Libri > Shadowhunters
Segui la storia  |       
Autore: The Custodian ofthe Doors    06/01/2019    2 recensioni
C'è una strana poesia nelle storie raccontate a Natale, che parlano di magia e di bontà, di qualcosa di mistico dettato dal cuore puro dei bambini e degli adulti. Racconti di vecchi uomini scorbutici che riscoprono le gioie della vita e quel barlume di felicità che rende l'esistenza degna di esser amata e vissuta.
Sono queste storie di fede, di giustizia, di magia che accendono e scaldano anche i cuori più sterili. Ma nessuno dice mai che dietro le luminarie colorate, i fiocchi di neve incantati e le tavole imbandite ci sono le torte bruciate, le decorazioni rotte ed il freddo devastante ed infinito della solitudine e del dolore.
Forse se si imparasse ad accettare anche questo lato del Natale, invece di nasconderlo, sarebbe tutto più semplice. Dopotutto luce e buio si nascondono a vicenda, sta a noi decidere di cedere all'abbraccio di uno o dell'altro, specie nel momento più magico dell'anno, quando veniamo chiamati a decidere se far ristringere il nostro cuore di due taglie o lasciarlo lievitare come il più buono dei dolci.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Christmas Carols.




 

Parte Prima.
Traditions.


 


 

- Ci sono cose che facciamo da quando siamo piccoli ma che non comprendiamo, quando i nostri genitori ci dicono “quando sarai grande lo capirai” e allora tu pensi che sei già grande e che non sei stupido e che puoi capire, ma non è così.
Ci sono cose che fai in automatico e poi, un giorno, per caso, malauguratamente, comprendi.


 


 


Se qualcuno gli avesse chiesto di descrivere uno scenario natalizio, sicuramente la prima cosa che gli sarebbe venuta in mente sarebbe stata la neve.
Era una distesa bianca che copriva i palazzi fumanti di New York City, che rimaneva in bilico sui fili del telefono, sciogliendosi e poi congelandosi subito dopo puntando verso il basso come decori vitrei di steli di ghiaccio. Il mondo senza suoni che avvolgeva tutto, che inghiottiva ogni singolo rumore tranne il crepitio croccante della neve alta e fresca schiacciata dagli scarponi dei viandanti.
Avrebbe pensato alle vetrine illuminate e addobbate con mille festoni, l'oro, il rosso, il verde, l'argento. Avrebbe pensato ai pini pieni di lampadine dalle forme più disparate, ai peluches vestiti di giubbette rosse e bianche, di cappellini da Babbo Natale. Avrebbe pensato alle decorazioni mastodontiche dei grandi magazzini, alla statua dorata illuminata dai fari potenti che si rifletteva sul ghiaccio compatto ma segnato dalle lame dei pattini alla Central Station. Le punte dei calzini umidicce malgrado non avessero toccato acqua, la sensazione strana di alzarsi su quelle fini linee di ferro, quella di scivolare sul suolo senza riuscire inizialmente a fermarsi, senza poter gestire la situazione, il tornare con i piedi a terra e sentirsi più bassi e stranamente stabili. Le mani congelate nonostante i guanti che stringevano un bicchiere di carta ricolmo di cioccolata bollente.
Si sarebbe dilungato a raccontare di come tutto il palacio si illuminasse a festa, come da ogni finestra pendevano fili di lucine di diversi colori, palline di plastica ormai ammaccate e sbiadite ma che venivano riesumate e poi meticolosamente rimesse al loro posto ogni 8 Dicembre e 6 Gennaio.
Sua madre chiamava qualcuno per lucidare i pavimenti di tutte le zone comuni, spesso poi anche di quelli di ogni appartamento, perché il Santo Natale tutto doveva brillare come una stella.
L'atrio veniva riempito di piante di stelle di Natale ed era del tutto inutile cercare di spiegare agli “adulti” che quei fiori non erano proprio natalizi.
Di certo si sarebbe ritrovato a ripensare a tutti gli alberi finti che lui, i suoi fratelli ed i suoi cugini erano costretti a trascinare in casa e piazzare ad ogni angolo opportuno scelto dalla matrona di turno, per poi esser chiamati per spostarlo qualora fosse arrivata un'altra donna a decidere che no, l'albero numero diciotto non poteva certo stare lì.
Gli sarebbe servito tempo per raccontare del piano d'attacco per cucinare che tutte le madri della famiglia concordavano agli inizi di Novembre, subito dopo la ricorrenza dei morti e dei santi. Probabilmente gli sarebbe servito ancora più tempo per spiegare la maniacale attenzione che veniva impiegata a casa sua per decidere la disposizione delle posate e delle “zone” per ogni fascia di invitati.
Le lunghe passeggiate, missioni esplorative, che tutti i nipoti dai quattordici ai trent'anni dovevano impiegare per trovare tutto ciò che serviva, con liste ben specifiche e suddivise.
La sua unica consolazione era che presto li avrebbe fatti anche lui quei benedetti trent'anni e quindi non sarebbe più stato compito suo andare a comprare i regali per le zie, gli zii, i cugini ed i nipotini, si sarebbe finalmente potuto fare i beneamati affari suoi e preoccuparsi solo dei suoi di regali.

Il Natale a casa Santiago era una cosa seria, serissima, che parlava di tradizioni antiche, feste religiose, riti da seguire e sberle in testa per chiunque avrebbe osato dire una parolaccia davanti a qualcuno: il giorno della nascita di Gesù Bambino nessuno doveva sporcarsi la bocca o le nonne gliel'avrebbero lavata con il sapone.
Raphael aveva assistito alla scena. Miguel ancora aveva i conati di vomito ogni volta che qualcuno comprava una saponetta alle rose.
Quell'anno poi sarebbe stato ancora più particolare visti gli invitati che sua madre aveva obbligato a presenziare alla festa.
Ci sarebbe stato da ridere, davvero tanto.

Raphael si strinse nel cappotto lungo e pesante che indossava. Era nero e con il bavero alto, suo zio Philipe gli diceva che era un vero cappotto da becchino. E lo zio era un becchino, quindi se non lo sapeva lui che indumenti indossava o erano adatti al suo lavoro non poteva saperlo nessun altro.
Stava girando per le strade senza una vera e propria meta, era arrivato sino a Central Parck e neanche se ne era reso conto. In verità voleva solo allontanarsi per un po' sia dall'Hotel che da casa sua, il parco gli ricordava momenti tranquilli e solitari e probabilmente i suoi piedi erano andati in automatico, se così poteva dirsi.
Gettò un'occhiata alla ringhiera che costeggiava una delle tantissime entrate al parco, dove la neve aveva coperto tutto di un manto spesso e così invitante che il ragazzo non poté biasimare i bambini che, oltre l'inferriata, prendevano la rincorsa per buttarsi di peso in quello strato compatto ma al contempo morbido di piccoli cristalli d'acqua.
Era ironico come una cosa così banale, che si trovava in presenza così massiccia nel loro mondo, e che ugualmente era così importante, potesse trasformarsi in qualcosa di così magico e perfetto.
Raphael amava la neve, più precisamente amava l'inverno, che si era ben presto guadagnato il posto di sua stagione preferita per via del freddo, del buio e della quantità di gente che preferiva rintanarsi nei locali invece di invadere le strade.
D'estate le persone popolavano le vie, sotto il Palacio si creava una comunità di matrone, comari e donne di ogni tipo che, sedute sulle loro sedie e sdraio portate dalle case, rimanevano fino a sera tarda a chiacchierare di ogni cosa, mentre gli uomini giocavano a carte ed i bambini correvano lungo le strade vuote, le macchine parcheggiate lungo i marciapiede come limitare di una carreggiata oltre la quale c'era il dominio dei genitori da una parte ed il loro mondo d'inventiva e giochi dall'altra. Gli adolescenti invece si nascondevano nei vicoli, alzando gli occhi al cielo quando qualche parente si rendeva conto di non vederli da troppo e li chiamava a gran voce, dando il via ad un infinito eco di genitori, nonni, zii e fratelli maggiori che facevano l'appello e ricordavano ai giovani che tanto lo sapevano dov'erano, facessero pochi scherzi.
Non si poteva dormire nel quartiere messicano quando era estate, non si poteva camminare per le vie senza che qualcuno ti riconoscesse, ti chiamasse e scambiasse con te le solite chiacchiere di circostanza che presto diventavano questioni di Stato su cui tutti potevano metter bocca.
L'inverno questo non succedeva.
Non c'era il silenzio del folto di Central Park, questo no, ma c'erano le macchine che procedevano a rilento, quelle accese da mezz'ora per far scaldare il motore, le strade poco trafficate ed i negozianti che spalavano via la neve accumulandola vicino ai tombini su cui poi andavano a buttare acqua bollente e sale per non farli congelare.
I bambini marinavano la scuola per la prima nevicata, neanche fosse una tradizione approvata e imposta. Giocavano tra un passante e l'altro, che magari era il vicino di casa, il dirimpettaio o tuo zio che tornava dal turno di notte; in ogni caso ogni adulto era autorizzato a dirgli di star attenti, di non correre che la neve sciolta è più infida di un serpente e di mirare bene e non prendere i viandanti.
Le vetrine dei negozi erano colorate e illuminate a festa, ogni volta che una palla di neve vi volava contro i bambini ridevano e scappavano, i garzoni erano costretti ad uscire fuori e pulire il vetro borbottando mentre i proprietari ridevano di quella marachella.
Le madri stavano ferme dietro le finestre chiuse e opache di brina, guardando con occhio critico i figli che si inzuppavano di neve e ridevano infilandosi quella poltiglia mezza sciolta nelle maglie e nei cappucci dei piumini. Aprivano i vetri solo per urlar loro di rientrare a casa, che stava cominciando a far troppo freddo, che la cena era pronta, che dovevano ancora finire i compiti.
Ma poi, la sera, scendeva il silenzio dei beati, dove nessuno osava più far un fiato, quando i giovani se ne andavano veloci per le strade stringendosi gli uni agli altri e non schiamazzando come facevano con i caldo.
Raphael lo apprezzava infinitamente, tutta quella calma, quell'ordine. E dire che c'era stato un tempo in cui le frizzanti giornate di primavera erano state le sue predilette, prima che un maledetto mostro decidesse di lavar via nell'acqua cremisi i peccati dei suoi nemici.
Ma non era quello il momento, il periodo, per far certi pensieri.
Alzò la testa verso il cielo, che con tutte le luci della città prendeva una strana colorazione che dal giallo dei lampioni sfumava nel blu della notte fredda, delle nuvole fitte e compatte.
Forse non doveva pensare al proprio rancore a Natale, ma sarebbe potuto entrare in una chiesa ed accendere un cero per suo padre, per tutti quei famigliari e quei compagni caduti nel corso della vita, vittime di cose più grandi di loro o di uno stupido proiettile vagante.
Si guardò attorno cercando di fare mente locale, quello non era proprio il suo quartiere, né famigliare né lavorativo, ma se non errava doveva esserci una chiesetta poco distante da lì, dopotutto la gente perbene dell'High Street non poteva non aver una chiesa in cui pregare e far vedere a tutti quali amorali buonisti fossero.
Si incamminò verso il folto delle case a schiera, quei piccoli palazzi di a mala pena quattro piani che ospitavano un unico nucleo famigliare, mentre il suo condominio di piani ne aveva nove e ospitava, letteralmente, tutta una famiglia, tutti i Santiago e acquisti.
Quando era piccolo Raphael si era spesso domandato cosa ci facesse la gente con quattro piani di casa solo per sé, ci organizzavano forse delle partite di calcio? Avevano la palestra? O magari ogni figlio aveva una camera tutta sua… Raphael aveva sempre condiviso la stanza con i gemelli, i fratelli minori, e solo ed esclusivamente perché ai maggiori serviva una stanza in cui stare tranquilli a studiare, se no màma non avrebbe mai preso una camera in più. Crescendo poi, mentre i suoi fratelli andavano al college o si prendevano il loro piccolo monolocale sempre nel palazzo, Raphael aveva cominciato a godere dello spazio che andava creandosi in casa, apprezzandolo così tanto da fargli prendere la solenne decisione che anche il suo Hotel sarebbe stato spazioso, immenso, quasi vuoto. Avrebbe potuto poi riempirlo di ogni genere di cosa, ma l'importante era che ci fosse abbastanza spazio per andarci in bici.
Certo, pensò sorridendo a tutte quelle porte abbellite di perfette ghirlande, probabilmente non avrebbe mai capito completamente quelle persone che nel lusso, nell'agio e nelle camere personali c'erano cresciuti, ma ugualmente quelle persone non avrebbero mai capito la bellezza che si nascondeva dietro ad una sala ingombra di troppa gente che portava un qualcosa per rendere le festività più belle, che cucinava fino allo sfinimento solo per vedere i volti gioiosi dei bambini ingozzarsi di ogni ben di Dio almeno una volta l'anno.
Era un buon compromesso alla fin fine. Seppur Raphael continuava a disprezzare il rumore e la calca.
Superò la 5th Avenue e continuò a camminare anche quando incontrò la grande chiesa dall'alta torre a cui tutto il quartiere faceva capo, non era quella la sua meta, ma la piccola chiesetta qualche isolato più in là, dove di solito non c'era molta gente e si poteva trovare tranquillità e serenità, un luogo in cui pregare senza sentirsi oppressi dai mormorii di tutti gli altri fedeli.
Forse Raphael stava ingigantendo la cosa, quello non era certo il suo quartiere, dove si potevano trovare centinaia di uomini e donne davvero devoti che pregavano ogni giorno, da quelle parti, nella New York bene, le persone andavano in chiesa solo per mantenere la loro immagine di bravi cristiani.
Un sorriso storto ed ironico gli piegò le labbra: se c'era un Dio da qualche parte, e Raphael era sicuro che esistesse anche se magari non era quello buono e misericordioso che tutti conoscevano, avrebbe servito il conto anche a quella gente. La falsità non sarebbe passata inosservata e neanche le visite di convenienza, specialmente nella casa del Signore.

La piccola chiesetta era proprio come la ricordava, forse giusto un po' più rovinata.
I piloni di cemento grezzo erano scrostati sugli angoli, un po' sbeccati forse dagli urti che avevano subito in tutti quegli anni. I sei gradini che rialzavano la struttura dall'asfalto erano anneriti e macchiati, la neve si accumulava nelle fughe del mattonato e negli angoli protetti dal gradino superiore. Il cancello e l'inferriata che proteggevano la proprietà della chiesa erano dello stesso colore nero-grigiastro del portone, dove l'unica nota lucida erano le maniglie toccate da così tante mani da averne reso liscio il materiale.
Raphael rimase per una manciata di minuti a fissare quella chiesetta, di medie dimensioni a ben pensare ma decisamente piccola se confrontata con quella principale. Si poggiò con le spalle alle barre di ferro e ammirò con un mezzo sorriso la cometa di led che luccicava accecante con pigra intermittenza. C'erano anche dei festoni sotto alla finestra degli alloggi, lo spirito natalizio aveva colpito anche quegli uomini di fede, dopotutto era pur sempre una lieta ricorrenza.
Con una leggera spinta si avviò verso il gradini, salendoli ad agio sino ad arrivare davanti al portone, spingendolo con una spalla e facendolo ruotare sui cardini.
La luce soffusa e calda delle candele si spandeva dalle file laterali, dove rastrelliere di metallo ospitavano decine e decine di piccoli lumi, alcuni accesi altri quasi consumati. Le luci elettriche erano spente fatta eccezione per quelle sotto l'altare e davanti al crocifisso, contornati entrambi da fiori freschi e rossi, tante stelle di natale con un vistoso nastro bianco e rosso, il logo di un'associazione che vendeva proprio quella pianta per raccogliere fondi per i senzatetto.
La navata centrare era piccola e forse una sposa con un vestito troppo vistoso non vi sarebbe passata comodamente, i banchi erano decisamente troppi per quello spazio eppure erano tutti usurati, come se ogni giorno venissero riempiti al massimo dai fedeli chiamati a raccolta.
Raphael sapeva che la presenza più massiccia era quella dei bambini, visto il doposcuola che la parrocchia offriva e anche i corsi per la catechesi, non gli era difficile infatti scorgere disegni abbozzati fatti con la punta della penna o con qualche gioco nascosto nelle tasche. Sfiorò quei solchi che rendevano così vissuto quel legno e sorrise senza rendersene conto: se fosse stato lui, o uno qualunque dei suoi fratelli e cugini, a rovinare così una panca, sua madre gliel'avrebbe fatta lucidare a mano finché non fosse tornata in perfetto stato. La gente lì era decisamente più permissiva ma, di nuovo, non credeva che tutti i frequentati fossero davvero interessati alla religione, molti di quei bambini obbligati a seguire la messa probabilmente erano lì solo per volere dei genitori. Una volta a settimana la domenica mattina, una preghiera veloce prima di portare tutti i piccoli ospiti della costruzione dietro alla chiesa, dove c'erano le ampie stanze in cui i bambini venivano tenuti finché i genitori o chi per loro non potevano venirli a prendere, e poi quelle fila tornavano silenziose e libere. Per lui e per chiunque avrebbe voluto pregare in pace.
Un rumore gli fece alzare la testa, togliendolo dai ricordi delle ore passate a leggere a turno un pezzo del vangelo o della bibbia, per vedere un ragazzino uscire di corsa da una porta laterale, la voce attutita di un adulto che gli diceva di non correre nella casa di Dio.
Subito dopo uscì un altro bambino ed il primo si voltò verso di lui per aspettarlo, un sorriso beffardo in volto e l'espressione vittoriosa. Non disse nulla, si limitò ad attendere che l'amico si intrufolasse tra le file di legno e poi scappò di nuovo via.
L'altro bambino borbottò qualcosa ma di punto in bianco si fermò, guardando con occhi sgranati Raphael come se non si fosse accorto di lui, come se a quell'ora nessuno sarebbe dovuto essere lì.

<< Mi scusi signore.>> disse il bambino arricciando il naso in un'espressione dispiaciuta.
Ma il giovane a mala pena s'accorse delle sue parole e del tono della sua voce. Mormorò un “fa niente” basso che fece riscappare via il bambino, lasciandolo solo con i suoi pensieri ed i suoi ricordi, un turbinio di immagini riaccese dal colore degli occhi di quel bambino, eventi di una vita prima che si collegarono con facilità, come se fossero scontati ed ovvi.
Possibile che non avesse mai realizzato la cosa sino ad ora?


 


 

Dicembre 2002.

La strada era imbrattata di bianco ed il vento tirava in modo impietoso, se fosse stato un po' più leggero lo avrebbe spinto via senza difficoltà, o almeno questo era quello che gli ripeteva il suo amico.
Di fianco a lui un ragazzo alto marciava con sicurezza verso una chiesetta nascosta tra i palazzi ben curati di quella zona d'élite della città. Teneva il cappuccio calato in testa ma Raphael riusciva comunque a scorgere qualche ciuffo biondo scappare da sotto il tessuto impermeabile. Aveva le mani ficcate intasca ed il ragazzo quasi sobbalzò quando una di queste si strinse attorno al suo braccio e lo tirò più vicino all'altro. Non l'aveva neanche visto muoversi tanto era concentrato sul dannato vento che lo colpiva in faccia senza gentilezza.

<< Rimani vicino a me, così ti copro un po'.>> gli disse con gentilezza, la voce morbida e musicale che veniva in parte inghiottita dal rumore del vento che si insinuava tra le case.
Raphael si strinse nelle spalle e poi un po' più vicino, ignorando la mano guantata scivolata sino al suo polso.
<< Sei solo di poco più alto di me, non è che mi copri così tanto.>> borbottò lui a testa bassa.
Il biondo rise ed annuì. << Concesso,
mon cher.>> poi tolse anche l'altra mano dalla tasca e la poggiò sul cancelletto della chiesa. << Forza, adesso entriamo al caldo.>>
Il ragazzo storse il naso. << Cosa dobbiamo fare in una chiesa? Ti avverto, non ho la minima intenzione- >>
<< Non dovremo sparare nella casa del Signore, tranquillo, siamo qui solo per una…
consulenza.>>
<< Da quanto gli uomini di fede hanno bisogno di noi?>> domandò Raphael guardingo, lasciando che l'altro gli aprisse anche il pesante portone.
<< Tutti prima o poi hanno bisogno di noi. Specie di
me.>> gli sorrise ancora e gli fece cenno d'entrare.

Raphael rimase fermo oltre la porta, scostandosi quel poco che serviva per far entrare il compagno e poi nascondendosi quasi dietro quelle file di banchi. Erano decisamente troppi per l'ambiente e anche un bel po' rovinati: ma quella non doveva essere una chiesetta vuota e poco frequentata?
Aggrottò le sopracciglia e fece un passo avanti, posando la mano sullo schienale di una panca e seguendo le linee incise da una qualche punta affilata.

<< I bambini dopo un po' si annoiano a seguire la messa o il sermone, spesso si mettono a scarabocchiare da qualche parte, spesso sui banchi.>>
Un uomo sulla quarantina era comparso vicino all'altare, Raphael si maledisse da solo per non aver fatto attenzione che ci fosse qualcuno in quella chiesa e dal sorriso del suo collega evidentemente lui se ne era accorto.
Si schiarì ugualmente la voce e lanciò un'occhiata fredda al prete. << Dalle mie parti fare una cosa del genere è inconcepibile.>> disse senza riuscire a nascondere quella nota di rispetto che sua madre gli aveva inculcato in testa verso ogni personaggio religioso.
L'uomo dovette rendersene conto perché annuì e poi fece un cenno verso di lui.
<< Non stento a crederlo.>> gli sorrise. Poi si rivolse all'altro. << È sempre un piacere rivederti e sono anche contento che tu abbia portato un nuovo amico.>>
Il biondo sorrise e strinse un braccio attorno alle spalle di Raphael. << Lui è Raphael Santiago, Padre Noah, non è proprio della mia famiglia, ma è un nuovo acquisto del Clan.>>
Il prete annuì. << Sotto l'ala di chi?>>
<< Dracula.>>
A sentir quel nome il volto dell'uomo si fece più duro, ma annuì una seconda volta. << Bene.>>
<< Non lo dica con quel tono.>> lo ammonì il ragazzo. << Sarà anche entrato tra le sue fila ma è stato affidato a me, è il mio uccellino per il momento.>>
Nel sentirsi apostrofare così Raphael si riscosse e cercò di tirare uno spintone all'altro che però non mollò la presa e anzi, lo strinse ancora di più a sé, posandogli un bacio sulla testa.
<<
Pierre!>> sibilò Raphael infastidito ed imbarazzato e allora il parroco sorrise di nuovo.
<< Allora per lui c'è ancora speranza.>>
<< La speranza è sempre l'ultima a morire, padre.>>
<< Sagge parole.>> convenne prendendo un profondo respiro. << Ma non siete qui per questo, giusto?>>
<< No, sono qui per ordine della mia famiglia, mi è stato detto che ha bisogno di noi.>>
Raphael dimenticò per un attimo la stretta del biondo ed il calore che ancora sentiva sulle guance dopo quello stupido bacio sui capelli e tornò immediatamente serio, scrutando con attenzione il prete e domandandosi perché un uomo di fede necessitasse dei servigi del Clan, nella fattispecie perché di quelli della famiglia dei
Sang vivant.
Padre Noah annuì cupo, sembrava non voler dir nulla, non su quell'argomento, e pensare che i preti avevano sempre così tanto da dire.
Pierre continuava tenerlo stretto a sé, attendendo con pazienza la decisione dell'uomo, un suo cenno.

<< Lui è coinvolto? >> si risolse a chiedere indicando Raphael che fece scattare lo sguardo dall'uno all'altro.
<< Se si sta chiedendo se sono una persona fidata- >> iniziò serio, ma Pierre lo stroncò sul nascere.
<< Lui è qui perché ci sono io.>> disse impassibile. << Non sarà un discorso semplice né veloce, Raphael rimarrà qui a controllare la sua chiesa, Padre Noah. Il compito è stato affidato a noi perché siamo la coppia migliore.>>
Le sue parole suonarono definitive quanto incoraggianti, il prete li scrutò con un sopracciglio alzato, per un attimo dimentico del suo problema. Puntò lo sguardo dritto in quello ceruleo di Pierre ma lui non batté ciglio, anzi, fece scivolare il braccio lungo la schiena di Raphael sino a raggiungere la sua mano e stringerla.
<< Non potevano capitarle persone migliori, mi creda.>>
Raphael si sentì incredibilmente a disagio, ritrovandosi a ricambiare quella stretta solo per aver conforto, per sentirsi dalla parte del giusto, così com'era giusto il calore che gli stava scaldando le dita in quella chiesa nascosta tra il lusso.
Avrebbe voluto alzare la testa e chiedergli se avesse qualche problema, senza specificare riguardo a cosa, ma aveva pure sempre davanti un uomo di chiesa e se la sua famiglia, tanto religiosa, aveva cercato in ogni modo di capirlo, di aiutarlo a sentirsi bene con sé stesso – quel poco che Raphael aveva concesso loro, sia di capire che di fare- questo non voleva dire che il resto del mondo l'avrebbe fatto. Questo non voleva dire che avrebbe mancato di rispetto ad una persona che rappresentava qualcosa di così importante e al contempo lontano ed effimero da lui.
Raphael era cresciuto come un vero cristiano ma suo padre e sua madre nella fattispecie lo avevano sempre messo in guardia su quanto ogni religione, ogni legge, ogni cosa, dovesse andare al passo con l'epoca ed i bisogno dei propri fedeli. Rispettare chi era portavoce di ciò in cui crediamo ma non permettere a quella persona di usare il nostro credo contro di noi. Accettare le regole ma capire quando queste erano metaforiche e quando no. Seguire i consigli del parroco ma finché non sfociavano in qualcosa che non potevamo tollerare.
La religione era un fatto di Stato in famiglia e anche a quell'età Raphael sentiva di non averla compresa pienamente.
Padre Noha spostò lo sguardo sul ragazzo e poi, inaspettatamente, gli sorrise.
<< Ci credo. >> disse solo prima di far cenno a Pierre di seguirlo. << Siediti pure dove vuoi, ragazzo, alla Casa del Signore tutti i posti sono liberi, per chiunque.>>
S'avviò verso la porta laterale vicino all'altare e lì sparì, probabilmente com'era comparso.
Pierre si voltò verso Raphael e gli prese il volto tra le mani, schiacciandogli le guance per fargli assumere una buffa espressione.
<< Pierre, smettila di fare il bambino, non è rispettoso qui.>> ringhiò Raphael cercando si sottrarsi a quel tocco.
<< Non è stato rispettoso neanche dubitare di noi.>>
<< Hai solo usato le parole sbagliate, è purf femfempe un uomo di fefe
Pieff!>>
Il biondo premette di più le mani ridacchiando, mentre l'altro lo spingeva via a suon di pungi sulle braccia. <<
Laffami!>> provò di nuovo.
<< Stai attento, non dovrebbe entrare nessuno, ma nel caso arrivasse qualcuno dei nostri o non dei nostri, mantieni la calma, vienimi a chiamare e alle brutte scappa.>>
<<
Fi e fi laffio qui da folo.>> borbottò arrendendosi.
<< Esatto, preferisco dovermi preoccupare solo di me che aver il terrore che facciano qualcosa a te.>> rispose lui senza vergogna.
Raphael sentì le guance scaldarsi e provò ad alzare gli occhi al cielo: chissà che faccia ridicola aveva in quel momento. E poi come poteva, quell'altro, dire certe cose con tutta tranquillità?
<<
Fei profio Franfefe.>> disse a bassa voce.
<< Come?>> sorrise Pierre.
<< Nuffa. Mi laffi?>>
<< Ti comporterai bene?>>
<< No, falirò full'alfere e fpaefò ai banfi.>>
<< Tanto sono già rovinati. Allora? Farai come ti ho chiesto?>>
<< Fu mi laffi?>> insistette il ragazzo.
Pierre allora ridacchiò, avvicinandosi per sfregare il naso gelato contro il suo.
Un brivido di ansia scivolò nello stomaco di Raphael, che fece scattare lo sguardo a destra e sinistra, cercando il prete che però non c'era, fermandosi a fissare gli occhi chiusi del Cristo in Croce.
<< Pieff… >> provò debolmente, ormai persino dimentico della stupida faccia a cui era costretto.
Le mani del giovane allentarono la loro presa, scivolando sulla sua mascella come una conca morbida e attirandolo verso di lui.
Fu solo un leggero bacio all'angolo della bocca, Raphael riuscì ad avvertire il calore di quelle labbra ed il freddo delle guance e del mento del biondo, poi chiuse gli occhi e attese solo che l'altro si allontanasse.
Deglutì un paio di volte, aprendo lentamente le palpebre solo per specchiarsi in quelle gemme cangianti d'azzurro.
<< Stai attento, promesso?>> gli chiese in un sussurro.
Raphael annuì. << Promesso.>> gracchiò senza voce.
<< Perfetto. Torno il prima possibile.>> se lo tirò di nuovo contro per dargli un altro bacio, questa volta sulla fronte, dopodiché seguì i passi del prete e scomparve oltre la porta laterale.

In quel momento, solo all'inizio della navata, Raphael si sentì più che mai come un peccatore in chiese. Aveva tante cose di cui pentirsi, alcune davvero terribili, altre stupide, ma si ritrovò seduto sull'ultima panca, con lo sguardo perso nei decori dell'altare, a domandarsi se anche essere felice fosse un peccato. Specie per uno come lui che di sentimenti ne provava pochissimi e spesso negativi.
In tutta la sua vita non era mai riuscito a trovare qualcuno a cui legarsi così tanto e così strettamente com'era successo con Pierre. Certo, aveva i suoi parenti che amava, ma quella non era una sua scelta, Raphael era nato da loro e tra di loro e l'affetto, il rispetto, l'amore che provava verso quelle persone era venuto alla luce assieme a lui, avevano tirato assieme il primo respiro e aperto per la prima volta gli occhi.
Raphael aveva visto l'amore nel volto di sua madre, lo ricordava nei tratti sbiaditi del volto di suo padre e lo scorgeva nascosto dal divertimento dietro i ghigni dei suoi fratelli, nelle spallate giocose mentre correvano per arrivare per primi sul divano o fuori in strada per giocare con la neve.
Amava in un modo strano e contorto Lily, quel demonietto con cui era suo malgrado cresciuto e con cui aveva stretto un sodalizio fraterno che non si sarebbe mai aspettato.
Provava affetto verso Catarina che sempre era pronta a medicare le sue ferite e a dargli supporto contro quel pazzo di Bane e in un qualche modo aveva finito per voler bene anche a lui.
C'era un sentimento forte e astratto che lo legava a Ragnor, fatto di rispetto, di fiducia, di una mano pronta a stringere la sua per tirarlo in piedi e di una sempre presente spada sguainata per difenderlo. Era una calamita che lo attirava e poi lo respingeva, un ballo di cui non aveva ancora imparato i passi ma che prevedeva solo la vicinanza dell'altro, non il contatto.
Poi era arrivato Pierre e tutto era cambiato: come Ragnor lo attirava ma con la forza della gravità. Lo aveva costretto a far combaciare le loro orbite senza un motivo apparente, gli aveva sorriso tra i suoi anelli e sbirciato oltre le sue lune. Pierre era qualcosa che non aveva mai provato, era il desiderio di quel contatto che non aveva mai tollerato e ricercato.
Con lui aveva capito che il ballo giusto fosse il valzer, che doveva posare una mano sulla sua e stringere l'altra al suo corpo, affidandosi alle sue braccia come Pierre si affidava a lui. Erano passi cadenzati, uno dopo l'altro, destra e sinistra, avanti ed indietro, girando in senso orario e poi antiorario ma senza curarsi di dove si stesse andando. Il valzer implicava giri concentrici, seguendo l'orbita che avevano deciso di condividere, o forse che si erano ritrovati a condividere. Ma non c'era bisogno di guardarsi attorno, bisognava solo guardarsi negli occhi e basta.
Dopotutto i pianeti seguono sempre lo stesso percorso no? Si avvicinano e si allontanano ma era sempre quella l'ellisse che percorrevano.
Forse un giorno l'emozione di muovere quei passi in sincronia sarebbe scomparsa, ma per ora Raphael voleva solo godersi il prossimo giro di giostra, sperando che questa non si fermasse mai.
Per tutta la vita si era sentito diverso dai suoi coetanei, dai cugini, dai fratelli, perché quello stimolo a cercare qualcuno da amare, quell'infatuazione dovuta solo da ormoni e stimoli celebrali lui non l'aveva mai avvertita, non ne sentiva la necessità e neanche gli veniva in mente. Che bisogno c'era di condividere l'etere con qualcuno? Che voglia si aveva di infilare la lingua nella bocca di un altro? Ma ci si rendeva conto dei germi, dell'alito o anche solo della stupidità ed inutilità della cosa?
Raphael se ne rendeva perfettamente conto, ma da quando aveva conosciuto Pierre tutte queste cose assurde avevano cominciato ad esercitare un certo fascino su di lui.
Alla fine dei conti però, per quanto tutto quello potesse imbarazzarlo, per quanto ancora gli facesse strano e non riuscisse a gestire la cosa, Raphael si reputò fortunato, dopo tutte le sventure il sole aveva deciso di sorgere anche nella sua vita.

Che sottile ironia era che avesse deciso di farlo proprio nel momento in cui si era unito ad un Clan che venerava le tenebre e aborriva la luce.

Un cigolio basso lo portò a muoversi involontariamente verso l'entrata.
Gli pareva troppo bello che nessuno decidesse di entrare a pregare proprio quella sera. Per fortuna i preti non erano commessi, non dovevano presenziare costantemente dietro l'altare.
Una figura alta, vestita con un giaccone nero ed il cappuccio calato sul capo, entrò a testa bassa nella chiesa. In situazioni diverse Raphael si sarebbe rigirato e avrebbe finto di pregare, magari l'avrebbe fatto davvero perché fingere non stava bene e non era rispettoso verso Dio, ma un rumore metallico gli impedì di farlo.
Aggrottando le sopracciglia si rese conto che il suono proveniva dagli scarponi dell'ultimo arrivato, che erano pesanti e parevano aver un rinforzo in ferro sulla punta e sul tacco. Erano scarponi da combattimento, di quei modelli simili a quelli militari o delle forze dell'ordine.
Scrutò con attenzione la figura in cerca di armi, esaminando i pantaloni scuri e macchiati sulla coscia destra, le mani infilate a forza nelle tasche del giaccone, i ciuffi scuri che uscivano dal cappuccio che non era del piumino ma di una felpa che l'uomo, o comunque il giovane, portava sotto.
Era alto, certo più di lui, doveva stare sul metro e settantacinque, ma la posa curva della schiena e le spalle chiuse lo facevano sembrare più basso.
Aveva un'aria cupa ma non minacciosa, o meglio: Raphael intuì facilmente che non era qualcuno contro cui mettersi, anche se non sapeva in che modo e fino a quanto, ma in quel momento non aveva intenti bellicosi, sembrava più… sconfortato?
Non una sola luce riusciva ad illuminargli il volto, ma Raphael scorse comunque una lama bianca come la luna, il mento del giovane su cui una linea pallida e tirata rappresentava le sue labbra.
Labbra per altro macchiate di un alone rossastro.
Si rese conto solo in quel momento che l'unica macchia di colore in quell'individuo era la scia che sfumava sulla bocca e sotto il naso, il rivolo denso e pastoso che colava lento dalla narice sinistra.
Stava sanguinando, Raphael se ne intendeva di sangue, lo riconosceva subito, al volo, e si diede dello stupido per non essersi reso conto prima che ciò che sporcava la gamba dell'uomo era altro sangue, forse non suo visto che il pantalone non era lacerato e lui camminava bene.
Lo sconosciuto avanzò qualche passo incerto verso l'acqua santa, tirò una mano fuori dalla tasca e l'allungò verso il recipiente per fermarsi a pochi centimetri dalla superficie lucida che risplendeva delle candele della chiesa. Le sue mani erano grandi e lunghe, Raphael scorse dei calli e delle piccole ferite sulla punta delle dita ma la sua attenzione andò tutta sulle nocche scorticate.
L'altro chiuse la mano a pungo e la rificcò dentro la tasca.

Non voleva sporcare l'acqua?

Tornò verso il centro della chiesa e gli passò vicino per dirigersi verso i primi banchi. In quel momento Raphael riuscì a scorgere meglio il volto giovane, forse fin troppo giovane, di quell'individuo.
Sembrava avere la sua età e visto che lui era sempre sembrato più piccolo doveva esserlo anche quel ragazzo.
Raphael deglutì: se era davvero così significava che non poteva aver più di sedici anni, forse anche meno. Perché un ragazzo di quell'età, in quel quartiere, era ridotto così?
Aveva intravisto uno zigomo violaceo e pesto, un occhio socchiudo e l'altro nascosto oltre il profilo del naso dritto, delle sopracciglia folte e delle lunghe ciglia nere che sporgevano oltre la sella del naso.
Lo vide tirare le labbra in una smorfia appena accennata ma senza produrre alcun suono. L'angolo sinistro della bocca precipitò verso il basso e lì rimase, come il volto triste di un fumetto.
Se si fosse trovato nel suo quartiere non avrebbe fatto una piega, non si sarebbe stupito nel vedere un ragazzo della sua età entrare in chiesa ferito, anche a morte, per chiedere aiuto al parroco, ma quella era l'High Street, era la 5th Avenue, non c'erano bande che si tendevano agguati agli angoli dei palazzi popolari, non c'erano le sparatorie in strada ed il coprifuoco durante le faide. Lì vivevano avvocati e senatori, il Sindaco di New York City ed il Procuratore dello Stato stesso, le strade erano pulite e pattugliate, c'erano le ghirlande alle porte e le macchine di lusso parcheggiate nei garage privati. Che ci faceva uno come lui da quelle parti? Perché entrava in chiesa così conciato, con il rischio che qualcuno lo vedesse e allertasse la polizia?
Forse era anche lui in cerca del parroco, per avere un aiuto come succedeva nel suo quartiere. Forse era vittima di violenze casalinghe, o qualche figlio di papà l'aveva ridotto così perché poteva permettersi di fare tutto, tanto nessuno l'avrebbe toccato. Forse la chiesa era l'unico posto in cui sapeva che non l'avrebbero ferito ancora.
Forse nessuna di queste e lui stava ragionando troppo su uno sconosciuto che magari era un drogato ed era entrato lì dentro solo per scaldarsi un po'.
Qualunque fosse la verità quella situazione lo stava innervosendo, si sentiva a disagio, come se dovesse far qualcosa ma non sapesse cosa, giusto perché non gli bastava essersi fatto quasi baciare da un uomo in chiesa.
Dio… màma gli avrebbe lavato la bocca con il sapone…
Senza rendersene conto si ritrovò a battere il piede a terra impaziente, a tirar su con il naso un improvviso attacco di raffreddore che prima non aveva, all'erta come non mai. Fu proprio per questo che si rese conto che il giovane seduto verso le prime file si era alzato e stava tornando indietro.
Raphael finse di non vederlo, di essere concentrato su altro, quando quello si fermò proprio vicino a lui.
Con la sua migliore faccia da stronzo, quella che i suoi fratelli gli dicevano fosse estremamente sgradevole e che spingesse la gente a scappare a gambe levate, Raphael si voltò verso il ragazzo per dirgli di togliersi dai piedi, qualunque cosa volesse, ma rimase congelato da quello che si trovò davanti: Una mano bianchissima e affusolata, graffiata e scorticata, piena di calli sul palmo e sulle dita, era tesa verso di lui. Il polsino della felpa nera copriva a mala pena il polso del giovane, che con un sorriso tirato, storto ed incerto gli porgeva un pacchetto di fazzoletti.
Raphael sbatté un paio di volte le palpebre, facendo saettare lo sguardo dal giovane all'oggetto.
Il tempo che rimasero così in stallo bastò per far tremolare leggermente la mano del ragazzo e fargliela abbassare.

<< Scusa… non- pensavo solo che te ne servisse uno… >> disse con voce bassa ed imbarazzata.
Era il timbro tipico di chi aveva cambiato voce e ancora doveva abituarcisi, di quei ragazzini che stavano diventando adulti ed entravano in contrasto con loro stessi: volto da angelo e voce da uomo.
Era quasi dispiaciuta, Raphael non dubitò neanche per un momento che quelle scuse fossero sentite e che il ragazzo si stesse vergognando di non essersi fatto gli affari suoi.
Provò quasi un moto di compatimento per il giovane, subito scacciato dal suo caratteraccio e poi riaffiorato nel sentirsi in testa la voce di sua madre che lo rimproverava.
Dopotutto aveva circa la sua età, non c'era nulla di cui preoccuparsi, non era un moccioso fastidioso e neanche un adulto altrettanto fastidioso, lo aveva solo sentito tirar su con il naso ed aveva pensato che gli servisse un fazzoletto.
Si riscosse con un sospiro.
<< Grazie.>> disse mantenendo comunque la voce bassa.
Vide la mano fremere di nuovo, incerta se riallungare il pacchetto o meno, ma non gli diede tempo di pensarci su.
<< Solo, credo che servano più a te che a me. Ti sta sanguinando il naso.>>
Il ragazzo si portò istintivamente una mano al volto, alzandolo di poco e facendo scivolare via i capelli dalla fronte. La luce soffusa della chiesa si rifletté in modo quasi doloroso su quello zigomo pesto, sull'occhio che si stava gonfiando sempre più velocemente e sulla pelle di un pallore mortale. Quella macchia violenta che gli colorava il viso era terribile da osservare, Raphael sentì un sordo dolore di riflesso, augurandosi che il ragazzo avesse conciato ugualmente lo stronzo che gli aveva messo le mani addosso.
Certo, poteva anche essere lui lo stronzo e la sua vittima quella che aveva risposto facendogli l'occhio nero, ma quale colpevole si nasconde della casa del Signore dopo aver commesso una violenza? Quando era pienamente nel torto?
Non che questo fosse impossibile, Raphael ne aveva visti di Boss entrare rispettosi in chiesa, chinare il capo davanti alla Croce e baciare l'anello dei Vescovi, ma il ragazzino aveva un'aria così abbattuta e stanca, si era preoccupato di lui nonostante dovesse sentir molto dolore… non poteva esser altro che una vittima degli eventi. Eventi più grandi di lui probabilmente.
<< Chi ti ha fatto questo?>> gli chiese con voce ferma. Forse avevano la stessa età, forse qualcosa di più o di meno, ma Raphael si era sempre sentito più grande dei suoi anni e gli risultò facile e normale interpretare la parte dell'adulto in quella circostanza.
Vide il ragazzo abbassare di nuovo la testa, la mano che aveva portato al volto tornò verso la compagna torturando le abrasioni sulle nocche.
<< Ho avuto una discussione con qualcuno, nulla di grave.>> borbottò a bassa voce.
Raphael si concesse un ghigno interiore: sì, doveva essere come lui, uno di quei ragazzini abituati a prendersi le proprie responsabilità e anche quelle degli altri.
<< È stato tuo padre?>> gli chiese comunque, mantenendo all'esterno quell'aria seria che la situazione richiedeva.
Con un gesto repentino che non si sarebbe mai aspettato da lui, il ragazzo alzò il capo e lo fissò dritto negli occhi, senza paura e senza vergogna. C'era un fuoco vivo e ardente che splendeva dietro la barriera lucida dell'iride, una sicurezza che s'affiancava alla durezza, quasi all'indignazione e alla rabbia: non tollerava neanche l'insinuazione di una cosa del genere, neanche da un estraneo che lo vedeva entrare in chiesa sanguinante e malconcio.
Raphael non batté ciglio, mantenendo la calma come aveva imparato a fare in tutti quegli anni, specie in quegli ultimi in cui era finito al servizio di Dracula.
Calma e sangue freddo.
<< Allora sei qui per non farti vedere da lui.>> disse sicuro.
La fiamma battagliera che aveva visto in quegli occhi si affievolì, il giovane si rilassò un minimo ma rimase con le spalle contratte, chiuse al mondo .
<< Non approverebbero di certo.>> sussurrò.
Una goccia rossa e veloce scivolò sull'arco di cupido, saltando il labbro teso e gettandosi a terra prima che il ragazzo potesse mettervi sotto una mano per riprenderla.
Raphael avrebbe potuto giurare di aver sentito il rumore del sangue amplificato, uno schiaffo a mano aperta, la rassegnazione di qualcuno che non vuole confessare le sue pene e che preferisce nasconderle e occuparsene lontano dagli occhi degli altri. Forse per non essere sgridato, per non esser accusato di essere un debole o più banalmente per non far preoccupare nessuno, per non dare problemi ad altri.
Raphael allungò la mano per prendere il pacchetto di fazzoletti, ne estrasse uno e lo porse al ragazzo, che lo ringraziò con voce a mala pena udibile.
<< Anche qui nei quartieri alti ci sono i bulli?>> domandò con non-calanche, maledicendosi anche per la lingua lunga che si ritrovava quella sera. E pensare che lui era uno che stava sempre zitto e si faceva gli affari suoi…
L'altro si strinse nelle spalle. << Gli stupidi sono di tutte le razze e di ogni estrazione sociale, purtroppo. >> lo disse con amarezza mentre si tamponava il sangue fresco e cercava inutilmente di togliere quello secco.
<< Gliene hai ridate tante quante te ne hanno date?>>
Lo vide abbozzare un sorriso storto, incerto e triste come quello di prima, poi stringersi ancora nelle spalle curve. << Non ne sono sicuro, sono scappati troppo in fretta.>>

Plurale.
A Raphael non scappò né il modo rassegnato in cui l'aveva detto né il fatto che, evidentemente, era stato più di uno ad attaccarlo.
<< Alle scuole private non c'è qualcosa tipo regole ferree sulla violenza? O hai beccato gli unici intoccabili.>>
Quello sbuffò una risata nasale, per poi premersi di corsa il fazzoletto mezzo zuppo contro le narici. Raphael gli passò un altro fazzoletto.
<< Grazie. No, comunque, nessuno è intoccabile davvero, c'è sempre qualcuno con un parente o un amico più potente… >>
<< Ma ti hanno beccato fuori scuola.>> concluse.
<< Palestra. Gli spogliatoi sono un classico intramontabile.>> sospirò, << Ma forse non dovrei parlare di queste cose qui.>> disse leccandosi l'angolo della bocca, sporco di sangue.
<< Se non parli dei tuoi problemi qui, che è il luogo pensato apposta per parlare con Dio, dove vuoi farlo?>> . Dannazione, si sentiva un maledetto confessore, sua madre aveva ragione, aveva la stoffa per fare il prete.
Il ragazzo scosse la testa. << Siamo miliardi di persone, penso che Dio abbia di meglio da fare che preoccuparsi dei miei problemi, sono decisamente banali a confronto con il resto.>>
A quello Raphael non seppe rispondere, rimase in silenzio e così fece l'altro.
<< Devi imparare a difenderti allora.>> si risolse a dire. Non sapeva perché stesse insistendo, ma non poteva farne a meno, aveva come bisogno d'assicurarsi che una scena del genere non si sarebbe mai più verificata.
<< Lo so fare.
Io ne sono capace, gli altri no. >>
<< Hai difeso qualcuno?>> domandò sorpreso.
<< No, ho evitato di mandare qualcuno all'ospedale. L'ultima cosa che mi serve è essere etichettato come violento. Sono già abbastanza inquietante di mio.>> sbuffò in fine.
Raphael alzò un sopracciglio, divertito da quella confessione. << Ti sei fatto picchiare e non hai risposto perché se l'avresti fatto li avresti conciati ancora peggio?>>
<< Questa è la differenza tra chi tira un pugno per gusto e chi ha studiato per saperlo fare. Non posso mica abusare di una tecnica di combattimento contro dei cretini.>>
Se quel ragazzo l'avesse conosciuto avrebbe saputo che quegli sbuffi divertiti che si lasciò sfuggire erano una delle sue risate più aperte. Ma probabilmente lui lo trovò solo divertito dalla situazione.
<< Mi pare giusto, sei una persona estremamente corretta allora.>>
L'altro arrossì di botto, le guance cadaveriche si colorarono di un ben rosa denso e acceso, che non fece altro che far sogghignare di più Raphael ed imbarazzare il giovane, che farfugliò qualcosa senza senso e poi sospirò abbassando la testa.
<< Sei venuto qui per caso o per cercare Padre Noah?>> gli domandò quando si reputò soddisfatto di quei borbottii imbarazzai.
Il ragazzo fece una smorfia e sospirò. << Non sto molto simpatico a Padre Noah.>> confessò.
<< Perché?>> domandò di getto Raphael senza riuscire a contenersi. Sembrava un cazzo di moccioso quel giorno, ma rimaneva il fatto che fosse stupito: come poteva un prete non apprezzare un ragazzo che sapeva, a quanto diceva lui, combattere ma non lo faceva per evitare di ferire gli altri, perché non sarebbe stato uno scontro equo?>>
Il ragazzino deglutì ancora. << Lui...ugh… nulla, non apprezza le mie compagnie credo, tutto qui.>>
Come un fulmine a ciel sereno Raphael si ricordò di aver pensato di essere una persona fortunata tutto sommato. Poi ricordò anche lo sguardo che gli aveva lanciato Padre Noha quando Pierre aveva detto che erano la “coppia migliore”.
Quel ragazzo vestito tutto di nero, con il cappuccio ancora in testa ed i capelli scuri scompigliati sul visto, come se volesse nascondersi anche dalle vetrate colorate e dai banchi rovinati, come se cercasse di non farsi vedere, di fondersi con le ombre; che teneva le spalle chiuse e la schiena curva, la testa bassa e la voce altrettanto, quel ragazzo si vergognava ed aveva paura. Paura di tornare a case e far vedere ai suoi genitori come l'avevano conciato due deficienti o forse più, paura di vedere i loro volti preoccupati, di sentirsi chiedere cosa fosse successo, perché non si fosse difeso, perché l'avevano aggredito. Si vergognava di non aver reagito anche se sapeva di non averlo fatto per un valido motivo.
Non l'aveva corretto quando aveva parlato di scuole private, aveva lui stesso detto che c'era sempre gente più ricca e potente di te, e se nel suo quartiere i ragazzi venivano picchiati perché facevano parte della gang sbagliata, perché erano troppo deboli o per dare una lezione ai loro famigliari, perché avevano visto qualcosa che non dovevano vedere, tra la gente per bene i ragazzini venivano picchiati perché non erano come gli altri, perché non si conformava agli standard decisi dai più viziati e dai più ricchi. Quelli che non vestivano alla moda, che non avevano il cellulare o che non andavano in settimana bianca.
Raphael conosceva quella gente, Dio, conosceva Camille e Magnus, conosceva Lily e quegli schifosi viziati che erano la prole dei Chen, sapeva di cosa stava parlando, eppure aveva la sensazione che “lo standard” non raggiunto dal ragazzo fosse ben diverso.
<< Sei in chiesa. È la casa di Dio, sono tutti ben accetti, persino i peccatori, non è certo la simpatia che un prete ha verso di te che ti negherà l'accoglienza.>>
Il ragazzo lo guardò stralunato. Poi sorrise.
<< Grazie.>> i suoi occhi brillarono come quelle vetrate e quei mosaici da cui voleva nascondersi. Come gli ori che rifinivano l'altare, come le candele accese al limitare della sala, tra le colonne semibuie che parvero illuminarsi con quel minuscolo e timido sorriso che il giovane gli rivolse.
Raphael rimase a fissare imbambolato, per la seconda volta, le iridi cangianti del ragazzo, ripetendosi di nuovo di mantenere la calma e di non restare a bocca aperta davanti ad un colore così inteso che solo una volta aveva visto in vita sua. Poteva paragonare quegli occhi solo a quelli cerulei di Pierre, brillanti nella loro fredda e perfetta colorazione, come le pietre di una corona, di un diadema splendente, come un diamante colpito dalla luce attraverso cui si scruta il cielo.
In quella sera fredda e impietosa d'inverno, Raphael si ritrovò a pensare che se Pierre aveva gli occhi magnifici del cielo terso della primavera, quando i venti del nord ancora pulivano l'aria e scacciavano via le nuvole, quel ragazzo doveva essere il suo opposto.
Raphael non aveva mai visto il cielo stellato delle lande prive di luce artificiale, ne aveva visto delle foto sui libri di scuola, in tv o al cinema, quelle infinite distese di un blu così intenso da sembrare nero, puntinate di stelle e di scie colorate. Non le aveva mai viste dal vivo ma era certo, certissimo, che il cielo notturno, osservato in qualche luogo lontano dalla civiltà, magari su una vetta gelata o dal folto di un foresta vergine, sarebbe stato delle stesso, identico colore degli occhi di quel giovane.
Il ragazzo gli porse la mano, pulendosela prima sul jeans non macchiato, gli sorrise ancora in quel modo tentennante, timido ma sincero, accecante come i suoi occhi, e Raphael non poté far altro che stringergliela.
<< Prego, ma non ho fatto davvero niente.>>
<< Grazie ugualmente. Ma sono stato terribilmente maleducato, mi chiamo- >>


 

Presente.


 

<< Raphael?>>
A sentirsi chiamare il giovane si voltò verso quella voce.
Un uomo sulla cinquantina, vestito completamente di nero ma con una coccarda rossa appuntata sul cuore, lo fissava sorridendo.
<< Padre Noah.>> lo salutò di rimando facendo un cenno con la testa.
<< Che piacere rivederti, ragazzo mio, specie dopo così tanto tempo.>> disse il prete avvicinandosi per stringergli le mani.
<< Quasi cinque anni dall'ultima volta che sono venuto a farle visita. Mi scuserà, spero.>>
L'uomo annuì. << La casa del Signore è sempre aperta per tutti, si deve venire qui per aver conforto e stare in pace, non per riportare alla mente ricordi dolorosi.>> fece con aria più grave.
Raphael si strinse nelle spalle. << Non è successo nella vostra chiesa o non saremo qui a parlarne.>>
<< Vero, ma non puoi certo negare che ti riporti alla mente ricordi spiacevoli.>>
<< Solo malinconici, non è mai spiacevole ricordarlo.>> ammise con un sorriso mesto.
Padre Noah gli fece cenno di seguirlo, incamminandosi verso le prime file vuote delle panche.
<< Sei più andato a trovarlo?>>
<< Alla lapide onoraria che ha qui, sì, ma non dove riposa davvero. È troppo lontano, non posso allontanarmi neanche per un giorno da New York, figuriamoci di più.>>
<< Non è importante dove tu vada, potresti anche esser dall'altra parte del mondo, l'importante è- >>
<< Ricordarlo sempre nelle mie preghiere, sì Padre, lo so.>>
Si sedettero in silenzio, entrambi rivolti verso la Croce illuminata dai faretti.
<< Ero da queste parti per delle commissioni e ho pensato di venir ad accendere qualche candela per chi non c'è più.>> iniziò tranquillamente.
Parlare con il proprio confessore era una cosa che gli riusciva incredibilmente facile, forse perché lo faceva sin da piccolo, in ogni caso spesso si ritrovava più a suo agio a parlare con un prete, fosse anche uno sconosciuto, che con un amico, con qualcuno che conosceva.
<< Sono felice che tu abbia pensato a questa chiesa. Ce ne è una molto grande prima.>>
<< Non amo i posti potenzialmente affollati.>>
<< Quindi preferisci una chiesetta in cui sai esserci un doposcuola e dei scorsi di catechismo?>>
Raphael arricciò le labbra in un sorriso da gatto, << Forse devo solo espiare le mie colpe.>>
<< Allora dovresti andare a fare volontariato.>>
<< Padre, le ricordo che il suicidio è aberrato da Dio.>> disse fulminando l'uomo che invece rise.
<< Non essere così tragico, si sta avvicinando il giorno della nascita di Cristo, non pensare a cose negative.>>
<< Più facile a dirlo che ha farlo.>>
<< Le parole sono sempre più semplici delle azioni e se queste sono per noi fonte di ansia, imbarazzo o dolore in special modo. Per cosa sei venuto a punirti, Raphael? Vieni qui a pregare solo quando pensi di aver qualcosa da farti perdonare.>>
Raphael sospirò. << È stato un anno difficile. Stancante.>>
<< Oh, lo so, ho sentito. Ho letto i giornali più che altro.>> annuì il prete.
A quell'affermazione Raphael si voltò verso di lui, scrutandolo dritto negli occhi.
<< Padre Noah, ricordate la prima volta che sono entrato in questa chiesa.>>
L'uomo annuì. << Avrei preferito fosse per un altro motivo, ma è impossibile dimenticare per me.>>
<< Ricorda, quando voi- quando voi e Pierre siete tornati qui, se lo ricorda il ragazzo con cui stavo parlando?>>
Il prete rimase in silenzio, l'espressione sorpresa per quella domanda e poi grave per la realizzazione di cosa gli stesse chiedendo Raphael.
<< Anche questo per me sarebbe difficile da dimenticare. Se stai per chiedermi se è- >>
<< Si ricorda anche cosa mi disse di lui?>>
L'uomo sospirò ancora, sconfitto. << Che era un ragazzo molto caro, ma che non aveva ancora trovato la sua strada, che temevo che non l'avrebbe mai fatto e che si sarebbe perso, rimanendo nel buio in cui si ostinava a nascondersi. Che nessuno l'avrebbe mai potuto aiutare.>> chiuse un attimo gli occhi e poi li riaprì. << Beh, mi sbagliavo, semplicemente io non ero il pastore adatto per quell'agnello, anche se la cosa mi addolora perché mi fa sentire indegno di questo titolo, ho imparato a mie spese che non tutti necessitano delle stesse parole e delle stesse azioni. Purtroppo non sono il prete di tutti. Ma mi consola sapere che alla fine ha trovato qualcuno che riuscisse a guidarlo, ad aiutarlo, ad accettarlo.>> concluse.
<< Quindi lei lo sapeva.>> disse Raphael con voce asciutta.
<< Sono qui da quasi trent'anni, ho visto persone di tutti i tipi passare sotto i miei occhi, ho conosciuto e visto crescere bambini di ogni genere, anche lui fu mio alunno, mi sarebbe stato impossibile non notare il suo disagio ed il suo dolore. Non ho saputo come gestirlo, purtroppo, ho fatto il passo sbagliato.>>
<< Ma ha detto che ora ha trovato il suo pastore, no?>>
<< Sì, in una chiesa nel Bronx, ci crederesti mai? È nato e cresciuto nell'High Street e ha trovato la sua voce in uno dei quartieri più malfamati della città. Ma perché ti interessa tanto?>>
Raphael aveva ascoltato senza una specifica espressione in volto, rimanendo distaccato e concedendosi solo pochi sorrisi e qualche smorfia infastidita.
Almeno Padre Noah aveva ammesso d'aver sbagliato, era già un traguardo quello.
<< Il suo nome.>> disse solo ed il prete attese senza capire cosa volesse dire.
<< Lo hai dimenticato? Si era presentato quel giorno.>> gli chiese confuso.
<< No, vorrei sapere se lei sa il significato del suo nome.>>
Al silenzio dell'uomo Raphael riprese. << Deriva dal greco, il nome è composto da due parole che significano “protettore” e “uomo”, lo si può tradurre come “difensore degli uomini” e in altri modi molto più adatti ad un re o un condottiero. Volevo solo dirle che è il nome giusto per quel ragazzo.>>
Si alzò in piedi e si avvicinò alla rastrelliera per accendere quattro candele, mettendo decisamente troppe banconote nella cassetta delle offerte.
<< A che associazione vanno i ricavati delle stelle di Natale? >> chiese di punto in bianco, cambiando completamente discorso e stroncando sul nascere ogni possibile risposa o domanda del parroco.
<< Alla Nut Luck, si occupa dei senzatetto nei parchi. >> disse quello preso alla sprovvista.
<< Bene.>> Raphael si inginocchiò davanti alle candele e congiunse le mani per pregare a testa bassa, muovendo le labbra in una litania di strofe dette in spagnolo che sua nonna aveva insegnato a tutti i nipoti sin dalla tenera età.
Poi si rialzò e, avvicinatosi al prete, gli porse la mano, ricevendo una stretta tentennante ma calda.
<< Buon Natale, Padre Noah.>>


 


 


 


 


 

Anni addietro suo padre l'aveva portato al “cimitero latino”, uno spiazzo del cimitero comunale in cui di solito venivano seppelliti tutti coloro che avevano sangue messicano nelle vene, sangue latino ad onor del vero. C'erano delle zone dedicate ad ogni paese, ce n'era una che ospitava i Cubani, un'altra per i Brasiliani, ma alla fine le lapidi si mischiavano, i fornetti venivano impilati gli uni sugli altri senza badare alla nazionalità ma solo al legame che potevano aver avuto in vita tutti i defunti di quella stessa parete.
Raphael non aveva ancora nessuno seppellito lì, il che era decisamente una delle cose migliori che il bambino potesse pensare, l'idea che nessuno dei suoi cari fosse morto da quando erano arrivati dal Messico, quando i gemelli ancora non erano nati e quindi ben prima di lui, lo riempiva di sollievo.
Eppure c'era questa tradizione, una delle tante della sua famiglia, che diceva che a Natale si dovesse andare in chiesa a sentir la messa e prima al cimitero a trovare i defunti.
Loro non avevano nessuna lapide da visitare, nessuna foto da pulire dalla neve o fiori da cambiare, però nella zona più interna del cimitero latino vi era la grande statua di un angelo con le braccia aperte e la lunga veste che gli copriva il corpo. A Raphael aveva sempre un po' ricordato il grande Cristo di Rio, visto in mille foto, in tv, letto nei libri di scuola, e Elija ridacchiava sempre a quella sua innocente affermazione dicendogli che sì, probabilmente era ispirato proprio a lui, per ricordare a tutti i figli della grande America Latina che anche lì, al nord, avevano qualcuno che li proteggeva, qualcuno pronto ad accoglierli a braccia aperte.
Così andavano davanti all'angelo, con delle candele e dei fiori finti, perché a Dicembre New York City gelava e metter dei fiori veri significava farli rinsecchire e congelare in due minuti e non stava bene lasciare piante secche e brutte ai piedi di un angelo, specie se era per onorare i defunti.
L'angelo se ne stava in piedi su un grande basamento rettangolare, nel corso di tutti quegli anni le pietre lisce erano state inscritte dalla mano esperta di uno scalpellino con centinaia di nomi, persone che non erano lì, che erano morte lontano da casa, che non avevano più un corpo da piangere, che erano disperse e non potevano ancora esser dette morte. Il piccolo Raphael di sei anni si spingeva sulle punte dei piedi per leggere i nomi più in alto, voltandosi a chiedere a suo padre o ai suoi fratelli se quel Carlos Santiago fosse un parente loro, per sentirsi spesso ripetere che no, non erano parenti, o forse sì, non potevano saperlo perché “Santiago” era uno dei nomi più comuni nel loro vecchio paese.
A casa loro.
Raphael questo non lo capiva, non ci arrivava proprio: casa sua non era il Messico, non era la cittadina sperduta in cui si erano conosciuti i suoi genitori, quella in cui erano cresciuti, in cui erano sempre vissute le loro famiglie. Casa sua non aveva interminabili steppe aride rossicce come la terra dell'Arizzona, come il Gran Canyon, non si parlava solo spagnolo, non si moriva dal caldo tutto l'anno e non c'erano processioni e picnic nei cimiteri il giorno dei morti.
A casa sua faceva un freddo cane d'inverno, il colore prevalente era il grigio dei palazzi, il rosso cupo dei mattoni a vista, le centinaia di luci che provenivano dallo skyline di Manhattan. A casa sua si parlava spagnolo solo nel quartiere, nelle mura casalinghe, tra i vicoletti mentre si correva dietro agli amici, ma poi dovevi imparare bene l'inglese, dovevi saperlo parlare meglio dei tuoi genitori perché così un giorno nessuno avrebbe potuto dirti che eri un immigrato, che non eri davvero Americano, non avrebbero potuto dirti niente perché il tuo accento era più yankee della Statua della Libertà.
Alle volte Raphael si era domandato perché i suoi genitori fossero andati via da casa loro se poi la ricercavano in ogni angolo della Grande Mela, perché fossero arrivati a New York se poi cercavano di vivere come si viveva a Tetela. Perché fossero così attaccati a delle tradizioni vecchie e di un altro paese invece di vivere a pieno quelle del luogo in cui si trovavano.
Questo l'avrebbe capito con il tempo, certo, con la nostalgia che si impara a conoscere da adolescenti e poi da adulti, ma quando andava davanti all'Angelo assieme a suo padre ancora non ci riusciva, ancora non vedeva l'importanza di un luogo simbolico che gli potesse ricordare casa, che potesse ricordagli chi amava e ora non c'era più.

Camminare per quel sentiero asfaltato gli procurava sempre una sensazione di nausea che cercava di ignorare, pensare a quanto facesse schifo la vita, quanto ogni singolo posto di quella città gli ricordasse suo padre, i suoi zii e cugini persi durante quegli anni, gli amici, Pierre e Ragnor, tutto ciò non lo aiutava minimamente. Checché ne dicesse sua madre la fede non leniva il suo dolore, la vendetta lo metteva a tacere per poco. Il ricordo ti uccideva lentamente giorno per giorno.
C'era stato un tempo in cui Raphael aveva amato davvero tanto il Natale, poi suo padre era morto, lui era cresciuto e andare al cimitero era diventato solo un puro atto di masochismo. Un tempo lo tediava e basta, era noioso anche se poi si divertiva con l'ingenuità che solo un bambino può avere, a leggere i nomi sulle lapidi e studiare i volti nelle foto.
Ora non gli piaceva più, ora quei volti, quei nomi, quelle date, lo risucchiavano solo in un vortice di nero e doloroso supplizio.
Avanzò dritto verso il settore latino senza curarsi minimamente di seguire la strada principale, ma tagliando per le viuzze laterali che costeggiavano quei tovaglioli d'erba costellati di lapidi di colori diversi. Già da lì poteva scorgere la testa dell'angelo, l'aureola di metallo levigato, unica macchia di colore su quella pietra grigia. Più avanzava e più la statua diventava grande, imponente, quasi minacciosa, ma Raphael le lanciò un'occhiata quasi di scuse, da lei sarebbe arrivato dopo.
La sua prima tappa era, come sempre, la tomba di suo padre, una pietra rettangolare con la sommità stondata al cui centro spiccava una croce e la foto ovale di un uomo di circa trentacinque anni. Era morto giovane suo padre, giovanissimo, forse perché si era innamorato giovane, si era sposato ed aveva avuto figli tanto presto. Guadalupe aveva appena dodici anni quando aveva conosciuto Elija, ne aveva diciassette quand'era rimasta incinta di José, venti quando era arrivato Cristiano, ventidue quando era rimasta incinta dei gemelli e aveva deciso, con il marito e tutta la sua famiglia, di cercare fortuna in America, perché il loro paese non poteva offrirgli null'altro se non violenza e sangue, in un periodo in cui la politica era questione di vita o di morte, dove le idee dovevano esser tenute segrete ed enunciate solo se seguivano la logica dei leader.
Con una nota di tristezza Raphael ricordò per l'ennesima volta che suo padre non era riuscito più a vedere il panorama che da ragazzino scorgeva dal tetto di casa sua, che la famiglia Santiago non c'era più tornata in Messico ma che ugualmente le loro idee, i loro principi, li avevano posti su un lato o sull'altro della barricata, di una qualunque barricata.
Sorrise a suo padre, un sorriso che non giunse agli occhi e neanche gli scaldò il volto, solo un semplice tendersi di muscoli facciali. Si sporse per spolverare via la neve dalla lapide ed alzò gli occhi al cielo quando scorse la pianta grassa posta vicino al basamento di pietra. Sua madre continuava a dire che se quelle piante resistevano al freddo del deserto potevano farlo anche alla neve. Raphael aveva rinunciato a discuterne e si limitava a chiedere al guardiano di mettere una protezione di plastica attorno al cuscinetto spinoso.

<< Feliz Navidad, papà. >>

Carezzò stancamente la foto del padre e provò ad accennare un altro sorriso, stringendosi poi nel cappotto scuro e abbassando la testa per pregare sommessamente per lui.
Rimase lì fermo a fissare il suo volto per un tempo indefinito, finché non cominciò ad avvertire il freddo penetrargli nelle ossa, solo a quel punto salutò un'ultima volta suo padre e poi se ne andò, strusciando i piedi sul terreno, portandosi via la neve e quei pochi sassolini che di tanto in tanto si trovavano per la strada.
Alzò la testa solo quando vide l'ombra dell'angelo, quando il vento si quietò un minimo scontrandosi con la veste petrosa. Il suo piedistallo era sempre lo stesso, lucido e levigato, ma inciso da molti più nomi, moltissimi di più rispetto a quanti ne ricordasse Raphael. La prima volta che l'aveva visto, la prima da che ne aveva memoria, solo la lastra frontale era scritta e neanche per intero ma circa per due terzi, ora invece erano ben due le lastre completamente scritte e la terza ospitava una decina di piccole e fitte righe, lettere che riportavano nomi e date, nulla di più, nulla di meno.
Raphael sorrise mesto all'angelo dal volto triste e poggiò la mano sulla pietra fredda, osservando da basso la scultura come se cercasse di scorgere il suo sguardo celato dietro le palpebre chiuse.
Anche lui era sempre lo stesso, con i suoi lineamenti morbidi ma decisi, pareva un fanciulletto bloccato per sempre nella sua pubertà, o una giovane donna di forse una ventina d'anni, il problema degli angeli era che non avevano sesso, ma Raphael le aveva sempre dato del “lei”.
Forse era per colpa della sua famiglia, perché lì chi ti consolava, chi ti abbracciava e si inginocchiava per pregare per i defunti, chi si faceva carico anche del tuo dolore per insegnarti a sopportarlo o per togliertene un po' dalle spalle erano sempre state le donne.
Quello sarebbe potuto essere il volto di sua madre da giovane, quando aveva pianto lacrime amare nell'abbandonare la sua città, quando si era riboccata le maniche e stretto i denti per non far vedere a suo marito quanto le faceva male aver lasciato indietro una vita intera, per non fargli pesare quel viaggio che avevano deciso di intraprendere di comune accordo per dare un futuro migliore ai loro figli, a lui.
Quella poteva essere sua madre, poteva essere sua nonna che li aveva salutati da lontano nascondendo le lacrime per non dar più tristezza a figlio e nuora. Poteva essere una delle sue zie, delle sue cugine, delle sue nipoti che non facevano gli stessi lavori “di fatica” degli uomini di casa ma che sopportavano molto di più, che li crescevano loro stessi quegli uomini mentre i loro andavano a rischiare la vita, a lavorare in nero, a far ciò che gli “americani” non volevano fare.
Raphael avrebbe potuto intavolare un discorso lunghissimo su come non fosse denigratorio per la parte femminile della sua famiglia rimanere a casa con i figli, perché principalmente non facevano solo quello ma riuscivano anche a trovare la forza per fare due lavori, aiutare la famiglia e tenere in piedi un condominio intero, e poi perché se lui, i suoi fratelli ed i suoi cugini erano potuti andare a scuola e all'università, se i suoi zii potevano uscire la mattina e tornare la sera sicuri che al resto della famiglia non sarebbe successo nulla in loro assenza, tutto questo, era merito delle sue donne.
Riflettendoci forse era proprio per via di modelli così forti che Raphael non era mai riuscito a trovare una donna che lo attirasse, che fosse all'altezza di tutte le altre che c'erano nella sua vita da sempre.
Inclinò la testa cercando una nuova angolazione per guardare l'angelo.
Quello poteva anche essere il volto della madre di Ragnor, quando lo guardava sofferente passare le estati a lavorare perché lei e suo marito non riuscivano a guadagnare abbastanza per permettersi l'accademia. Poteva essere il volto della madre di Magnus quando lo vedeva discutere con suo padre e far finta che la sua presenza altalenante non lo facesse soffrire. Poteva essere quello della madre di Catarina quando la ragazza le aveva detto che sarebbe diventata infermiera e che si sarebbe presa cura di lei. Poteva essere Catarina stessa, che guardava tutti loro con quell'aria malinconica di chi vorrebbe starti vicino ma non può entrare -non glielo avevano mai permesso- nel tuo stesso mondo.
Poteva anche essere Lily che fissava i suoi cugini, i suoi uomini, cercando di fare il massimo per essere alla loro altezza, per essere come loro, senza mai riuscirci del tutto.
C'erano centinaia di visi di donna, ma non solo, che si rincorrevano nella mente di Raphael al sol guardare quell'angelo. Gli faceva visita il volto pallido ed etereo di Camille e poi quello sereno ma triste di Pierre. C'era qualcosa che gli ricordava lo sguardo d'impotenza di suo fratello José, quando si schierava davanti a loro per proteggerli, conscio che comunque le avrebbe prese sia lui che Cristiano da quei teppistelli che si credevano più forti di loro solo perché nessun accento macchiava la loro voce. C'era la preoccupazione dei gemelli, che si guardavano le spalle a vicenda con la costante ansia di non esser abbastanza attenti, di non arrivare in tempo.
Se voltava di poco il capo vedeva la faccia falsamente calma e strafottente di Magnus, quella gentile di Ragnor che gli metteva una mano sulla spalla dicendogli che non doveva fingere di essere forte davanti a lui. Poteva vedere il volto di Malcom che sorrideva paterno a tutti loro malgrado avesse a mala pena undici anni quando era entrato nel mondo oscuro che tutti loro vivevano ogni giorno.
Stava per distogliere lo sguardo, troppe persone si stavano accavallando su un unico viso, quando la pietra congelata gli parve quasi bianca, diafana sotto le luci artificiali. Eppure il cappuccio dell'angelo gettava nere ombre sulla sua fronte, come ciuffi di capelli scompigliati, dandogli un'aria terribilmente famigliare.
Raphael sorrise mesto e scosse la testa: quel cretino aveva ragione, il detective pareva proprio un angelo inquisitore. O per lo meno somigliava parecchio a quello che vegliava il cimitero latino.
Fece qualche passo in direzione della statua e vi girò attorno, posando la mano sulla lastra liscia e fredda, apprezzando la sensazione della pietra intagliata sotto i polpastrelli.
Si fermò all'ultima lastra scritta, quella posteriore, per salutare un nome che lì vi era solo per merito onorario visto che il suo corpo si trovava in quello stesso cimitero.
L'incisione era fresca dell'anno passato e portava il nome di un uomo, un giovane uomo, che durante la vita era stato il suo ago della bilancia, quello della sua bussola.
Ragnor Fell lo aveva compreso ed accettato come pochi, pochissimi avevano saputo fare.
Non che Raphael non avesse persone che lo amassero e che lo accettassero per ciò che era, il problema non era lì, assolutamente: il problema era la comprensione.
Fin da quando si erano incontrati la prima volta, quella vera non quando si era fatto tutto il Queens a piedi per riportare indietro quel coglione di Magnus fino a Brooklin, Ragnor si era subito rapportato a lui con gentilezza e genuinità. Non c'era mai stata una volta in cui gli avesse fatto pesare i suoi anni in più, in cui avesse fatto “l'uomo della situazione”. Aveva rispettato i suoi silenzi, il bisogno di spazio. Aveva capito quando gli dessero fastidio i commenti sulla sua religione – quanto non riuscisse ad accettarli al tempo anche se capiva che fossero solo battute e anche come ancora faticava a tollerarli-, quanto fosse importante sua madre per lui ma che questo non lo rendeva automaticamente un mammone come Bane si ostinava a ripetere quando avevano quindici anni. Ragnor aveva sempre capito, aveva questa magnifica dote di saper scorgere tutti i lati di una persona e di riuscire ad accettarli senza la presunzione di cambiarli… una dote rara, davvero rara. Qualcosa che l'aveva fatto sentire al sicuro, protetto, capito ed accettato come solo Pierre prima di lui era riuscito a fare.
Glielo avevano chiesto tante volte cosa ci fosse stato tra lui e Ragnor, sentiva gli sguardi dei suoi amici sulla pelle quando arrivava una ricorrenza particolare o quando veniva nominato l'uomo, ma Raphael non cedeva, non cedeva mai e rimaneva in silenzio.
Cosa c'era stato tra loro due?
Spiegarlo sarebbe stato complicato, davvero troppo. Ad onor del vero ci sarebbe stato un modo veloce e diretto per farlo ma, come diceva sempre suo nonno, per far capir le cose bisogna che ad ascoltarci ci sia qualcuno che possa comprendere le nostre parole.
Lui ne aveva solo due di persone del genere, tre se voleva contare anche sua madre, ma né Lily né Camille gli erano mai andate a chiedere nulla.
La piccola, ora non più così piccola, Chen lo sapeva: in un modo o nell'altro avevano finito per crescere assieme, forse perché i loro fratelli si frequentavano, forse perché quel tornado cromaticamente accecante di Magnus aveva finito per travolgerli entrambi, rimaneva il fatto che a Lily era bastato guardarlo quando il suddetto Bane se ne era uscito con quella domanda scomoda, ed aveva capito tutto immediatamente.

C'era qualcosa tra te e Ragnor? Oh, capisco, lo so Raph, mi dispiace.

Non aveva aperto bocca eppure questo era quello che si era sentito rimbombare nella testa Raphael quando quegli occhi neri e gelidi l'avevano sfiorato.
Con Camille era stato il contrario, non c'erano state domande dirette ma risposte.
 

<< Dicono che in momenti come questi è essenziale aver vicino qualcuno che amiamo.>>
<< Mi stanno tutti con il fiato sul collo, ne ho anche troppe di persone amate attorno.>>
<< Almeno non sei solo.>>
<< Ragnor mi aiuto più degli altri.
>>
<< Bene.>>
<< Non è Pierre però.>>
<< Lo so, nessuno è Pierre.>>

 

E sì, lei era davvero l'unica che lo sapeva, malgrado avessero passato anni a litigarselo come bambini, facendosi dispetti stupidi, facendo saltare relazioni e accordi solo per allontanare il giovane dall'uno o dall'altra. Dio, avevano fatto così tante cazzate per quel ragazzo, Magnus al tempo glielo rinfacciava in continuazione, diceva che non poteva vederlo quel “biondastro” anche se poi in verità lo apprezzava. Perché era matematicamente impossibile che qualcuno odiasse Pierre, persino i suoi rivali lo adoravano.
Magnus lo adora. Catarina lo adorava. Ragnor lo adorava. Asmodeus lo adorava. Lily, sua madre, i suoi fratelli, il Clan. Camille.
 

Io. Io lo adoravo più di tutti. Lo adoravo come un fedele adora il suo Dio Sole.

Persino la morte amava follemente Pierre e alla fine era riuscita a prenderselo prima di tutti gli altri. Ma non prima di lui.
Era stato devastante perderlo, era stato come morire assieme a lui e lì Raphael aveva compreso come doveva essersi sentita sua madre e Guadalupe aveva capito lì quando suo figlio avesse amato quel ragazzo, rivedendo in lui lo stesso dolore struggente che l'aveva colpita quando quel poliziotto aveva bussato alla sua porta per dirle che suo marito era morto durante una sparatoria tra gang e che suo figlio era rimasto illeso. Solo che al tempo lei aveva avuto la gioia di poter riabbracciare un piccolo Raphael, traumatizzato sì, ma salvo. Raph non aveva avuto nulla per cui ringraziare.
Quel vortice nero era stato la sua vita per troppi mesi, giornate cupe e dense in cui nessuno riusciva ad entrare, a farsi spazio, dove l'oscurità era troppo densa e la puzza del sangue ancora impregnava ogni oggetto, ogni superficie. I suoi fratelli, la sua famiglia, i suoi amici, nessuno di loro era riuscito a metter la testa nella sua tana, finché un giorno Raphael non ne aveva potuto più di sentirli bussare alla porta ed aveva aperto la finestra per fuggire via. Lì, seduto proprio sulla scala antincendio aveva trovato Ragnor, che studiava Dio solo sapeva cosa per quale colpo e che ebbe anche la faccia tosta di sorprendersi nel ritrovarselo davanti.
Era andato lì a studiare perché sapeva che nessuno l'avrebbe disturbato, perché così nessuno sarebbe andato a scassinare la finestra di Raphael e lui avrebbe potuto continuare a star lì nascosto come più preferiva.

<< Io studio meglio, sai che mi piace l'aria aperta, in più così i tuoi cugini non possono decidere di entrarti in stanza dalle scale antincendio, perché ci sono io e mi disturberebbero, ma se al contempo dovesse servirti qualcosa io sono qui fuori, a due passi da te. Anche solo per sapere che sei solo ma non sei solo, semplice no?>>

Sì, semplice diceva lui, ed in effetti lo era. Lo era sempre stato con Ragnor, così come lo era sempre stato con Pierre. Ma non erano uguali, non lo sarebbero mai stati, mai e poi mai.
Doveva molto all'amico, a quell'anima forte e gentile che l'aveva stretto nel momento del bisogno ed andare a spiegare ad altri cosa li legasse, quale fosse il loro rapporto, cosa significassero quelle carezze che Rag gli posava in testa e quanto significasse per Raphael potersi poggiare a lui in un attimo di debolezza… questo sarebbe sempre stato impossibile da dire.
Perché Raphael doveva moltissimo a Ragnor, gli voleva un bene dell'anima, lo amava come amava la sua famiglia ma non era Pierre. Questo l'aveva sempre saputo lui e pure Ragnor stesso.
Andarlo a dire a Magnus, a Catarina, a Malcom… non avrebbe avuto senso.
Non per loro, non per lui.
Forse un giorno avrebbe incontrato qualcun altro pronto a comprenderlo, forse come Ragnor, mai come Pierre, ma per ora gli bastavano gli occhi d'ossidiana di Lily, lo sguardo di ghiaccio crepato di Camille e le occhiate comprensive e silenti di sua madre.
Il nome di Ragnor Fell era scritto con lo stesso stile stampato di tutti gli altri nomi, la sua data di nascita non era importante, quella della morte serviva a ricordare quanti giorni erano passati senza di lui.

<< Feliz Navidad a ti tabién, Rag.>>

Sarebbe passato anche a spolverare la sua tomba, ma il saluto vero e proprio sarebbe andato a farlo con Catarina e Magnus il 24 a pomeriggio, si erano messi d'accordo per quello e per andare a dar una pulita alla tomba dei genitori del loro amico, così come a quella della madre di Catarina. Sapevano tutti e tre che i custodi si prendevano cura di quelle lapidi con molta attenzione, la stessa che permetteva al cactus vicino alla lapide di suo padre di non morire congelato, peccato che invece del nome “Santiago” e del supporto tra latinos, ciò che spingeva quegli uomini a non lasciar mai una sola foglia sulle tombe di quei comuni cittadini americani senza né arte né parte era il terrore e la potenza dei Bane.
Che Asmodeus vegliasse sul sonno eterno del migliore amico e dei genitori dei migliori amici di suo figlio non era un mistero per nessuno, così come non lo era stato il funerale di Ragnor tutto pagato, la pompe funebri che aveva servito il Presidente, la bara di legno pregiato al cui interno era stata dipinta la notte stellata di Van Gogh. Nulla era stato un caso e Raphael l'aveva apprezzato sempre tantissimo, quasi più di quanto non facesse Magnus stesso, che vedeva quelle azioni come un mero tentativo di renderlo felice in ogni modo possibile immaginabile seppur non, banalmente, nel modo in cui Magnus avrebbe voluto: con la presenza di suo padre al proprio fianco.
Con un sorriso amaro si disse che tutti loro non si accontentavano mai di ciò che avevano, proprio come dei bambini, proprio come quando erano bambini.
Passò un'ultima volta la mano sul nome di Ragnor e gli dedicò un piccolo cenno del capo. Lasciò che le dita continuassero a rimanere in contatto con la pietra e tornò verso la parete di sinistra, piazzandocisi davanti per poi piegarsi sulle ginocchia.
Lì, nella fascia centrale, ben scritto come tutti quegli altri nomi, c'era quello della persona che più aveva amato al mondo.
Lui, Raphael Santiago, che amava. Questa sarebbe stata una battuta bella e buona che avrebbe fatto scoppiare a ridere tutti se fatta alla cena di Natale. Tutti tranne sua madre, Lily, Quinny e anche tutti coloro che sapevano. Avrebbero ridacchiato dandogli del cuore di pietra ma nulla di più, non avrebbero detto che fosse incapace di amare, solo che non vi riuscisse più e lì si sarebbero fermati.
Il suo sorriso divenne un po' più largo, si addolcì come la piega delle sue labbra, come il suo sguardo quando si posò su quell'ultimo brandello di ricordo che si ancorava materialmente a quel mondo infame, a quel purgatorio in cui erano tutti costretti a vivere, combattere e morire.
Se solo avesse potuto avrebbe scelto una grafia più morbida, come lo era la voce di Pierre, più raffinata come lo era la sua persona, più elegante come i suoi modi, più bella come lui. Ma non si poteva fare, sulla stele dell'Angelo dei Latinos tutti erano uguali, tutti venivano segnati per essere ricordati da chi li aveva amati e proprio come sarebbe successo davanti a Dio nessuno di loro avrebbe avuto un trattamento di riguardo, tutti sarebbero stati visti per quello che erano: anime amate e perdute per sempre a cui non era stato concesso di trovare un giaciglio in cui riposare per sempre.
Raphael chiuse gli occhi e poggiò la fronte contro quel nome che tanto stonava in mezzo a tutti quei suoni spagnoleggianti ma che certo non era l'unico “straniero” lì in mezzo. Oltre a Ragnor nella lastra successiva vi erano sparsi ovunque nomi locali, altri del lontano Est Europa, nomi Italiani e Greci, qualche nome arabo di un'anima che non avrebbe mai visto le stesse porte del paradiso che avrebbe visto loro, ma che ugualmente aveva avuto la forza, l'importanza e la motivazione più valida – spesso amore, rispetto, fratellanza, affetto- di esser segnata tra i loro amici, in memoria loro e di ciò che aveva fatto, perché troppo distante era il suo corpo da coloro che aveva chiamato famiglia.
C'erano nomi di ogni tipo, sparsi tra quelli latini, e Raphael ne era felice a modo suo, anche se quello di Pierre era l'unico francese lì in mezzo.

<< È arrivato un altro Natale, non so se potrò sopportarlo.>>
Rimase in silenzio come in attesa di una risposta che sapeva non sarebbe mai arrivata.
<< Non ho molta voglia di festeggiare, come ogni anno, ma me la farò venire, màma non apprezzerebbe. Accende sempre una candela anche per te. Mio cugino Daniél è andato in Europa e màma gli ha chiesto di andarti a trovare. Poveraccio, era in Portogallo, si è dovuto fare un viaggio extra ma a màma nessuno dice di no, lo sai.>> Sospirò, il freddo cominciava di nuovo ad entrargli sottopelle, doveva muoversi un po' per scaldarsi ma non gli andava di interrompere l'unico contatto che poteva aver con lui, seppur fittizio ed effimero.
<< Sono andato a trovare papà, come mi dicevi sempre di fare. Hai ragione, più passa il tempo e più è facile, se continuo a farlo con costanza magari migliorerà sino a diventare quasi piacevole. No, non lo sarà mai, è ovvio. Anche da morto mi stimoli a dire cose senza senso, grazie davvero Pii. >> Sorrise al solo pronunciare quel soprannome stupido e così personale. Chi altri chiamava con qualche nomignolo del genere? Solo i suoi nipoti forse e solo perché avevano gli stessi nomi di tanti altri parenti e quello era l'unico modo per distinguerli.
<< Mi manchi.>> soffiò fuori piano.
Aprì gli occhi e li puntò sul suo nome, che vedeva sfocato per via della vicinanza alla lastra. Avrebbe quasi voluto posarvi un bacio, ma Raphael non era una persona così romantica, aveva già esternato fin troppo i suoi sentimenti con quella sterile ed inutile chiacchierata alla pietra, non aveva intenzione d'entrare in contatto con tutto lo sporco ed i germi che potevano esserci lì sopra. E che avesse rovinato il momento sentimentale con quel pensiero 'fanculo, Pierre era morto, non c'era più, l'aveva lasciato solo, senza nessuno, senza di lui. Gli mancava così tanto…
Si tirò indietro e sospirò pesantemente, il suo volto piatto ed inespressivo come la fredda pietra su cui si era appena poggiato, a cui aveva parlato neanche fosse tesoriera delle spoglie mortali di quell'anima che era stata tanto affine alla sua, che era stata la sua anima gemella forse ma che ormai era persa per sempre.
Si ricompose con gesti secchi, mettendo in ordine pieghe immaginarie che non c'erano sul suo giaccone scuro e posando un'ultima volta, per quell'anno, la mano sul nome di Pierre.

<< Lo mismo te deseo, mi àngel.>>

Poi si voltò e tornò sui suoi passi, l'ultimo saluto fu all'altro angelo, quello di pietra che proteggeva e manteneva il ricordo di quell'altro suo fratello, così bello da esser reclamato tra i cieli prima che fosse giunta la sua ora.
Raphael non aveva mai sentito così tanto freddo come quando il suo sole si era spento.



<< È un bel giorno per morire. È proprio un bel giorno per morire.>>



Non c'erano più state giornate così belle nella sua vita.


 























 

Salve e buon Natale in ritardo. Buon anno anche e pure buona Befana.
Questa storia doveva arrivare un po' prima di oggi ma purtroppo per me sono sfigato da morire, a questo proposito vorrei ricordare a tutti di votarmi come persona più sfortunata dell'anno, davvero, sono classificato su piano mondiale, da non crederci. Alla premiazione terrò un discorso commovente come una vera reginetta di bellezza, votate per Bis, Bis Mr Sfiga 2018.
Lasciando da parte il mio becero sarcasmo, questo è un estratto della storia di Raphael, che forse non si era capito abbastanza bene ma è uno dei miei personaggi preferiti, nonché un oc di importanza rilevante nel secondo atto di questa storia un po' lunga ed un po' articolata.
Come avrete notato, o forse no non lo so, io personalmente ste cose me scordo sempre de controllalle quando apro una storia, spero che voi siate più attenti di me, questa è una raccolta, ovvero saranno storie tutte scollegate tra loro, più o meno.
Ogni capitolo sarà dedicato ad un personaggio e ad un momento della sua storia personale, quindi se qualcuno avesse preferenze sul prossimo protagonista non ha che da chiedere.
Si ringrazia il gentile pubblico per l'attenzione e alla prossima gente.
Yo.
TCotD.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: The Custodian ofthe Doors