarlo a continuare con i baci. Chiude gli occhi e appoggia la fronte su quella della ragazza, sempre tenendola stretta a sé, così tanto che non capisce dove inizi il suo corpo e dove finisca quello di lei, e si sente onorato di avere il semplice privilegio di stringerla in quel modo, in quel momento. Lei capisce, non aggiunge altro.
Termina il bacio così come l’ha iniziato, gli appoggia la testa sul petto, poi prende un braccio di Trevor perché le cinga la vita, lasciando che la mano riposi sul suo fianco. Si addormentano dopo un attimo e il mattino dopo nessuno dei due ha tanta voglia di alzarsi e spezzare quel filo fragile che li ha uniti: ora condividono qualcosa in più. Una sorta di segreto sussurrato senza le parole, una promessa di quello che potrebbe venire in seguito.
 
 

*
 
 
“Pensi mai a cosa stia facendo Alucard mentre siamo via?”

“Probabilmente si è messo d’impegno a leggere tutti quanti i libri che gli ho lasciato… o magari starà dormendo. Non è sicuramente un tipo festaiolo, quel mezzo vampiro bastardo.”

La gomitata nello stomaco che gli assesta Sypha blocca il ghigno di Trevor sul nascere. La neve sta iniziando a sciogliersi e, per quanto la temperatura sia ancora piuttosto rigida, viaggiare è diventato più facile. Trevor l’ha praticamente costretta a sostituire i suoi sandali con un paio di stivaletti e, per quanto all’inizio lei abbia protestato perché non è abituata ad indossare scarpe chiuse, ora camminare sulle strade ghiacciate non rappresenta più un problema. È bello sedersi sul retro del carro, avvolgere le spalle nei mantelli pesanti e guardare le gocce d’acqua fredda che stillano dai rami gelati, i cespugli ricamati di brina, i cerchi di terra umida che circondano le radici degli alberi. Braila si avvicina giorno dopo giorno: non sanno di preciso quando metteranno piede in città, ma nel frattempo è piacevole esplorarne i dintorni. Sypha strofina le dita tra loro, le porta alla bocca per soffiare vapore caldo sulle punte intirizzite, mentre il suo respiro disegna nuvolette pigre nell’aria. Poi guarda Trevor, impegnato a controllare le provviste ed a nutrire i cavalli, e pensa che il muro attorno a lui, pian piano, si sta sciogliendo come quella neve. A volte sembra tornare, gli riempie gli occhi celesti puri come laghi sotto ad un cielo primaverile, ma si tratta di episodi sempre più rari: l’uomo che ha conosciuto l’anno precedente, quello sfiduciato dalla vita e gravato da un nome troppo pesante da trasportare, sembra essersene andato. Non sa se sia davvero merito suo – non vuole sperare tanto – ma vederlo sorridere le fa bene, la riempie di un piacere così sottile che le si stringe il cuore in petto. Anche mentre lo guarda compiere azioni semplici, fermarsi un attimo a riflettere e poi riprendere, cercando il suo sguardo subito dopo.

Si chiede se sia quel che si prova davvero quando ci si innamora, e quel pensiero la fa arrossire.   

Proseguendo verso Braila le taverne aumentano di numero e con loro gli assembramenti di case: alcune zone sono meno sicure di altre per accamparsi, glielo ha riferito una donna gentile la cui fattoria si trovava proprio al limitare dell’ultimo villaggio in cui sono passati. I boschi sono pieni di creature feroci, decisamente diverse dai soliti lupi e orsi che sono abituati a conoscere, li ha avvisati. Meglio viaggiare più lentamente e passare di taverna in taverna che finire sbranati, ha aggiunto, poi ha intravisto i pugnali di Trevor e ha scosso la testa, quasi come  avesse capito che il suo consiglio non sarebbe stato ascoltato. Meno male che non ha visto Morning Star, o come minimo ci avrebbe sbattuti fuori, riflette Sypha, ma fa tesoro di quell’avvertimento: durante tutto il tempo trascorso ad attraversare la foresta, decidono di dormire a turni per montare la guardia contro qualunque pericolo possa minacciarli. Inizia Trevor, ma quando viene il turno di Sypha di lasciarlo dormire per sorvegliare i dintorni, spesso e volentieri restano svegli in due. Il compagno dorme con un occhio aperto, quando non decide di restare in una specie di dormiveglia vigile, con le braccia incrociate e gli occhi socchiusi, pronti a spalancarsi al minimo rumore. Decisione che poi lo porta ad addormentarsi durante il giorno nei momenti più impensati, sul retro del carro, in una radura, con la testa sul grembo di Sypha, che tiene le briglie e sospira per la sua testardaggine, anche se non lo sposterebbe mai e poi mai.

Una notte, l’ultima prima di arrivare in un paese circondato dai monti, vengono attaccati da un branco di creature che non vedevano da tempo, demoni ciechi, incubi deformi attratti dalla loro presenza. Sypha riesce ad abbatterli con alcuni incantesimi ben mirati e, dopo averli lasciati a terra poco distanti dal loro falò, si gira immediatamente per controllare che non ne  fuoriescano altri dal limitare del bosco. È coperta di graffi, ha  un labbro ferito e le tremano le mani per la fatica, ma emana comunque una fierezza che fa sorridere Trevor con rispetto. Non ha bisogno della sua protezione, eppure l’ha voluto al suo fianco: guardarle le spalle è un modo come un altro per dimostrarle la sua gratitudine.

Il suo amore.

 Allontana quel pensiero scuotendo la testa, quasi ne avesse paura. Anche durante la notte successiva combattono schiena contro schiena, lingue di fuoco e stille di ghiaccio piegati alla volontà di lei che saettano tra i movimenti della frusta, e per un attimo sembra davvero di rivivere l’ultima battaglia nel castello, tranne per il fatto che Alucard non è con loro, a punzecchiare Trevor e riempire il viaggio con le sue battute sarcastiche. A battaglia finita si guardano in viso, sudati e sfiniti, e si addormentano vicini quasi subito, sperando di non essere disturbati.

Una volta passati oltre le foreste, tuttavia, si ritrovano entrambi d’accordo: meglio rallentare il viaggio, piuttosto che dormire un’ora per notte e rischiare quotidianamente la vita. I dintorni di Braila sono pieni di locande e, per quanto nessuno dei due abbia voglia di ammetterlo, l’ultima notte di combattimenti ha lasciato addosso ad entrambi il desiderio di riposare sotto ad un vero tetto. Sypha sospira scaricando i propri bagagli, delusa perché le sembra quasi di rinnegare la vita da Parlatrice che l’ha accompagnata da quando è nata, ma Trevor le posa una mano sulla spalla e con un cenno della testa mette ogni suo dubbio a tacere. In fondo non hanno nessuna fretta, non avrebbe senso affaticarsi o rischiare ferite difficili da curare solo per il gusto dell’avventura… e poi, la locanda che hanno scelto è circondata dal verde. Sypha ama sedersi sul retro, su una panca di pietra appoggiata contro il muro della cucina,  ad ammirare il tramonto che dipinge di rosso i tetti e le foglie. Le giornate sono brevi, il sole che cala porta con sé il freddo e quei malanni di stagione che la fanno tossire e che preoccupavano tanto suo nonno, ma non rinuncerebbe mai a quella vista.

Guarda lontano, si scherma gli occhi con la mano, riflette su quanta strada ha percorso dall’inizio del suo viaggio, a quanto quel vagabondare le abbia lasciato nel cuore. Cerca di immaginare dove si troverebbe se Trevor avesse rifiutato la sua proposta, e mentre inizia a creare quello scenario vuoto con gli occhi della mente, il proprietario apre la porta per accendere la lampada ad olio appesa all’esterno, invitandola ad entrare per non prendere freddo. Sypha sorride e si alza, avvolgendosi il mantello attorno alle spalle.
 
 


*
 
 
La prima notte arriva proprio nella stanza di una locanda, in cui si sono fermati per evitare l’ennesima sosta tra pericoli e pioggia, che sostituisce la neve creando gli stessi problemi. Il vento fischia, la grandine batte contro i vetri come se qualcuno tirasse dei sassi contro le finestre, e quando affonda il corpo nel materasso con un sospiro, Sypha non potrebbe sentirsi più sollevata di aver preso quella decisione.

Trevor ne approfitta subito per farsi un bagno (tanto lo so che stavi per chiedermelo, la prende in giro, e lei gli mostra la lingua), qualche minuto dopo esce dallo stanzino con un panno spesso avvolto in vita e un’espressione decisamente beata sul viso. Sypha lo imita, fin troppo felice di potersi concedere anche quel piccolo lusso, allunga le gambe nella tinozza di legno e lascia che l’acqua calda la ricopra, ammorbidendo la pelle resa secca dal freddo, scaldandole la punta del naso e le orecchie gelide. Prende il respiro, si distende e affonda la testa nell’acqua; i capelli le fluttuano attorno alla testa, sono alghe rossicce che si rigirano senza peso, un po’ più lunghi rispetto al giorno in cui hanno salutato Alucard. Una volta uscita corre a ricoprirsi, ma indossa solo la sottoveste, non si preoccupa nemmeno di utilizzare le solite bende che le trattengono il seno.

Quando si distendono tra le coperte calde, la pioggia continua a sferzare con rabbia i vetri. Trevor le fa spazio perché si avvicini, e di nuovo le labbra di Sypha cercano le sue in un altro bacio, più sicuro, come se questa volta sapesse di non poter sbagliare. Lui le sposta i capelli ancora umidi dal viso e lascia che sia lei a condurlo, a prendere l’iniziativa e mordicchiare il labbro superiore, poi quello inferiore, inesperta ma dolce, così dolce che non riesce a fermarla. In un attimo posa le mani sulla sua vita e le lascia scorrere, quasi non riuscisse a imprimere nella memoria la forma del suo corpo senza usare le dita.  Le permette di togliergli di dosso la maglia di lino e aspetta che si sposti abbastanza per sfilarsi anche i pantaloni, poi si dedica completamente a lei.

Sypha è distesa sotto di lui, il viso rosso, e non sa se sia imbarazzata o ancora scaldata dal vapore del bagno, o magari entrambe le cose. Forse è felice, spera sia felice, felice come è lui, che sente il cuore schizzargli fuori dal petto come mai gli era capitato prima. Lo fissa con quegli occhi celesti che brillano come quando hanno deciso di iniziare il viaggio, ed è così bella che, se ancora riuscisse a piangere, probabilmente lo farebbe.

La bacia di nuovo, con più lentezza, con la bocca aperta come se volesse assaggiare meglio il suo sapore, e fa scivolare una mano sotto la sottoveste, accarezzando un seno tiepido, soffermandosi sul capezzolo indurito dall’aria fredda, pizzicandolo. La guarda in viso per cercare un segno che lo fermi, ma Sypha sorride, lo incoraggia con un piccolo sospiro di piacere, prende la mano e la appoggia sull’altro seno, mentre nello stesso tempo approfondisce il bacio e affonda le dita tra i suoi capelli folti e scuri, tracciando piccoli segni sul cuoio capelluto con i polpastrelli. Sospira ancora, risponde ai suoi movimenti inarcando appena i fianchi e lo aiuta a liberarla del tessuto che copre le sue forme, finché non è nuda e trema appena sotto il suo sguardo, più per la novità di quanto sta accadendo che per un vero timore. La sua Sypha non ha paura di nulla: è capace di spostare un intero castello grazie alla magia, conosce lingue appannaggio solo dei saggi, tiene testa con furbizia e intelligenza a chiunque la sottovaluti. È così leale e coraggiosa e altruista e tutta una serie di aggettivi che vorrebbero scappare dalle sue labbra ma che invece si trasformano in carezze, nel modo in cui le fa scorrere le dita sulla guancia e la fissa negli occhi, e dopo un istante una domanda riesce a farsi strada nell’oscurità.

“Sypha… sei sicura di volerlo?”
Di volermi, sta per aggiungere, prima che lei appoggi la mano sulla sua e gli sfiori le labbra in un altro bacio.
“Certo che lo voglio” sussurra. Non esita, non stacca lo sguardo dal suo, nemmeno mentre si rannicchia e gli lascia campo libero perché i loro corpi nudi si sfiorino. Lui posa una serie di baci dalla mascella al collo, fino  al solco tra i seni, sulla pancia, sulla linea morbida che delimita il bassoventre, guidato dai suoi sospiri, e quando le braccia di Sypha si stringono attorno al torace per tenerlo vicino, non riesce a trattenersi dal baciarla con più foga, strappandole un gemito. Fa scivolare le dita in basso, sulla peluria morbida che copre il suo sesso: è calda e bagnata. Sorride.

“Non voglio farti male.”
“Non mi farai male.”
Come fa a credere così tanto in me? si chiede, e la ricompensa baciandola ancora. Per lei è la prima volta, lo capisce dal modo timido in cui si muove, lui ha già avuto delle amanti in passato, ma non si è mai sentito così legato ad una donna, così spaventato dalla semplice idea di farla soffrire. Le sfiora i fianchi con una carezza mentre si sistema tra le sue gambe e aspetta che anche lei sia pronta, attende che appoggi le dita sudate sulle sue spalle e si aggrappi a lui, che lo accolga con un gemito che è un misto di piacere e dolore e lo porta a bloccarsi immediatamente… ma Sypha piega le labbra verso l’alto e sostiene il suo sguardo con gli occhi appena socchiusi, una lacrima scivola giù mentre annuisce e tiene strette le sue dita come se fossero l’unico appiglio per non perdersi. Lui la asciuga con le labbra.

Quella notte gli insegna, a differenza di ogni altra, a interpretare i suoi gesti. A muoversi dentro di lei ancora più lentamente di quanto aveva immaginato, a fremere al minimo accenno di un gemito, quando una mano di Sypha affonda nei suoi capelli perché non si allontani, mentre inarca la schiena contro di lui e la sua bocca tremante lo cerca in un bacio, soffocando altri ansiti contro le labbra.
Arriva all’apice e aiuta anche lei a raggiungere il piacere, impara a spostarsi per non pesarle troppo addosso pur trattenendola a sé con un braccio, per farle capire che è accanto a lei e non intende andarsene e lasciarla lì, come un palliativo per la sua tristezza da dimenticare al più presto.  Aspetta che Sypha si giri verso di lui, spettinata e sorridente, le iridi celesti che splendono, catturando le gemme di luce liberate dalle candele.  Le sposta un ricciolo dagli occhi.

In quell’attimo di calma perfetta in cui la tempesta smette di sferzare i vetri, Sypha abbraccia con lo sguardo le sue spalle forti, le cicatrici sparse sul petto e quella sul viso, i suoi occhi pieni di malinconia che sembrano finalmente ospitare qualcosa di diverso, forse speranza? Le mani che hanno colpito e distrutto, le stesse che l’hanno accarezzata e cullata ora sono distese tra loro, così vicine che riesce a percepirne il calore.

Non si è mai soffermata a pensare quanto possa essere bello.

Senza un motivo in particolare, scoppia a ridere. Forse per l’imbarazzo, forse per la gioia, forse perché vuole solo che Trevor la afferri per farla smettere come in effetti fa, stringendosela contro e mordicchiandole il petto e facendole il solletico sulla schiena. Ride e ride ancora, affonda la testa nella piega del suo collo e la risata muore solo dopo qualche attimo per farle riprendere fiato, ancora avvolta dall’abbraccio dell’uomo che ha scelto. Inspira a lungo il profumo dei suoi capelli, rilassandosi.

In alto, le loro ombre smettono di muoversi e li aspettano, dipinte sul soffitto come spettatori silenziosi. Sypha le guarda, e pensa che non si è mai sentita tanto viva come in quel momento.  
Quando Trevor alza la coperta di lana perché entrambi possano scaldarsi, si riavvicina a lui e gli appoggia la testa sul petto nudo. Il sonno la prende quasi subito e non ricorda bene cosa accada dopo, se davvero la voce di lui abbia sussurrato qualcosa di impercettibile, spezzando il buio della stanza. Qualcosa che suona come ti amo, o che forse ci assomiglia ma non è la stessa cosa, una confessione di un attimo, subito inghiottita dal silenzio della notte.
 
 

*
 
 
Arrivano a Braila e l’inverno inizia a lasciare il posto a giornate più miti. La neve si è quasi del tutto sciolta, i boschi ospitano distese di fili d’erba tenera e verde e gli uccelli riprendono ad occuparli, cantando da un ramo all’altro. La primavera si sta facendo strada, lenta ma decisa.

L’attacco subito anni prima ha in parte devastato la città, che però è riuscita a riprendersi: tra i tetti scoperchiati e le case distrutte spuntano delle costruzioni nuove, strade lastricate e anche qualche roseto. Trevor e Sypha lasciano il carro dove hanno deciso di pernottare e vagano per la città cercando di capire il ritmo con cui la vita scorre nel paese, osservando la gente impegnata nelle proprie attività quotidiane, il tempo che scorre placidamente e le scandisce. Non sarebbe una cattiva idea restare qui, propone Trevor una sera, mentre il fuoco disegna ombre sul carro e scalda le loro ossa ancora infreddolite dall’inverno. Potremmo trovarci un’occupazione e stabilirci, almeno per un periodo, lascia cadere quella frase e poi non aggiunge altro, come se fosse  già abbastanza difficile suggerirlo.

Sypha ci riflette e di nuovo non sa cosa rispondere: per quanto le piaccia Braila e l’idea di avere un posto in cui iniziare da capo dopo Gresit, non si sente granché pronta ad abbandonare la vita da nomade. Ogni paese, ogni villaggio e bosco nascondono avventure da raccontare, storie in grado di diventare leggende sussurrate con rispetto o timore, e l’idea di abbandonarle in favore di un’esistenza più stabile non la entusiasma. Braila, però, è piena di persone bisognose di aiuto e, una volta ambientatisi, entrambi trovano il modo di mettersi al servizio della comunità senza nemmeno dare troppo nell’occhio. Non possiedono una casa fissa, per cui possono decidere di esplorare ancora i dintorni pur tornando nella città quando ce n’è bisogno: un compromesso che hanno accettato entrambi più che volentieri.

Suo nonno le aveva promesso che si sarebbe spostato verso Braila una volta giunta la primavera, ricorda Sypha mentre studia uno dei tomi che Alucard le ha regalato, gli occhi che corrono pigramente sulla pagina, appena rallentati dal sonno. Con un po’ di pazienza, possono sempre viaggiare un poco alla volta ed aspettare che i Parlatori arrivino dove c’è bisogno di aiuto. Non sarebbe bello vivere di nuovo insieme?, pensa, e per un attimo la sua mente è impegnata ad immaginare una vita felice con l’Anziano e i compagni, non diversa da quella di aiuto e studio che ha condotto fino a quel momento, ma con Trevor accanto. Sorride senza smettere di pensarci, per quanto si sia sempre impedita di immaginare scenari troppo felici, che potrebbero deluderla se solo non si realizzassero. Svegliarsi, lavorare, viaggiare, mangiare insieme, cercare un luogo dove ripararsi, accendere il fuoco, stringersi sotto le coperte, studiare, fare l’amore: ora che i giorni scorrono serenamente e le notti non sono più solitarie, pensare al futuro non la spaventa più.

Alla fine del mese il suo sangue non si fa vedere, e nemmeno durante i giorni successivi.
Sypha ha imparato a leggere i segnali della gravidanza, li ha già visti su altre donne, ma aspetta che passi ancora un mese prima di esserne sicura e dirlo al compagno. Gli prende entrambe le mani e lo annuncia guardandolo negli occhi, le guance arrossate, poi si lascia stringere nel suo abbraccio tremante.  Per un attimo nessuno dei due parla, persi nell’importanza della notizia, e quando Trevor si stacca da lei e si allontana per un attimo cerca di non mostrargli quanto sia scossa e preoccupata da quella reazione.
Una volta solo, lascia cadere la testa tra le mani, fissando un punto tra i suoi piedi che non riesce a mettere a fuoco: lui, padre? Il ragazzino che è cresciuto per forza, l’ultimo Belmont che desidera solo veder finire il nome di famiglia tra le macerie e la cenere della loro residenza di famiglia, dimenticato dal mondo? Eppure, sapeva a cosa sarebbero andati incontro, forse non le ha mai ricordato di prendere precauzioni perché in qualche modo distorto voleva sfidare la sorte e se stesso. Scuote la testa, finché il suolo e l’erba non si confondono in una macchia indistinta e gli occhi iniziano a fargli male. La domanda resta sempre lì, preme sulla lingua, nella mente confusa: lui, padre? Lui che a malapena sa badare a se stesso, e solo da poco sta imparando quale sia il suo posto nel mondo?  Sospira, il cuore batte più forte, martella contro la cassa toracica come se volesse uscirne.

Quando torna da Sypha, nota subito il suo viso scuro, gli occhi bassi, e l’idea che possa aver pensato di essere rifiutata, anche solo per un attimo, gli fa così male da non riuscire più a controllarsi. Cade in ginocchio e la stringe in un abbraccio ancora più forte del precedente, si aggrappa al tessuto azzurro del suo mantello e, per la prima volta in un tempo lunghissimo e impossibile da scandire, scoppia a piangere.

Una voce nella testa gli ripete che dovrebbe dimostrare la propria felicità in un altro modo, o come minimo supportarla, ma i singhiozzi si fanno strada senza che niente, nemmeno la mano gentile di Sypha che passa tra i suoi capelli, riesca a fermarli. Sfoga quei sentimenti nell’unico modo che gli sembra possibile e alla fine si rende conto di non sapere nemmeno il motivo dietro a quel pianto, se nasca dalla paura o, piuttosto, da una felicità violenta e assurda.

Sente le dita della ragazza corrergli ancora tra le ciocche, accompagnate dal suono della sua voce, una canzone sussurrata che lo tranquillizza e ferma le lacrime. Solo quando ha davvero finito di piangerle tutte sente il cuore farsi più leggero e riesce a guardarla di nuovo negli occhi.
Annuisce senza parlare, le prende la mano e  la porta alle labbra, baciandone il dorso con dolcezza. Lei gli sorride di nuovo, come sempre riesce a capirlo subito.
 
 

*
 
“Sei sicura di farcela?”
“Trevor, smettila. Non è nulla di così terribile, devo solo aiutare a piantare dei semi…  dentro a dei vasi, nemmeno in un campo. Stai tranquillo.”
“Non voglio che succeda qualcosa al bambino, lo sai.” Trevor è testardo, ma in quella testardaggine è nascosta tutta la preoccupazione che non riesce a mettere da parte da quando ha saputo della gravidanza. “Non ti fermi un attimo, sei sempre affaccendata. Non potrebbero…”
“Belmont” cerca di rassicurarlo lei, posandogli una mano sul braccio per zittirlo. “So quello che faccio. Stai tranquillo. Ti fidavi di me quando ho spostato quel castello, vero?”

Alla fine, è sempre lei ad averla vinta. Trevor sospira e si arrende, osservandola mentre alza l’orlo della gonna per non inciampare e segue una ragazza dai lunghi capelli scuri verso il retro della sua bottega di erborista, dove Sypha la sta aiutando a far crescere una piccola coltivazione di erbe mediche e ortaggi. Si chiama Dana, è poco più giovane di entrambi e, fin dal loro arrivo in città, ha sempre dimostrato gentilezza nei loro confronti, un interesse sincero che non si è mai trasformato in malizia. L’ha notata la prima volta quando ha aiutato Sypha a prendersi cura di alcuni malati, e l’entusiasmo di quella ragazzina desiderosa di imparare qualunque cosa pur di aiutare gli altri è riuscito a vincere la sua diffidenza, quello scudo di cinismo che è abituato a usare come maschera. C’è bisogno di persone come lei nel mondo, e c’è bisogno di persone che riconoscano quella bontà e la incoraggino. Cerca di essere un tramite del bene, mai un ostacolo, ha sentito dire una volta al nonno di Sypha, un insegnamento che ha scavato in lui radici più profonde di quanto immaginasse.

Man mano che la gravidanza prosegue, il ventre della compagna si arrotonda e spesso le gambe le fanno male, anche se lei non si lamenta più di tanto. La primavera risplende nel pieno della sua meraviglia, le giornate si allungano, i boschi si riempiono di fiori e di animali che si risvegliano dal lungo sonno invernale. Per quanto il viaggio sia una parte importante della sua vita, ha preso la sua decisione e non la rimpiange: in fondo, anche quando era con suo nonno esistevano dei momenti ben precisi per sistemarsi in un luogo e raccogliere nuove storie, come quando hanno assistito la città di Gresit. Ogni sera diventava un’occasione per discutere e raccontarle accanto al fuoco, dopo aver dedicato la giornata allo studio e all’aiuto dei più deboli… non è quello che sta facendo anche lei? Acquisire nuove conoscenze, aiutare Dana con le sue erbe mediche, guardarla sorridere ogni volta che un germoglio si fa strada attraverso la terra.

Non può averne la piena certezza, ma dentro di sé sente che il nonno, dopotutto, sarebbe orgoglioso di lei.
 


*
 
 
“Sai, non è stata una cattiva idea restare qui.”

Sypha traccia segni pigri con la punta del dito sulla tela azzurra della sottoveste, sfiorando la pelle tesa dell’addome. Trevor, con la testa appoggiata al suo grembo e l’orecchio sulla pancia, cerca di percepire ogni singolo movimento del bambino. Da quando il ventre ha iniziato a diventare ben visibile sotto al tessuto leggero dei suoi abiti, il padre di Dana ha insistito perché occupassero la stanza libera della bottega, quella destinata ai viandanti che ogni tanto ospitano. Non è molto grande, ma il letto è comodo e non devono percorrere miglia per trovare dell’acqua, ed è più di quanto potessero sperare.

Quella vicinanza è diventato il loro rituale serale preferito: Sypha si stende sul letto, appoggia la schiena contro il cuscino e aspetta che il compagno la raggiunga e si accoccoli lì vicino. Trevor non è un tipo di molte parole, ma con lei riesce a sciogliersi, persino a ridacchiare all’improvviso senza un vero motivo, mentre immaginano a chi assomiglierà di più il bambino e provano a suggerirsi l’un l’altro qualche nome. Proprio durante uno di quei momenti ha tirato uno dei suoi primi calci, e l’euforia sorpresa dipinta sul viso del compagno è rimasta con lei per tutti i giorni a venire.

Lo guarda, gli occhi socchiusi, e pensa che, se potesse fermare il tempo, lo farebbe ogni giorno per un’ora, così da far durare di più quell’istante in cui sono vicini, avvolti da una calma quasi perfetta.

“Lo pensi davvero?”
“Perché non dovrei pensarlo? Certo che ne sono felice. Mi è già capitato di fermarmi nello stesso posto per più tempo, quando ero con il nonno e gli altri… se da qualche parte c’è bisogno di un Parlatore, è giusto che quel Parlatore resti lì” spiega. Trevor allunga la mano per prendere la sua, traccia con lei quei disegni pigri che forse il piccolo Belmont riesce a percepire. “Dana, suo padre, la famiglia di Ion… ormai si affidano a noi, non potrei mai andarmene lasciandoli soli. E poi, abbiamo sempre tempo per partire per altre avventure, quando saremo in tre.”
“O in quattro, chi può dirlo. E se fossero due gemelli?”
Sypha finge di spaventarsi all’idea, si preme addirittura una mano sulla bocca. “Impossibile, Belmont. Nella mia famiglia non ci sono mai stati gemelli.”
“Oh beh, nella mia sì. Il mio trisavolo aveva una gemella, e nella generazione successiva devono essercene stati almeno due.”
Sypha gli assesta una pacca sulla testa perché smetta di ridere, ma non riesce a fermare il sorriso che le si allarga sulle labbra. “Va bene, in caso siano due gemelli li chiameremo Helena e Adrian. Helena come tua madre, Adrian in onore di Alucard. Che ne dici?”
“Mai! Quel bastardo non deve avere la soddisfazione di trovare il suo nome in uno dei miei alberi genealogici. Immagina quanto la cosa potrebbe riempirlo di orgoglio.”

Sypha lo pizzica e iniziano una lotta silenziosa fatta di baci, morsi e colpetti, ma sotto a quel finto risentimento riesce a sentire che anche lui, in fondo, prova un po’ di nostalgia. Non è possibile trascorrere del tempo con una persona senza che quella lasci una traccia di sé nella vita degli altri pensa, e pensa anche che in qualche modo le piacerebbe tornare al castello a trovare Adrian. presentargli suo figlio, o sua figlia, camminare per la biblioteca dei Belmont in punta di piedi, far sentire meno solo l’amico con la loro presenza. 

Chiude gli occhi, e l’immagine di Alucard fermo nel buio silenzioso della biblioteca, il viso rivolto allo specchio, le fa stringere il cuore.

La sua tristezza è come un pozzo  gelido, senza fondo, che inghiotte la tua voce e tutto ciò che cerchi di  gettarvi dentro, ha detto a Trevor quella notte nella biblioteca. Se la loro presenza è riuscita a sciogliere quel ghiaccio anche solo per poco, allora vale sempre la pena di sperare in qualcosa.

Sospira appena. La luce delle candele trema appena, mentre Trevor avvicina ancora di più l’orecchio e assume un’espressione concentrata. “Tuo figlio, o figlia, sarà un lottatore nato” sospira Sypha, strofinandosi la pancia con una mano. “Senti come scalcia.”
“O figli”, sorride lui, senza lasciarsi sfuggire l’occasione. “Già hai dimenticato i piccoli Helena e Adrian?”

Sypha gli accarezza una guancia e socchiude gli occhi, guarda i disegni proiettati dalle fiamme del caminetto sul muro: la sera fa ancora freddo, per quanto ormai sia primavera a tutti gli effetti. Quella sera ha usato la magia per accendere il fuoco sotto al mucchietto di ceppi che Constantin, il padre di Dana, le ha portato per scaldarsi. Ha toccato il legno con i polpastrelli e, per un attimo, le è sembrato che anche l’aria attorno a lei fremesse, impregnata della forza degli elementi che stava evocando dalla sua parte. Mentre osservava le fiamme prendere vita, ha sorriso. Il compagno inspira ed espira piano, ancora appoggiato a lei, e non capisce se stia dormendo già o se sia ancora sveglio, a rimuginare chissà su che cosa.
 
 

*
 
 
In una delle tasche della cintura di cuoio marrone, appoggiata alla sedia dove sistema sempre gli abiti prima di andare a dormire, Trevor ha nascosto un oggetto di cui, fino a poco tempo prima, non si è mai preoccupato granché. È stato il sorriso di Sypha a farglielo venire in mente, qualche giorno prima: quel brillare unico degli occhi celesti che gli ricordano il mare che non ha mai visto se non nei racconti di suo padre, il suono della voce che ha spezzato il silenzio annullando lo spazio e il tempo. Ha detto qualcosa che nemmeno ricorda, forse un suggerimento a Dana su come bendare una ferita, ma ricorda bene quello che ha pensato: la sua vita non sarebbe mai stata completa senza di lei, senza la sua capacità di vedere sempre il meglio in qualunque cosa. Persino in lui.
In quel momento, la realizzazione è arrivata con la forza di un fulmine che squarcia il cielo.  

Sua madre, Helena Adelheid Belmont, portava al dito un anello con il simbolo della loro casata, una croce circondata da un fregio che, nei suoi occhi di bambino, prendeva la forma di due draghi rampanti. Un anello che le aveva donato il marito, l’unico cimelio rimasto dopo la caduta in disgrazia della famiglia; lo stesso stemma ricamato sui suoi abiti, che in tempi antichi ha ispirato rispetto e timore, ma ora vale quanto ogni aquila, albero o giglio di un qualunque nobile costretto ad elemosinare un pezzo di pane. Nonostante avesse affrontato un gran numero di disgrazie, sua madre restava la donna bella e fiera che l’aveva dato alla luce, sempre pronta ad incitarlo a non abbassare la testa. Suo padre invece, imperscrutabile come una statua di pietra, non si prodigava in consigli che potevano restare inascoltati. Quando la Chiesa aveva gettato la scomunica sulla famiglia e la gente comune aveva iniziato a rifiutarli come  avessero commesso chissà quale crimine, non aveva battuto ciglio: si era limitato a restargli vicino mentre lasciavano la residenza di famiglia ridotta in cenere, senza proferire parola. Di loro era rimasto solo quell’anello, la sua unica eredità insieme al nome dei Belmont, ed il peso della carezza che suo padre gli posava sulla testa ogni volta che gli chiedeva cosa ne sarebbe stato della loro vita. Quell’anello, ed il silenzio di un uomo riservato, con la mente piena di pensieri che non aveva mai confidato a nessuno.

Tale padre, tale figlio.   

Un giorno troverà il coraggio, riflette, mentre le palpebre iniziano a farsi pesanti per il sonno. Prenderà Sypha da parte e si inginocchierà per infilarle l’anello al dito, il cimelio passato di generazione in generazione che Christopher Belmont ha legato alla catenina che gli ha affidato quando era solo un bambino, e non sapeva ancora quanto la vita potesse dare e prendere in egual misura. Troverà il coraggio, e le chiederà di sposarlo.
 
 

*
 
 
Il mattino in cui i Parlatori giungono a Braila, il vento soffia grani di polline e petali di fiore intorno, coprendo le strade di un manto soffice che sembra neve fuori stagione. Sypha aspetta il loro arrivo sulla piazza della città, come se in qualche modo lo sapesse in anticipo. Forse è stato il vento stesso a portare con sé quella notizia, forse nonno e nipote sono collegati da un legame mentale che nemmeno la distanza riesce a spezzare, ma quando l’Anziano e i suoi compagni varcano le porte la ragazza sorride e spalanca le braccia, e un attimo dopo l’uomo la abbraccia con tutta la forza che ha.

Si accorge della novità senza bisogno di spiegazioni: una vita intera di viaggi e la nascita della figlia prima e della nipote poi gli fanno subito allungare una mano verso il ventre per accarezzare il bisnipote in arrivo, mentre con gli occhi cerca Trevor e gli rivolge un sorriso incoraggiante.  Sebastian e Pavel scaricano dal carro le loro provviste, poi si fanno aiutare da Arn a sistemare le tende subito fuori dalle mura della città, come sono abituati a fare all’arrivo in un luogo in cui intendono restare.

All’ora di cena, davanti al fuoco che Sypha e Pavel hanno acceso solo per illuminare il campo, la ragazza racconta le ultime novità ai compagni ed è così felice di essere di nuovo circondata dall’amore della famiglia che non smette un attimo di parlare. Trevor rimane in disparte e la osserva con attenzione, come se non l’avesse mai guardata veramente prima di quel momento, e si sorprende a provare un’ondata di tenerezza improvvisa, che quasi lo sconvolge. È talmente immerso nei suoi pensieri da non accorgersi dell’arrivo del nonno di Sypha.

Mircea, l’Anziano dei Parlatori, si siede accanto a lui e gli appoggia una mano sulla spalla.

“Rimarremo qui fino all’arrivo del prossimo inverno. Per quel periodo, il bambino sarà già nato.”

Trevor deglutisce imbarazzato e, come durante il loro ultimo incontro, non sa come rispondere. L’Anziano, però, sembra trovarsi a suo agio in quel silenzio, quasi riuscisse a leggere ed interpretare  le emozioni di chi gli sta accanto senza che l’altro debba spiegarle. Gli sorride di nuovo, dopo aver gettato un’occhiata alla nipote, che continua a parlare e ogni tanto, distrattamente, si sfiora la pancia nascosta dal mantello azzurro.

“Non devi avere timore di me, ragazzo… né di te stesso” lo rimprovera gentilmente. Le fiamme danzano al centro del braciere fatto di pietre, accompagnano i racconti dei Parlatori raccolti accanto a Sypha. L’ultima volta in cui si sono trovati così vicini l’inverno era alle porte, e l’Anziano lo ringraziava per qualcosa che nemmeno era merito suo. “Sei diverso dal giovane che ci ha salvati a Gresit, eppure sembri sempre nasconderti dagli altri, come se temessi il loro giudizio. Cosa può aver mai fatto uno come te, per imporsi da solo tanta solitudine?”

La notte è tutto meno che fredda, ma accendere il fuoco resta un modo per richiamare gli altri, condividere qualcosa, che si tratti di cibo o di storie. È il nome che porto, vorrebbe confidare Trevor, ma qualcosa lo blocca. Come posso essere un buon padre, se sto ancora cercando il mio riscatto? Non ho avuto modo di vivere la mia infanzia, mi hanno tolto prima quella e poi i miei genitori. Cosa dovrei insegnare ad un bambino, a parte uccidere mostri? Troppe frasi gli affollano la mente, troppe parole che bruciano la gola e il petto e di cui, comunque, non importa a nessuno. Nemmeno a Sypha l’ha detto, neanche sa perché: forse non voleva caricarla di un peso, ora che è felice e che, almeno lei, sembra aver trovato il proprio obiettivo?

 “Sai, ho conosciuto tuo padre” continua l’Anziano,  usando il tono pacato con cui, ne è sicuro, inizia i propri racconti destinati a scrivere la storia. “L’ho incontrato in una giornata di tempesta, in un campo di battaglia coperto dei corpi di creature oscure che aveva abbattuto per difendere un piccolo villaggio. All’epoca non eri nato e la Chiesa non aveva ancora gettato la scomunica sulla tua famiglia, ma le dicerie sul fatto che Lord Belmont utilizzasse in realtà la magia nera già circolavano velocemente di borgo in borgo… troppo rapide per essere fermate e smentite.” L’uomo scuote la testa e fa una pausa, forse per lasciarlo riflettere su quel ricordo che lo riguarda tanto da vicino.

“Le orde erano riuscite a distruggere il villaggio e ad uccidere molti degli abitanti, noi Parlatori avevamo appena fatto in tempo ad arrivare per prestare soccorso ai feriti e confortare i morenti, ma nella confusione e nel dolore una sola figura riusciva a mantenere l’ordine: tuo padre. Lord Christopher Belmont era coperto di sangue e zoppicava, eppure si avvicinava a tutti i feriti per chiedere loro come stavano, cercava di donare speranza, si informava sulle famiglie delle vittime… è stato in quel momento che ho capito, una volta per tutte, quanto le dicerie potessero nascere dal nulla e nutrirsi di bugie e malintesi. Un uomo assetato di potere, pronto ad utilizzare la magia nera pur di ottenerne ancora di più a spese dei propri sudditi, si sarebbe davvero preoccupato per la famiglia di una povera vedova che aveva perso i due figli? No, ovviamente. Tuo padre, invece, fece preparare immediatamente un campo alle poche truppe che gli erano rimaste, e ospitò sia noi Parlatori che i superstiti senza pensarci un attimo di più.”
L’immagine di suo padre gli attraversa la mente. Chino verso di lui, si toglie dal dito l’anello con lo stemma e glielo mostra. Questo apparteneva alla mia famiglia, l’ho donato a tua madre e ora che lei non c’è più passa a te, spiega, posandoglielo nel palmo della mano. La sua espressione, di solito seria e tesa, è piena di una malinconia affettuosa. Quante cose avrebbe voluto chiedergli, pensa, quanto avrebbe desiderato essere abbastanza grande per aiutarlo ad affrontare il crollo del suo mondo.

“Hai paura di non essere un buon padre, te lo leggo negli occhi.” Mircea si volta verso di lui e, inaspettatamente, gli prende una mano e la stringe. “Ho avuto le tue stesse paure, ragazzo… non sei il primo, e sicuramente non sarai l’ultimo a temere di non essere all’altezza di un compito sconosciuto. Ma ascolta le mie parole: la grandezza d’animo di Lord Belmont ha lasciato tracce in te, anche se non te ne accorgi. Eri un ragazzo sconfitto dalla vita, ti trascinavi per le strade senza uno scopo, e ora sei qui accanto a me. Hai iniziato salvando mia nipote e tutti noi, lì a Gresit, poi hai contribuito a salvare l’umanità, hai iniziato una nuova vita. E stai per diventare padre. Non sei orgoglioso di te stesso?”

Poco lontano, Sebastian costringe Sypha ad alzarsi dal tronco dove è seduta per accomodarsi a terra, la schiena appoggiata contro un cuscino che ha tirato fuori da chissà dove. Ma perché vi preoccupate tutti tanto? Sto benissimo, protesta lei, e Trevor non può fare a meno di accennare un sorriso. Mircea lo imita.

“Mettila così: se non ci fosse davvero del buono in te, Sypha non ti avrebbe mai scelto.”
“Sembra così felice” mormora Trevor, mentre si maledice per non riuscire a pronunciare altro che quella frase stentata. L’Anziano rivolge lo sguardo verso la nipote e annuisce. 
“Lo è davvero. Conosco bene Sypha… e posso dirti che raramente è stata così spensierata. Sembra che le brilli una luce dentro, mi riempie di gioia vederla così. Sei cresciuto, siete cresciuti entrambi, e dal poco che ho potuto vedere avete sviluppato un forte legame.”

Si volta di nuovo verso Trevor, posandogli addosso gli occhi anziani, che hanno assistito il corso degli anni e devono aver sofferto perdite e sconfitte, ma hanno mantenuto intatta la loro purezza. “L’unico augurio che posso farvi è quello che già ti ho rivolto, di essere felici. Sei più forte di quanto credi, Trevor Belmont. Non lasciare che il dolore del passato ti impedisca di vivere la vita che desideri.”

Si alza e, rivolgendogli un’altra occhiata gentile, si sposta per raggiungere la nipote e gli altri, ma prima che possa allontanarsi Trevor allunga la mano e gli afferra una manica, esitante.

“Grazie” sussurra, un mormorio appena percettibile che si confonde con lo scricchiolio della legna, ma che Mircea coglie perfettamente. Si guardano per un attimo in silenzio, finché Trevor non si alza assieme a lui e lo segue, unendosi al gruppo.
 

*
 
 
Ora che Sypha è impegnata tutto il giorno, tra l’aiuto a Dana e l’assistenza ai Parlatori, Trevor trascorre più tempo da solo e può pensare a come chiederle di diventare sua moglie.

Seduto fuori dalla bottega di Constantin, mentre l’uomo fischietta e spazza la soglia, si rigira l’anello dei Belmont tra le dita e riflette. Chiederglielo normalmente, con semplicità? Sypha, vorresti sposarmi? Avrebbe senso, ma non renderebbe giustizia a quello che prova per lei. Sorprenderla con qualche regalo, poi inginocchiarsi e metterle l’anello al dito come aveva pensato di fare fin dall’inizio? Sì, ma cosa potrebbe prenderle per stupirla davvero? Scuote la testa, continuando a rigirare l’anello tra le dita come se la soluzione al suo cruccio fosse scritta nel metallo. Il problema è che vorrebbe essere un altro, più sicuro di sé e affascinante, capace di indovinare le parole giuste al primo colpo. La persona che Sypha merita di avere accanto, invece dell’ex ubriacone Trevor Belmont, capace solo di combattere brutti ceffi nelle taverne e, occasionalmente, qualche mostro capitato per caso sulla propria strada.

Sei più forte di quanto credi, Trevor Belmont.

Passa il polpastrello del pollice sullo stemma, ripulendolo da qualche granello di polvere. Per quanto la loro impresa l’abbia reso più determinato nel proseguire il proprio cammino, ancora non si sente degno di vivere l’esistenza che davvero desidererebbe. Sospira. Mircea l’ha consolato, gli ha fatto capire chiaramente che non è il primo a provare quelle sensazioni, eppure le parole non riescono ancora a farsi strada attraverso la sua insicurezza.

Sypha, ascoltami. Tengo a te, più che a qualunque altra persona, e vorrei che fossi sempre felice come sei ora. No, rischia di scivolare nel patetico. Si afferra il viso tra le mani, coprendo gli occhi con i palmi aperti. Voglio restare con te. Voglio crescere il nostro bambino, viaggiare ancora. Se siamo arrivati fin qui, se sono arrivato fin qui con te, è perché hai creduto in me fin da subito.
Sposami, Sypha.

Preme le dita contro gli occhi fino a riempirsi il campo visivo di puntini luminosi. Perché deve essere sempre tutto tanto difficile, quando si parla dei suoi sentimenti?

Se non fosse così impegnato a pensare e ripensare a cosa dire, probabilmente noterebbe che anche la compagna si è assentata dal solito lavoro e, con la scusa di volersi riposare (subito accolta con molta gioia da Sebastian e Arn, che la costringono a sedersi ogni volta che la sentono emettere anche il minimo lamento) si è allontanata.

Quello che non sa, è che anche lei sta cercando il modo giusto di chiedergli la stessa cosa.
 
 

*
 
 
A Dana non l’ha detto. Probabilmente riderebbe della sua idea, e l’ultima cosa che desidera è essere contraddetta su una questione tanto importante. È riuscita solo ad avvertire il nonno che aveva bisogno di prendere una pausa per riposare le gambe che si gonfiano sempre più spesso e si è allontanata per un attimo verso il limitare del bosco, nella solita radura in cui lei e la ragazza raccolgono erbe mediche.

Una volta lì, inizia a camminare avanti e indietro, pensierosa.
Si è chiesta per giorni se fosse giusto. Addirittura se fosse appropriato, ma ha messo presto da parte quel pensiero: se davvero esistono comportamenti che la gente non si aspetta da parte delle ragazze, suo nonno l’ha sempre ignorati, crescendola come un semplice essere umano, non come una dama perfetta. E poi, riflette, il tempo le ha insegnato che a volte non è possibile aspettare il momento perfetto per dire qualcosa, non con una vita piena di avventure come la loro, con il pericolo sempre dietro l’angolo. Per cui, cosa la trattiene?
La paura, forse. L’idea di sbagliare, di fare un passo falso, di pentirsi. Perché dovrebbe aver paura di confessare i propri sentimenti, se è stata già abbastanza coraggiosa da chiedergli di partire insieme a lei?

Pensa a suo nonno, alla sua famiglia. Ai genitori che ha potuto conoscere per poco tempo, alla nonna e alle sue mani gentili, che le accarezzavano la testa ogni volta che si sentiva sola. Una volta, quando era adolescente, si era seduta accanto al nonno e l’aveva ascoltato narrare storie sulla sua famiglia: nella penombra di una giornata che volgeva al tramonto in una città di cui non ricorda il nome, si è persa nel racconto, immaginando scene che non aveva mai vissuto ma che riguardavano da vicino i suoi familiari. La voce del nonno creava scenari, riportava in vita voci che non li accompagnavano più se non nei sogni. “Non avevo niente da offrirle, a parte una vita insieme”, aveva concluso il racconto Mircea, gli occhi pieni di un sentimento che la Sypha di dodici anni non era riuscita a decifrare. “Ma lei l’ha accettata. Anche se non pensava di avere qualcosa con cui ricambiare, non si rendeva conto di quanto mi bastasse solo la sua presenza per essere felice.”

La nonna se n’era andata da poco, l’avevano seppellita in un cimitero non lontano da quella città senza nome in un giorno d’estate che le era sembrato freddissimo e senza fine. Non si era mai accorta di quanto al nonno potesse mancare la moglie fino a quel momento, in cui aveva preso la sua mano e si era limitata a fissare il cielo senza parlare, legata alla frase appena pronunciata…  che l’ha accompagnata durante gli anni.

Nemmeno lei ha molto da offrire a Trevor, a parte se stessa. Ma è anche il regalo più prezioso che possa fargli, e dentro di sé sente che la accetterebbe come ha già fatto in passato.

All’improvviso, è come se fosse pienamente consapevole di quel che deve fare. Sorride a se stessa e si sente pervadere da una strana sicurezza che guida i suoi passi fino alle case, fino alla bottega di Constantin, davanti alla quale Trevor si siede quando non deve lavorare per osservarla ed intervenire in caso ci sia bisogno di lui.

Quando la vede arrivare, i suoi occhi si illuminano.
 
 


*
 
 
Segue Sypha all’interno della bottega, senza fare domande. Sulle prime ha temuto che si sentisse male, ma lo sguardo della compagna l’ha subito rassicurato. Lei lo tiene per mano, lo porta fino alla stanza da letto e, una volta all’interno, si chiude la porta alle spalle con aria nervosa.

“Devo dirti una cosa, Trevor” esordisce, e sul volto dell’uomo, lento ma inesorabile, si dipinge il panico. Immagini terribili si affollano nella sua mente, una dopo l’altra, tutte le possibili situazioni di cui Sypha potrebbe volergli parlare e che spaziano da malattie a incidenti, fino al desiderio di ripartire, nemmeno due mesi prima del parto… come se lo avesse capito, lei sorride e gli si avvicina, con fare più rassicurante.

“In realtà avrei dovuto chiedertelo da tempo…” fa un gesto vago, poi si posa una mano sul viso e scuote la testa, sospirando. “Non sapevo come. Forse do l’impressione di sapere sempre cosa fare e dire, ma queste situazioni mi mettono in difficoltà.”
“Anche io devo dirti qualcosa, Sypha.” Trevor scatta in avanti, senza quasi accorgersene, in tono più brusco di quanto vorrebbe.

Eccolo, il momento della confessione. Doveva immaginarlo, che sarebbero arrivati alla stessa conclusione praticamente nello stesso momento… se la situazione non fosse tesa, probabilmente riderebbe. Cogliendo con la coda dell’occhio l’espressione interdetta della ragazza, cerca di elaborare in fretta le parole da dirle.

“In questi giorni…”
“Ho riflettuto sul fatto che noi…”
“…ci ho pensato a lungo, capisci, e poi…”
“… avremmo dovuto parlarne. Davvero. Quindi…”
“… ascolta!”

Si bloccano nello stesso momento e scoppiano a ridere: hanno esclamato la stessa parola sovrapponendo le loro voci, in una confusione comica. Trevor si schiarisce la gola, Sypha tossicchia per allontanare la risata imbarazzata e lo guarda di sottecchi. Adora vederlo arrossire, non glielo ha mai detto.

“Comincio io” esordisce lui, lasciandosi invadere da un’ondata di coraggio. “Stavo dicendo, in questi giorni ci ho pensato molto, più del solito. Per cui…”
Lei, testarda, lo interrompe. “No, lasciami finire. Io…”
“Ti amo” sbotta Trevor, e un attimo dopo, con suo immenso orrore, sente le guance iniziare a bruciare. “Ti amo, e sono un incapace totale con le parole. Ho immaginato milioni di volte quello che avrei dovuto dirti, ho cambiato ogni frase senza riuscire a trovarne una migliore… ma non so come metterlo in parole altrimenti, ti amo davvero, e mi sembra impossibile pensare ad un’esistenza senza di te. Mi hai offerto una vita, mi hai fatto vedere il mondo attraverso i tuoi occhi, dimostrandomi che esiste sempre qualcosa di buono per cui combattere. Hai accettato ogni lato di me… cosa ho fatto io in cambio, a parte lottare al tuo fianco?”
Prende un respiro profondo, sperando che non lo interrompa, ma è troppo impegnata ad osservarlo stupita per ribattere. Frugando nella tasca della cintura, estrae finalmente l’anello dei Belmont e si inginocchia davanti ad una Sypha dallo sguardo sempre più interrogativo. Poi le prende una mano, glielo infila goffamente all’anulare sinistro e la stringe tra le sue, quasi avesse paura di vederla sparire, come se quel momento non fosse altro che un’illusione nata dalla stanchezza delle giornate. “Sposami, Sypha. Resta con me. Se vuoi, voglio dire. Meriteresti molto di più, ma è tutto ciò che ho. Non…”

Sypha lo zittisce dolcemente,  posandogli un dito sulle labbra.

“Non ti avevo mai sentito parlare così tanto, Belmont” sorride. Prende la mano con cui le ha infilato l’anello, lo aiuta ad alzarsi e, solo quando si trovano più o meno alla stessa altezza, lo guarda negli occhi. È la prima volta che lo vede tanto imbarazzato e confuso, quasi si fosse lanciato in un’impresa ancora più disperata del solito, una di cui teme veramente l’esito negativo. Sembra un ragazzino alle prese con la prima cotta, ma in quei gesti c’è tanto dell’uomo che sta diventando, il suo nuovo coraggio, il desiderio di renderla felice, di essere felice, che è puro come la sua anima.

Come potrebbe anche solo pensare di rifiutarlo?

“Sì” sussurra, portandosi la sua mano alle labbra. “Certo che voglio restare con te, e sposarti. Non  c’è altro posto dove  vorrei andare, né  un’altra persona con cui desidero condividere la mia vita.”

Cita le parole di Trevor con un sorrisetto audace e, prima che possa precederla un’altra volta, lo bacia con tanta energia da farlo quasi cadere all’indietro. Afferra il bavero del suo abito e lo sente ridere contro le sue labbra, poi tirarla verso di sé – piano, per paura di urtarle la pancia – e ricambiare il bacio, affondando le dita nei capelli morbidi, che si allungano giorno dopo giorno.
Quando la lascia andare, Sypha appoggia la testa sul suo petto e restano fermi per qualche minuto, nel silenzio confortevole che hanno imparato a condividere fin da quel primo tramonto visto insieme.
 
 

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Il primo a  venire a conoscenza della lieta notizia, ovviamente, è il nonno. Mircea li abbraccia entrambi con forza, appoggia una mano sulla spalla di Trevor e sorride, senza dire nulla. Si scambiano solo uno sguardo,  ma basta a raccogliere tutte le parole che si sono detti fino a quel momento.

Dana, come Sypha aveva previsto, non sta nella pelle: inizia subito ad immaginare l’abito che indosserà, dove si svolgerà la cerimonia e che genere di cibarie potrebbe preparare, e non si lascia nemmeno scoraggiare dall’avviso che gli invitati, alla fine, non saranno molti: solo i compagni Parlatori, lei e suo padre e la famiglia di Ion. Prima che Sypha possa fermarla ha già pensato a dove trovare i fiori con cui decorarle i capelli, e un attimo dopo sparisce a cercarli, piena di un entusiasmo che è impossibile spegnere. La ragazza la guarda correre via e sorride.

Suo nonno le ha insegnato la promessa di matrimonio che lui e la nonna si sono scambiati anni prima, la stessa dei suoi genitori: ormai l’ha imparata a memoria, ma Trevor le ha chiesto di insegnarla anche a lui perché desidera onorare le sue tradizioni e,  nel vederlo così convinto, il cuore le si è sciolto  in petto. Così si è seduta al banco della bottega e l’ha scritta su una pergamena, riga dopo riga, perché possa portarla con sé e leggerla quando lo desidera. La tradizione dei Parlatori riguarda più la narrazione a voce che lettura e scrittura, ma è sicura che nessuno dei compagni avrà da ridire. Una volta finito gliela consegna con grande solennità, ed è con altrettanta solennità che Trevor inizia a  studiarla, giorno dopo giorno, mentre Sypha lavora con Constantin o si gode gli ultimi raggi del sole estivo che giocano con la sua ombra, allungandola e accorciandola. Chiude gli occhi, dietro alle palpebre si formano puntini di luce che le fanno venire sonno. Ogni tanto il bambino scalcia con più energia, ed il pensiero del parto la spaventa e la elettrizza allo stesso tempo.

Trevor cammina avanti e indietro, ripete, sbaglia, scuote la testa e ricomincia. Memorizzare le parole giuste è sempre stata la parte dello studio più ostica per lui, fin da quando teneva compagnia al padre nella biblioteca di famiglia con la testa china sui bestiari, documenti passati di generazione in generazione e pieni di disegni e indicazioni sui vari mostri con cui i Belmont passati avevano avuto a che fare. Armi efficaci contro i licantropi, debolezze di vampiri e viverne, come neutralizzare ogni genere di creatura, terrestre o volante… insegnamenti che si affollavano nella sua mente di bambino e che, ogni tanto, ancora ricorda. Quella che tiene in mano, però, è tutto un altro genere di lezione. Ci tiene ad impararla nel miglior modo possibile, a non deluderla.

Ti offro in cambio la mia storia: che tu possa accettarla e arricchirla con la tua, con quelle che raccoglierai e farai… che raccoglierai e… no, non era così. Ah! Ecco: con quelle che raccoglierai e condividerai con me…
Hanno deciso di comune accordo che si scambieranno le promesse durante l’ultimo giorno del mese, nella radura dove i Parlatori hanno sistemato il loro campo. È stata Sypha ad avanzare la proposta, dopo una sera trascorsa a guardare le stelle, distesi sul mantello di Trevor. Lui si è limitato ad annuire, baciando una per una le dita della mano che indicavano le costellazioni. È sempre stato più bravo con i gesti che con le parole, e lei lo ama anche per questo.
 
 

*
 
 
L’ultimo giorno del mese li accoglie con una giornata di sole tiepida ed il cielo sgombro dalle nuvole. Non potrebbe andare meglio di così.

Dana, nessuno sa ancora bene come, è riuscita a prendere in prestito un vestito della misura di Sypha: bianco, lungo, le spalle coperte da un mantello, è semplice ma di buona fattura e, soprattutto, comodo. La aiuta ad indossarlo quasi saltando per la gioia, poi le infila nei capelli i fiori di campo raccolti quella mattina, fiordalisi e qualche spiga, altri fiori bianchi e gialli di cui la ragazza non conosce il nome. Li infila con pazienza nella treccia corta che è riuscita  ad acconciarle su un lato della testa, con i capelli  ormai più lunghi, fino a che Sypha non sente le lacrime farsi strada e una voglia prepotente di abbracciarla per ringraziarla di quella gentilezza. Per fortuna un attimo dopo è ora di andare, Trevor la aspetta assieme a suo nonno ed agli altri compagni, e il tragitto fino alla radura le sembra incredibilmente lungo, più lungo del loro viaggio dal castello fino a Braila, un percorso confuso come un sogno dai contorni indefiniti, eppure meraviglioso.

A parte il mantello nuovo – Dana è stata incredibile, pensa Sypha con riconoscenza – e gli abiti puliti, Trevor è sempre lo stesso: quella vista la rassicura. Lui incrocia il suo sguardo e riesce a malapena a trattenersi dal fissarla a bocca aperta, perché è bella come le regine delle favole che gli raccontava sua nonna, e non può fare a meno di continuare a guardarla in silenzio.

Sypha aspetta che Mircea appoggi la mano sulle loro per iniziare il rito. È il suo momento, il suo racconto, importante quanto il primo, quello che ha passato ai compagni quando era una bambina di dieci anni e iniziava appena a rendersi conto del proprio ruolo nella comunità. Proprio come allora, le batte il cuore e sente i palmi delle mani ricoprirsi di sudore.

“Io, Sypha del clan Belnades, nipote di Mircea dei Parlatori di Codrii, prendo la mano che mi tendi e ti offro in cambio la mia storia: che tu possa accettarla e arricchirla con la tua, con quelle che raccoglierai e condividerai con me negli anni. Come tu mi donerai le tue, io ti donerò le mie, assieme al mio cuore.” La voce smette di tremare, si fa pian piano più sicura, più forte. Trevor, che ha deglutito nervosamente un attimo prima, sembra trarre forza dalla sua tranquillità.

“Io, Trevor Christopher del clan Belmont, figlio di Christopher ed Helena Belmont, prendo la mano che mi tendi e ti dono in cambio la mia vita: che tu possa accettarla e portarla nelle tue storie, tra quelle che racconterai di noi e condividerai con me negli anni. Come tu offri il tuo cuore, io offro il mio, perché il loro peso sia lo stesso.” Inspira piano, felice: ce l’ha fatta. Non si accorge di afferrare il dito di Sypha in un gesto di insicurezza, ma la stretta che la ragazza gli restituisce è piena di gentilezza.

“Che i vostri discendenti possano raccontare la vostra storia nel tempo a venire” scandisce il nonno, unendo di nuovo le loro mani. “E che, da oggi in poi, possiate sempre camminare per il mondo in pace.” Si stacca e li guarda con un affetto a cui è impossibile rispondere a parole. Le risate e gli auguri dei Parlatori e degli amici arrivano attutiti, nonostante si trovino a poca distanza da loro.

Trevor la guarda negli occhi per l’ennesima volta in quella mattinata, e tutti gli invitati attorno non esistessero più: c’è solo Sypha, gli occhi che splendono come i fiori che le riempiono i capelli, il vestito bianco cattura la luce di fine estate. Si china su di lei e la bacia sulle labbra, fa scivolare le braccia attorno al suo corpo sottile e la stringe a sé, la abbraccia goffamente nel timore di spezzarla o sporcarla o farla soffrire, per quanto conosca bene la sua forza, per quanto sappia che non sarebbe in grado di farle alcun male.
Affonda il viso nell’abito che profuma di buono e, finalmente, si sente a casa.
 
 


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Quella notte, terminati i festeggiamenti, Sypha si spoglia tra le sue braccia e lascia che Trevor la accarezzi dalla testa ai piedi, mormorando frasi dolci ed insensate contro la pelle calda del collo, sulla pancia gonfia, sotto alle pieghe delle scapole. Aspetta che affondi la testa  tra le sue gambe e la sfiori con le labbra come ha imparato molto bene a fare da qualche mese, mentre lei stringe le lenzuola con le dita sudate e sospira, abbandonandosi, raggiungendo l’orgasmo. Mio marito, pensa tremando, cercando la sua mano e trovandola un attimo dopo.

È questo lo scenario che dovrò aspettare con ansia, d’ora in poi?, le ha chiesto lui all’inizio del viaggio, e rideva come non l’aveva mai visto ridere prima. Sì. Per sempre, ha risposto lei, uscendo dallo scherzo. Stava gettando le basi per una promessa futura, forse se n’era accorto, forse no.

Questa volta è Sypha a spalancare le braccia e ad accoglierlo sul petto: Trevor si accoccola su di lei, posa la testa sul suo cuore e i capelli scuri si allargano sulla sua pelle, scaldandola. Lo sente inspirare ed espirare, giocare tracciando piccoli segni sul suo corpo nudo mentre lascia che si riprenda dai postumi del sesso. Forse un giorno riuscirà a dirgli che adora dormire con i piedi stretti tra i suoi, percepirne il calore sulla pelle nuda, svegliarsi con la sua barba che le pizzica la guancia e il suo respiro regolare a conciliarle il sonno. Gli confesserà che le piace essere chiamata per nome dagli altri, ma quando è lui a pronunciarlo con voce roca e abbandonata, perso nel piacere che ha contribuito a dargli, sembra il suono più ammaliante che abbia mai ascoltato.

Ci riuscirà, e ci vorrà meno tempo di quanto immagina.

“Ti amo anche io, Belmont” sussurra, quasi rispondesse ad un discorso interrotto tempo prima e mai ripreso. Per un attimo teme che quella confessione si sia persa nel buio morbido della notte, ma lo sente fremere sotto di sé, alzare appena la testa per guardarla meglio. Le posa un bacio sul seno nudo, un suono delicato.

È pur sempre un inizio, sorride Sypha tra sé.
 
 


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La loro bambina decide di venire al mondo durante una mattina di pioggia autunnale, tra il vento che piega le chiome degli alberi ed il freddo che inizia a farsi sentire. Sypha spalanca gli occhi,  un dolore sordo ed intenso al ventre le fa capire chiaramente che non può rimettersi a dormire come niente fosse.

È Trevor a portarla in braccio, nonostante le sue proteste, fino a casa di Ion, dove la nonna li accoglie immediatamente e prepara l’acqua calda. Non ha pensato a chiamare Dana per non metterla in agitazione, ma poco dopo la ragazza arriva trafelata: il trambusto deve averla svegliata. Senza dire una parola, segue l’anziana e la mamma del ragazzino nella stanza in cui hanno portato Sypha ed iniziano a confabulare di erbe da infusi e metodi per diminuire il dolore delle contrazioni.  Trevor resta accanto alla compagna per rassicurarla nell’unico modo che conosce, tenendole stretta la mano e ripetendole che non è sola e andrà tutto bene. Non si rende conto che, allo stesso tempo, sta consolando anche se stesso.

Ion viene spedito dalla madre a chiamare Mircea e, non appena l’anziano si chiude la porta alle spalle, le donne li lasciano ad attendere in cucina mentre spostano Sypha nella stanza da letto del fabbro. Trevor la guarda mentre lascia andare la sua mano e, dopo anni che non lo faceva, si ritrova a pregare disperatamente qualunque divinità lo ascolti che non le accada nulla di male.
L’Anziano, accanto a lui, medita o forse lo imita pregando, chi può dirlo. Trevor affonda la testa tra le mani cercando di svuotare la mente senza riuscirci, i pensieri e le preoccupazioni minacciano di soffocarlo, gli tolgono il respiro, lo spingono ad alzarsi e vagare per la piccola cucina come un’anima in pena, poi a risedersi. Dalla stanza chiusa provengono le esclamazioni di incitamento di Dana, ansiti spezzati, il parlottare della donna anziana, che ha fatto nascere la metà dei bambini del paese e ormai sa perfettamente cosa fare e cosa ordinare alle altre donne. Un urlo di Sypha spezza il silenzio. Lui affonda le unghie nel palmo, digrigna i denti.
Le ore passano lentamente, tanto che non saprebbe nemmeno dire da quanto aspettano seduti lì, nella stanza resa ancora più buia dalla tempesta all’esterno. È sicuro di aver sentito varie frasi rivolte a lui (tra cui un “Belmont!” urlato in tono sofferente e la promessa di farlo a pezzi una volta uscita viva dalla stanza), ma l’agitazione che prova sembra impossibile da placare, per quanto cerchi di ripetersi che la nonna di Ion è la persona più adatta ad aiutarli in quel momento. Da soli non ce l’avrebbero mai fatta, riflette, e dentro di sé benedice la decisione di Sypha di restare a Braila.

Solo quando la porta si apre, accompagnata dal pianto di un neonato, si permette di aprire i pugni che teneva serrati. Un’ondata di sollievo lo attraversa da capo a piedi.

Dana gli fa cenno di entrare. Appoggiata ai cuscini del letto, rossa in viso ma felice oltre ogni possibile immaginazione, sua moglie gli sorride. È spettinata, ha gli occhi pieni di lacrime e la fronte imperlata di sudore, è bellissima e gli porge un fagottino di coperte, che Trevor sfiora appena, quasi avesse paura di distruggerlo.

La bambina ha i suoi stessi capelli scuri, divisi in tanti ciuffi soffici e impertinenti che le coprono la testa. Gli occhi socchiusi sono azzurri come quelli di tutti i neonati, ma qualcosa gli dice che manterranno quel colore anche quando crescerà. Svolge i lembi della copertina per guardarla meglio e si accorge di aver trattenuto il respiro: ha davvero paura di farle male senza volerlo, di non essere abbastanza delicato da tenere sua figlia in braccio. Come può un cacciatore di mostri, uno che ha sempre avuto a che fare con morte e violenza dalla nascita fino all’età adulta, toccare una creatura così indifesa senza lasciarle dei segni addosso?

Sypha sorride, annuisce per incoraggiarlo; lui sfiora la testina con un bacio impacciato, di chi non sa ancora bene come comportarsi di fronte ad un nuovo sentimento, poi la porge di nuovo alla ragazza perché se la stringa al petto.

“Helena” sussurra lei, asciugandosi il sudore dalla fronte con una mano. Il nome che ha suggerito quasi per gioco torna fuori e Trevor pensa che sua madre ne sarebbe contenta, come sarebbe felice di sapere che, anno dopo anno, la sua vita sta cambiando in meglio.  Sypha incrocia il suo sguardo, aspetta che si avvicini ad abbracciarle prima di chiudere gli occhi e riposare un po’, spossata dalla fatica del parto.
“Helena Rada Belmont”, aggiunge dopo un attimo. È poco più di un sussurro, e Trevor le culla piano entrambe finché non si addormentano.
 

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Il tempo passa, le stagioni lo seguono. Una volta trascorso l’inverno i Parlatori ripartono, e per quanto Sypha si senta triste all’idea di salutarli di nuovo, dentro di sé è certa che non ci vorrà molto prima che le loro strade si incrocino ancora.

Ormai Braila è diventata casa loro, un porto sicuro in cui approdare ogni volta che le ostilità del mondo li minacciano. Trevor guarda Sypha ridere mentre raccoglie erbe medicinali – è stato impossibile farla restare a letto per più di una settimana dopo la nascita di Helena, e anche ora che la bambina ha qualche mese non sembra aver compreso cosa significhi riposare per restare in forze – e pensa che, in fondo, un intervallo di tranquillità non renderà le loro esistenze meno interessanti. Quando Mircea e gli altri ancora soggiornavano in città, ogni sera si raccoglievano attorno al fuoco dell’accampamento per raccontare: le fiamme scaldavano l’aria, creavano le ombre e le luci che popolavano quei racconti sussurrati di bocca in bocca. Sypha si univa a loro, Trevor faceva addormentare la bambina ascoltando storie di luoghi lontani, resoconti di guerre finite secoli prima che avevano cambiato innumerevoli destini e forgiato eroi. Era bello sentire la voce pacata e gentile dell’Anziano alternarsi a quella chiara di Pavel e riempire la notte, tessere ogni giorno il filo di una storia destinata a continuare giorno dopo giorno. Così bello che, la prima notte in cui il falò è rimasto spento, la loro mancanza si percepiva come non mai.

È stata Sypha a riprendere in mano la situazione.

Non l’ha pensato come un rituale fisso: all’inizio era solo un modo per colmare il vuoto lasciato dalla partenza del nonno, di Arn e degli altri. Accendere il fuoco per scaldarsi le mani dall’umidità della sera di fine inverno, ricordare ogni evento inserendo qualcosa di proprio, frammenti di storie da lasciare in eredità ad Helena e a Trevor, come avevano fatto suo nonno e i suoi genitori con lei. Poi, una sera, Dana si è unita a loro e al racconto si sono aggiunte le sue osservazioni allegre, come fili di diversi colori intrecciati nello stesso ricamo. Ion, sua madre Mariana, Constantin, persino il fabbro e alcune donne del villaggio l’hanno seguita, finché la radura non si è popolata di nuovo e i racconti di Sypha non sono diventati leggende. Lei narra, il suo pubblico trattiene il fiato, ride, si infervora. Le fiamme continuano a creare lo scenario perfetto per le sue storie. È diventata la Parlatrice del villaggio, la persona da cui si recano tutti se hanno bisogno di un consiglio o semplicemente di ascoltare una storia che li ispiri, e Trevor pensa non esista ruolo che si addica di più a sua moglie.

Belnades e Belmont, ricorda sorridendo e guarda Helena, addormentata profondamente con il ditino in bocca. Se in passato ha pensato di non essere tagliato a diventare padre, gli è bastato trascorrere qualche giorno accanto a lei per capire quanto fossero infondate le sue paure: ormai si è abituato alla presenza di sua figlia, le sue braccia la accolgono spontaneamente, quasi fosse sempre stata con loro. Essere padre non è come diventare un cacciatore di mostri e rendere onore al nome dei Belmont; non deve impressionare nessuno, né dimostrarsi degno di una gloria effimera, che è andata e venuta di generazione in generazione. Deve solo amarla. Non esiste nulla di più semplice, e difficile.

Ti racconterò le storie dei tuoi nonni, piccola. Di come il mondo li ha traditi, e di quel che hanno fatto per me nonostante la vita li abbia messi in ginocchio, pensa.  Mi hanno odiato solo per la mia nascita, ma non permetterò che facciano lo stesso con te.
Può anche aver vagato per anni detestando se stesso e i propri antenati, ma la vita gli ha concesso una seconda possibilità, e lui l’ha colta: ha incontrato Sypha e Alucard, ha trovato la propria strada. Se non è un miracolo quello, non saprebbe come definirlo altrimenti.

I Belmont rinasceranno.

Sypha è felice. Ha imparato a coltivare la terra, a preparare medicine con le erbe. Continua a studiare e, quando sa di non essere vista da nessuno a parte Trevor, crea una fiammella con le mani e la guarda danzare tra le sue dita, per poi spegnersi al suo soffio come un filamento di sogno. Non smette di usare la magia: è un dono innato che non può abbandonarla, e che spera di aver trasmesso anche alla figlia, per quanto non sia facile capirlo (in fondo, anche lei ha iniziato a padroneggiarla solo da adolescente). Sa che molti ancora non la vedono di buon occhio, ma spera che le cose possano cambiare. La vita è mutevole, gli uomini accolgono e abbandonano le idee come le stagioni e forse anche quei pregiudizi, prima o poi, non saranno altro che un brutto ricordo.
La sera guarda Trevor mettere a dormire Helena e non trova più traccia di tristezza nei suoi occhi: anno dopo anno, quel velo di dolore si è trasformato in malinconia, poi è sparito del tutto. Non è stato facile, probabilmente qualche brandello degli anni trascorsi cercare di dimenticare il passato torneranno prima o poi a tormentarlo, ma è riuscito a vincerla quasi del tutto, il resto non ha importanza. I suoi respiri si sono fatti più regolari, gli incubi non lo tormentano più come una volta.

Quando ami qualcuno, custodisci i suoi sentimenti, pensa stesa accanto al marito mentre attende che il sonno arrivi, le dita che cercano le sue tra le coperte. Hai un potere immenso sulla sua vita, sul suo cuore: trascorrendo la vita accanto a Trevor, ha imparato a percepire i più sottili cambiamenti nel suo umore, a cogliere al volo lo sguardo che rivolge solo a lei, quel misto di complicità e dolcezza che non gli vede spesso sul viso. Ormai sono legati indissolubilmente, in un modo che mai avrebbe immaginato possibile anni prima, ma quel legame è diventato un punto fermo nella sua esistenza, tanto che non riesce più ad immaginarne una senza di lui. Hanno iniziato aiutandosi a vicenda, lavorando come una squadra per un obiettivo superiore: il resto è arrivato poco alla volta, con naturalezza.
Si è incaricata di proteggerlo, e non ha intenzione di rinunciare a quel compito.
 

*
 
 

La prima volta in cui Helena si alza in piedi e, tutta concentrata, muove qualche passetto verso la madre che la aspetta a braccia aperte vicino ad un albero, Trevor le rimane dietro come un’ombra. È combattuto tra il desiderio di aiutarla e quello di non fare nulla, ma si rende conto che la figlia deve imparare una cosa tanto importante completamente da sola.
Cade una volta, si rialza un attimo dopo un po’ incerta e si getta tra le braccia di Sypha, che scambia subito uno sguardo d’intesa con il marito.

L’estate colora gli alberi di verde, Dana indossa abiti sempre più leggeri e le giornate si allungano. Anche se tempo prima si erano ripromessi di riprendere il viaggio una volta che la bambina avesse imparato a camminare, non hanno nessuna fretta: esisteranno sempre nuovi villaggi da difendere dai mostri, dove un Belmont e una Parlatrice potrebbero offrire il loro aiuto. Per ora possono restare fermi a costruire le loro vite, mentre il mondo continua a girare e l’autunno prende il posto dell’estate, mentre Helena continua a crescere e a mettere i denti e i Parlatori tornano di nuovo a Braila, con il loro carico di storie da condividere.

Il fuoco non serve più a riscaldare le notti ormai tiepide, ma ai racconti di Sypha non manca mai il pubblico. Trevor le appoggia le mani sulle spalle mentre racconta, affonda il viso nei suoi capelli e si lascia trasportare dalla storia che riempie l’aria, dimenticando tutto il resto.
































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Sono stata titubante fino alla fine se pubblicare o no questa storia, ma alla fine mi sono decisa. Perché adoro Sypha e Trevor con tutta me stessa, l'evoluzione del loro rapporto e come passano da essere praticamente due estranei a due persone legate da un rapporto sempre più profondo e affettuoso, e li amo come personaggi singoli: l'anime riesce a cogliere meravigliosamente le sfumature del loro carattere e li rende completi e intensi. Un lavoro veramente incredibile, che mi ha fatto apprezzare la serie ancora di più.
Era tanto che non mi capitava di dedicarmi ad un racconto con entusiasmo, scrivendo giorno per giorno e aspettando con ansia il momento di mettermi finalmente a tavolino per raccontare quel che mi passava per la mente, e in qualche modo è stato terapeutico. Sp
ero possa piacervi così come ho amato scriverla, e che l'amore che ho messo nel tratteggiare le vicende e i personaggi arrivi anche a voi! 
La voce di Birdy mi ha accompagnata durante tutta la stesura, in particolare le sue cover di 1901 e The District Sleeps Alone Tonight. La prima in particolare rappresenta un po' il "mood portante" della storia: se vi va ascoltatela mentre leggete, merita davvero. 


Grazie alla mia bae Ailisea per avermi introdotta al fandom, e alla saga in generale. Questa storia esiste soprattutto per merito suo e della sua pazienza: ha corretto e riletto, controllato e consigliato, e come sempre mi ha sostenuta nei momenti no in cui il blocco dello scrittore e la mia scarsa autostima mi facevano odiare qualunque mio scritto. Non ti ringrazierò mai abbastanza <3

Rey


E ora, le doverose note!


1. Mircea è il nome del nonno di Sypha (e Radu del padre, da cui il femminile Rada) in “Search the Darkness”, la bellissima fanfiction di WaywardLass (pubblicata su AO3) che consiglio assolutamente. È una vera manna per tutti gli appassionati di storia medioevale e di Castlevania, ed è scritta meravigliosamente, per cui - se ancora non l’avete fatto - LEGGETELA SUBITO e riempitela dell’amore che merita.
Tutti i dettagli riguardanti la formula nuziale dei Parlatori, invece, sono di mia invenzione. 

2. Il nome di Lord e Lady Belmont, i genitori di Trevor, non è riportato in nessun gioco o media della saga, per cui li ho immaginati come Christopher (che poi viene indicato come secondo nome di Trevor) ed Helena. Sono di mia invenzione anche i vari dettagli sulla loro storia, a parte la distruzione della casa di famiglia, che dovrebbe avvenire qualche anno prima della serie (non si capisce bene, credo una decina o giù di lì). 

3. I fiordalisi, nel linguaggio dei fiori, rappresentano la dolcezza, la leggerezza e l'amicizia sincera, e si regalano alla persona amata. 



 
   
 
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