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Autore: Luce Lawliet    10/01/2019    2 recensioni
Vi è mai capitato di trovarvi da soli in treno?
No, scusate. Riformulo. Vi è mai capitato di prendere l’ultimo treno della giornata (nel mio caso, quello di mezzanotte) e andare a sedervi in un vagone vuoto, perché costretti a tornare a casa dopo degli straordinari da denuncia a lavoro e con una tormenta di neve che sembra non finire più? È proprio quello che è successo a me, una decina di giorni fa.
Ero l’unica ad attendere il treno sul binario e mi ero piazzata senza nemmeno pensarci in prima classe, uno perché era vuota e due perché il controllore aveva una faccia più devastata della mia e sarei stata pronta a scommettere tutto il portafogli che non mi avrebbe detto niente. Ero in viaggio da almeno dieci minuti quando una persona ha preso posto di fronte a me e, be’. A voi il giudizio finale.
Spero davvero che stesse solo scherzando…
Genere: Dark, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Note: vi è mai capitato di trovarvi da soli in treno? No, scusate. Riformulo. Vi è mai capitato di prendere l’ultimo treno della giornata (nel mio caso, quello di mezzanotte) e andare a sedervi in un vagone vuoto, perché costretti a tornare a casa dopo degli straordinari da denuncia a lavoro e con una tormenta di neve che sembra non finire più? È proprio quello che è successo a me, una decina di giorni fa.

Ero l’unica ad attendere il treno sul binario e mi ero piazzata senza nemmeno pensarci in prima classe, uno perché era vuota e due perché il controllore aveva una faccia più devastata della mia e sarei stata pronta a scommettere tutto il portafogli che non mi avrebbe detto niente. Ero in viaggio da almeno dieci minuti quando una persona ha preso posto di fronte a me e, be’. A voi il giudizio finale.

Spero davvero che stesse solo scherzando…


 

 

Dato che nessuno sfugge alla morte, almeno fai in modo di meritartela.


 

Ho sempre trovato le prime classi molto sopravvalutate, così come Trenitalia, ma sul secondo punto suppongo che ci troviamo più o meno tutti d’accordo. Ma ad ogni modo.

Mi ero seduta sul primo sedile libero – operazione semplice, la carrozza era vuota – e cinque secondi dopo il fischio stridulo del controllore, il treno partì.

Ero infreddolita, avevo il fiatone ed ero coperta di neve, si era infilata a fiocchi bagnandomi la sciarpa, e anche sotto i calzini. Dannazione. E tutto perché? Perché fuori c’era una bufera del demonio e durante la mia buffa corsa per arrivare in stazione, le folate avevano piegato al contrario il mio ombrello per tre volte, prima che si rompesse definitivamente mentre ancora percorrevo il marciapiede.

L’avevo gettato nel primo bidone che mi era capitato e avevo proseguito riparandomi come potevo.

Meno male che in treno avevano acceso il riscaldamento. Sapevo che ci sarebbe voluta sì e no mezz’ora per tornare a casa, con una fermata nel mezzo, perciò tirai fuori un libro dalla borsa e mi misi a leggere.

Non ricordo di preciso quanto tempo passò. Tipo, dieci minuti o poco più.

Sta di fatto che fino a quel momento ero convinta di essere sola in quel vagone, non avevo sentito volare una mosca e non avevo visto nessuno.

Poi attaccò la suoneria di un cellulare e io sobbalzai appena, per due motivi. Il primo era che non me l’aspettavo e va be’. Il secondo era che, chiunque fosse il tizio o la tizia, aveva gusti discutibili in fatto di suonerie. Per carità, io sono cresciuta a pane e film horror, ma la suoneria in questione era “Halloween”, non so se avete presente...lascerò il link in fondo per i curiosi, così vi farete un’idea di cosa sto parlando. Ora, dicevo, ognuno fa quello che gli pare, ma quella suoneria ascoltata quando sei da sola, in treno e a notte fonda... insomma.

Lo sentii rispondere “Sono ancora in treno.”, ma non riuscii a captare nient’altro perché aveva abbassato la voce. Era un uomo, comunque. Un uomo, con la suoneria di un film horror per le chiamate al cellulare, va bene. Manco fosse il 31 ottobre o ci fosse l’uscita imminente del nuovo film nelle sale…

Tornai a leggere, lo confesso, appena un po’ innervosita. Da quel momento però, tenni le antenne ben dritte e tutto quello che facevo era contare quanti minuti mancavano alla mia fermata.

Ne passarono altri cinque, poi avvenne la seconda sorpresa.

“Posso sedermi?”

Sollevai la testa, forse con un po’ troppa foga. Alla faccia delle antenne dritte, avevo pensato, questo si era mosso e io non l’avevo nemmeno sentito arrivare.

Prese posto prima che potessi rispondergli, di fronte a me.

Era un ragazzo normalissimo, non voglio dire anonimo, ma quasi. Uno di quelli che in mezzo a una dozzina di persone non riconosceresti mai. Il classico genere che passa abbastanza inosservato, ecco.

Avrà avuto tra i venti e i venticinque anni, o poco più. Indossava una tuta e scarpe da ginnastica, tipico abbigliamento di chi è appena uscito dalla palestra. Solo che non aveva nessun borsone con sé.

Perché si era seduto di fronte a me, con tutti i posti che c’erano? Non gli andava bene dov’era seduto prima? Quello era il tizio della suoneria creepy, avevo riconosciuto la voce.

Fantastico.

Mi ero sforzata di non fare la pessimista – a titolo informativo, lo sono. Tanto. Sempre. - ed ero tornata subito alla lettura.

“Fa un freddo porco, stasera.” aveva detto, guardando fuori dal finestrino del treno.

“Mh-mh.”

“Cosa leggi?”

Ok. Aveva voglia di fare conversazione, non ci voleva un genio fin lì. Tuttavia, non per cattiveria o altro, ma preferivo non dargli corda, ero stanca e volevo limitare i rapporti sociali allo stretto indispensabile, specie in quella situazione.

Perciò non risposi, ma socchiusi il libro in modo da permettergli di vedere la copertina.

“Uh, Stephen King. Bello. Mi piace molto.”

Gli sorrisi educatamente e tornai al libro. Non per molto, però.

“Lo sapevi che Stephen King raccontò di aver assistito alla morte del suo miglior amico? Fu investito da un treno.” no, non lo sapevo e avrei continuato normalmente la mia vita anche rimanendo nell’ignoranza, ma ormai il tizio aveva preso a parlare. “Ti immagini? Se il treno in cui ci troviamo adesso mettesse sotto una persona? In questo preciso momento? Dici che avvertiremmo l’impatto? Il treno deraglierebbe o non farebbe nemmeno una piega?” scrollò le spalle e si mise a ridere, tornando a guardare fuori. “Tornando a King, non è questo comunque, il fatto strano. La cosa veramente assurda è che anni dopo lo intervistarono e lui ammise di non ricordarsi di aver assistito a quella scena, tanto meno di averla raccontata ai media! O è svitato, oppure è stato lui.”

“O era solo uno dei tanti modi per fare audience.” mi intromisi, proponendo la soluzione che mi pareva più ovvia (e meno terrificante.)

“Mh, tu dici?” fece lui, pensandoci un secondo. “Io non penso. Uno come lui non ce le ha, tutte le rotelle a posto, quindi potrebbe anche aver detto la verità.”

“Mh.”

“Quindi pure tu vai pazza per King.”

“No.” ribattei subito, girando rapida una pagina quando mi resi conto che stavo fissando la stessa riga da un sacco di tempo. Speravo non se ne fosse accorto. “Avevo solo voglia di cambiare, in genere sono per letture più semplici.”

“E cosa te ne pare, fin’ora?” insistette, guardandomi fisso. Odio quando la gente mi fissa in quel modo. Sprofondo nel disagio e dato che il mio volto è come un libro aperto, quando sono a disagio, se ne accorgono tutti.

Secondo me il tipo aveva capito subito che non avevo la minima voglia di parlare, ma se n’era sbattuto altamente. Avevo addirittura pensato che fosse una sorta di test per vedere quanto resistevo, un passatempo per vincere la noia o roba del genere. Fu a quel punto che la situazione si fece preoccupante.

“Sono ancora all’inizio, non mi sono fatta un’idea precisa.”

Lui tirò fuori un filtro e un sacchetto, rollandosi una sigaretta. Poi la accese. Lo fissavo con la coda dell’occhio, esterrefatta per tanti motivi diversi.

“Ti dico la mia, allora.” espirò inclinando la testa verso il soffitto, per poi tornare a fissarmi. Ma che cavolo. Non mi era mai capitata una situazione del genere. “Lui la fa sempre tragica nei suoi racconti, anche per la più piccola menata. Ok che è il suo stile, gli fa guadagnare milioni e non si lamenta. Ma con Outsider – il suo ultimo romanzo – sai cos’ho capito? Che si è rotto i coglioni. Non di scrivere romanzi eh, almeno non credo, si è rotto i coglioni perché ripete sempre le stesse cose, ma il messaggio non viene recepito. Pensaci: se io fossi a conoscenza di qualcosa di pericoloso e volessi mettere il mondo intero al corrente, che faccio? Scrivo i miei pensieri, li pubblico, li diffondo. Faccio quello che ha fatto lui.” si interruppe per fare un secondo tiro. “E dire che non capisco cosa ci sia di difficile. È un concetto talmente semplice.”

Avrei tanto voluto interromperlo e dire: “Guarda che c’è il piano di sopra per i fumatori.”

Già. Nella mia mente sono una guerriera senza macchia e senza paura, ma nella realtà tendo ad essere leggermente più conservativa. Inoltre sono curiosa per natura e in mancanza di alternative, gli chiesi quale fosse questo fantomatico messaggio.

Lui fece un sorriso...strano. Mi spiace, non saprei in che altro modo definirlo.

“Che la morte ci tocca tutti.” rispose con un’alzata di spalle. “Senza eccezione. Indi per cui, dato che nessuno sfugge alla morte, almeno fai in modo di meritartela, no?”

Che cosa. Avevo. Appena. Sentito?

“Così, sarebbe questo il pensiero di King. Capito.” mormorai, non trovando nient’altro da dire. Stavo per nascondere di nuovo la faccia nel libro, quando quello che il ragazzo disse subito dopo mi fece accelerare il battito, e di parecchio.

“No, solo la prima parte è sua. Il resto lo penso io.”

A quel punto, continuai a tenere il libro in una mano sola e misi l’altra nella tasca del giubbotto, dove tengo sempre lo spray al peperoncino. È solo una precauzione, la città in cui vivo non è tra le più tranquille, quasi ogni giorno al tg ne sento una nuova. Non mi sono mai trovata nella condizione di usarlo, per fortuna, chiamatemi paranoica o quel che volete, ma meglio un po’ di prudenza in più che il contrario.

Tenni la mano nella tasca per tutto il resto del tempo, quel tipo era strano e il discorso aveva preso una piega che non mi piaceva per niente. Soprattutto perché il Cicerone non la smetteva di parlare. Non sarei mai stata più felice di vedere apparire un controllore come in quel momento. Ovviamente, quando ne hai bisogno, manco a pagamento. Brutti stronzi.

“Tu fumi?”

“No.”

“Mai fumato?”

“No.”

“I tuoi fumano?”

Per la terza volta, no. Ero tesa come una corda di chitarra.

Lui si rigirò ciò che rimaneva della sigaretta, prima di lasciarla cadere sul pavimento, schiacciandola sotto la scarpa da ginnastica.

“Mai provato, eh? Non sai che ti perdi. Ma non importa, ora, immagina di passare metà della tua vita a fare la brava cittadina, paghi le tasse, fai straordinari non pagati a lavoro che ti costringono a prendere l’ultimo treno” giuro, quando pronunciò quelle parole quasi mi si gelarono le dita delle mani. “vai in palestra, vita sana, non fumi. E poi un giorno esci dall’ospedale scoprendo di avere il cancro ai polmoni. Proprio tu, che non hai mai fumato!” sbuffò, tirando una gomitata all’imbottitura blu del sedile e io non so come feci a starmene impassibile, senza nemmeno sussultare. “E allora, lì sì che ti viene da guardare il cielo e urlare: fanculo. Sì, proprio così. Fanculo. FANCULOOO!!”

Lo aveva urlato.

Ripeto, lo aveva urlato.

“Che cazzo mi significa, spiegamelo! Una vita intera passata a rinunciare a metà dei piaceri come una fessa del cazzo, e poi ti viene giocato uno scherzo simile? Cancro ai polmoni? Dico, almeno te la fossi andata a cercare! Oh, questo era solo un esempio. Ma se ci pensi un attimino, potremmo tirarne fuori altri cinquantamila assai più probabili, che accadono tutti i giorni. Capisci cosa voglio dire, adesso?”

“Credo di sì.”

“E sei d’accordo?”

Avrei voluto alzarmi e correre il più lontano possibile da lui. So che stavamo solo parlando e che in fondo non era successo niente di – troppo – strano, ma quello che provai sul momento è troppo complicato da buttare giù a parole. Solo, credo fermamente che in certe situazioni una persona debba trovarcisi, per capire.

“Be’, dipende. Cosa intendi esattamente quando dici che ti devi meritare di morire?”

“Quello che ho detto. Ti tocca morire? Benissimo. Tu però non lo vuoi. Nessuno lo vuole. Giusto? E allora per tanto così, vaffanculo. Mi comporto come mi pare e non come vogliono loro, faccio il cazzo che voglio e me ne frego delle conseguenze, perché tanto il finale è lo stesso per tutti.” si interruppe solo per sorridermi, cambiando di colpo argomento. “Sai, io prendo sempre il treno a quest’ora perché non controllano mai il biglietto e risparmio un sacco di soldi. Sono contento di aver trovato qualcuno, stasera.”

Sì, eh? Io un po’ meno.

“È così che faccio, io. Mi piace, almeno quando verrà il momento schiatterò senza particolari rimpianti. Giusto questa sera, per esempio. Ho avuto una brutta discussione con la mia ragazza, hai presente, quelle cose che partono dal messaggio per poi sfociare in parole pesanti e urla. E offese, tante. E insomma, l’ho spinta giù dalle scale. Le ho dato della troia e le ho detto di non aspettarmi alzata perché avrei passato la notte con la prima ragazza che mi capitava. Dio, non sai quanto mi sono sentito bene un minuto dopo. Allora, che dici? Può essere abbastanza, come pareggio di conti per la consapevolezza di dover morire un giorno, e non poter fare niente per evitarlo?”

Mi ero impietrita.

Non gli diedi alcuna risposta, mi limitai a fissarlo senza staccare lo sguardo dal suo. Era vitreo e...spento. Non mi piaceva, mi metteva i brividi. Chissà, forse avevo anche trattenuto il fiato, non ricordo. Per svariati secondi rimanemmo entrambi in silenzio a soppesare l’uno la reazione dell’altro, mentre la voce metallica degli altoparlanti annunciava l’arrivo alla stazione intermedia.

“...Scherzavo.”

Aveva pronunciato quella parola con l’ombra di un sorriso già prestampato in faccia, ma io rimasi immobile.

“Puoi ridere, eh.”

“Non era divertente.”

“Forse non per te.” fu la sua risposta, mentre ancora sghignazzava. Lanciò un’occhiata fuori quando il treno si arrestò. “Io sono arrivato. È stato un piacere.”

Lo vidi sporgersi ed ebbi il terrore che volesse avvicinarsi – e lì c’è mancato davvero pochissimo che tirassi fuori quel maledetto spray –, e d’istinto mi ritrassi per mettere ben in chiaro che volevo mantenere le distanze. Ma lui si alzò, dileguandosi in fretta.

Sbuffai con forza, cercando di buttare fuori tutto lo stress, quando dei colpi secchi al vetro del finestrino mi fecero sobbalzare. Era lui.

Lo vidi battere le nocche contro il vetro ancora una volta, per poi indicarmi e tirarsi su il colletto della felpa. Lo interpretai come un “copriti bene”, o qualcosa del genere.

Quello che mi diede ancora più fastidio fu che lo sconosciuto indietreggiò di qualche passo, per poi fermarsi a scrutarmi finché il treno riprese a muoversi. Mentre mi allontanavo dalla stazione e da lui, lo vidi sollevare un braccio e farmi “ciao ciao” con la mano.

Quel gesto, quel semplice “ciao” fu una delle cose più agghiaccianti della mia vita.

Rimisi tutto in borsa e conclusi il resto del viaggio in piedi, nello scomparto tra un vagone e l’altro, pronta a uscire da quel dannato treno non appena si fosse arrestato, per poi giurare a me stessa di non prenderlo mai, mai più a quell’ora.

 


 

Qui l’allegra musichetta di “Halloween” di cui vi parlavo: https://www.youtube.com/watch?v=en-PECWUrpU

 

 

 

 

 

 

   
 
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