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Autore: Jordan Hemingway    05/01/2019    1 recensioni
Una città di cacciatori. Una faida secolare tra Gilde rivali. Una creatura che può essere avvicinata solo in sogno, due nemici giurati uniti da un incantesimo sbagliato e una coppia di impostori pronta a tutto pur di salvarsi la pelle.
Se i sogni si mischiano alla realtà tutto diventa possibile.
La storia partecipa al contest indetto da E.Comper sul sito, ‘Cronache di Cacciatori’
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 8 Simphony


 

“Lo avete sempre saputo” ripeté Cecilia. “Tuttavia avete continuato a fingere: volevate avermi qui in vostro potere,” dedusse rapidamente, “e volevate anche le Schiere.”

“Un vero peccato non avervi dalla mia parte, mia cara.” Mastro Valdemar sembrava davvero afflitto al pensiero.

“Perché?”

“Per distruggere finalmente le Schiere Rosse e Mastro Sael.”

Cecilia sbuffò. “Avreste potuto farlo molto tempo fa. Perché servirvi di me?”

“Le Schiere sono sempre state caute: questa era l’occasione perfetta per averli tutti in mio potere.”

“State mentendo di nuovo.” La faerie cercò di prendere tempo: non sapeva che cosa avesse preparato Valdemar per lei, ma forse non aveva calcolato la presenza di Johannes. Un Princeps Alchimista al quale doveva una Medusa: questo era il momento di intervenire per proteggere il suo investimento, Cecilia sperò lo capisse in tempi brevi. “Anche distruggendo le Schiere ci sarà sempre una Gilda pronta a prenderne il posto: siete troppo intelligente per non averci pensato. A meno che…”

Un pensiero le trapassò la mente, in ritardo.

“Continuate.”

“A meno che la fine delle Schiere non diventi un monito per ogni altro cacciatore che decida di mettersi contro di voi, Sindaco compreso.” Sentiva la testa farsi pesante.

“Sono sempre più dispiaciuto di non potervi avere tra le Luci.”

Il Mastro sorrideva e Cecilia si ritrovò a capire il perché della paura che quel vecchio incuteva a chiunque lo avesse conosciuto. Era il sorriso di un bambino che non fa differenza tra accarezzare un gatto e strappargli la coda, perché apprezza in ugual modo le fusa e i miagolii di dolore. Il sorriso di una persona lucida e amorale.

“Sembrate non avere dubbi su questo punto.” Radunando le forze che scemavano la faerie pestò un piede a Johannes, il quale si limitò a scostarlo con una smorfia.

“Vedete, mia cara, c’è già qualcuno che vi reclama.”

“Avrei preferito qualcuno di meno rumoroso.” Princeps Johannes si alzò dal tavolo proprio nel momento in cui Cecilia vi crollava per effetto del filtro che le aveva versato nel bicchiere. “Tuttavia una volta trasformata in Medusa andrà benissimo.”

“Voi…” Cecilia cercò di parlare. “Avete perso la vostra tenuta… Non siete in grado di trasformare nemmeno il piombo… In oro…”

“Esatto!” Sbottò Johannes. “Per questo sono dovuto venire fin qui: ho perso tutto.” Sollevò la faerie per i capelli senza che lei potesse opporre resistenza. “Compresa la mia pietra filosofale: la mia vita finirà tra qualche giorno.” Fissò Cecilia con rabbia. “Tu sei responsabile del disastro, tu diventerai la mia Medusa per l’eternità.”

“È stata una buona occasione per rivederci dopo tanto tempo, Princeps.” Mastro Valdemar schioccò le dita e alcune Luci entrarono nella sala per prendere in consegna Cecilia. “Ho finalmente potuto ricambiare il favore per quella vecchia faccenda.”

Johannes recuperò la calma. “Ed io sono lieto di vedere che i risultati di quel mio piccolo esperimento siano stati positivi: quanti anni sono passati? Più di cento? E siete invecchiato come se ne fossero passati venti: l’alchimia è più stabile della magia nel caso di una Medusa legata a un padrone. Anche se questa volta non potrò agire di persona e dovrò affidarmi proprio alla magia.” Storse la bocca.

“Avevo ragione allora.” Cecilia riuscì a sorridere. “Siete voi, Mastro Valdemar… La lunga vita… Le gallerie… Tutto torna: siete voi il padrone della Medusa… Di Helena.”

“Helena…” Il Mastro assaporò il nome sulla lingua. “Da quanto tempo non sentivo pronunciare il suo nome: è stata colpa sua, sapete?” Incontrò lo sguardo di Cecilia. “Se non avesse cercato di lasciarmi… Sfortunatamente non è il momento per i ricordi.” Un altro schioccò di dita e questa volta le Luci che entrarono portavano con loro Corin Lance, le cui mani erano legate dietro la schiena. “Abbiamo visite.” Valdemar si alzò traballando. “Dobbiamo accogliere Mastro Sael con tutti gli onori se vogliamo che si presti alla nostra piccola trasformazione.”

 

 

Quando Tales vide Rayla Sael sul balcone del Mastro e buona parte delle Schiere nello spiazzo antistante, per un istante credette che il piano fosse andato a buon fine nonostante tutto.

Capì che la situazione era ben diversa vedendo che non solo le Schiere erano tenuti sotto tiro da quasi l’intera Gilda delle Luci Grigie – che era evidente fosse riuscita a sopraffare la finta scorta di Chiras e tornare indietro in tempo per accerchiare i Rossi in missione – ma che sia Rayla che Corin erano legati e nelle mani della guardia personale di Valdemar e che il corpo di Cecilia era stato buttato a terra accanto alla balaustra senza nemmeno sprecare lacci o corde per immobilizzarla.

“Che storia è questa?” Gerda spalancò gli occhi al vedere il comandante imprigionato e si mosse verso il balcone. Il Guercio riuscì a fermarla ma anche lui pareva sbalordito.

Che cosa stava succedendo?

“Ho sempre pensato che fosse un incantesimo interessante: morire alla morte dell’altro.” Il Mastro stava ridacchiando come al solito ma questa volta Tales sentì brividi corrergli lungo la spina dorsale fino alla punta della coda. “Aspettavo da anni un’occasione per poterlo sfruttare.”

“È per questo che mi avete accolto tra le Luci Grigie?” La voce di Corin esprimeva tutta l’amarezza e la rabbia di chi viene tradito da un familiare.

“Certo.” Il Mastro sembrava stupito dalla domanda. “Forgiare un buon comandante è facile ma un’esca per un futuro Mastro,” guardò Rayla gongolando, “non lo è per niente.”

 

 

“Dovresti svegliarti.” La voce di Helena veniva da molto lontano. “Prima che sia troppo tardi.”

Cecilia sentiva la propria testa pesante, ovattata. Sarebbe stato bello stendersi e dormire, sognare per un po’, smettere di affrontare problemi che ogni volta diventavano più grandi del previsto.

Una folata di vento – o almeno qualcosa che vi assomigliava molto – le attraversò la mente, spazzando via il sonno e l’effetto del narcotico alchemico.

“Svegliati.” Furono le parole di Helena. “Prima che risveglino me.”

 

 

“Ho bisogno di tempo.” Rayla era pallida ma manteneva la sua aria fiera. “Tipico di un alchimista credere che la magia possa risolvere tutto in tempi brevi” fu la frecciata verso Johannes.

“Niente scuse, strega.” L’alchimista sbatté il bastone sulla balaustra scolpita nella pietra. “Fallo adesso.”

“Non farlo.” Corin parlò con voce sicura. “Anche se dovessimo morire: non farlo.”

“Ah, ma questo è il punto di tutta la questione.” Mastro Valdemar sfiorò la guancia di Rayla con le dita incartapecorite. “Lei vuole farlo. Non è così, ragazza mia?”

Gerda seguiva la conversazione senza perdere una parola così come tutte le Luci, notò Tales. A giudicare dalle loro espressioni imprigionare Corin Lance non sembrava essere stata una mossa lungimirante da parte del vecchio Valdemar. “Vuole evitare la morte fino a questo punto?”

Guardano il viso di Rayla il Minotauro finalmente capì quale fosse il tassello mancante. “Penso sia per il motivo opposto.” Sia il Guercio che Gerda trattennero il fiato. “Mastro Sael farà qualsiasi cosa per impedire che il comandante muoia.”

Rayla continuava a esitare. “Ci lascerai andare?” Domandò a Mastro Valdemar indicando le Schiere.

“Chissà.”

“Non lo farà mai.” Era di nuovo Corin. Il bastone di Valdemar calò rapido sul suo viso: il colpo lasciò una striscia rossa sul viso del comandante e il brusio che proveniva dalle Luci aumentò.

“Stiamo negoziando la tua vita e quella della persona con cui a quindici anni hai stretto un patto, rinunciare a sopravvivere se lui fosse morto. E viceversa.”

“Taci” sibilò la maga ma il Mastro continuò.

“Mastro Helga era furiosa: la sua erede designata che mette in pericolo anni di addestramento per un ragazzino qualunque. Non potendo ucciderlo si limitò a fare l’unica cosa sensata: rinchiuderlo dopo avergli inflitto una buona dose di dolore.”

“Puro buonsenso” borbottò Johannes.

“Peccato che il ragazzino inizi a odiare l’erede designata, incolpandola di tutto, e che quest’ultima decida di liberarlo,” Mastro Valdemar rise, “e di spedirlo nel luogo più sicuro per lui con ogni mezzo, anche facendosi odiare tanto da spingerlo a unirsi ai nemici storici delle Schiere.”

“Lo hai fatto per questo?” Corin dovette alzare la voce per farsi sentire, dato che il brusio tra Luci e Schiere era diventato una cacofonia di voci sovrapposte. “Mi hai scacciato per tenermi al sicuro?”

Rayla non rispose.

“Stiamo perdendo tempo!” Sbottò Johannes. “Tu, strega,” si rivolse alla maga, “dammi la mia Medusa adesso.”

“Ho un ottimo metodo per affrettare il processo.” Valdemar puntò il bastone a terra. “Risvegliati,” ordinò al vuoto, “E vieni qui.

 

 

La prima cosa sbagliata fu il tremore nelle pareti di roccia attorno a loro, talmente forte che per un attimo Tales credette a un terremoto.

Le lanterne che illuminavano l’ampia caverna oscillarono tutte assieme per effetto del vento improvviso che proveniva dalle gallerie, precisamente dai corridoi che portavano alla parte inesplorata del labirinto di cunicoli.

Nel panico le Luci e le Schiere, abbandonando i rispettivi ruoli di carcerieri e prigionieri, si lanciarono verso le uscite ma non riuscirono a muovere un passo.

Tales sentì il proprio respiro farsi pesante: faticò a riconoscere la sensazione di oppressione al petto – era la paura della preda di fronte al predatore.

Tutto si fermò.

Mastro Valdemar rise.

Quello fu il momento che Cecilia scelse per rinvenire e saltare in piedi.

“Chiudete gli occhi!” Riuscì a urlare, ma era troppo tardi.

All’imboccatura di una galleria era comparsa la Medusa.

 

 

“Chiudete gli occhi! Non guardatela in faccia!” Cecilia capì di essere in ritardo non appena gridato l’avvertimento.

Dalla propria postazione riusciva a vedere la Medusa – Helena – solo in parte: il corpo deforme e scolorito, gli artigli da cui grondava il sangue delle Schiere e delle Luci che trovava sul suo cammino.

Schivando le mani di Johannes, contrariamente a ogni buonsenso scavalcò la balaustra e si precipitò verso la creatura.

“Dove credi di andare?” Le urlò Tales parandosi davanti a lei.

“Monco, che cosa credi di fare?” Dietro di lui si materializzarono Gerda e Petyr. “Dobbiamo andarcene da qui!”

La faerie prese lo slancio e si issò sulle spalle di Tales, ignorandoli. “Vado a risolvere il problema” li informò saltando su un tavolo per evitare la fiumana di cacciatori in fuga. “Voi!” Il Guercio e Gerda si immobilizzarono. “Aiutate Tales a liberare Mastro Sael e quel vostro comandante Lance prima che sia troppo tardi.”

“Hai un piano?” Chiese il Minotauro.

“No.”

“Ci farai ammazzare tutti!”

“Perché nessuno si fida mai di me?”

“Sarebbe lei il motivo per cui ci hai traditi?” Proruppe Gerda guardando la faerie allontanarsi. “Hai rifiutato me per una pazza scatenata?”

Il Guercio alzò l’occhio al cielo. “Sbrighiamoci. Se devo morire, voglio farlo in fretta.”

 

 

Era un’idea folle e Cecilia ne era pienamente consapevole.

Non erano più nel mondo dei sogni: quella era la realtà e in essa Helena era niente di più che un mostro assetato di vendetta e privo di ragione.

Eppure doveva provare lo stesso.

Correndo verso il punto da cui tutti scappavano Cecilia si concentrò sui momenti trascorsi con Helena: rievocò le loro conversazioni, i loro baci, ogni cosa.

Ormai si trovava alle spalle della Medusa: attorno a lei i corpi pietrificati di Luci e Schiere le indicavano quale sarebbe stata la sua sorte di lì a poco.

“Helena!” Urlò con la voce e con la mente.

La Medusa si girò.

 

 

Tales si faceva strada tra i cacciatori in fuga tallonato dal Guercio e da Gerda.

“Non li troveremo mai!” Gridò quest’ultima sovrastando il frastuono. “Potrebbero essere ovunque.”

“Mastro Valdemar può controllare quella creatura” ragionò il Guercio. “Non fuggirà assieme agli altri.”

“Cecilia doveva essere trasformata.” Tales raggiunse finalmente il balcone del Mastro, ormai vuoto e si addentrò nelle sale di pietra. “A Princeps Johannes rimaneva poco tempo: avranno bisogno di qualcun'altra per completare l’incantesimo…”

“Sapevo mi saresti stato utile, schiavo.” Prima che Tales potesse reagire Johannes, comparso dal nulla, aveva afferrato Gerda e le aveva puntato un pugnale alla gola. Mastro Valdemar apparve dietro di lui assieme a due uomini della sua guardia privata che portavano Rayla e Corin.

“Ottimo lavoro, Monco.”

Il Guercio emise un suono strozzato. “Quando avrò finito con te vorrai non essere mai nato” minacciò rivolto all’alchimista.

“Lasciatela andare!” La striscia di sangue che comparve sul collo della cacciatrice dissuase Tales dal fare un ulteriore passo avanti

“Procedi, strega, se vuoi che il tuo amico rimanga in vita e tu con lui.”

Rayla guardò Corin e alzò una mano iniziando a pronunciare un incantesimo.

Il Guercio si lanciò verso di lei a spada tratta: le guardie di Valdemar gli sbarrarono la strada ma Petyr rispondeva colpo su colpo con la disperazione di chi non ha più nulla da perdere.

La maga continuò a recitare parole arcane: sia lei che Corin caddero sul pavimento.

Vedendo una possibilità Tales lanciò la propria ascia su Johannes: per schivarla l’alchimista lasciò andare Gerda e si gettò di lato, rovinando addosso a Mastro Valdemar.

La testa del Mastro sbatté contro la parete di pietra.

 

 

La Medusa aveva chiuso gli occhi.

“Helena.” Cecilia sussurrò il nome come una preghiera.

I serpenti sulla testa della Medusa sibilarono sputando veleno e sangue.

In quel momento tutto si fermò di nuovo.

Uccidimi.

L’immagine di Helena, la ragazza accanto al lago, riempì la mente di Cecilia.

Uccidimi prima che lui riprenda il controllo.

Cecilia estrasse la propria daga e la portò davanti al viso.

La Medusa aprì gli occhi: il suo sguardo si riflesse nella lama d’acciaio, che si ruppe in mille pezzi.

Grazie.

Helena morì, dissolvendosi in polvere di pietra.

 

 

Mastro Valdemar si rialzò in piedi. “Tu!” Artigliò le dita attorno al collo di Johannes mentre la sua pelle iniziava lentamente a trasformarsi in polvere.

L’alchimista cercò di liberarsi dalla presa ma Valdemar sembrava impossibile da smuovere. “Vecchio idiota, lasciami andare o moriremo entrambi!” Le pieghe di pelle del collo di Johannes si colorarono di grigio, proprio come la pelle di Valdemar. “Lasciami!” Urlò di nuovo l’alchimista ma ormai era troppo tardi.

I due vecchi si rattrappirono mentre la loro carne si frantumava in pulviscolo grigio, lasciando scoperti ossa e muscoli che a poco a poco si dissolvevano nello stesso modo.

Le urla di Johannes furono le ultime a svanire.

“Gerda!” Il Guercio ne aveva approfittato per finire le guardie con l’aiuto di Tales e ora stringeva il corpo inerte della cacciatrice. “Gerda!”

“Piantala di perforarmi i timpani.” La cacciatrice socchiuse gli occhi e portò una mano alla gola ferita. Petyr la fissò senza parlare: con un unico movimento la strinse a sé e la baciò con trasporto.

Da quel che Tales poteva vedere, a Gerda la cosa non dispiaceva per nulla.

Imbarazzato tossicchiò e si grattò il moncherino del braccio, accorgendosi che sul palmo della mano rimastagli non vi era più nessuna traccia del Nero.

La morte di Johannes doveva aver posto fine a ogni sua opera.

“Credo che dovremmo uscire di qui.” Un corvo si appollaiò sulle sue corna.

“Sei viva!”

Cecilia gracchiò. “Perché tutti si stupiscono sempre?”

Tales notò che il suo becco era più lucido del solito, come se fosse stato bagnato con acqua.

“Che cosa è successo?”

Il corvo non rispose.

Le scosse ormai erano sempre più ravvicinate e la caverna sembrava sul punto di crollare da un momento all’altro.

Altri corvi svolazzarono nella sala e becchettarono Gerda e Petyr, i quali sembravano aver perso la cognizione del tempo. “Dobbiamo andarcene prima che crolli tutto!” Crocidarono con foga.

“Dove sono Rayla e Lance?”

Il Minotauro si voltò verso la maga e il comandante e si bloccò.

 

 

“Come è successo?” Chiese il Sindaco.

La luce del tramonto era accecante. Tales sbatté le palpebre bovine cercando di riadattare la vista dopo l’oscurità delle gallerie. Il rombo sotto i suoi piedi indicava che i giorni del quartier generale delle Luci Grigie si erano ormai conclusi.

Le Schiere e le Luci superstiti avevano formato un semicerchio nella piazza davanti al palazzo del Sindaco.

Cecilia, di nuovo in forma di donna, guardò Rayla stesa a terra. Le mani di Corin erano ancora strette a quelle inerti di lei.

“Testarda come sempre” sussurrò chinandosi a chiudere gli occhi dell’amica. “Piuttosto che cedere hai preferito morire.”

Corin alzò la testa. “Perché?”

Tales capì che era una domanda alla quale il comandante non poteva aver risposta, perlomeno non da lui.

“Perché sei vivo? O perché lei è morta?” Replicò Cecilia. “Se tu muori, io muoio con te. Se io vivo, vivrò assieme a te” citò. “Gli amanti di Terranera. La promessa d’amore del secondo atto: quell’incantesimo… L’avete deciso assieme?”

“Eravamo ragazzi.” Corin parlava con aria assente. “Avevamo trovato quel libro nella biblioteca di Mastro Helga. Lei era tutto per me ed io per lei: ci sembrò l’unica promessa degna di essere fatta.”

“Non è mai stato un incidente.” Il Sindaco sembrava invecchiato di colpo.

Cecilia lo guardò scuotendo la testa. “Una promessa d’amore non è mai un incidente.”

“Se solo…” Tales sospirò: l’esercito lo aveva abituato alla morte, all’incapacità di trovare una ragione al lutto, eppure ogni volta era come la prima. In fin dei conti era quello, e non il braccio mancante, il vero motivo per il quale aveva lasciato la vita militare.

 

 

“Se solo avessimo fatto più in fretta.”

“L’incantesimo poteva essere modificato ma non annullato.” Cecilia ricordò le parole di Rayla. “Credo che non ci sia mai stato un modo per far vivere entrambi senza di esso. Rayla credeva che Corin la odiasse, per cui ha deciso di liberarlo dalla promessa e di morire per non dover vivere senza quel legame.”

“L’ho odiata.” La voce del comandante era spenta. “L’ho odiata perché non riuscivo a odiarla. L’ho odiata perché l’amavo ancora.”

“Testardi tutti e due.” Cecilia guardò i palazzi e le finestre storte illuminate dai raggi rossi del tramonto. “Il vero motivo per cui le storie d’amore falliscono.” Si incamminò verso una rampa di scale passando accanto a Petyr e Gerda, il braccio dell’uno attorno alla vita dell’altra.

A un cenno del Sindaco le Schiere Rosse sollevarono il corpo di Rayla per portarlo all’interno del palazzo, seguiti da tutti i restanti cacciatori. Il destino delle due Gilde sarebbe stato deciso in seguito, non in quella notte.

Il Minotauro richiamò indietro la faerie. “Dove andrai?”

Cecilia alzò una mano per ripararsi dagli ultimi raggi del tramonto. Il palmo era vuoto, nessuna spirale nera.

L’immagine di un lago circondato da un prato fiorito le attraversò la mente.

Helena.

“A mantenere una promessa.” Nella luce che svaniva il suo corpo sembrava sfocato, tremolante. “Alla caccia di un sogno.” La sua immagine si spezzò e uno stormo di corvi prese il volo svanendo tra le nuvole della sera.


N.d.A.: Soundtrack del capitolo finale (e che aveva ispirato un po' tutto) qui: https://www.youtube.com/watch?v=aatr_2MstrI
Mi scuso per l'anno di stallo e ringrazio chi ha continuato a seguire/chi ha dato un'occhiata random a questa storia. 
Spero di riuscire a riprendere questi personaggi in futuro nonostante tutto.
Grazie!

  
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