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Autore: time_wings    09/01/2019    1 recensioni
[High School!AU]
La scuola è appena ricominciata e, numerose e spiazzanti novità, non tardano a palesarsi. Il cammino di un adolescente, si sa, può essere tortuoso e pieno di pericoli. Un anno scolastico servirà a mettere a posto antichi conflitti? L’amore tanto atteso sboccerà per tutti? I sette della profezia che avete tanto amato trapiantati nell’impresa più difficile di sempre: la vita di tutti i giorni fino all’estate successiva. Mettetevi comodi e buona lettura.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Esperanza Valdez, I sette della Profezia, Nico di Angelo, Sally Jackson, Will Solace
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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UN VECCHIO INIZIO
 
L’estate era quasi finita. Per la prima volta nella sua vita, Jason aveva davvero voglia di andare a gettare i rifiuti. Non che normalmente si sottraesse alla sua mansione, ma questa volta voleva usare la spazzatura come scusa per farsi un giro in bici e lasciarsi accarezzare dalla fresca brezza di fine estate. Quel giorno un temporale aveva fatto calare per un po’ le temperature e aveva regalato al prato il loro tipico odore di terreno bagnato che al biondo piaceva tanto. Gli faceva pensare all’estate appena trascorsa. Una delle più belle di sempre. Gli scappò una risata che risuonò forte e chiara nel silenzio della sera. Fu interrotta, però, qualche secondo dopo, dal familiare rumore di un quartetto di rotelle sull’asfalto: “Ehi, Grace, cos’hai da ridere?” Scherzò Percy.
“Io? Mah, nulla, pensavo alla tua faccia di culo.” Ribatté ironico Jason, scendendo dalla bici: “Ehi, ehi, ehi, vuoi rimetterci il naso?”
“Fammi vedere che sai fare.” Percy si lanciò contro Jason, ma un attimo prima dell’impatto si accasciò su di lui, stringendolo in un abbraccio, che il biondo ricambiò prontamente: “Come stai?” Domandò dopo qualche secondo Percy, che non vedeva il suo amico da un po’, per via delle vacanze estive.
“Bene, davvero, con Piper le cose vanno benissimo.” Il moro annuì genuinamente contento, prima che uno sguardo triste di Jason lo facesse accigliare: “Con Annabeth?”
“Oh,” Jason sapeva di aver toccato un tasto dolente: “siamo amici. Cioè, le piace autoconvincersi che sia così, ma ogni tanto si lascia un po’ andare.” Jason sorrise: “Ti stai riguadagnando la sua fiducia, vedo.”
“Me la sto sudando!” Esclamò Percy, che sapeva di essere ad un passo dalla vetta.
“Ma tu che ci fai da queste parti?” Domandò Jason, improvvisamente consapevole che quella zona non era per niente vicina a casa del suo amico.
“Domani inizia il nostro ultimo anno, amico. Sono venuto a prenderti per una birra con gli altri.”
 
Hazel non entrava in quel bar da un anno. Non che fosse passato poi chissà quanto tempo, un anno era poco, in fondo, ma diventava enorme se si soffermava a pensare a quante cose fossero cambiate, in quel breve lasso di tempo. L’anno prima si trovava seduta al tavolo a cui era seduta adesso, ma seduti attorno a lei non c’erano Piper, Jason, Annabeth; non c’erano neanche Leo e Percy, no, c’erano suo fratello Nico e Frank, il suo migliore amico Frank, il suo futuro ragazzo Frank, già, il grande uomo che la vedeva provarci con i ragazzi lì al bar senza mostrare il minimo segno di gelosia, solo per continuare a stare con lei e a sognare che lei, un giorno, avrebbe finalmente visto in lui ciò che lui aveva sempre visto in lei. Hazel era cresciuta moltissimo e aveva smesso di cercare l’affetto che le mancava negli sguardi vuoti dei ragazzi ubriachi seduti al bancone, aveva scoperto la vera cura a quel senso di vuoto che persisteva sempre e comunque, ma che adesso poteva combattere grazie ai suoi nuovi amici, che non avrebbe mai smesso di ringraziare. In quel momento capì che era estremamente ingiusto che lei e Frank continuassero a far finta di non cercarsi con lo sguardo, di non sfiorarsi le mani di proposito, mentre camminavano. In quel momento capì che alcune ferite non si ricuciono mai, è vero, ma che alcune cicatrici sbiadiscono.
“E allora mi sono detto ‘be’, fanculo, è arrivato il momento di prendere la patente'.” Sentenziò con aria superiore Percy. Leo saltò sulla panca come se fosse stato caricato a molla: “Che cosa? Quindi adesso puoi guidare?” Il moro annuì fiero: “Ma è fantastico! Ragazzi, domani, dopo scuola, dobbiamo assolutamente fare una scampagnata.”
“Da domani dobbiamo iniziare a studiare, Leo.” Gli ricordò Annabeth, prima che gli altri levassero in coro una serie infinita di buuuh.
“Allora è deciso?” Domandò Percy, dando di gomito alla bionda accanto a lui, che gli rifilò un’occhiataccia: “E va bene.” Acconsentì lei, alzando gli occhi al cielo: “Per gli altri?”
Tutti accettarono la proposta… tutti eccetto Hazel, che continuava da un po’ a fissare il vuoto: “Tutto bene?” Le domandò Frank preoccupata, cercando il suo sguardo.
“Cosa? Sì!” Rispose lei quasi gridando e alzando la testa: “Sì, ero solo distratta. Va bene. Frank, puoi venire un attimo sul retro del bar?” Hazel pronunciò l’ultima domanda, attenta a farsi sentire solo dal diretto interessato.
“Uhm… Sì.” Disse rauco Frank, che tossicchiò un po’, per liberarsi dall’improvviso nervosismo: “Sì.” Ripeté più deciso.
Frank borbottò qualche scusa a metà per gli altri, che finsero chiaramente di essersela bevuta e poi si avviò alla porta sul retro con Hazel, che lasciò elegantemente passare per prima. Poi richiuse la porta, la fissò per qualche secondo, come per trovare il coraggio di girarsi e affrontare quella conversazione. Trasse un respiro profondo e poi si girò: “Bene, cosa volevi dir…”
Non ebbe mai il tempo di finire quella frase, perché si trovò in un attimo le labbra di Hazel sulle sue. Non aveva idea di come fosse successo o di quanto fosse stata veloce lei, ma decise saggiamente di non porsi tali problemi in quel momento e rimandò le domande a dopo. Poggiò delicatamente una mano sulla piccola guancia di Hazel ed approfondì il bacio, respirando profondamente e avvicinando la ragazza a sè per i fianchi. Qualche secondo dopo, poggiò la sua fronte su quella di Hazel e la guardò negli occhi, mente con un pollice le accarezzava una guancia: “Non ce la faccio a dover essere in ansia anche questa volta.”
“Non voglio che vada a finire come la prima volta.”
“Neanch’io.” Convenne lui, prima di riprendere a baciarla.
I cassonetti lì a fianco non emanavano un buon odore ed il fumo proveniente dalla cucina del bar non contribuiva a rendere più pulita l’aria in quel vialetto secondario, ma per Hazel e Frank non c’era fumo, né cassonetto. Sembrava quasi che non ci fosse terra su cui reggersi. C’erano solo loro due.
 
Ci risiamo, pensò Leo. Il quarto ed ultimo anno al liceo era appena iniziato e già sentiva di odiarlo con tutto se stesso. Di nuovo storia. Era inaccettabile. Avrebbe voluto scappare, correre via e dimenticarsi della civiltà, ma qualcosa gli fece cambiare idea.
Un angelo doveva aver sbagliato classe, ne era certo. Quello era l’inferno, non certo il paradiso, cosa ci faceva lì? Una ragazza bellissima, dai capelli color caramello e dei vestiti decisamente strani ma eleganti, aveva appena varcato la soglia della sua classe di storia.
Leo scoprì, più tardi, che il nome di quell’angelo era Calypso e che veniva da molto lontano. Per tutta l’ora di storia non faceva altro che sentire altri ragazzi bofonchiare su quanto fosse strana, chiedendosi da dove venisse e come si vivesse lì. Leo non poté che provare una profonda comprensione per quella ragazza. Era difficile essere i nuovi arrivati e non sentirsi giudicati in tutto. Poi, però, si ricordò che il suo primo giorno di scuola americano, qualcuno l’aveva salvato dall’imbarazzo dell’inadeguatezza. Hazel era arrivata in suo aiuto. Non poté far altro che seguire i suoi passi e offrire il suo appoggio alla donzella smarrita. Ecco, quindi, che a fine lezione Leo si avvicinò con passo felpato alle spalle della ragazza, mentre lei riuniva tutte le sue cose nella cartella marrone che aveva. Un raggio di sole le illuminava i capelli, facendoli risplendere e rendendo il lavoro ancora più difficile al messicano: “Ehi, ciao.” Salutò lui, facendola sobbalzare e girare di scatto, mentre con una mano gli rifilava un ceffone e con l’altra gli puntava il beccuccio di uno spray al peperoncino sul viso: “Io lo sapevo che voi americani siete tutti pazzi.”
“Ehi, raggio di sole, io non sono né americano, né pazzo. Tentavo solo di essere gentile.” Replicò dolorante Leo, massaggiandosi la guancia e fissando inorridito lo spray.
“Come mi hai chiamata?”
“Insomma, io sono Leo. Leo Valdez.” La ragazza guardò diffidente la mano del suo interlocutore, prima di stringerla, guardandolo torva: “Calypso.”
“Bene, Calypso,” Riprese Leo, con rinnovato entusiasmo: “l’anno scorso ero nuovo anch’io, sai? Poi una persona mi ha dato una possibilità. Questo è il mio numero. Chiama se ti senti sola.” Disse fiero lui, porgendole un pezzo di fazzoletto, su cui c’era scribacchiato un numero di telefono.
“Oh, be’,” Balbettò la ragazza, presa un po’ alla sprovvista: “grazie, lo farò.” Disse, prima di girare i tacchi, salutarlo timidamente con la mano ed andare.
“Forza ragazzo, non abbiamo tutto il giorno qui.”
Leo si rese conto solo qualche minuto dopo che aveva passato un sacco di tempo a fissare come un ebete il punto in cui era andata via, senza muovere un muscolo: “Oh, sì, scusi.” Qualcosa di indecifrabile era scattato dentro di lui. Non aveva idea di cosa fosse, ma sentiva un piacevole calore al petto. E non gli dispiaceva affatto.
 
“Beh, gli altri stanno per arrivare.” Disse Percy nervoso, mentre si guardava intorno, chiedendosi dove si fossero cacciati i suoi amici.
“Hai intenzione di perderla subito questa patente, vedo.” Notò Annabeth con un sorrisetto. Percy interruppe la ricerca dei suoi amici con lo sguardo, per fissarlo sulla bionda: “Che intendi?”
“Che stai per portare sette persone in una macchina.”
“E chi ti ha detto che io ho una macchina?” Domandò Percy. Questa volta fu il suo turno di fare un sorrisetto: “Ricordi il furgoncino del cliente della mamma di Leo? Be’, alla fine lei l’ha riparato, ma il proprietario non è mai più tornato. È un catorcio, ma regge bene.” Disse il moro indicando ad Annabeth il furgoncino parcheggiato più in là. La ragazza sorrise, mentre si incamminavano verso l’auto, prima di lanciare qualche sguardo nervoso al ragazzo accanto a lei. Insomma, era inutile continuare a perdere tempo: non avrebbe reso vana la richiesta che aveva fatto poco prima ai suoi amici.
“Percy non verranno prima di mezz’ora.” Annunciò, dopo un respiro profondo.
“Cosa? Perché?”
“Perché gliel’ho chiesto io.” Percy la guardò perplesso: “Per parlarti.” Precisò lei, alzando gli occhi al cielo: “Non possiamo continuare a baciarci quando siamo da soli e fare come se nulla fosse successo il giorno dopo.”
“Pensavo che tu non volessi… Insomma, pensavo non volessi fare sul serio.” Si difese Percy, che non era mai stato capace di interpretare i segnali.
“Be’, io…”
“Ascolta,” la interruppe lui: “se la cosa non ti va bene, io… posso smetterla, davvero.”
“No, il problema è proprio questo, in realtà.” Percy la guardò confuso: non riusciva davvero a seguirla: “Io non…” Continuò la ragazza, per poi arrestarsi all’improvviso, arrossendo vistosamente ed iniziando a trovare sempre più difficile il contatto visivo con il ragazzo: “Tu cosa?” La incalzò lui, che non sapeva davvero che pesci pigliare.
“Io non voglio che tu la smetta.” Concluse lei, quasi in un sussurro, fissandosi le punte delle scarpe come se ci avesse trovato qualcosa di incredibilmente interessante.
“Oh.” Commentò lui, atono. Era sicuro di non aver sentito bene. Non poteva aver sentito bene. La felicità lo invase in un secondo, sciogliendolo dal suo stato di ansioso intorpidimento e facendogli spuntare uno stupidissimo sorriso, che era certo non gli sarebbe scomparso per le prossime sette ore, con un po’ di fortuna: “Annabeth,” pronunciò, con la voce tremante.
La ragazza, dal canto suo, non aveva preso benissimo l’esclamazione di qualche secondo prima di Percy. Ecco, ne era certa, aveva rovinato di nuovo tutto. Lei, sì, lei che si era protetta tanto dalle emozioni che il moro le aveva sempre fatto provare e che le avevano sempre fatto così paura, si trovava lì, a dover subire l’umiliazione del rifiuto.
“Annabeth.” Riprovò più deciso, Percy, che iniziava ad essere sempre più impaziente: “Dimmi.” Rispose lei, continuando a fissare la punta di quelle scarpe, che iniziava seriamente a detestare: “Guardami.” Oh, no, poteva accettare di essere rifiutata, ma non avrebbe mai sostenuto il suo sguardo, non in quel momento. Questa promessa, però, fu rotta qualche attimo dopo, quando la ragazza vide le scarpe di Percy entrare nel suo campo visivo. Nel giro di qualche secondo, il moro aveva colmato la distanza tra loro e l’aveva costretta delicatamente ad alzare il viso, per poi intrappolare le sue labbra in un bacio che sapeva di sorpresa e di ricordi. Era diverso da quelli degli ultimi mesi: era intriso di consapevolezza. La consapevolezza che qualcosa, tra loro, era finalmente cambiata ed era stata rinforzata da tutte le disavventure ed i problemi che avevano avuto. Percy approfondì il bacio, costringendola ad appoggiarsi con la schiena al furgoncino. Annabeth non seppe bene quando, ma Percy aveva decisamente riscaldato l’atmosfera, mentre il tempo che lei aveva per respirare diminuiva sempre di più. La bionda capì che Percy aveva decisamente perso il polso della situazione, quando lui fece scontrare i loro bacini, gemendo appena: “Quanto tempo hai detto che hai chiesto, agli altri?” Ansimò il moro.
“Mezz’ora, ma Leo sembrava piuttosto impaziente. E poi siamo nel parcheggio della scuola.”
“Fa nulla, il furgoncino è…”
“Ohi, ohi, ohi” Esclamò una testa riccia in lontanaza.
“Vedo che le cose vanno bene.” Disse Hazel, raggiungendo Leo.
“Scusaci, ho provato a farlo ragionare…” Iniziò Piper: “Tranquilla.” Ridacchiò Annabeth, che, per quanto impaziente, aveva ben presente dove fossero.
“Andiamo?” Domandò Frank, mentre tutti iniziavano a prendere posto nel furgoncino.
“Ragazzi?” Chiamò Leo, mentre Percy metteva in moto, ancora un po’ intontito dai precedenti minuti, e Jason abbassava i finestrini, sollevato dal fresco del vento nei capelli: “Mi sono innamorato.” Annunciò serio Leo, mentre Percy, immessosi sul vialetto che conduceva sulla strada, per poco non sterzò di scatto sorpreso: “Che cosa?” Domandò Piper, con un sorrisetto incredulo.
“No, sarà una delle tante modelle che ha visto sui giornali.” Scherzò Annabeth, ancora di buonumore.
“No, io…”
“Vuoi dire una delle attrici che ha visto sui siti porno.” La corresse Percy, interrompendo il messicano.
“Dio, Leo, perché devi essere sempre così volgare?” S’intromise Hazel, mentre Leo cercava in tutti modi di prendere parola.
“Poverino, è nato, così, non è colpa sua.” Disse Jason, fingendosi seriamente dispaiciuto.
“Vero, un po’ di clemenza per tutti.” Scherzò anche Frank, unendosi al coro.
“No, vi giuro che anche lei sa che esisto!” Sbottò Leo: “E no, non ho avvertito una pornoattrice della mia esistenza.” Continuò, azzittendo Percy, prima che potesse replicare: “Si chiama Calypso, è nuova ed è nella mia classe di storia.”
Percy fischiò: “Ma dai!”
“Be’, allora avanti tutta, marinaio!” Scherzò Piper, facendo scoppiare tutti a ridere.
 
“E tua sorella?” Domandò Will, varcando la soglia della porta della cucina, incredibilmente teso.
“In giro con amici, per rendere il primo giorno di scuola meno pesante, immagino.” Rispose Nico, lasciando vagare il cucchiaio di legno appena sopra la pentola, per girarsi a guardare Will, appoggiato allo stipite della porta. Nico doveva ammettere che quella camicia a quadroni blu e rossi gli stava un incanto, per non parlare dei pantaloni beige ed i capelli che gli ricadevano gentilmente sul viso, mentre la luce artificiale della cucina faceva sembrare quei ciuffi dorati: “Oh, capisco.” Si limitò a rispondere il biondo. Ora, Nico non sapeva se fosse per i pensieri poco casti che avevano preso pieno possesso del suo cervello, ma poteva giurare che quella nel tono del suo ragazzo fosse piena e sicura malizia: “Cazzo!” Gridò Nico, dopo che uno schizzo di sugo rovente cadde sul suo braccio, portandolo a sbattere le dita contro la pentola, anch’essa bella calda: “Oddio, ti sei fatto male?” Domandò Will, lanciandosi letteralmente verso di lui. Nico doveva ammettere che quel lato da crocerossina del biondo, oltre che irritarlo parecchio, gli faceva anche sciogliere il cuore di dolcezza, cosa che a sua volta, aumentava esponenzialmente la sua irritazione: “Sto bene,” Sbottò Nico, alzando gli occhi al cielo, senza, però, essere capace di trattenere un sorrisetto: “è solo una bruciatura.”
“Be’, non puoi certo dire sia ‘solo’ una bruciatura. Devi metterla sotto l’acqua corrente, altrimenti si gonfia.” Sentenziò Will, con un tono che non ammetteva repliche, mentre lo conduceva verso il lavandino, cosa che Nico non aveva certo voglia di fare: “Hai del Burn Free?” Domandò Will, esaminando la mano del ragazzo: “Che?” Will alzò gli occhi al cielo: “Del Citrizan?” Continuò Will, fissando Nico negli occhi, speranzoso: “No…” Rispose il corvino, che non aveva idea di cosa il biondo andasse blaterando.
“Dio, hai del dentifricio?” Domandò Will, esasperato: “Oh, finalmente hai ripreso a parlare la mia lingua.” Si complimentò Nico, palesemente ironico, senza, però, muovere un dito per rimediare al danno.
“Be’? Dov’è?” Domandò Will, allarmato, che voleva evitare che il suo ragazzo si ritrovasse delle antipatiche bolle sulle dita: “Dove può essere? In bagno.” Rispose Nico, non riuscendo a trattenere una risata. Will, dal canto suo, fermò il getto d’acqua, che ancora scorreva sulla mano del moro e gli ordinò di sedersi sul letto ed aspettarlo.
Nico obbedì, più perché non aveva nulla da fare che per altro ed aspettò che il biondo tornasse: “Faccio io.” Disse Nico, non appena Will si inginocchiò davanti a lui, esaminando ancora la sua mano e facendo per procedere all’applicazione del dentifricio.
“Ma come fai a farlo con la destra, scusa? Farai un casino.”
“Sono ambidestro.” Mentì Nico, pienamente consapevole che Will non se la sarebbe bevuta, ma riuscendo comunque ad impadronirsi del tubetto, prima che il biondo potesse replicare.
A Will non restò altro da fare che guardare il viso concentrato di Nico, mentre cercava in tutti i modi di spalmare il dentifricio con la mano destra. Lo trovò davvero buffo, oltre che incredibilmente sexy. Iniziò a perdere ogni facoltà mentale, però, quando Nico cacciò la lingua in un infantile e purissimo gesto di concentrazione. Prima che potesse rendersi conto di ciò che stava facendo, iniziò a baciare l’interno del ginocchio del corvino, risalendo sulla coscia.
“W-Will… Che stai facendo?” Domandò Nico irrigidendosi, quando notò che il biondo si era avvicinato incredibilmente al suo inguine.
“Mi tengo occupato.”
“Oh, certo.” Esalò Nico in un sussurro, cercando di rimanere concentrato sul tubetto di dentifricio e la sua mano, con scarso successo.
“Ti amo.” Sussurrò Will, che aveva smesso di ragionare nel momento in cui aveva abbassato la zip dei pantaloni di Nico.
“Cosa?” Esclamò il corvino incredulo, lasciando che un’ondata di preoccupazione e paura lo investisse. Cosa doveva fare? Dire che lo amava anche lui? Era vero? Cosa provava esattamente per Will? Dopo quanto si può dire ‘ti amo’? Diceva sul serio o era solo preso dal momento?
“Nulla.” Lo rassicurò Will, che l’aveva sentito irrigidirsi e si era maledetto per averlo detto così presto. Glissare, però, era una delle sue specialità, così abbassò in un attimo i boxer del suo ragazzo e prese, senza troppe cerimonie, l’erezione di Nico in bocca, rilassandosi non appena sentì il più piccolo gemere e posare una mano tra i suoi ricci biondi.
“Cazzo.” Ringhiò Nico: “Cazzo, cazzo, cazzo.”
Will ridacchiò: “Ehi, sei già così vicino?”
“No!” Sobbalzò Nico arrossendo e alzandosi di scatto: “Il sugo! Volevo preparare una cena carina!” Gridò varcando la soglia della porta della sua stanza ed imboccando il corridoio, prima di tornare indietro ed affacciarsi dallo stipite: “Anch’io,comunque...” Sussurrò appena il moro, ma Will l’aveva sentito e non poté che notare di non averlo mai visto così rosso in viso, in vita sua.
 
Erano partiti per la prima avventura del loro ultimo anno e la radio suonava proprio Father and son. Incredibile quanto i ricordi legati ad una canzone possano cambiare.
Mezz’ora dopo Leo guardava la strada sfrecciargli davanti agli occhi impedendogli di potersi soffermare su qualunque cosa vedesse. La luce del pomeriggio filtrava ancora tra i rami degli alberi della strada secondaria che Percy aveva imboccato. Una nuova vita. Leo iniziava a capire a cosa servisse. Era a stento riuscito ad avere degli amici in Messico, anche se forse non bisognerebbe accontentarsi degli amici che ci sono ‘a stento’. Nonostante odiasse darlo a vedere sapeva benissimo di non riuscire a capire al volo le persone, ma l’idea di averne conosciute di nuove e pensare che forse sarebbero state quelle che gli sarebbero rimaste vicine per sempre, non poteva che emozionarlo ogni volta.
8794 ore da quando il suo viaggio in macchina era iniziato, un anno esatto prima.
Leo iniziò a tamburellare col piede totalmente immerso nei suoi pensieri, questa volta in una macchina meno sola e decisamente sovraffollata.
 
Note di El: Eh, sì. Ho davvero fatto iniziare il capitolo col titolo della stroia, ma lasciatemi queste tristi soddisfazioni. Volevo farlo da una vita! Bene. In orario ma triste. Devo dire che questo genere di addii mi fanno sempre un grande effetto. È la consapevolezza di star facendo una cosa per l’ultima volta. Come quando sai che stai per vedere un’ultima volta un posto, sentire una canzone, guardare la zanzara che ti ha prosciugata prima di ucciderla. Questo genere di cose, insomma. No, cercherò di essere più seria, scusate. Il solo fatto di finire questa storia mi rende piuttosto fiera, perché sono una persona inconcludente. È un capitolo in generale molto nostalgico, ci sono molti riferimenti ai primi capitoli. Dal titolo all’ultima parte, che è addirittura uguale alla prima, nel primo capitolo, tranne per qualche parola. Mi è piaciuto scrivere questa storia, mi ha fatta crescere. Ho sempre scritto per me stessa ed è stata la prima volta in cui davo del tutto ad altri le mie parole. I primi capitoli sono molto semplici, scritti un po’ così, per gioco, ma sono cresciuta di capitolo in capitolo.
Sappiate, ad ogni modo, che non è finita. Ho in mente una storia lunghissima e molto particolare, che ho intenzione di scrivere tutta prima di pubblicare. Nel mentre, ho tante idee, prompt, contest che mi piacciono da portare su questo ed altri fandom. Insomma, tenete d’occhio il mio profilo, cari.
Devo davvero ringraziare chi è arrivato fin qui (sia della storia in generale, sia delle note, dannazione, sono prolissa, ma questa volta me lo dovete lasciar fare), soprattutto la mia assidua commentatrice numero 1 (anche l’unica) ­­_Viola02_! Grazie di tutto e a presto! ;(
Adieu,
 
El.
   
 
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